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Con R. D. 3164 del 31 dicembre 1923 il governo italiano riformò il sistema delle Soprintendenze128. Per quanto riguarda il territorio preso in esame, il presente decreto è di primaria importanza. L‟art. 6 infatti così recita: «Le Soprintendenze uniche alle opere d‟antichità e d‟arte sono le seguenti: 1° Soprintendenza della Venezia Giulia e del Friuli (provincie di Udine, Trieste, Pola) con sede ad Aquileja. [...]»129.

126Ibidem.

127 ADSBSAEFVG, Personale, b. 22.

128 Pubblicato nella G. U. del Regno d‟Italia, n. 37, del 13 febbraio 1924, pp. 695-699.

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Fu quindi a seguito di questo decreto che il sistema di tutela e di conservazione per le «provincie redente» della Venezia Giulia ebbe definitiva sistemazione.

L‟attenzione si focalizza subito sulla sede assegnata alla neonata Soprintendenza di II classe: Aquileia. Consultando la totalità del materiale conservato presso l‟Archivio Storico della Soprintendenza di Trieste, si può constatare come la sede “de facto” della nuova istituzione statale fu sempre Trieste. Si riscontra, infatti, la continuata presenza nella città di Trieste degli uffici preposti alla tutela.

In una lettera inviata il giorno 5 giugno 1934 dall‟allora soprintendente alle Opere d‟Antichità e d‟Arte Ferdinando Forlati al direttore generale Antichità e Belle Arti Pietro Tricarico, nell‟elogiare il lavoro svolto dal Direttore del Museo di Aquileia Giovanni Brusin, egli parla esplicitamente di Aquileia: «La zona è infatti quanto mai disagiata e isolata: per rimanervi a lungo occorre un altissimo senso del dovere e una passione per il proprio lavoro quale non sono facili a riscontrarsi»130.

Da queste poche righe si evince la natura disagiata e «scomoda» del luogo in cui si trovava la città di Aquileia. La decisione presa dal governo centrale, in particolare da Mussolini131, di adibire Aquileia a sede istituzionale della Regia Soprintendenza appare quindi basata su motivi diversi da quelli di funzionalità e di effettiva praticità. Non fu inoltre scelta in quanto centro amministrativo della regione. I motivi che stanno dietro a questa decisione sono quindi di natura prettamente politica. Scegliere Aquileia e non Trieste - tra l‟altro designata esplicitamente come sede ideale nella stessa relazione Modigliani-Paribeni di cui si è già più volte parlato - già divenuta sede dei maggiori organi della neonata regione, potrebbe esser stata dettata dalla volontà di adibire, a sede dell‟azione di tutela, una zona conosciuta per la sua spiccata «romanità».

Lo stesso Regio Decreto segnò il passaggio della provincia dalmata alla Regia Soprintendenza con sede ad Ancona. All‟art. 4, riguardante le Soprintendenze alle antichità «alle quali sono affidate la tutela degli interessi archeologici e la direzione e l‟amministrazione dei monumenti, degli scavi e dei musei archeologici dello Stato»132 si legge: «Le Soprintendenze alle antichità sono le seguenti:

[...]5° Soprintendenza delle Marche, degli Abruzzi, del Molise e di Zara, con sede ad Ancona.

130 ADSBSAEFVG, Personale, b. 16.

131 Si veda TAVANO, 2011, p. 613.

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[...]»133.

Per quanto riguarda il territorio della circoscrizione della Soprintendenza della Venezia Giulia e del Friuli, esso di amplierà nel 1924 quando le saranno affidate le funzioni di tutela e di conservazione della provincia di Fiume, annessa all‟Italia a seguito degli accordi italo-jugoslavi di Roma del 27 gennaio 1924134.

Il primo Soprintendente che operò a Trieste fu lo stesso architetto Guido Cirilli che diresse, fin dalla fine della guerra, l‟Ufficio Belle Arti del Regio Governatorato della Venezia Giulia135. Dalla documentazione presente nel fascicolo, contente tutto il suo carteggio, conservato nell‟Archivio Storico della Soprintendenza a Trieste, si viene a sapere che fu attraverso poche righe, arrivate tramite telegramma da un ufficio di Firenze, che Cirilli venne a conoscenza dell‟arrivo, previsto per il 10 ottobre 1924, quasi a un anno dalla sua nomina, del nuovo incaricato a reggere la Soprintendenza, Giacomo De Nicola: «Prego scusarmi se verro [sic] prendere consegna dieci ottobre ossequi, Denicola»136. Al telegramma seguì una lettera indirizzata da Cirilli allo stesso De Nicola, presso il Museo Nazionale del Bargello. Nelle parole di Cirilli traspare la sorpresa per l‟arrivo del nuovo incaricato ma soprattutto il fastidio derivato dal fatto che, a suo dire, nessuno si fosse preso la briga di avvisarlo:

«Dal Suo telegramma che leggo ora [...] di ritorno a Trieste, apprendo delle Sue intenzioni a sostituirmi in questo Ufficio. Me ne compiaccio e più tranquillamente lascio il mio compito perchè lo si [lascia n.d.a.] affidato a buone mani. Dal Ministero però – non me ne meraviglio - nessuna notizia [...]! Verrà quando io sarò lontano. Ella mi dice con il suo telegramma che desiderava raggiungere la Sua nuova sede il dieci del corrente mese. Da mia parte le proporrei o di anticipare di pochi giorni o – tanto meglio per me – di rimettere ogni cosa al 15 essendo il 12 dello stesso presente nelle Marche per l‟inaugurazione di un capitello votivo da me progettato [...]. Credendo di buoni fini ed anche a Sua maggior tranquillità avvertire della cosa la Direzione Generale delle B. Arti [...]»137.

Dedito allo studio della scultura fiorentina del Quattrocento e da una decina d‟anni alla direzione del Museo Nazionale del Bargello, Giacomo De Nicola lasciò Firenze a seguito

133 Art. 4 del R. D. n. 3164 del 23 dicembre 1923.

134 CUZZI, RUMICI, SPAZZALI, 2009, pp. 158-159.

135 Si veda cap. I. 1.

136 ADSBSAEFVG, Personale, b. 28.

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della promozione a Soprintendente avvenuta nel 1924. L‟esperienza di De Nicola presso la Soprintendenza di Trieste non fu però lunga né tantomeno felice. Solo due anni dopo, in data 8 settembre 1926, la Soprintendenza di Trieste scrisse alla famiglia De Nicola sostenendo di aver appreso con «il più vivo rammarico l‟improvvisa scomparsa del Comm. Giacomo De Nicola che ebbe per due anni a suo capo ed esprime alla famiglia sentitissime condoglianze. Le doti dell‟Estinto, la sua grande bontà non saranno mai scordate da quanti ebbero la fortuna di conoscerlo»138.

Non si può riconoscere che l‟esperienza di De Nicola a Trieste fu positiva. Non fu, infatti, la sua morte a troncare il suo incarico come Soprintendente alle Opere d‟Antichità e d‟Arte di Trieste. Già nell‟ottobre del 1925 iniziarono i primi screzi tra lo storico dell‟arte e il Ministero della Pubblica Istruzione. De Nicola aveva difatti fatto richiesta di assentarsi dall‟ufficio di Trieste per recarsi due mesi «in America del Nord per ragioni di studi»139. Per il periodo di assenza sarebbe stato l‟architetto Riccoboni a sostituirlo. Di tutta risposta il Ministero, nella persona di Pietro Fedele, negò l‟autorizzazione adducendo motivazioni molto serie: «Non ritengo di accordarle i due mesi di congedo che Ella chiede perché mi è noto che già più volte, si è assentata dall‟Ufficio, senza autorizzazione ministeriale, per recarsi all‟estero per affari privati. Devo anzi esprimerle il mio rincrescimento per le sue arbitrarie assenze e devo invitarla a non più allontanarsi dal territorio della Sua Soprintendenza senza ragione senza l‟autorizzazione del Ministero»140.

La risposta del Ministero fece talmente innervosire il soprintendete De Nicola che egli rassegnò immediatamente le sue dimissioni:

«La negata autorizzazione al permesso di due mesi per recarmi in America e la motivazione che l‟accompagna mi fa vedere chiaramente che il mio posto nell‟Amministrazione delle Belle Arti non è più tollerato. Da quando nominato Soprintendente a Trieste avevo cercato, benché ne vedessi le difficoltà, di conciliare i miei interessi privati con i doveri da funzionario. Da ciò le mie assenze che, però, erano sempre subordinate al buon andamento dell‟Ufficio e non erano poi così frequenti come forse si è riferito, giacché, per es., in quest‟anno mi sono recato all‟estero non spesso, ma solo due volte (il passaporto può documentarlo), e una di queste volte per scegliere, insieme al dott. Modigliani, il quadro di Tiepolo che il Sig. Chiesa ha donato alla Galleria di Brera. L‟esperimento di accordare il funzionario col privato è fallito. Sono, perciò,

138ADSBSAEFVG, Personale, b. 28.

139Ibidem.

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costretto con vero dolore a presentare a V.S. quelle dimissioni che avrei, forse, dovuto dare fin da un anno fa, dal tempo cioè del mio allontanamento da Firenze, centro dei miei studi e interessi»141.

La lettera ci fornisce molte informazioni, prima fra tutte la difficoltà, già riscontrata da Cirilli, a operare in un territorio così distante da quello di provenienza. De Nicola visse, difatti, il suo nuovo incarico a Trieste come un vero e proprio «allontanamento forzato da Firenze». Nella regolare domanda di dimissioni terrà inoltre a sottolineare come tentò di assolvere al suo incarico come ad un esperimento; esperimento, però, che già in partenza pareva a tutti gli effetti molto difficile:

«Della mia nomina a soprintendente di Trieste compresi in quale imbarazzo mi sarei trovato accettando il posto. La mia famiglia è a Roma, famiglia di cui, dopo la morte dei genitori, spettava a me tutelare gli interessi, i miei studi a Firenze (dove il prolungato soggiorno mi aveva procurato una specializzazione alla quale non potevo ormai più rinunciare) avendo ben contrastato colla mia nuova attività più da architetto e in una città così lontana. Non ostante volli tentare l‟esperimento. Ma oggi, dopo circa un anno, debbo riconoscere con tutta franchezza che non posso più ricoprire la carica e compiere interamente il mio dovere di funzionario. Sono, perciò, costretto a rassegnare, con vero dolore, le mie dimissioni nelle mani di V.S.»142.

Dopo questo tentativo «fallito» fu incaricato, alla direzione della Soprintendenza, al posto del dimissionario De Nicola, un funzionario più vicino alla realtà della Venezia Giulia e del Friuli: il veronese Ferdinando Forlati. Il periodo di reggenza e poi di effettiva direzione dell‟ufficio triestino, da parte di Forlati, fu il più lungo e coprì ben dieci anni della presenza italiana sul territorio istriano143. Non solo fu il più lungo ma probabilmente anche il più fruttuoso dal punto di vista della conservazione e del restauro; per questo motivo non ci si soffermerà qui ad analizzare il suo ruolo di Soprintendente e il suo operato in Istria e a Fiume, ma tutto ciò avverrà in un capitolo a sé stante144.

141Ibidem.

142Ibidem.

143 In un periodo che va dall‟annessione, a seguito della fine della prima guerra mondiale, alla perdita della penisola a seguito della seconda guerra mondiale.

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Negli ultimi mesi del 1935 Forlati ritornò a Venezia lasciando vacante la sede triestina. A reggere temporaneamente la sede di Trieste fu chiamato il prof. Giovanni Brusin: «Con provvedimento in corso, avente effetto dal 1° dicembre c.a. la S.V. è trasferita alla R. Soprintendenza alle Opere d‟Antichità e d‟Arte di Trieste con l‟incarico di reggere l‟ufficio [...] Alla direzione del Museo di Aquileia il Ministero provvederà non appena sarà possibile; frattanto V.S. vorrà dirigere tale istituto»145.

Giovanni Brusin, il quale verrà più volte definito dal Ministero nel corso della sua carriera «funzionario zelante e scrupoloso», iniziò il suo percorso di conservatore nel maggio del 1920 quando, a reggere la direzione del Museo archeologico di Aquileia - lasciato incustodito dal suo storico direttore Monsignor Celso Costantini, temporaneamente inviato a Fiume «in missione religiosa» e ivi trattenuto per lungo tempo – fu incaricato quel Brusin «già responsabile per il riordinamento della biblioteca del museo»146.

Da una lettera spedita a Roma dal Commissario Generale Civile della Venezia Giulia nel dicembre del 1920, si viene a conoscenza di come il prof. Brusin, chiamato nel maggio di quell‟anno a sostituire temporaneamente Monsignor Costantini, diede subito prova di valida conoscenza delle antichità aquileiesi, sulle quali aveva già prodotto varie pubblicazioni, e di «spiccato amore» per tutto quanto si ricollegasse alla storia della sua Terra natale, «poichè egli è proprio di quel luogo»147. Il Commissario Generale premerà molto per questa nomina in quanto, secondo il suo parere, negli otto mesi in cui egli andò a sostituire Costantini non soltanto confermò la propria «competenza scientifica» ma dimostrò una scrupolosità davvero rara anche nelle mansioni amministrative della sua carica e qualità di ordine, energia e sollecitudine verso i propri dipendenti da farlo ritenere idoneo sotto tutti i riguardi al posto di direttore. Ed è proprio nella veste di Direttore del Regio Museo archeologico di Aquileia - nomina che riceverà solamente l‟anno successivo, il 1921, e a seguito di numerose sollecitazioni da parte degli enti locali alla Direzione Generale Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione – che veniamo a conoscere il nome di Giovanni Brusin nei documenti afferenti all‟Ufficio Belle Arti prima e alla Regia Soprintendenza alle Opere d‟Antichità e d‟Arte di Trieste poi.

145 ADSBSAEFVG, Personale, b. 16.

146 ACS, Dir. Gen. AA.BB.AA., Div. I, Personale cessato al 1956, b. 16.

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In opposizione alla richiesta di nomina del Brusin a Direttore del Regio Museo archeologico friulano perpetrata, come già riportato dal Commissariato Generale Civile della Venezia Giulia ma anche dal capo stesso dell‟Ufficio Centrale per le Nuove Provincie Francesco Salata, giocarono diversi fattori tra i quali le riserve poste dal Ministero nell‟assunzione in via definitiva del personale reclutato per gli uffici belle arti delle nuove provincie e, secondo Salata, anche per colpa della scarsa considerazione in cui era tenuto il Museo aquileiese. Il Ministero, in risposta alle sollecitazioni ricevute, così rispose nell‟agosto del 1921: «Si ripete che il museo archeologico di Aquileia che nella cessata monarchia aveva una importanza grandissima per la mancanza nello Stato di altri musei più importanti, non ha per l‟Italia se non un‟importanza secondaria, dati i numerosi istituti di gran lunga più ricchi e pregevoli esistenti nel Regno»148. A questa scarsa considerazione Salata cercò sempre di sottolineare al contrario la forte importanza che i monumenti e le istituzioni museali della Venezia Giulia, del Friuli e in particolar modo dell‟Istria giocavano in relazione alla «guerra di redenzione» come simboli di romanità in terre da poco annesse al Regno d‟Italia:

«In relazione a quanto codesto Ministero ha accennato nella nota sopradistinta, che l‟importanza del Museo d‟Aquileia – senza dire di quella della zona archeologica della quale Aquileia è il centro – va giudicata, a parer suo, non tanto in rapporto all‟importanza di altri musei del Regno, quanto all‟amore appassionato onde la popolazione della V.G. che del vecchio Friuli circonda da tempo le collezioni di quell‟istituto ed al significato che quella raccolta d‟antichità non soltanto aveva assunto prima della guerra redentrice, ma ha conservato in appresso, poiché è indubbio che ancora oggi, scomparso l‟antico confine, Aquileia resta simbolo vivo e possente di romanità nella regione che si spazia tra Udine, Gorizia e Trieste ed all‟incremento del Museo, che il cessato regime non favori come avrebbe dovuto, l‟elemento colto attende ansioso e fidente che lo Stato italiano provveda integrando quell‟opera che vi fu svolta con eccezionale fervore sin nel primo periodo della guerra e vi fu continuata, in quello successivo alla firma dell‟armistizio, al di sopra di ogni difficoltà insita all‟amministrazione provvisoria della regione. Sminuire l‟importanza, che agli occhi dei giulii il Museo di Aquileia non ingiustamente ha assunto e conserva, con l‟abbassare il grado del funzionario che sarà preposto stabilmente alla direzione di esso, si ritiene che sarebbe un atto che susciterebbe un‟impressione in genere non favorevole. E pertanto questo Ufficio Centrale crede di insistere nel suo punto di vista, che cioè il posto di direttore, quale era stabilito dei ruoli del cessato regime, sia mantenuto e che sia coperto da chi già nell‟esercizio delle mansioni ad esso inerenti

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ha comprovato di possedere una somma di requisiti tali da non far dubitare dell‟opportunità della scelta»149.

Un‟altra questione che più volte ostacolò la carriera di Brusin fu la sua provenienza dal personale proveniente dal cessato regime austro-ungarico. Brusin, professore nelle scuole medie del comune di Trieste durante l‟amministrazione asburgica, combatterà a lungo prima di riuscire a togliersi quella “macchia” che lo mise spesso in difficoltà; per il Ministero egli aveva fatto parte del personale dipendente dal regime austro ungarico e come tale fu inquadrato nel «ruolo speciale degli impiegati provenienti dal cessato regime». Anche in questo caso il senatore Salata cercò di intercedere presso il Ministero, facendo presente l‟opportunità, se non la necessità, di usufruire, almeno per il primo periodo, del personale proveniente dal cessato regime: «Codesto Ministero non vorrà disconoscere l‟opportunità di utilizzare in primo tempo elementi locali, anche se non furono al servizio del cessato regime, quando offrano garanzie sufficienti di cultura e capacità, come sarebbe per il prof. Brusin. A vantaggio del quale milita anche la circostanza ch‟egli è aquileiese e che per l‟attaccamento profondo alla sua terra e per l‟appassionato cuore di quelle antichità si è sobbarcato finora, come si sobbarcherebbe in seguito, e tutti i disagi che una residenza come quella in questione porta con sé così sensibili che fa dubitare che altri vi resisterebbero»150.

Nel giugno del 1934 il soprintendente Ferdinando Forlati scrisse al Direttore Generale per richiamare l‟attenzione sulla magnifica, a suo dire, opera di scavo inaugurata il giorno 3 del mese ad Aquileia. Forlati terrà a precisare come, se per essa i mezzi furono dati dall‟Associazione Aquileia Nostra, la direzione dei lavori fosse merito esclusivo del prof. Giovanni Brusin, «esempio certo non comune di attività intelligente e sagace congiunta a un grande spirito di sacrificio». Forlati chiese, come segno di riconoscimento per l‟attività svolta, la quale «ha arricchito il patrimonio della romanità», una promozione straordinaria e un‟onorificenza non essendoci, a suo giudizio, funzionari che ne fossero altrettanto degni. Anche in questo caso la «macchia che è anche una minorazione» di provenire dal cessato regime, come scrisse Brusin a Forlati, si fece sentire con forza. Se la richiesta di onorificenza sarà tenuta in conto e il cavalierato arriverà poco tempo dopo, alla richiesta di promozione seguirà un perentorio parere negativo: «nessuna disposizione di legge consente un

149Ibidem.

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provvedimento di promozione a favore del personale proveniente dal cessato regime austro-ungarico»151.

Nella stessa difficoltà incorse l‟anno seguente, nel 1935, quando il Ministero dell‟Educazione Nazionale, già Ministero della Pubblica Istruzione, in obbedienza agli ordini del Capo del governo Benito Mussolini, si troverà in obbligo di trasferire nelle «vecchie provincie» tutto il personale dipendente dal Ministero proveniente dalla cessata amministrazione austro-ungarica che si trovava a prestare servizio nelle «nuove provincie redente». Tale provvedimento, le cui disposizioni furono impartite con lettera datata 31 maggio 1935 n. 683, stando a quanto dichiarato dal Ministero, doveva essere adottato nella forma più piena, salvo che si trattasse di funzionari che «per il loro passato di attività patriottica e di devozione alla causa italiana, costituiscono una forza attiva di italianità e di funzionari prossimi al collocamento a riposo o che versassero in condizioni speciali di famiglia per cui il trasferimento avrebbe apportato un grave pregiudizio»152. A sostituire i funzionari trasferiti, sarebbero stati inviati nelle «Provincie redente elementi ottimi sotto ogni riguardo»153. All‟epoca, alle dipendenze della Direzione Generale, vi erano soltanto due impiegati provenienti dalla cessata amministrazione: il custode del museo di Aquileia tale Luigi Jacumin e il professor Giovanni Brusin, Direttore dello stesso. L‟allora direttore generale Pietro Tricarico si sentì in dovere di far presente al Ministero che, da informazioni avute dal soprintendente alle Opere d‟Antichità e d‟Arte di Trieste Ferdinando Forlati, risultasse come sia Brusin che Jacumin fossero ottimi impiegati «sotto ogni rapporto e di insospettata fede politica»154. Trattandosi di due ottimi elementi, il Direttore Generale fece quindi presente che allontanarli e traferirli in altra sede avrebbe costituito un grave pregiudizio.

Nonostante il pericolo appena scampato di un trasferimento e i pregiudizi con cui fu costretto a scontrarsi in qualità di ex dipendente del governo asburgico, Brusin riuscì in un salto importante per la sua carriera. Solo pochi mesi dopo fu incaricato della reggenza della Regia Soprintendenza alle Opere d‟Antichità e d‟Arte di Trieste. Alla sua nomina spinsero personalità di spicco dell‟ambiente archeologico italiano come Aristide Calderini155 il quale,

151Ibidem.

152Ibidem.

153Ibidem.

154Ibidem.

155 Aristide Calderini (Taranto 1883-Milano 1968), papirologo, fu insegnante di antichità classiche all‟Università Cattolica di Milano; con Calderini, Brusin fu uno dei fondatori nel 1929 dell‟Associazione nazionale per