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Andrea Branzi Architetto/Designer

Figura 1 Andrea Branzi Piacere Genetic Tales

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del primo piano, costituito da due camere e una soffitta al piano superiore, dove nel frattempo erano stati aperti due abbaini sul tetto per renderla più luminosa. Alla morte della vedova subentrò l’altra figlia, sposata con un figlio, che si sistemò nella soffitta, trasformandola in un piccolo appar- tamento di tre ambienti. A piano terra il nuovo proprietario vendette l’ex-magazzino a un altro commerciante che vi aprì un altro negozio. Complessivamente dunque i proprie- tari dell’immobile diventarono cinque: due a piano terra; due al primo piano (compreso il confinante che aveva acquistato dalla vedova), e la famiglia della seconda fi- glia al piano terzo. La faccenda andò avanti per diversi decenni, quando una grave crisi economica costrinse i due commercianti a chiudere i propri esercizi, che rimase- ro vuoti per quasi dieci anni; al primo piano la prima figlia

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fu costretta a trasferirsi in un’altra città, vendendo il proprio piccolo appartamento di due locali al vicino di casa, che espanse così la proprietà attraverso due unità immobilia- ri, suddividendola in due appartamenti autonomi. Anche la famiglia che viveva al terzo piano fu costretta a affitta- re uno dei tre ambienti a studenti della vicina Università. Dopo quasi dieci anni gli esercizi commerciali sfitti furono acquistati da una grande impresa che vi istallò un piccolo super-mercato, aprendo un ingresso di servizio sul retro. Al piano primo il proprietario vendette uno dei due appar- tamenti al nuovo esercizio commerciale, che lo trasformò in ufficio e magazzino.

Al terzo piano la seconda figlia, rimasta vedova, vendette l’appartamento a una impresa immobiliare che lo trasfor- mò in una pensione per studenti.

La storia di questa casa anonima finisce qui; ma potrebbe continuare dimostrando che attraverso la storia degli im- mobili, delle loro trasformazioni interne, del loro commer- cio, emergerebbe (a partire dall’economia domestica) un segmento di una storia più grande, quello di una società urbana, delle trasformazioni di un singolo nucleo familia- re; le trasformazioni funzionali della città e del suo territorio commerciale. Seguendo la tradizione storiografica de les

Annales del francese Le Goff sarebbe possibile ricostruire

gli scenari interni di una società, a partire dalle relazioni parentali e dall’uso degli spazi privati di un quartiere o di una città, costruendo una indagine dove l’architettura e la storia della società sono strettamente connesse; come avviene nella realtà.

Una storia capovolta dell’architettura è dunque quella che ne analizza le vicende, non a partire dall’aspetto esterno, ma dagli spazi interni e dal loro espandersi o contrarsi a contatto con la realtà esterna, urbana o sociale.

In altre parole si tratta di sperimentare una ri-fondazione critica dell’architettura e della città a partire dai loro spa-

zi concavi e non da quelli convessi; si tratta di assumere

nuove categorie di interpretazione dell’universo costruito, rovesciandolo come un guanto.

Non si tratta di riscrivere a rovescio la storia dell’architettu- ra, né di ordinare una nuova enciclopedia della cultura del progetto. Gli spazi grigi, intermedi tra le diverse categorie di un nuovo ordinamento critico sarebbero troppi; proce- deremo quindi stabilendo soltanto alcuni punti comparati-

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vi, chiari e tra loro diversi, una sorta di piccola costellazione che non determina un sistema completo di valutazione, ma soltanto un orientamento per una navigazione su una rotta sconosciuta.

Questa micro-costellazione è costituita da quattro catego- rie tipologiche:

1 - gli interni come interni; 2 - gli interni come esterni; 3 - gli esterni come interni; 4 - né interni, né esterni;

e le sindromi che le hanno determinate.

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Il grande tema dell’abitare conduce inequivocabilmente al cospetto della casa e a tutte le sue implicazioni: anche passando dal noto “Abitare la Città” di Ugo la Pietra, tap- pa conclusiva non può che essere la casa. L’architettura e l’interior design sono oggi impegnati su altri fronti e di certo il tema della casa non rappresenta una centralità, le am- ministrazioni locali strangolate puntano nel migliore dei casi a gesti di propaganda che sempre esulano dalle esigen- ze dell’abitare. Alla luce dei cambiamenti sociali in atto si rendono oggi necessarie riflessioni nuove e alternative sul tema più centrale per un architetto: abitare la casa. Proprio a Firenze, nel 1965, era stata promossa un’iniziativa di grande risonanza a Palazzo Strozzi, una mostra dal titolo “La casa abitata” il cui comitato organizzativo era presie- duto da Giovanni Michelucci, che ne fu curatore. Quindici architetti italiani furono invitati a dare una risposta al tema dell’abitare la casa, attraverso installazioni specifiche tra le sale del palazzo. Tra questi architetti Ettore Sottsass, I fratelli Castiglioni, Marco Zanuso, Angelo Mangiarotti, Luigi Moret- ti, Vico Magistretti ed anche i colleghi fiorentini Leonardo Ricci e Leonardo Savioli. Ciascun architetto aveva punta- to la propria riflessione su un aspetto della vita domestica in base alla propria ricerca espressiva e linguistica, così i Castiglioni arredarono una stanza da pranzo con i loro og- getti, Zanuso organizzò un soggiorno con i suoi mobili e pro- totipi, Moretti si occupò dello “studio dell’architetto”, Ma- gistretti di “soggiorno-pranzo-cucina in un piccolo alloggio di serie”, Gregotti, Meneghetti e Stoppino della zona dei servizi, Sottsass della stanza da letto a tutti nota, e così via. Mangiarotti, Ricci e Savioli proposero invece una riflessione complessiva e più radicale sulla casa. Il primo presentò del- le pareti attrezzate combinabili, accoppiabili e rotabili in un’ottica di sistema d’arredo modulare e continuamente

Giovanni Bartolozzi