Quello che gli italiani pensarono della situazione in cui si trovava il patrimonio artistico e monumentale istriano all‟indomani della prima guerra mondiale, quando entrarono nel territorio e vi s‟installarono, si può leggere nelle parole scritte nel 1920 da Corrado Ricci45, all‟epoca Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, nella già citata guida di Pola di Guido Calza46:
«Che fece, poi, l‟Austria di Pola monumentale? Ingolfato, ai piedi, l‟Arco dei Sergi; tollerato che due misere case soffocassero il Tempio di Augusto, e lo celassero a chi percorreva l‟area dell‟antico Foro; danneggiata, con la pretesa di restaurarla, la Porta Gemina; abbattuta parte delle mura; distrutte ovunque le case adoranti i monumenti maggiori e costruitte le nuove con schiacciante presunzione viennese; spianate e allineate colline, e tagliate isole, tutto sacrificò allo scopo di dar ricetto sicuro e impenetrabile alla mostruosa flotta destinata a bombardare le nostre superbe città litoranee, senza pensare che l‟eroismo italiano l‟avrebbe colpita a morte anche nella sua tana d‟acciaio»47.
44Ibidem. Cfr. BRACCO, 1983, p. 27. In realtà esistevano alcune pubblicazioni in italiano come DUSATTI 1907 e PONS, 1910.
45 Sulla figura di Corrado Ricci si veda la voce dell‟«Enciclopedia italiana», XXIX (1949), pp. 243-244 e BENCIVENNI, 2005, pp. 39-45.
46 CALZA, 2010.
47Ivi, p. 5. Cfr. SANTOBONI, 2012, p. 278. Lo stesso scrive a p. 285: «emerge con chiarezza come le pratiche di tutela e di salvaguardia del patrimonio culturale si prestassero a divenire uno strumento per il controllo dei territori da poco acquisiti e dei loro abitanti. La persistenza della tradizione romana e veneziana, in special modo, costituisce infatti un riferimento culturale presente e importantissimo per le nuove autorità, tale da veicolare l‟avanzamento delle rivendicazioni territoriali dell‟Italia ben oltre i confini statuiti».
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La questione riguardante lo stato di conservazione in cui si trovavano i beni culturali istriani dopo la prima guerra mondiale è, però, assai più complessa di quella descritta da Ricci. Bisogna innanzitutto tenere in considerazione i forti impulsi propagandistici e patriottici che permeano quasi tutti gli interventi e le pubblicazioni sull‟operato italiano in Istria, nel periodo tra le due guerre mondiali. Lo stesso vale per le descrizioni sulla situazione lasciata nella penisola istriana dal governo austriaco e trovata dalle autorità militari e civili italiane. Una terra questa, il cui passaggio al Regno d‟Italia avvenne sotto forti spinte irredentiste e dopo una guerra, da poco conclusasi al tempo in cui parla Ricci, che portò inevitabilmente gravi danni ai monumenti e ai beni mobili della penisola. Nonostante le convenzioni stipulate all‟Aja, firmate il 18 ottobre del 1907 solo pochi anni prima del conflitto, vietassero e punissero «ogni confisca, distruzione intenzionale o danno arrecato ai monumenti storici, alle opere d‟arte o della scienza», la realtà pratica e militare della prima guerra mondiale fu tutt‟altra48.
Durante gli ultimi concitati momenti del conflitto nei territori di occupazione, il governo austriaco creò un‟apposita Commissione a tutela del patrimonio artistico del nemico. Attività quindi, quella della commissione, finalizzata alla protezione artistica del patrimonio esistente nei territori occupati che previde un‟accurata ricognizione delle opere presenti e la stesura di appositi elenchi corredati anche, ove possibile, da immagini fotografiche49.
48 Art. 56 della Convenzione dell‟Aja. Si veda quanto riportato in proposito da PERUSINI, 2008, p. 211.
49 Per un‟accurata analisi dell‟attività svolta da questa Commissione nel territorio occupato del Friuli si veda G. PERUSINI, 2008, pp.209-226. Scrive: «Pochissimi sanno invece che, dopo l‟invasione che seguì alla disfatta di Caporetto (28 ottobre 1918), anche gli eserciti occupanti organizzarono una struttura che aveva il compito di tutelare le opere d‟arte dei territori invasi. Questa struttura faceva capo al Kunstschutzgruppe ovvero alla Commissione per la tutela dei beni artistici [...] composta da circa una decina di esperti, reclutati fra i migliori archivisti, bibliotecari e storici dell‟arte degli imperi centrali» in G. PERUSINI, 2008, p.209. Nel testo si riporta inoltre come Anton Gnirs, Conservatore al Litorale e operante a Pola, fu scelto in qualità di storico dell‟arte a far parte della Commissione, PERUSINI, 2008, p. 210. Cfr. quanto riportato da BERETTA, 2008, in cui alle pp. 229-230 sottolinea la straordinaria sensibilità dimostrata nell‟organizzazione e protezione dei beni del territorio conquistato: «É la prima volta nella storia bellica che un Governo si impegna, con un‟organizzazione capillare e sistematica, a tutelare il patrimonio culturale del territorio conquistato, ingaggiando per il recupero dei beni artistici esperti d‟arte “nemici” nel territorio in cui sono entrati indesiderati e che, chiamati a lavorare direttamente sul territorio, si dimostrano onesti stimatori del valore unico e insostituibile dei beni artistici sui quali hanno la responsabilità. Si tratta di professionisti che lavorano con una serietà e un impegno che si può decisamente definire super partes, mirante a salvare un bene di una civiltà e di un mondo culturale che non
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Ma quale fu lo stato di cose che gli italiani trovarono realmente in Istria? Data la sensibilità dimostrata nel tutelare i beni del patrimonio culturale del “nemico”, è impensabile non immaginare una sensibilità pari nel salvaguardare, dai danni che il conflitto avrebbe potuto provocare, il loro patrimonio artistico e monumentale nei vari fronti di guerra; questo soprattutto per quanto riguarda la città di Pola dove il comando austriaco possedeva il centro della Imperial Regia Marina Militare.
A differenza di quello che si può pensare i beni artistici non furono interamente sgombrati dalla città ma vennero, per la maggior parte, solamente protetti dai “danni dell‟aria” prospettati dagli austriaci. Non ci fu quindi, con tutta probabilità, un piano di sgombero ordinato e controllato dei beni istriani verso l‟interno dell‟Impero; questi non vennero infatti portati a Vienna o in altri luoghi al di fuori dell‟Istria salvo, come ci informerà il Maggiore Ugo Ojetti, «91 diplomi e pergamene della Capitolare in Duomo»50. Così riporta il Maggiore nella già citata relazione stesa nel novembre del 1918:
«Niente è stato, nelle pubbliche raccolte e nelle chiese, allontanato da Pola, salvo 91 diplomi e pergamene della Capitolare in Duomo le quali furono facilmente consegnate al Signor Antonio Gnirs Conservatore delle opere d‟arte del Litorale da Monsignor Wisingher, Preposito Capitolare e furono dal Signor Gnirs portati, pare a Lubiana invece che a Vienna. La copia della ricevuta regolare di queste prezioso manipolo di documenti sarà subito trasmessa dal Comando della Piazzaforte di Pola al Segretario Generale per gli Affari Civili del Comando Supremo.
Quel che pareva asportato fuori dal Museo Civico, e pel suo pregio e per essere di proprietà dello Stato, lo abbiamo di questi giorni ritrovato in un ripostiglio dove era stato celato al riparo dalle bombe. Anche i duemila volumi della Biblioteca Civica posta nello stesso edificio dov‟è il Museo, i quali volumi, quasi tutti dell‟800, di nessun speciale valore se non patriottico ed italiano, erano stati dalla milizia austriaca gittati in fretta e alla rinfusa in sacchi e casse, sono stati rinvenuti a Trieste dal Prof. Piero Sticotti nei locali della polizia stessa. E adesso il Signor. G.E. Pons, bibliotecario e direttore del Museo, ne ha mandato allo Sticotti un parziale elenco per gli opportuni confronti. Di quelli che mancheranno, sarà facile comprare altre copie, se lo Stato accetterà di fare con poca spesa questo dono al Comune di Pola.
Anche il Museo della Marina all‟Arsenale che contiene molti cimeli preziosi per la Storia del nostro Risorgimento era stato, per gran parte, chiuso in casse nel 1916, contro i pericoli
conosce confini politici: con il loro disinteressato lavoro, nelle difficile condizioni in cui si trovano ad operare, si dimostrano capaci di riconoscere i beni più preziosi, di valutarli e di proteggerli».
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dell‟aria, e le casse distribuite in tre locali. Le casse sono state rintracciate e, a cura del Comando della Piazzaforte, saranno adesso riunite nelle Sale del Museo»51.
Da questa breve ma accurata descrizione di ciò che Ojetti poté constatare a Pola, emerge un quadro abbastanza chiaro della situazione in cui incorsero i primi “soccorritori” italiani delle opere d‟arte istriane e di come si fossero mossi gli austriaci, diretti in questo delicato compito dal già citato Conservatore del Litorale austriaco Anton Gnirs, per evitare la distruzione, o il danneggiamento, dei beni che essi ritenevano degni di essere tutelati. Dal testo spicca inoltre l‟accenno a una «ricevuta regolare»52 dei documenti trasportati al di fuori della città di Pola. Nonostante che Ugo Ojetti utilizzasse molto spesso la sua attività di giornalista come strumento di campagna antitedesca dai toni di norma molto accesi, in questa lettera e in generale nelle lettere private alla moglie e ai funzionari del Ministero egli si mostrò sempre molto più obbiettivo53; ed è il caso della relazione appena riportata in cui, nonostante qualche accenno all‟“intedescamento” subito dai beni e dalle città istriane per colpa del governo asburgico, Ojetti ci fornisce una descrizione obbiettiva della situazione riscontrata nella città di Pola.
Nelle righe riportate e nell‟intera relazione si può leggere, più che un atto d‟accusa verso l‟operato austriaco, un‟esortazione al Ministero della Pubblica Istruzione a preoccuparsi di questa regione faticosamente acquisita, consigliando di muoversi verso un‟azione di tutela di tutto ciò che a Pola c‟era di italiano; questo in risposta a bisogni prettamente propagandistici e nazionalistici, osando addirittura paragoni coi passati governatori dell‟Istria:
«Sarebbe un memorabile vanto del nostro Ministero dell‟Istruzione chiedere adesso con una legge speciale al Parlamento, un congruo fondo per questa spesa [sistemazione di diversi
51 ACS, Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. II, 1925-28, b. 52.
52 Riportano l‟esistenza di ricevute regolari rilasciate dai funzionari austriaci PERUSINI, 2008, p. 216 e BERETTA, 2008, p. 231, in cui riporta una serie d‟istruzioni «per gli esperti d‟arte incaricati di provvedere alla protezione del patrimonio artistico nel territorio italiano occupato» scritte a Udine e firmate dal feldmaresciallo von Boroević. L‟elenco, che gli esperti d‟arte devono compilare per tutti i monumenti artistici e gli oggetti d‟arte della zona di lavoro loro assegnata, doveva contenere diverse informazioni, quali ad esempio una descrizione, il luogo in cui era stato ritrovato, il proprietario del bene, ecc.. Tra il materiale che ciascun monumento o oggetto d‟arte doveva avere si torva al punto “e)”: «in caso di rimozione, l‟attuale luogo di conservazione e la ricevuta da parte di chi eventualmente se ne assume la responsabilità».
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monumenti, delle raccolte e degli scavi a Pola n.d.a.]. L‟Italia ritroverebbe, ad ogni colpo di zappa, titoli di pietra e di bronzo al suo diritto che del resto nessuno le può più contrastare. Si rammenti che Marmont primo governatore della napoleonica Illiria, appena giunto, volle cominciare gli scavi dell‟Anfiteatro; e che nel 1816, subito dopo la Restaurazione, l‟imperatore Francesco primo istituì il primo Museo di Pola»54.
Ojetti ci fornisce inoltre il nome di uno degli studiosi che giocò un ruolo di primo piano nell‟immediato dopoguerra: Pietro Sticotti. Lo stesso ci fornirà, a posteriori55, notizie dell‟importante contributo dato in queste prime fasi di tutela, ossia la partecipazione alla rivendicazione dei beni che verranno in seguito restituiti dall‟Austria-Ungheria56. Missione a Vienna, autorizzata nell‟agosto del 1920, che aveva lo scopo di esaminare e recuperare le opere d‟arte italiane lì “detenute”. Nel 1943 Sticotti stilò un resoconto puntuale della sua attività professionale in cui spicca la sua missione a Vienna:
«Assunta la liberazione di queste Terre fu [scrive in terza persona n.d.a.] mandato a Vienna, dove collaborò con Ettore Modigliani, Giuseppe Gerola e Roberto Cessi alla rivendicazione e al ricupero di oggetti di storia e d‟arte in forza del trattato di S. Germano, mentre a Trieste si fece dare l‟incarico dal Comitato di Salute Pubblica e poi dal Governatore militare di asportare dall‟edificio della Polizia austriaca (ora sede della R. Questura) biblioteche pubbliche e private, documenti (tra cui gli atti del processo Oberdan), carteggi oggetti d‟arte sequestrati durante la guerra a enti e privati della città e dalla regione e di restituirli ai loro proprietari»57.
Con il trattato di Saint-Germain del 10 settembre 1919 si stabilì difatti l‟obbligo per l‟Austria di restituire atti, documenti e oggetti storico-artistici asportati durante la guerra dai territori delle potenze alleate e da quelli che furono ceduti a partire dal giugno del 1914. L‟Austria si trovò inoltre a dover consegnare all‟Italia ciò che aveva un rapporto diretto con la storia dei territori ceduti a partire dal 1861. Si sancì inoltre l‟obbligo di dare esecuzione a trattati che non avevano avuto, a loro tempo, risoluzione, ossia all‟art. XV del Trattato di Zurigo del 10
54 ACS, Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. II, 1925-28, b. 52.
55 Nel 1943 il soprintendente Fausto Franco richiese agli Ispettori onorari ai monumenti e alle gallerie di inviare, al fine di completare la documentazione relativa alla loro opera per gli atti d‟ufficio , una «segnalazione delle attività svolte nel campo scientifico (pubblicazioni, artistico e professionale, nonché nelle pubbliche cariche e uffici)». ACS, Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. II, 1925-28, b. 52.
56 Si veda l‟apparato documentale, doc. II.
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novembre 185958, all‟art. XVIII del Trattato di Vienna del 3 ottobre 186659 e alla successiva Convenzione di Firenze del 14 luglio 186860; condizioni accolte dagli articoli che vanno dal 191 al 196 del suddetto trattato. Con l‟art. 196 del Trattato di Saint-Germain in particolare si dispose che, per quanto riguardavano gli oggetti di carattere artistico, archeologico, storico e scientifico appartenenti a collezioni di proprietà del governo della monarchia austro-ungarica, quest‟ultima si sarebbe impegnata a negoziare accordi con i quali tali oggetti avrebbero dovuto essere rimpatriati o a non disperderli per un periodo di venti anni dall‟entrata in vigore del Trattato di pace61. Fu quindi grazie a tutto ciò che l‟Italia rivendicò quel patrimonio storico-artistico che aveva costituito oggetto di asportazioni e trasferimenti precedenti alla guerra.
A questo proposito appare significativa la scelta delle personalità che fecero parte della delegazione italiana «il cui compito fondamentale fu quello di risarcire la memoria storica e artistica delle regioni redente attraverso la restituzione delle opere asportate dal territorio, ora italiano»62. Ettore Modigliani, il cui impegno nella tutela delle opere d‟arte delle province venete e lombarde nel periodo di guerra e la cui protezione e l‟effettivo sgombero gli erano costati anni di lavoro (1916-18)63; Giuseppe Gerola «buon patriota roveretano»64, il quale aveva padronanza della lingua tedesca e conosceva perfettamente il patrimonio storico-artistico e archivistico trentino e a cui, non a caso, fu affidato nel 1920 la direzione dell‟Ufficio Belle Arti del Trentino e dell‟Alto Adige65; Roberto Cessi, il cui incessante lavoro di riordino di fondi archivistici e il suo incarico di funzionario presso l‟Archivio di Stato di Venezia lo portarono ad esser incaricato di trattare con l'Austria la destinazione degli archivi già appartenuti al disciolto Impero austro-ungarico così da assolvere al delicato compito di riportare nel nostro paese la grande messe di documenti d‟archivio asportati dal
58 Si veda: http://www.prassi.cnr.it/prassi/content.html?id=2474 e
http://www.prassi.cnr.it/prassi/content.html?id=1148 [20 ottobre 2013]. Per quanto riguarda la restituzione dei beni artistici al Regno d‟Italia nel primo dopoguerra si veda anche MODIGLIANI, 1922, pp. 99-112.
59 Si veda: http://www.prassi.cnr.it/prassi/content.html?id=2474 e http://www.prassi.cnr.it/prassi/content.html?id=1148 [20 ottobre 2013].
60Ibidem.
61Ibidem.
62ACS, Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. II, 1925-28, b. 52.
63 PACIA, 2007, pp. 388-389.
64 VARANINI, 2011, pp. 311-312.
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territorio italiano66; infine Pietro Sticotti, la cui formazione e attività si era svolta proprio a Vienna e la cui conoscenza del territorio della Venezia Giulia era sancita da decenni di studio sul territorio. A essi si affiancò l‟ispettore Antonio Morassi67.
Assolutamente convinto della necessità di recuperare con sollecitudine gli oggetti d‟arte, in possesso del governo austriaco fu il Maggiore Ojetti che chiuse la già menzionata relazione del 1918 presentata al Ministero della Pubblica Istruzione sullo stato delle gallerie e dei monumenti di Pola, ponendo l‟accento sulla consapevolezza dell‟asportazione in tempo di pace di taluni beni istriani:
«Ma un altro atto occorre compiere anche più sollecitamente: reclamare, nel trattato di pace insieme agli oggetti d‟arte portati via da Pola, da Rovigno, da Trieste, da tutta l‟Istria durante la guerra, anche quegli oggetti che, in frode di Pola furono anche negli anni di pace scoperti nei pochi e incerti scavi fatti qui e subito portati a Vienna lasciandone al Museo di Pola, come una beffa, un cattivo calco di gesso: prime, le due casselle sacre, una d‟argento, una d‟oro, trovate negli scavi presso il Duomo e portate nel 1888 al Museo Imperiale della capitale»68.
Dalla relazione di Ojetti si viene a conoscenza di un altro dato importante dell‟operato austriaco che sarà fondamentale nel comprendere le richieste dello Stato italiano per quanto riguarda la restituzione dei beni asportati dallo governo austriaco in Istria. Come si evince difatti da un elenco stilato da Pietro Sticotti nel luglio del 191969, molte delle opere presenti a Vienna si trovavano nella capitale austriaca già da molto tempo; alcune opere furono trasportate dagli austriaci al Museo di Corte, altre al Museo di Lubiana; alcune di esse però si trovavano in questi centri da più di cent‟anni. Esempio fra tutti lo scettro podestarile di Montona, che si vuole esser passato a far parte delle collezioni asburgiche nel 180170. Ma vi
66PRETO, 1980, pp. 269-273.
67 Si veda p. 24 del presente studio. Per la figura di Antonio Morassi si veda CATALDI GALLO, 2007, pp. 410-417 e CIOFFI, ROVETTA, 2007, pp. 425-428, che riportano la biografia dello storico dell‟arte e TAVANO, 2011.
68 ACS, Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. II, 1925-28, b. 52. Si veda anche NEZZO, 2008, p. 246: «nell‟ottobre del 1918, in una Memoria sulla difesa e sul recupero degli oggetti pregevoli per l‟arte, per la storia, per la cultura nelle terre italiane irredente, Ojetti proporrà di utilizzarli, eventualmente, come merce di scambio nei trattati di pace, per ottenere ai territori redenti la completa restituzione dei beni artistici e archivistici».
69 Si veda l‟apparato documentale, doc. III. ASSBSAEFVG, VII Monumenti, b. 197.
70 «Nel 1801, per mediazione del Commissario plenipotenziario barone Carneo Steffaneo, il Consiglio della città di Montona si vide indotto a donare questo cimelio all‟Imperatore, che lo pose nel tesoro della sua casa, donde
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sono anche altri esempi di questi «spostamenti» che la popolazione istriana mal sopportava e che vengono dalla stessa definite «indebite sottrazioni»71.
Da una lettera del 1931, presente nel carteggio conservato presso la Soprintendenza di Trieste, si apprende come nella chiesa di San Bernardino di Pirano «si trovava una preziosa pittura su tavola rappresentante la Madonna con bambino dormiente opera di Alvise Vivarini72. Essa fu tolta dal Commissario aulico barone de Carneo Steffaneo che la mandò a Vienna e ciò non fu senza provocare proteste da parte del Vescovo di Capodistria Mons. Daponte e il Superiore del Convento che si rifiutarono in un primo tempo di esporre il brutto dipinto di nessun valore mandato in cambio. Per fortuna dopo la guerra venne restaurato e ora trovasi nel Museo Civico di Capodistria»73.
La Madonna con bambino in questione si trova inoltre nel citato elenco stilato dallo Sticotti in occasione delle rivendicazioni del dopoguerra: «La tavola di Alvise Vivarini della chiesa di S. Bernardino presso Pirano trovasi sotto sequestro nelle gallerie del Museo di Corte, gabinetto I No.12/ Guida 1918, pag. 209./»74.
Nell‟Inventario degli oggetti d’arte d’Italia stilato per la provincia di Pola dal dott. Antonino Santangelo nel 193575, si trova ulteriore conferma di quanto appena riportato riguardo al quadro della chiesa di San Bernardino:
«nel 1802, per le pressioni del Barone Carneo Steffaneo fu trasportato a Vienna ed esposta nella Pinacoteca di corte ove rimase fin quando non fu restituito all‟Italia in applicazione delle clausole 191-196 del trattato di Saint-Germain, integrate dalla convenzione con l‟Austria, firmata a Vienna il 4 maggio 1920»76.
Il fatto di chiamare una personalità come Pietro Sticotti a partecipare alla trattativa svoltasi a Vienna per le restituzioni delle opere d‟arte asportate dall‟ex governo asburgico, sottolinea il bisogno da parte degli organi centrali di una figura ben inserita nel territorio di cui queste