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Abitare con follia d’amore

Figura 15 Giulio Picchi dalla serie Le città volanti

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Il “folle d’amore” è spesso in uno stato di estasi che lo spin- ge in territori simili al molto ambito, anche se sconosciuto Paradiso. La sua anima innamorata è in un diapason col vibrare delle viscere, impallidisce e arrossisce, palpitando con sospiri e pensieri ed entusiastici risvegli alla vita.

Ambire al Paradiso, come stato di animo e di anima, stan- do lontani dall’idea di poterlo mai possedere. Certo del “mai senza cuore”, con un occhio al

così in cielo come in terra è nella mia necessità di abitare.

E se abito in una persona, in un’idea, in un mestie- re come similmente potrei abitare in territori amati come Firenze o Parigi o in tutte le isole del mondo o in c e r t i e r e - m i come la Ma- d o n n a del Monte sopra Mar-

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ciana Marina, l’Inferno di grigie abitudini si allontana. Sì, se abito come abito in una cucina, se abito nella mate- ria prima, moltiplicata da miracoli economici dei suoi non avidi produttori o se abito in un territorio come la Toscana è alla fin fine facile intendere la straordinaria follia dell’amore e rimettersi intimamente a un “Viva Dio!”.

Se invece non curo l’amore in toto e in ogni sua singolari- tà di cui “l’Altro e gli Altri” sono portatori, so che aprirei le porte all’infernale abitudine e sarebbe la fine di qualsiasi stato di grazia.

So, siate certi, che se i dittatori interni ed esterni uniforme- ranno i loro vessilli, ci abitueremo ad un monocolore che si staglierà sul grigio della paura.

Son convinto che alle volte gli Artisti, come ignari santi o cuochi o jazzisti o falegnami o contadini, sono simili a ma- dri capaci di dare nutrimento all’innumerevole quantità di loro figli. Con le loro armonie, i loro film, i loro atti teatrali, i libri e i quadri, il loro cibo allenano il nostro palato alla varietà dei sapori, dei profumi, alla bellissima complessità del vivere.

Mentre – ed è solo un esempio – se un buon pittore come un buon cuoco diventa “abitudinario” dei suoi gesti, rifu- giandosi nell’uniformità e nella facile riconoscibilità della sua opera, non fa arte né un raro gesto artigianale, ma probabilmente solo un replicabile merchandising.

Lecito sì, almeno fin quando, chiunque esso sia, manterrà una sua originalità e noi non coglieremo il tradimento di se stesso che lui opera per se stesso. Tradimento che pri- ma o poi si svelerà, portandolo lontano dal bellissimo bri- vido dell’incertezza amorosa, dalla gioia della creazione. E, se noi non ci saremo abituati al suo Io preponderante, che come un fuoco d’artificio prima o poi sparisce, e cer- cheremo inutilmente il suo frutto d’arte e sapremo essere compassionevoli nei suoi confronti, potremo amarlo come uomo fra gli uomini, ma non più come Artista. Gli Artisti, gli incontenibili Artisti liberi dal proprio e altrui giudizio sono i pontieri che lavorano costruendo con la loro arte strutture fisiche ed emotive verso la sponda terrena della bellezza del mistero e sanno che si può anche ripetere un’opera all’infinito, se si riesce ogni volta a dipingere o a cucinare come se fosse la prima volta.

Copiare se stessi con l’unico scopo del vendere oggetti per riempire gli incolmabili vuoti altrui è scegliere la banali-

Figura 16 Giulio Picchi dalla serie Le città volanti

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tà del consumismo dove, se pur non vista, l’erba del vicino è ed insiste ad essere sempre più verde. È come scegliere di abitare in una casa senza porte e finestre.

E il pigro Inferno, si sa, scatena mostri fino a quando – e qui si può cominciare a credere nello Spirito Santo – non ci si abbandona all’Amore aprendo subito porte e finestre, scendendo dentro di sé. frantumando la pigra, maledet- ta abitudine. E questo sempre fa crollare piccoli e grandi imperi o chiunque si lasci trasportare dall’eccesso di Io in vanitosi ragionamenti. “Io sono” alle volte è parimenti dan- noso di “Io ho”.

Dunque, ecco il mio pane e il mio vino. Intingete il primo nel secondo facendo comunione con i cento gesti che appar- tengono al grano, alle farine, ai lieviti madre, ai contadini e ai mugnai, ai panettieri che, fischiettando Imagine all the

people…, panificano e pacificano il mondo. Fate alleanza

con i mille gesti della vite, delle vendemmie, dei costruttori di vino, fate pace con i bevitori e, accarezzandoli, li santifi- cherete e darete a Cesare ma anche a Torquato quel che è loro, e saprete che la vanga spezza loro la schiena e che la terra dei loro campi è bassa, e berrete meno e meglio con questa semplice consapevolezza. Abitate così il vostro cuore dipinto con i colori di un antico muro, innamorando- vi giorno dopo giorno dei colori del creato. Innamoratevi di palazzi e città, di prati e campagne, di mari ed oceani. Innamoratevi del regno dei cieli dove volano liberi uccelli e poeti, occhi alzati e preghiere.

Bello, credetemi, sarà abitare il mistero delle stagionali fio- riture. Saremo così capaci di comprendere l’arte di Van Gogh e la bellezza del suo mandorlo. Saremo capaci di abitare in noi stessi con un Se stessi ogni giorno più pre- sente, che si farà libero e leggero da inutili eccessivi pen- sieri. L’incomprensibile rimarrà tale ma ne saremo felici e il comprensibile ci abituerà ad abitare sempre alla portata di mattoni e calcina per costruire case di sane follie intuiti- ve per talenti inespressi, qualunque essi siano.

Non ragioneremo troppo, non apprenderemo molto ma, amando, comprenderemo la consuetudine di un’empatia generosa e mai senza memoria della bellezza dei focolari e dell’unica cosa necessaria: l’obbligo di allargare i nostri tavoli per mettervi intorno un’infinità di sedie.

Potremo così invitare Sorella Luna e Fratello Sole a seder- si lì e a quel punto potremo chiamare mezzo mondo ad

STORIE SULL’ABITARE -

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Se provo a rintracciare le prime immagini del mio abitare mi torna alla mente il luogo dove sono nato. Una palazzi- na a tre piani, di colore giallo pallido, costruita in epoca fascista alla periferia di Roma, in via delle Vigne Nuove, al Tufello. Il termine proviene dal tufillo, una roccia di natura tufacea che costituisce le collinette su cui fu edificata la borgata a nord di Roma, nei pressi di Monte Sacro, la fa- mosa città giardino ideata da Gustavo Giovannoni1 .

Il Tufello, progettata dall’architetto Sforza2, venne realizza-

to alla fine degli anni Trenta come borgata destinata ad accogliere i rimpatriati italiani dall’estero.

Mia madre era nata a Smirne, in Turchia, mentre il padre, un nonno che non ho mai conosciuto, era di Procida e mia nonna di Malta. Erano stati cacciati per volere di Mustafa Kemal Atatürk, il leader turco, dopo un minaccioso discor- so di Mussolini. Mi hanno raccontato che mi ha partorito sul tavolo della cucina e che la nonna paterna Maria, appena nato, mi ha messo in mano una caramella che non ho voluto restituire. Confesso che ho amato l’essen- zialità di quella costruzione, delle palazzine a schiera, gli ampi cortili dotati di pali in cemento per stendere i panni, i portici ad arco che rimandano al De Chirico delle piazze d’Italia, la campagna dell’intorno, lungo la via popolata

1 In sintonia con gli insegnamenti di Camillo Boito si laurea a Roma in ingegneria civile nel 1895 e inizia l’attività professionale e quella accade- mica. A lui si deve l’impostazione didattica della facoltà di architettura. con vasti interessi alla storia dell’architettura. Impegnato nella promozione di at- tività culturali collabora con l’Istituto di Studi Romani. I primi progetti riguar- dano edifici destinati ad attività produttive come la Birra Peroni e costruzioni residenziali oltre a numerose chiese, tra le quali quella degli Angeli Custodi, con gli archi intrecciati in cemento, dove si sono sposati i miei genitori . Nel 1921 con Marcello Piacentini fonda la rivista “Architettura e Arti Decorative” che uscì fino al 1931.

2 L. Villani, Le Borgate del fascismo: Storia urbana, politica e sociale della periferia romana. Ledizioni, Milano, 2012.

Mario Pisani