L’attività di tutela e di restauro tra le due guerre mondiali nei rapporti con le istituzioni istriane e fiumane e i nuovi principi del
III. 2 La vendita abusiva dell’altare di Nugla
La difficoltà di un controllo capillare sul territorio portava anche a «tentativi di acquisto di oggetti antichi da parte di poco scrupolosi antiquari che cercavano approfittando della buona fede altrui di carpire quanto ancora di più prezioso si trova[va] in Istria»389.
Con queste poche parole, nel 1921 il capo ufficio Guido Cirilli descrisse uno dei fenomeni più frequenti nel territorio istriano ossia la vendita abusiva di oggetti d‟arte inalienabili senza previa autorizzazione. Le parole in questione erano indirizzate al parroco della chiesa
Pietro Kandler nelle sue Notizie Storiche di Pola, che fu il primo a riconoscerne il valore e studiarla. Compiutamente rilevata da Anton Gnirs nel 1909, quest‟ultimo ne parlò nello Iahrbuch del k.k. Zentral – Kommission del 1911, coll. 23 sgg. I mosaici e i rilievi che emersero dallo scavo erano in parte confluiti nel Regio Museo dell‟Istria, di cui Mirabella era direttore. Si veda KANDLER, 1876, p. 184.
385 MORASSI, 1924, p. 21.
386 ASSBSAEFVG, VII Monumenti, b. 191.
387 Concessione richiesta alla Cassa di Risparmio di Pola.
388 ASSBSAEFVG, VII Monumenti, b. 191.
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parrocchiale di Monticchio; ricordandogli l‟inalienabilità della pisside d‟argento del XV secolo, Cirilli fece sapere di essere a conoscenza dell‟interesse dimostrato per l‟oggetto sacro da parte di diversi antiquari.
Grazie all‟interessamento e alla sorveglianza degli Ispettori onorari gran parte di questi tentativi di vendita illegali arrivavano in tempo a conoscenza dell‟ufficio di Trieste che riusciva così a bloccarli; altre volte l‟Ufficio era meno fortunato e dovette intervenire a cosa fatta, anche a distanza di anni.
Uno dei casi più interessanti di vendita abusiva avvenne nel 1925 nella frazione di Nugla390, in comune di Rozzo, in provincia di Pola. In seguito ad un sopralluogo effettuato nel 1927 nel paese di Nugla dall‟ispettore onorario di Trieste, Attilio Degrassi, membro della stessa Commissione provinciale ai monumenti del capoluogo giuliano, la Soprintendenza era stata avvertita della scomparsa dell‟altar maggiore ligneo dorato del 1642 che costituiva il maggiore ornamento dalla chiesetta di S. Pietro a Nugla. L‟ispettrice Bruna Tamaro non poté far altro, essendo già passati due anni dalla scomparsa, che avvisare la Questura di Trieste affinché disponesse ricerche in proposito e, qualora si fosse ritrovato l‟altare, nonostante il tempo trascorso, vi si apponesse regolare sequestro.
«Nel luglio del 1925 è stato venduto dalla chiesa di S. Pietro in Nugla, frazione di Rozzo, a certo Salvatore Belelli (o Belleli) abitante in Trieste per la somma di Lire 1900 un altare in legno dorato e dipinto. Tale vendita è abusiva perché a termine della legge italiana sulle Antichità e Belle Arti n. 364 – 20 giugno 1909 art. 1 e 2 le chiese possono alienare parte alcuna del loro patrimonio artistico né i parrochi possono acquistarla senza il regolare permesso della R. Soprintendenza»391.
In seguito a regolare denuncia presso il nucleo di polizia tributaria di Trieste, l‟architetto Alberto Riccoboni, l‟ispettrice Bruna Tamaro, entrambi addetti della Soprintendenza triestina e il maresciallo Maggiore Gaetano Consolo, si portarono sul posto ad accertarne la scomparsa.
L‟Ispettrice informò quindi il Vescovo di Parenzo e il Prefetto di Pola della denuncia sporta contro questa «inesplicabile» vendita abusiva.
390Si veda l‟apparato iconografico, immagini 19 e 20.
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Dalla curia vescovile arrivò qualche informazione circa quanto era avvenuto due anni prima. Richieste informazioni al sacerdote, allora amministratore parrocchiale di Rozzo, Don Antonio Malabotich, gli fu risposto come «alcuni villici» di Nugla, senza il suo permesso, vendettero il vecchio altare a Salvatore Belleli, incassando denaro che adoperarono per il restauro della loro chiesa. Dichiarando di deplorare il fatto e nella speranza che si potesse riavere indietro l‟altare, la curia vescovile richiese di comunicargli contro chi fosse stata sporta la denuncia.
Il Tenente, dirigente del nucleo di polizia tributaria investigativa, richiese un elenco descrittivo dell‟altare, in modo da completare la documentazione del verbale di denuncia. L‟altare era stato facilmente rintracciato presso il pittore Vittorio Bergagna di Trieste.
La descrizione dell‟opera fu stesa, l‟8 marzo del 1927, dal fotografo Pietro Opiglia392:
«Alto m. 2,95 e largo m. 2,15 la base è costituita da 4 modiglioni a volute, sui quali si appoggia una tavola a dentelli ove poggia uno zoccolo con quattro basi sporgenti ornati da teste di angeli alati i quali portano quattro colonne scanellate con capitelli corinzi, le quali sormontate molto vagamente da una cappa con finimento di intaglio a rilievo, le laterali, alla base ed alla pare superiore hanno testino d‟angeli con bellissimo intaglio. L‟architrave è costituito da bellissimo fregio con corpi sporgenti ornati anch‟essi da testine di angeli, la parte superiore dell‟altare a finimento stanno due volute sulle quali siedono due figure di sante, nel mezzo ritto in piedi sta il Salvatore benedicente. L‟altare porta la data M.D.C.X.X.X.X.I.I. I fianchi dell‟altare sono ornati da festoni e volute a forte rilievo»393.
Insieme alla descrizione fu inviata copia di uno dei tanti avvisi che la Soprintendenza aveva inviato alle curie vescovili contenenti l‟avvertenza ai parroci dell‟inalienabilità degli oggetti d‟arte di proprietà della Chiesa.
Il parroco Malabotich, nel 1925 amministratore della chiesa parrocchiale di Rozzo da cui dipendeva la chiesetta di S. Pietro, era, a termini di legge, il responsabile di tutti gli oggetti di carattere archeologico, storico e artistico di proprietà delle chiese da lui dipendenti. Nonostante fosse quindi a conoscenza dei vincoli di legge, Malabotich non si fece scrupoli a vendere l‟altare.
392 Pietro Opiglia (Pola 1877 – Trieste 1948), fotografo archivista del Civico Museo di Storia ed Arte di Trieste e più volte segnalato come collaboratore della Soprintendenza di Trieste. Si veda Diario Someda, p. 30.
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Al di là di come si fosse svolta la vendita, Forlati sottolineò con forza come il parroco non richiese l‟autorizzazione né alla Soprintendenza, né al Vescovo: «Se poi la vendita dell‟altare realmente fu effettuata senza il suo permesso, cosa di cui purtroppo si ha ragione di dubitare, egli venne meno al suo preciso obbligo di denuncia del fatto»394.
L‟altare fu posto sotto sequestro e il proprietario Bergagna fu invitato a non far allontanare l‟altare dal luogo in cui era conservato. Il primo ad essere interrogato fu don Antonio Malabotich. Il parroco affermò come, all‟epoca del suo arrivo a Rozzo, trovò l‟altarino scolpito e dorato «buttato alla rinfusa» in un angolo della chiesetta, ridotto in cattive condizioni per gli anni e l‟incuria in cui era tenuto. Date le numerose riparazioni di cui abbisognava la chiesetta e compreso che «si trattava di cosa antica» e che se ne sarebbe potuto ricavare una qualche somma, il parroco pensò di trovare un acquirente. Avviò quindi delle trattative con l‟antiquario Salvatore Belleli. Malabotich, nella prima deposizione, affermò come, prima che l‟affare fosse concluso, egli avesse scritto alla Curia per richiedere l‟autorizzazione alla vendita. Dato che essa non arrivava il parroco sostenne di aver restituito l‟acconto al Belleli e così «l‟affare fu sconcluso»395. A venderlo all‟antiquario sarebbero invece stati, senza il suo consenso, alcuni contadini di Nugla. Per giustificare la possibilità di quest‟ultimi di entrare in possesso dell‟altare, Malbotich ricordò come, dato che egli risiedeva a Rozzo e quindi a quattro chilometri da Nugla, le chiavi della chiesetta di S. Pietro erano state date in consegna al “Capovilla” Pietro Nesich, «come anche l‟amministrazione per antica usanza viene tenuta dallo stesso Capovilla»396.
Anche dai verbali degli acquirenti si confermò il reale coinvolgimento di Nesich nella vendita abusiva, ma si andò anche a mettere seriamente in dubbio la stessa buona fede e l‟onestà del parroco. Nesich apparve come lo sventurato complice del parroco.
L‟altarino che era stato messo a terra in un angolo della chiesa e diviso in numerosi pezzi, fu visitato una prima volta dal Belleli e una seconda insieme al compratore, il pittore Vittorio Bergagna397, amatore di oggetti d‟arte. Se le trattative furono inizialmente bloccate dal
394Ibidem.
395Ibidem.
396Ibidem.
397 Si tratta del pittore triestino Vittorio Bergagna (Trieste 1884 - 1965) «del fu Giuseppe e Luigia Stradinato nato a Trieste il 31 gennaio 1884 e residente a Trieste, via Rota n.3, pittore, celibe, inc.». In ASSBSAEFVG, VII Monumenti, b. 192. Si veda AGNELLI, 1987 e MARTELLI, 2009.
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parroco, solo qualche giorno dopo ripresero senza alcun problema e il Belleli tornò a Rozzo per concludere l‟acquisto:
«Circa una ventina di giorni dopo ricevetti un invito a mezzo posta dal Reverendo Don MALABOTICH, di recarmi a Rozzo per la conclusione dell‟affare. Recatomi sul posto, il Reverendo mi riferì che la Curia aveva rilasciata regolare autorizzazione per la vendita ed in quella occasione diedi un acconto di Lire 100,00. Successivamente assieme al Sig. BERGAGNA mi recai a Rozzo per la conclusione definitiva dell‟affare che fu stabilito in Lire 1900,00 e difatti consegnai al Reverendo la rimanente somma di Lire 1800,00, Recatomi a Nugla con un ordine scritto dal Reverendo Don MALABOTICH per ritirare l‟altarino tenuto in consegna dal Capovilla Sig. NESICH Pietro, questi si rifiutò di consegnarmi l‟altarino asserendo che la somma di L. 1900,00 non veniva a lui consegnata non avrebbe mai ceduto l‟altarino perché, secondo le sue asserzioni, serviva tale somma a recuperare in parte le spese sostenute per le riparazioni della chiesa. Ritornato a Rozzo [...] Malabotich mi restituì la somma dicendo che lui non avrebbe data l‟autorizzazione della vendita a nessuno, se la somma non fosse stata in definitiva consegnata a lui. In questo frattempo sopraggiunse il Capovilla Sig. NESICH Pietro accompagnato da altri due contadini e, in mia presenza e in lingua slava, hanno conferito col Reverendo sempre in merito alla vendita dell‟altarino! Dopo il colloquio MALABOTICH mi ha detto che si disinteressava della vendita dell‟altarino, invece il Capovilla Sig. NESICH si presentò a me e mi propose l‟acquisto dell‟altarino per la stessa somma di L. 1900,00 a condizione che il denaro fosse a lui consegnato, ciò che io feci. Il Sig. NESICH mi disse di qualsiasi cosa fosse successo ne rispondeva lui, perché ne era il consegnatario. Lo stesso giorno di cui non posso precisare la data l‟altarino a mezzo carro fu trasportato a Trieste a casa del Sig. BERGAGNA»398.
Malabotich, Nesich, e gli acquirenti Belleli e Bergagna furono ritenuti responsabili della violazione delle disposizioni di legge contenute nell‟art. 2 della legge del 20 giugno 1909 sulle Antichità e Belle Arti. Ad essi si ritenne di dover aggiungere don Luigi Salvadori, parroco a Rozzo prima del Malabotich, nel 1923, che aveva violato l‟art. 3 della stessa legge. La Soprintendenza di Trieste aveva infatti inviato, con lettera del 13 novembre 1923 diretta agli Ordinariati Vescovili di Gorizia, Trieste, Zara e Parenzo399, richiesta di compilazione di un elenco delle cose di interesse storico, archeologico e artistico, dettandone le modalità e precisando le occasioni in cui doveva venir redatto. Nonostante che tale lettera fosse stata portata alla conoscenza di tutti gli uffici parrocchiali con foglio diocesano numero 8 del 1923,
398Ibidem.
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esso non venne mai compilato dal Salvadori; omissione che aveva favorito la vendita abusiva dell‟altare.
Nonostante la mancanza di un elenco delle cose artistiche di spettanza degli enti consegnatari, essi erano comunque vincolati e non potevano esimersi dagli obblighi derivanti dalla legge e del regolamento sulle antichità e belle arti, tra cui quello dell‟inalienabilità delle cose antiche. Non vi era dubbio poi che l‟altarino fosse stato riconosciuto sia dal consegnatario Malabotich, che dagli acquirenti, come «un interesse artistico», dato il prezzo a cui fu venduto e le stesse dichiarazioni contenute nei verbali dell‟interrogatorio.
Pur risultando che la somma ricavata dalla vendita fu davvero destinata ai lavori alla chiesa, e nonostante l‟oggetto sacro fosse «fuori uso» da vent‟anni e sostituito a suo tempo da uno di nuova costruzione, il Prefetto di Pola confermò alla Soprintendenza come il parroco non avesse mai svolto le pratiche del caso per ottenere la prescritta autorizzazione delle autorità ecclesiastiche.
La vendita fu ritenuta nulla ma il tribunale penale di Trieste dichiarò di «non doversi procedere nei confronti di Malabotich Antonio, Nesich Pietro, Belleli Salvatore, Bergagna Vittorio e Salvadori don Luigi quanto ai reati sopra ascritti400, per estinzione penale per amnistia»401.
L‟ispettore Riccoboni si occupò di concordare il ritiro dell‟opera che si sarebbe dovuta effettuare nel settembre dalla ditta Michelozzi di Trieste che, dopo opportuno imballo, avrebbe spedito l‟altare al Regio Museo dell‟Istria di Pola.
Nonostante ciò nel dicembre del 1931 la Soprintendenza stava ancora sollecitando il Bergagna a restituire l‟opera illecitamente acquistata. Il pittore non pareva per nulla intenzionato a separarsi dall‟opera a cui aveva anche effettuato lavori di ritocco e di aggiunta.
400 Violazione degli articoli 3, 29, 30 e 37 della legge n. 364 del 20 giugno 1909.
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