• Non ci sono risultati.

Figura 2 Leonardo Ricci, “spazio vivibile per due persone”, foto dell’installazione realizzata in Palazzo Strozzi per la mostra

79

riconfigurabile, come se un anonimo open-space potes- se essere trasformato, con l’utilizzo di moduli verticali, in un appartamento personalizzabile e caloroso. Savioli realizzò il prototipo di un alloggio duplex riproducibile in serie perché composto da elementi prefabbricati ed in parte componi- bili, predisposti per essere inseriti all’interno di macrostruttu- re residenziali più complesse. Infine una proposta diversa ma per certi versi affine a quella di Savioli sugli aspetti che attengono al suo inserimento in una macrostruttura, era quella di Leonardo Ricci, che realizzò un’installazione-pro- totipo di una casa informale.

Ricci si pone un problema di natura diversa e per certi versi contesta la frantumazione domestica proposta dal- la mostra: incentiva un atteggiamento nomade, ma nel senso storico e psicologico del termine. Ricci prefigura una tipologia di uomo e di abitante che è così connaturato

80

Figura 3 Leonardo Ricci, pianta del’installazione realizzata in

Palazzo Strozzi per la mostra

“La casa abitata”;

nel proprio tempo, nelle proprie condizioni di vita, che non ha necessità di ereditare arredi, tipologie e portare con sé oggetti o abitudini domestiche dal passato. Questo noma- dismo è prima di tutto interno alla casa e consente una fluidificazione degli ambienti domestici che sono tradizio- nalmente separati in stanze. Nel catalogo della mostra Ricci scrive “[…] Volendo arrivare al paradosso o meglio a conclusioni logiche di una certa ipotesi si dovrebbe espor- re niente perché crediamo fermamente che l’uomo, final- mente libero dal tempo e non oppresso dal tempo libero, organizzerà la propria vita come vorrà, determinando così finalmente la fine della figura dell’architetto-arredatore”.

Ricci mette a punto per la mostra una forma-spazio, realiz- zata con una sorta di struttura in cartongesso che integra gli ambienti e gli arredi in una forma complessiva e che dunque scardina a priori la logica dell’arredo, prefiguran- do una condizione – oggi più che mai contemporanea – di nomadismo, subordinato ai ritmi di vita contemporanei, alle mutate esigenze di continui e connaturati spostamenti. Non solo, questa riflessione teorica di Leonardo Ricci sull’a- gilità e la semplicità dell’uomo contemporaneo di adattar- si al continuo rinnovamento della propria dimensione do- mestica, che già si avvertiva sul finire degli anni Sessanta, era strettamente correlata all’urgenza di ripensare le rela- zioni interne alla casa e ai suoi ambienti, alla necessità di riscrivere un rapporto tra pubblico e privato dentro la vita domestica differente rispetto a quello che la società con- temporanea ha costruito e che molta edilizia residenziale ha incentivato.

Questo approccio teorico che tenta delle corrispondenze forti tra le spinte latenti della società contemporanea e i caratteri dello spazio domestico, anche se può sembrare una forzatura, lascia comunque grande spazio all’esperien- za privata dello spazio domestico. Proprio su questi aspetti, si è concentrata l’opera di uno degli artisti italiani contem- poranei più sensibili, come Alberto Garutti che oggi è mol- to più impegnato sull’esperienza pubblica dell’arte. Alcuni suoi lavori realizzati prima del 2000 avevano come centro di riflessione l’esperienza privata e mettevano in relazione l’uomo e gli oggetti, attraverso operazioni visive e materi- che molto semplici. Nell’opera “Dedicato agli inquilini che abitano al di là del muro” del 1996-1999 realizzata a Casa Masaccio, Garutti colloca dei sensori nell’appartamento

81

dei vicini adiacente le pareti della galleria. I sensori co- mandano delle lampade ed ogni qual volta le stanze degli inquilini vengono abitate i sensori accendono la lampadi- na della parete corrispondente, nel tentativo di stabilire una relazione privata tra inquilini separati da un tramezzo. L’opera che ha finalità poetiche rimanda tuttavia a quegli inquilini, “nostri vicini” di casa, che oggi più che mai sono estranei, lontani, diffidenti, misteriosi, chiusi nelle loro case. Quei vicini che vivono con la finestra chiusa per timore di essere osservati, come se abitare le case non fosse uno dei punti che accomuna la razza umana.

Se la riflessione di Ricci per “La casa abitata” introduce una riflessione sul nomadismo contemporaneo, l’opera di Ga- rutti apre le porte ai livelli di relazionalità dell’esistenza pri- vata che oggi, grazie alla tecnologia, offrono un’alterna- tiva reale alla tipologia di abitazione chiusa che le nostre periferie hanno generato. Meglio ancora un’alternativa alla nostra maniera di vivere la casa come luogo indiscusso di una privacy estrema e inviolabile.

La tecnologia rende infatti più smart le rigidezze fisiche e caratteriali legate alle nostre possibilità umane di comu- nicazione. Questo avviene non solo dentro casa, ma so- prattutto tra gli abitanti delle case e permette alle famiglie di un condominio, per esempio, di trovare degli spazi di condivisione per esigenze comuni legate alla spesa, alla sorveglianza dei figli, alla gestione autonoma del condomi- nio e, perché no, al tempo libero. Le modalità tradizionali di abitare la casa, tra le giovani generazioni e non solo, oggi sono messe in crisi, soprattutto nelle grandi città, dal- le nuove forme di sharing. Si pensi al Couchsurfing oppure

al sistema di Airbnb, che sta gradualmente insinuandosi dentro le case degli italiani, tra gli studenti e le giovani fa- miglie, come un espediente che consente di contribuire all’economia familiare e che lentamente apre finestre sul mondo esterno, incentivando l’ospitalità, l’interscambio, le capacità relazionali, l’accettazione del prossimo, la messa in crisi di certa indiscutibile privacy dentro le nostre case. Questo cambiamento in atto consente oggi di ripensare al proprio modo di sentire la casa e innesca nuove esigen- ze, nuovi ritmi, nuove attenzioni che stanno gradualmente modificando la nostra percezione nei confronti della casa e della stessa idea di proprietà privata.

Perfino alcuni esempi noti di architettura, come la casa Sol-

STORIE SULL’ABITARE -

82

darini di Vittorio Giorgini sul Golfo di Baratti, in alcuni periodi dell’anno è data in affitto su Airbnb, così come altri esempi noti di architetture, che stanno contribuendo a legittimare un sistema alternativo, disponibile su scala mondiale e di grande fascino.

Luca Molinari, uno dei teorici più attenti del panorama ita- liano, ha recentemente pubblicato un saggio dedicato al tema della casa, intitolato “Le case che siamo”, titolo che lascia ritornare alla mente “casa come me” quell’espe- rienza unica in quel luogo unico, tra Curzio Malaparte e Adalberto Libera.

Quando pensiamo alla parola “casa” – scrive Molinari – si materializzano sorrisi, rimpianti, dolori, odori, gesti elemen- tari e segreti depositari della nostra mente grazie alle con- suetudini che solo la quotidianità può generare. La casa non è più solo un luogo definitivo ma è diventata un nuovo paesaggio in cui si realizzano le nevrosi e le idiosincrasie contemporanee e attraverso cui cercare di leggere fram- menti possibili della nostra vita futura.

Abitare la casa, a partire dalla propria casa, significa in questa fase storica riscrivere le coordinate di un’esperienza privata i cui valori relazionali sono oggi ricchi di potenziali- tà e capaci più che in passato di riflettere i caratteri della società che siamo.

Bibliografia

Garutti A. (2012). Didascalia/caption. Milano: Mousse Pu- blishing.

Masini L.V. (1965). Catalogo di La casa abitata in Biennale degli interni di oggi. Lissone s.d.

Molinari L. (2016). Le case che siamo. Roma: Nottetempo. Pettena G. (1999). Casa Malaparte. Firenze: Le Lettere. Pica A. (1965). La casa abitata in Domus n. 426.

Figura 4 Vittorio Giorgini Casa Saldarini Gorgini (Casa Esagono) Baratti 1957

84

L’abitare si compone di elementi tangibili ed elementi in- tangibili che influiscono sul nostro rapporto con gli spazi. La chimica dei materiali è una presenza impercettibile in continua trasformazione come il nostro vivere di cui diven- ta al contempo testimone silente. Questo breve racconto restituisce la parola ai materiali mostrandocene alcuni sor- prendenti aspetti.

Guardando la cupola verde del Tempio Ebraico dal piaz- zale Michelangiolo di Firenze una sera di fine estate 2016 al tramonto

La vedete quella macchia verde a forma di cupola? Non può competere con la grande di Messer Filippo, per l’amor di Dio, ma è comunque un punto di riferimento su questo panorama. Sta lì dal 1882, è uno fra i più giovani dei mo- numenti che abbracciamo da questo belvedere e quin- di il Tempio Ebraico si sente quasi in imbarazzo di fronte a cotanta gloria degli altri sodali. Vediamo un po’, mentre la guardo, che cosa ella mi sussurra, in modo che possa raccontarvi questo tempio cittadino, proprio in diretta, con le sue parole.

Ecco ha iniziato a dirmi che lei ha a che fare con il rame. Il rame, direte voi, cosa c’entra? Questo elemento le dà il colore da oltre 130 anni. È un elemento bizzarro: quando è da solo infatti non è verde, bensì color rosa salmone. Lo vedete nelle grondaie appena poste in opera, no? E poi se vi divertite a sguainare un cavo elettrico vi si apre un mazzettino fantastico di brillanti fili di quel colore! E il verde che cosa c’incastra allora? È una bella storia questa degli elementi che meticciandosi originano meravigliose appa-