• Non ci sono risultati.

L’abitare degli elementi chimic

Luigi Dei

Professore Ordinario Rettore Università di Firenze

Figura 5 Il tempio israelitico di Firenze Di Photo by CEphoto, Uwe Aranas, CC BY-SA 3.0, https://commons.wiki- media.org

85

renze e sostanze. Il rame s’incrociò tanti anni fa con un po’ di carbonio, idrogeno e ossigeno e il suo bel rosa salmone si convertì appunto nel verderame, qualcosa di simile a quel- lo che i contadini danno sulle viti per proteggerle dai pa- rassiti. Insomma quella cupola, apparentemente tempio di un solo tipo di fedeli, ci esorta alla bellezza del meticciato, della contaminazione, dell’integrazione, del mescolamen- to. Mi sta dicendo da laggiù: del dialogo interreligioso! Tut- to ciò lo apprendiamo, alla fine, dalla chimica: vi rendete conto? Insomma questi raggi verdi, che poi sono anche il simbolo della speranza, ci trasmettono tanti significati. Chissà perché sono verdi, boh! È una cosa ben strana que- sta dei colori. Guardatevi un po’ intorno: cielo rosso, tegole dei tetti dal rosso mattone all’aranciato e poi tra poco il

giallo delle foglie cadenti che sfuma nel verde dei sem- preverdi e di quella cupola – anche lei sempreverde! – per cangiarsi nelle tonalità “ciano” del cielo nelle varie ore del giorno fino a diventare sempre più blu.

Ho dipinto l’arcobaleno no? Dal rosso senza soluzione di continuità all’intenso blu quasi violetto! E infine guardate anche il bianco dei cirri in cielo o dei marmi di questa città: lui è la somma di tutti i colori! I colori parlano, sono le mo- lecole di cui son fatte le cose, che talvolta trangugiano la luce bianca del sole con ingordigia, ma non tutta, solo cer-

86

te fette. Per esempio la cupola mi sta dicendo che lei ama tutti i colori dell’arcobaleno tranne il verde, è allergica al verde. Ve lo rendo con piacere, mi bisbiglia, il verderame: il resto dei colori, invece, li tengo per me e non ci penso nep- pure a rifletterveli! In mezzo a questi egoismi non vi preoc- cupate, marmi e bianchi cirri son generosissimi: loro, la luce bianca, la rendono tutta, non assorbono proprio niente. Sapete che sta continuando a sottolinearmi che lei è così sempiternamente verde dal 1882 e pensare che se fosse stata d’un altro colore, le vicende che ha visto in questi tanti decenni l’avrebbero fatta diventare altro che verde! Questa è una storia che mi ha sempre affascinato: i mo- numenti architettonici che si conservano ai posteri stanno fermi e immoti nel tempo e nello spazio assistendo a gioie, dolori, orrori, meraviglie, senza batter ciglio.

Il rame mi contraddice: non ce la fece a restare indifferen- te alle due grandi guerre, ma soprattutto ad alcuni eventi terribili che lo riguardarono, come elemento decorante il Tempio Ebraico, una settantina di anni fa. Quei cassetto- ni verdi che coprono e insieme decorano la volta esterna della cupolina – la chiamiamo così per ossequio al Cupo- lone! – oggi mi appaiono ridenti, ma hanno pianto molto, sapete. E le loro lacrime, oggi essiccate, perdute, dimenti- cate, rischiano di far deperire per sempre la memoria che per lunghi anni hanno tenuto viva. Non vorrei che dal piaz- zale, qui dove siamo, interrogando quella bella macchia verde, non avessimo più risposte sul passato che visse e per il quale soffrì. È un po’ strano e inquietante che lei sia lì da oltre 130 anni, che ci appaia viva e presente, un punto fer- mo del nostro sguardo, e che simultaneamente, invece, gli eventi cui assistette si allontanino sempre di più perdendosi nell’indistinta nebbia.

Ecco nuovamente le molecole di verde malachite mi am- moniscono con le parole della Marescialla nel primo atto del Cavaliere della Rosa di Richard Strauss: “tutto si disper- de fra le dita … scompare tutto ciò che afferriamo, tutto si disfa come nebbia o sogno”. Tutto si disperde, ma noi, ioni di rame no, noi siamo ancora qui a testimoniare. La mate- ria non ci sta a disfarsi come nebbia o sogno e quindi, da quelle sostanze verdi, recuperiamo un filo forte di memoria. Perché siamo inorganici, minerali e quindi sfuggiamo al ci- clo vita-morte che riguarda gli altri due regni della natu- ra. Ora, per esempio, se affinate l’udito, potreste seguire

87

una conversazione fra il rame del verde e il calcio che sta lì appresso. Siete curiosi di questo nuovo ospite? Il calcio sta insieme a carbonio e ossigeno nei conci di pietra calcarea bianca che stanno sotto e a fianco della cupolina; poi c’è anche un po’ di ferro in quelli rosati che si alternano. Ma per il momento il ferro tace.

Il calcio racconta storie tristi e dolorose, storie che accad- dero all’ombra di quella cupola e che pertanto, se accad- dero, potrebbero di nuovo accadere. Riguardano eventi fuori misura, che son tipici degli umani. Fatti che sono ormai all’orizzonte del passato e per i quali la riesumazione è qua- si uno scavo archeologico che resuscita epoche e civiltà lontanissime, sbiancandone i tratti. Il calcio dice al rame che a lui le vicende tragiche dell’oggi, le morti, le sofferen- ze, gli orrori che quotidianamente accadono lo sconvolgo- no assai più di quelli del passato, che per altro visse, come se il passato, immerso nella caligine plumbea dell’oblio, fosse di gente che mai visse, di gente sempre stata morta. Sentite un po’, però, come risponde il rame; sostiene che siccome donne, uomini, bambine e bambini che soffrirono e perirono molti decenni orsono, in realtà anche loro vis- sero, allora bisogna voler bene a loro come a tutti gli altri. Quanta saggezza negli elementi chimici! E quante cose ci sta raccontando quella materia immobile che osser- viamo da questa collina. Aguzziamo la vista e cerchiamo di scoprire che cosa possiamo imparare durante questo tramonto da quell’edificio che, con il suo verde, richiama speranza, ma, da quel che ho sentito fino ad ora, anche inquietudine e un bel po’ di paura. Timore di scoprire tanti lati oscuri di questa umanità che non finisce mai di stupirci per la sua prodigiosa creatività, ma che al contempo ci terrorizza con i suoi aberranti abomini.

Ci apprestiamo ad ascoltare una conversazione interes- sante e curiosa fra i già incontrati calcio e rame ai quali si aggiungeranno il ferro dei marmi rosati, l’ossigeno e l’azoto dell’aria che accarezzano sempiternamente la superficie della cupolina e due molecole fenomenali: acqua e ani- dride carbonica, le quali da oltre 130 anni fanno compa- gnia al nostro bel tempio ebraico. Siccome sono convinto che la maggior parte di voi non conosca la lingua degli elementi chimici, tradurrò e interpreterò un po’ a modo mio la conversazione e ve la rinarrerò con grande gioia. Come vi ho detto, la differenza che c’è fra il rame che sta

STORIE SULL’ABITARE -

88

lì sui cassettoni del tetto della cupolina, il calcio e il ferro, immobili nelle pietre e i componenti gassosi dell’aria, l’ossi- geno, l’azoto e l’anidride carbonica e l’acqua che pote- te inalare o con la quale potete bagnarvi o fare pupazzi di neve, è che questi signori dell’aria in questi 130 anni sai quante volte son cambiati avvicendandosi! Miliardi di mi- liardi di volte e invece ferro, calcio e rame lì fissi sempre loro. Ed è pertanto naturale che i principali narratori della storia che mi accingo a raccontarvi siano proprio questi tre elementi, testimoni e partecipi di oltre un secolo di vicissitu- dini. Il calcio inizia così.

Una volta, tanti anni fa, mentre come di consueto assistevo tacito alle funzioni che si tenevano dentro quel luogo deli- mitato dalla pietra cui appartenevo, all’uscita dal tempio sentii un uomo e una donna che parlavano con grande preoccupazione di cosa sarebbe potuto accadere a loro, alle loro famiglie e ai lori amici. Li vidi davvero sgomenti e impauriti. Il ferro e il rame, anche loro presenti, annuiscono e confermano questo episodio. Il ferro aggiunge che aveva sentito anche altri fedeli manifestare simili preoccupazioni. Il rame, invece, troppo in alto non riuscì a decifrare il con- tenuto della conversazione, ma ricorda solo che all’epoca l’aria che si respirava fuori era assai malsana, per esempio la pioggia odorava terribilmente di polvere da sparo. La cosa che tutt’oggi non lascia in pace i nostri tre elemen- ti è che non videro mai più quell’uomo e quella donna e non furono gli unici casi; moltissimi dei fedeli di quel periodo sparirono per sempre. Poi passarono molti anni, un’eternità, assai più dei 130 dalla nascita della cupolina. E dopo que- sto lunghissimo, interminabile lasso di tempo, i tre elementi si accorsero che gradualmente, sebbene assolutamente non invecchiati, non ricordavano più niente. Tutto sparito, come se la Marescialla del Cavaliere della Rosa avesse vinto anche con loro, gli eroi della materia inorganica che non sentono le rughe del tempo. Essi allora decisero di non starci, che non era possibile che in quel luogo fosse morta la memoria: bisognava cercare di far qualcosa.

E così iniziarono ad interrogare quelle molecole che orbita- vano intorno a loro nell’aria: l’ossigeno, l’azoto, l’anidride carbonica e il vapor d’acqua. E poi quando pioveva l’ac- qua liquida e finanche, durante le grandinate e le nevica- te, l’acqua solida. E da queste conversazioni impensabili e impossibili ricostruirono la memoria, di quell’uomo e quella

89

donna che parlavano là sotto la cupola verde e si preoc- cupavano e di tanti altri, svariati milioni.

Fu l’azoto, gas inerte e forse quindi spettatore obiettivo non facilmente emozionabile, che iniziò la narrazione. Mi rac- contò che una volta, diversi anni dopo che erano avve- nuti quei fatti, aveva assistito ad un dialogo lì nel cortile del tempio in cui due persone strane e misteriose parlavano in modo un po’ sconnesso di eventi accaduti, penso dram- matici, che raccontavano di fame, di rubare, di recipienti, di pietrine, di accendisigari, di morte, di vita, di cerio. L’a- zoto, che viveva sempre a fianco dell’ossigeno nell’aria, riferì subito a questi di siffatta strana conversazione e lui, l’ossigeno, al quale quelle parole evocavano molte più cose, si mostrò spaventato, ritenendo che dietro quelle pa- role che dicono fame, furto, recipienti, pietrine, vita, morte, cerio potesse celarsi un lato davvero oscuro, terribile della natura degli umani, un qualcosa di vero che è accaduto e quindi potrebbe ancora accadere.

Fu a questo punto che una pioggia insistente bagnò gli esterni del tempio e fece presente all’ossigeno e all’azoto che lei conosceva molto bene il significato di quelle parole sconnesse e che avrebbe aiutato a guidare l’umanità dal- le tenebre al chiarore, ma ad un patto: una volta compre- so il mistero gli umani avrebbero dovuto dedicare l’intera vita che restava loro a scrivere ininterrottamente il miste- ro svelato un numero infinito di volte, in tutte le lingue del mondo, senza requie, fino allo sfinimento, con un inchio- stro particolare acquoso – e quindi ci avrebbe pensato lei a procurarlo – e su una carta speciale, fatta di carbonio, idrogeno e ossigeno che avrebbero avuto la prerogativa e il dono di essere costituiti di una materia particolare, indi- struttibile e dotata di vita eterna, insomma soliti misteri della chimica. Ferro, calcio e rame, incuriositi e attenti, si misero prontamente in ascolto. Anche ossigeno e azoto, sbalor- diti dalla sapienza della molecola più celebre al mondo, l’acqua, si acquetarono e prestarono orecchie alla storia. L’acqua continuava a picchiettare lentamente sui casset- toni della cupola e iniziò a leggere alcune frasi apparente- mente strampalate…1

1 Troverete la storia che gli elementi chimici narrarono nel dramma scientifico-civile del sottoscritto dal titolo Molecole d’autore in cerca di me-

moria edito dalla Firenze University Press nel 2010.

STORIE SULL’ABITARE -

90

Il viaggio è in realtà – questa l’affinità profonda con il pro- getto – una continua scelta: un’inesausta richiesta di con- ferme a segrete aspettative più che d’inaspettate sorpre- se; più un compimento di vocazioni ancora informi che la svagata ricerca del nuovo; una ricerca d’archetipi passibili di sviluppi futuri più che la registrazione della mera pluralità fenomenologica dell’esistente.

Se il viaggio è in realtà un giudizio, e quindi anche un siste- ma di esclusioni, quali paradigmi migliori degli innumerevo- li, reali o immaginati, Viaggi in Italia della ricerca tedesca? Come rendere ragione, altrimenti, dell’idea di una tripla galleria scavata direttamente nel tufo nella Felsenreiter-

schule a Salzburg – un’opera attribuita a J. B. Fisher von

Erlach – la cui intrinseca teatralità, sorprendentemente esente da ogni determinazione stilistica, sembra evocare arcaiche architetture mediterranee e riproporre quella ca- pacità di immediata trasformazione della natura propria della grande architettura romana?

Una ricerca che pare continuare anche nelle grandi “rac- colte” di Berlino e che ha nel padiglione nel parco del Castello di Charlottenburg – commissionato a Schinkel da F. Wiellhelm III al ritorno da un felice soggiorno a Napoli – una sorta di paradigma. Il lavoro dell’architetto altro non è che la trasposizione del viaggio in un progetto: architetture montate su altri paesaggi, un’Italia romanticamente rivisi- tata sulle rive della Sprea. Per autorità e risonanza, viaggio e architettura hanno forse il loro emblema nella Italienische Reise goethiana. Per quanto inestricabilmente connessa all’autobiografia del personaggio, il celeberrimo raccon-

La casa di Goethe