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Abitare la città Ugo La Pietra

Artista/Designer Figura 9 da “Da i gradi di libertà: recupero e reinvenzione”, 1969. Collage su carta con interventi originali, 70x100 cm.

Courtesy Archivio Ugo La Pietra, Milano

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appropriazione che passa attraverso dei percorsi mentali proprio come i pellerossa svilupparono il loro rapporto con l’ambiente.

“Ogni angolo di questo paese è sacro alla mia gente, ogni collina, ogni valle, ogni pianura e valle e bosco è sacra alla mia gente per qualche ricordo o qualche triste esperienza, anche le rocce, che sembrano insensibili, quando sulla spiaggia silenziosa sudano ma- estose sotto il sole, vibrano alla memoria degli eventi passati dalla mia tribù. Persino la polvere su cui cammini accetta più volentieri i nostri piedi perché è la cenere dei nostri antenati e i nostri piedi sanno che il suolo è felice di sorreggerci perché è ricco delle vite dei nostri antenati”.

Con queste parole il capo dei Seattles nel 1859 cedette il territorio al Governatore di Washington, sul quale venne poi costruita la città di Seattle.

La città è quindi il luogo dove espandere la propria per- sonalità attraverso una appropriazione affettiva: proprio come ci appropriamo negli anni degli oggetti che i nostri genitori hanno collocato nel loro spazio domestico che con il tempo e con la nostra attitudine diventa anche il nostro.

Per questo ho anche attivato diversi esercizi creativi come: “Disegna la mappa della tua città”, “Le chemin de deri- ve”, “Interno-Esterno”.

Queste le premesse che nel 1968 caratterizzarono una mia ricerca sulla città di Milano e che mi portarono gra- datamente a fare una prima lettura anche del concetto di periferia. Già in quella occasione l’uso del termine “pe- riferia” non coincideva con la sua più classica definizione:

“la periferia esiste solo in dipendenza da un centro che la delinea e la definisce stabilendo le regole di un sistema di cui essa costituisce il margine”, definizione attraverso la quale la sua natura ha acquisito nel tempo un “concetto circolare”(il greco periphéreia e il latino circumferre è di- ventato la “circonferenza” della geometria, ossia il luogo dei punti definiti da un centro comune). Di fatto, tra l’idea di periferia-circonferenza e quella “periferia” che iniziai a sviluppare già in quelle prime ricerche c’è una certa dif- ferenza: la prima fa riferimento ad un certo rapporto fisico con il centro (al limite, rapporto di equidistanza dal centro stesso), mentre nella seconda incominciò a prendere cor- po il concetto di “lontananza” generica la cui misura era

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più qualitativa che quantitativa.

Una lontananza di tipo concettuale che prescindeva dal rapporto fisico con il centro. E, nella ricerca di alcune rare e particolari caratteristiche che davano all’individuo ur- banizzato la possibilità di agire creativamente nello spazio urbano (che per semplicità chiamai “i gradi di libertà”), ri- levai delle situazioni “qualitative” in cui “la periferia” coin- cideva con la “scarsità di efficienza del sistema urbano”. Per cui là dove il sistema era meno efficiente si potevano manifestare meglio gli atteggiamenti creativi che anda- vo cercando; e così rivolgendo l’attenzione in particolar modo ad una attività creativa in rapporto alla fisicità, l’in- dividuazione di “tracce formalizzate” all’interno della città “regolata” mi forniva elementi concreti di conoscenza di un atteggiamento (o meglio di una aspirazione) che rite- nevo ancora molto vivo nell’individuo urbanizzato.

Nacquero così alcune esplorazioni sul territorio, dai “gradi di libertà” al “recupero e reinvenzione”.

da “I gradi di libertà” (1969):

“[...] Le tracce

Rivolgendo l’attenzione in particolare modo ad una attivi- tà creativa in relazione alla fisicità che ci circonda, l’indi- viduazione di alcune tracce formalizzate all’interno della città regolata ci fornisce elementi concreti di conoscenza di un atteggiamento (o meglio di una aspirazione) che è manifesto nell’uomo urbanizzato, il quale tende a riaffer- mare la necessità della vita che si sviluppa attraverso la partecipazione e l’uso dello spazio. In poche parole, tende a manifestare il desiderio di riconquistare un ruolo indivi- duale e collettivo nei processi di definizione e trasformazio- ne della realtà che quotidianamente lo circonda.

L’analisi delle tracce formalizzate recuperabili all’interno dello spazio urbano ci fa scoprire quindi come l’alterazio- ne (la trasformazione), anche minima, dello stesso possa rivelarci un desiderio represso di invenzione e un atteggia- mento creativo che ancora persiste nel comportamento dell’individuo.

Il recupero

Individuazione di luoghi dove la società dei consumi accu- mula i propri rifiuti e le proprie scorte. Recupero intenziona-

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to e contemporanea scoperta (dovuta alle sollecitazioni di ciò che di volta in volta è possibile trovare) di elementi disponibili.

La manipolazione

Desiderio di recuperare, attraverso attività manuali, quelle facoltà creative atrofizzate dalla società del lavoro. Tenta- tivo di provare come si fa ‘a fare’ usando (spesso violen- tando) ciò che non ci viene dato come ‘disponibile’.

L’appropriazione dello spazio

Recupero di uno spazio provvisoriamente disponibile e svi- luppo di una ‘creatività’ applicata ad un territorio in cui si ritrovano in embrione tutti i parametri che caratterizzano l’intervento dell’individuo nella definizione del suo ambien- te: la proprietà, l’uso del terreno, lo sfruttamento delle ri- sorse naturali, le attrezzature fisse, i percorsi, i confini ecc. Il desiderio di possesso

Sottrazione di spazio e identificazione di una certa disponi- bilità di definizione dello stesso, mediante un’azione indivi- duale ed autonoma, oggi legittimate arbitrariamente solo attraverso l’espressione della proprietà privata.

La reinvenzione

Utilizzazione dei materiali recuperati, secondo una logi- ca liberata da schemi precostituiti; invenzione di nuove immagini legate a realizzazioni rispondenti alle necessità funzionali individuate. Il concetto di periferia veniva, quin-

di, espresso come insieme di luoghi in cui era inesistente o poco efficiente il peso dell’organizzazione della città, inte- sa come descrizione fisica del potere [...]”

Oggi una verifica di quello che è rimasto delle nostre pra- tiche creative sul territorio è visibile soprattutto attraverso i graffiti.

Ma ciò che non corrisponde più al sopra citato principio

“dove il sistema è meno efficiente si possono manifestare meglio gli atteggiamenti creativi” sta nel fatto che trovia-

mo i graffiti anche e soprattutto nel centro urbano.

In questo caso si può notare infatti che i “gradi di libertà”, ovvero la disponibilità ad intervenire (con segni sui muri) soprattutto sotto la spinta della trasgressione, diventa più

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alta proprio dove il sistema è più efficiente.

Dalla periferia al centro della città: le nuove tracce legate al desiderio e necessità di intervenire e modificare il nostro territorio può apparire come una conquista.

Per ora chi ha veramente conquistato qualcosa sono alcu- ni artisti (che amano vivere nell’anonimato) diventati ricchi e famosi proprio attraverso le pratiche dei graffiti.

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Negli ultimi anni la sensibilità ambientale di amministrazioni, imprese, singole persone è cresciuta.

Ma molto rimane ancora da fare. La soluzione non sta solo nell’efficientamento energetico. Tenendo conto degli in- crementi demografici previsti e della inevitabile crescita della domanda di benessere da parte dei paesi del sud del mondo per raggiungere le condizioni di sostenibilità occorre aumentare l’ecoefficienza del sistema tecnico di almeno 10 volte (Wuppertal Institut fur Klima).

Ciò richiede profondi cambiamenti sul piano sociale e cul- turale. Concetti come quello di “decrescita” (Latouche), “sobrietà” (Gesualdi), “pensiero meridiano” (Cassano) aprono scenari interessanti.

Se in passato si è associato l’abitare legato agli aspetti