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Maria Grazia Eccheli Architetto/Professore Ordinario

Figura 6

Goethe Giunone

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to tratteggia un’esperienza con tratti che paiono ancora generalizzabili.

Già W. Hegemann, nella sua Berlino di pietra, aveva istitu- ito un parallelismo tra l’esperienza di Schinkel a Berlino e l’impegno di Goethe nel trasformare Weimar, una città di provincia, nella capitale del classicismo tedesco: un impe- gno che trova singolare corrispondenza nelle sue due abi- tazioni: la casa nel bosco – quasi un archetipo della “casa tedesca” – e la casa sulla Frauenplan (meticolosamente ridisegnata da H. Tessenow). Nella stessa segretezza ed im- prevedibilità del viaggio in Italia – che ha nell’Ernst Bloch del Das Prinzip Hoffnung l’esegeta forse più acuto – è com- preso il suo carattere decisivo. Goethe fugge, ancora una volta, per nuove esperienze. “[...] Ero arrivato al punto da

non poter nemmeno vedere un libro latino né un disegno

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di qualsiasi regione d’Italia. Il desiderio intenso di visitare questa terra era da troppo tempo maturo [...] sento che tutti questi tesori non li porterò con me a vantaggio mio sol- tanto, e solo per mio uso privato, ma perché possano ser- vire per tutta la vita, a me e ad altri, di guida e di sprone”.

J. Wolfgang Goethe conosce le teorie del Winkelmann sull’attività artistica tesa alla ricerca di una bellezza asso- luta, eterna. Ha studiato Vitruvio e a Vicenza incontra il vecchio Scamozzi che gli darà più di uno “schiarimento” sull’architettura del Palladio, che costituisce per lui un evi- dente problema critico su cui misurare, per così dire, “ciò

che fugge e ciò che cerca”.

Ai dubbi sull’abitabilità della Rotonda, contrappone la pro- pria “speciale predilezione” per la “modesta” casa abitata dall’architetto. L’esperienza diretta ne aumenta l’ammira- zione così da continuarne il progetto, immaginando un di- pinto del Canaletto che narri il ruolo della casa, col grande ed enigmatico riquadro bianco che caratterizza la faccia- ta, all’interno del tessuto cittadino.

Con il criterio di un’esperienza diretta – soltanto avendo in-

nanzi agli occhi questi monumenti se ne può comprendere il grande valore – Goethe, che non sembra fidarsi dell’astrat- tezza dei pur famosi disegni, sembra indagare l’adeguatez- za delle trasposizioni palladiane (“L’opportuna applicazione

degli ordini nel campo delle fabbriche civili”, l’uso di pian-

te emblematicamente legate a destinazioni diverse), inse- guendo la tensione instaurata dall’architettura palladiana e dalla citazione dell’antico nella città moderna.

Sono questi i parametri di lettura de visu del veneziano Convento della Carità, tra i quali s’insinua anche il suo inaspettato carattere d’incompiutezza, di vera e propria rovina moderna, quasi un’introduzione alla successiva e decisiva esperienza romana.

A Roma, con un’ansia tesa forse ad esorcizzare l’“anfigori- co” saggio (Von deutscher Baukunst) con cui quindici anni

prima aveva lodato lo stile gotico (Panofsky), l’ammirazio- ne di Goethe diviene collezione.

Si fa eseguire “una serie di copie dai maestri migliori (154), quali a matita, quali a seppia e ad acquerello, che ac- quisteranno maggior valore in Germania per la lontananza

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degli originali”. Lui stesso disegna, dubbioso sempre “[...] se il tale soggetto non si sarebbe potuto riprendere da un punto di vista favorevole o se il carattere sia stato indovi- nato”.

Dalla piramide di Cestio al Palatino, con le rovine dei pa- lazzi imperiali “che sorgono come pareti da rocce [...]”, al

Colosseo. “[...] Il Pantheon, l’Apollo di Belvedere, alcune teste colossali e recentemente la Cappella Sistina si sono impadronite del mio spirito che quasi non vedo null’altro più [...]”.

A Roma Goethe osserva, disegna, descrive e annota; ac- quista opere, copie, “falsi” per la collezione della nuova casa e della nuova Weimar.

Possiede una buona riproduzione della Medusa, ma anno- ta ”il fascino del marmo è svanito[...]”. Diviene in lui osses- siva, ed indice della formazione di nuovi paradigmi, la ri- cerca di nuovi rapporti di scala rispetto ad una conosciuta quotidianità, presaga di futuri sviluppi: “Ho collocato nel salotto una copia della testa colossale di Giunone, il cui ori- ginale è esposto a villa Ludovisi. E’ stato il mio primo amo- re a Roma, ed ora la posseggo. Non vi sono parole, che possano renderne un’idea; è un canto di Omero”. (157). E ancora non saprà “resistere alla tentazione di acquistare la testa colossale di un Giove…”.

A poco a poco, con quotidiana ossessione, prende corpo il mondo immaginario della casa dell’artista, a Weimar. Sulla Frauenplan, il palazzetto barocco che il poeta possie- de già dal 1782, verrà ristrutturato dopo il ritorno di Goethe dall’Italia.

Una corte divide l’ala principale sulla piazza da quella più privata che, a quota del primo piano, dà sul giardino. Nel progetto il piano terra rimane quasi inalterato, non fosse per la ricollocazione della scala principale: un vesti- bolo rinascimentale che Goethe stesso disegna, aiutato dall’architetto C. F. Schuricht, e colorato con i cinque co- lori dell’arcobaleno (in una sorta di applicazione di quel- la teoria dei colori, Die Farbenlehre, che costituisce l’altro polo dialettico della ricerca goethiana). Il vestibolo-scala è arricchito da statue: l’Apollo del Belvedere, la maschera della Medusa, Dioniso e Afrodite e Giove.

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della Medusa, Dioniso e Afrodite e Giove.

Al primo piano, un nuovo intervento collega le due ali del Palazzo mediante un passaggio aereo, subito trasformato nella “galleria di Busti”, che divide la corte interna in due parti. La galleria con copertura ad arco, di sapore romano, mette in comunicazione la stanza gialla (caratterizzata da copie dei disegni di Raffaello alla Farnesina) con il salot- to posto nell’ala sul giardino, riservato all’incontro con gli amici.

L’intera casa non possiede corridoi, le stanze “una dentro

l’altra” sono individuate o da ciò che contengono o dai

colori delle pareti: la Stanza di Giunone Ludovisi, la sala del-

Figura 7 GOETHE Stanza antichi Heinrich Tessenow 1904

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ECCHELI

la musica, con fregi copiati da disegni rinascimentali, la stanza di Urbino, la stanza delle grandi collezioni, quella degli stucchi e quella delle maioliche, fino alle stanze di Cristiane...

Lo Studio e la Libreria (circa 6500 libri), accessibile solo a pochissimi intimi, sono modestamente arredati e dipinti di verde. Goethe inventa una scala segreta per arrivare, indisturbato, dallo studio alla casa.

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Penso di avere un karma.

Sono stato uno sherpa, un nomade, uno Zampanò (con lo stesso brutto carattere ma dall’animo puro).

Sono uno stanziale per natura e un transumante per esi- genza. Viaggio sempre con la valigia stipata di ogni cosa che potrebbe essere utile e non mi serve nulla.

Soffro di insofferenza loci. Quando sono a casa vorrei es- sere altrove, quando sono in viaggio non vedo l’ora di tor- nare a casa.