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Abrogata la L.46/2006 restano problemi che l’hanno ispirata

PERCORSI NORMATIVI DI RIFORMA

2. La c.d Legge Pecorella

2.3 Abrogata la L.46/2006 restano problemi che l’hanno ispirata

Se è vero che la “legge Pecorella” era nel suo complesso una cattiva riforma essa ha comunque fatto riflettere: l’intento del legislatore era, infatti, quello di impedire un ribaltamento del primo esito processuale favorevole all’imputato senza un contatto diretto con le fonti di prova e fuori dalla dialettica delle parti.

Certo si può dire che “la subordinazione dell’appello delle sentenze di proscioglimento all’individuazione di una prova nuova e decisiva riflette il giusto riconoscimento dell’importanza del contraddittorio nella

formazione della prova”238.

La Corte costituzionale (sent 26 febbraio 2007 n.26) stabilendo l’illegittimità costituzionale dell'art. 593 c.p.p., così come modificato dalla Legge n. 46/2006, ha ammesso la possibilità di un'errata sentenza assolutoria in primo grado e ritenuto, quindi, legittima l'ipotesi di un

ribaltamento in appello del provvedimento impugnato239. Ammessa tale

possibilità dal giudice delle leggi, la giurisprudenza di legittimità240 si è

sforzata (facendo leva sulla valorizzazione del canone del ragionevole dubbio, introdotto dalla Legge Pecorella) di fornire di maggiori garanzie

237 G.LOZZI L’appello in Lineamenti di procedura penale op cit. pag. 381

238 E.MARZADURI Così nell’assetto degli istituti il legislatore ricerca nuovi equilibri in GUIDA AL DIRITTO n.10/2006 pag. 52

239 L. SAPONARO Motivazione rafforzata in caso di ribaltamento del giudizio in

appello – la motivazione rafforzata della sentenza di appello: an e quomodo in GIUR.

IT., 10/2016, 2258.

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in caso di overturning del provvedimento di primo grado prevedendo un rafforzamento dell'obbligo motivazionale da parte del giudice che condannando ribalta l'assoluzione di prime cure, senza rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. In questo modo, appare chiaro che, il principio del contraddittorio nella formazione della prova non trova piena tutela nel secondo grado di giudizio.

Dunque, la Legge Pecorella ha portato all’attenzione di tutti l’esigenza di risolvere problemi ben noti, ma sui quali non ci si era fino ad ora impegnati a fondo (pensiamo al deficit di garanzie per chi sia condannato per la prima volta in appello e alla restrittiva formula dell’art. 606, lett. e), c.p.p.); certo, si potranno criticare le soluzioni adottate, ma, nel quadro di quella rimeditazione complessiva, non si

potranno più ignorare i problemi che le hanno ispirate241.

Per garantire il diritto di difesa dell’imputato non occorre – come fece la L. Pecorella - eliminare il potere di appello delle sentenze assolutorie da parte del pubblico ministero, perché in questo modo è chiaro che si avrebbe in una palese compressione delle prerogative della parte pubblica, con conseguente violazione del principio della parità delle parti (art. 111, comma 2, Cost.) ma è sufficiente che qualora il giudice d'appello si trovasse a dover rivalutare il merito di una sentenza assolutoria e ritenesse di riformarla in peius, decidendo di condannare il soggetto precedentemente assolto, venga previsto in capo allo stesso un obbligo di non procedere in tal senso, senza prima aver nuovamente riassunto le prove di fronte a sé.

Ciò a dire che l'assoluta necessità della rinnovazione istruttoria in appello dovrebbe presumersi iuris et de iure, ogni qualvolta il pubblico ministero impugni una pronuncia liberatoria, che i giudici di seconde cure volessero capovolgere.

241 R.E. KOSTORIS Le impugnazioni penali, travagliato terreno alla ricerca di nuovi

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In questo modo, nessun diritto costituzionalmente protetto sarebbe violato. Al pubblico ministero rimane – nel rispetto del principio della parità delle parti - la facoltà di appellare anche le pronunce che lo hanno visto "soccombere" e all'imputato verrebbe comunque garantito il rispetto del contraddittorio nella formazione della prova, evitando che l’eventuale dichiarazione di colpevolezza sia il frutto di una mera rilettura dei dati probatori acquisiti in primo grado, ma l'epilogo di un iter valutativo degli stessi, scrupoloso e attento alle garanzie della difesa. Del resto, questo è quello che chiede anche la Corte europea dei diritti dell'uomo e, in un paese ispirato alla stretta legalità, sarebbe

auspicabile che tale soluzione possa essere codificata dal legislatore242.

Infatti a quasi decennio di distanza dalla L.46/2006, con decreto del 10 giugno 2013 è stata istituita una commissione di studio, col compito di “elaborare una proposta di interventi in tema di processo penale”, presieduta da Giovanni Canzio, Presidente della Corte di Appello di Milano (vice Presidente Prof. Giorgio Spangher, Università di Roma

“La Sapienza”)243.

La commissione c.d. “Canzio” ha elaborato una serie di proposte urgenti, riguardanti varie aree del processo, ed in particolare in tema di impugnazioni propone di modificare la disciplina della rinnovazione dell’istruzione probatoria in appello, in caso di gravame del pubblico ministero contro la sentenza assolutoria di primo grado, in adesione alle indicazioni della Corte EDU.

242 A. CIGNACCIO Condanna in appello e giusto processo: Tra indicazioni europee

e incertezze italiane – il commento. In Dir. Pen. e Processo, n.5/2014 pag. 537 (nota a

sentenza)

243 Decreto 10 giugno 2013: “Costituzione commissione di studio in tema di processo penale”.

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3. Uno spiraglio di cambiamento: il D.D.L. C.N 2798 e d.d.l. S.N. 2067

Il 23 dicembre 2014 è stato presentato alla Camera il Disegno di legge (D.D.L. C.N. 2798) contenente “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”.

Il d.d.l. governativo C.N. 2798 ha iniziato il suo cammino parlamentare davanti alla Commissione giustizia della Camera dei deputati il 13 gennaio 2015. Successivamente il provvedimento è stato approvato in prima lettura da parte della Camera, precisamente il 23 settembre 2015, ed è stato quindi trasmesso, il giorno successivo, alla Presidenza del Senato con il nuovo titolo “Modifiche al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”. La struttura del d.d.l. non è cambiata, presenta sempre gli stessi quattro titoli così come presentati dall’originale (C.N. 2798) quindi: titolo I contenente modifiche al codice penale; titolo II, così come il III, modifiche al codice di procedura penale; titolo IV contenente deleghe al governo per la riforma del processo e dell’ordinamento penitenziario. Se la struttura non è stata modificata lo è stato invece il testo rispetto a quello trasmesso, il 24 settembre 2015, al Senato (D.D.L. S. 2067).

Il disegno di legge si trova ancora oggi in corso di esame in commissione.

Il d.d.l. tocca diversi argomenti, ma quello che interessa ai fini della tesi in esame è la parte che troviamo all’articolo 18.3 del d.d.l. C.N. 2798 e successivamente, modificato, all’articolo 22.3 del d.d.l. S.N. 2067.

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3.1 L’articolo 18.3 d.d.l. C.N. 2798 modificato dall’art 22.3 del d.d.l. S.N. 2067

L’articolo 18 del d.d.l. C.N. 2798 al comma terzo riprende, con qualche modifica, la proposta, formulata dalla Commissione Canzio, di introduzione del comma 4-bis all’articolo 603 del codice di procedura penale.

L’intento perseguito con l’introduzione del nuovo comma è senza dubbio quello di armonizzare il ribaltamento della sentenza assolutoria in appello con le garanzie del fair trial, seguendo l’interpretazione offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (non solo quelle derivanti dal caso Dan, ma in particolare quelle garanzie previste dalla sent. 4 giugno 2013, Hanu c. Romania) circa la doverosità, in tale

eventualità, della riapertura dell’istruttoria orale244. Tuttavia l’apertura

all’oralità/immediatezza nella versione originaria del d.d.l. appare ridimensionata ai casi in cui il p.m. impugni una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione dell’attendibilità della prova dichiarativa, sempre che il giudice non dichiari manifestamente infondata l’impugnazione

Nella versione originaria presentata dal governo l’articolo 18 comma 3 d.d.l. C N. 2798 stabiliva che <<in caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alle valutazioni di attendibilità della prova dichiarativa, il giudice, quando non ritiene manifestamente infondata l’impugnazione, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale>>.

L’immediatezza avrebbe dovuto essere recepita come canone di acquisizione della prova per ribaltare un proscioglimento anche in mancanza di una richiesta istruttoria della parte, quindi ex officio, come

ha indicato la giurisprudenza europea245.

244 G.CANZIO il processo penale: le riforme “possibili” in Edizioni ETS, pag. 521 (http://www.edizioniets.com/criminalia/2013/pdf/10-1-Canzio2.pdf) .

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L’articolo 603 c.p.p. è fra quelli che ha subito dei ritocchi (soppressivi e modificativi) rispetto alla versione originaria.

La Commissione di giustizia della Camera ha sostituito le parole <<alle valutazioni di attendibilità>> con le parole <<alla valutazione>>. L’uso del plurale, nella versione originaria, portava a concludere che il legislatore non volesse fare riferimento alla sola valutazione di attendibilità intrinseca della prova, ma che volesse estenderla pure alle ipotesi in cui le versioni dei vari dichiaranti presentassero contraddizioni su punti decisivi, valorizzate in primo grado per assolvere e considerate superabili dal giudice di seconde cure al fine di condannare.

Infatti la valutazione dell’attendibilità può riguardare non la qualità del dichiarante (attendibilità intrinseca), ma quella della sua narrazione (attendibilità estrinseca), ovvero l’adeguatezza dei riscontri: dunque il ragionamento attraverso il quale si giunge alla conclusione dell’attendibilità o meno della prova dichiarativa. Pertanto sarebbe opportuna una riformulazione della norma che, nella consapevolezza della plurivalenza del termine “attendibilità”, meglio chiarisse l’intenzione del legislatore precisando se la diversità di attendibilità

riguardi o meno solo la cosiddetta “attendibilità soggettiva”246.

L’attuale versione dell’art 603 comma 4-bis c.p.p. riproduce sul punto l’articolato della commissione Canzio, e quindi, da una parte, opera un generico riferimento alla valutazione della prova dichiarativa, dall’altra considera la rinnovazione come doverosa, allineandosi alle sollecitazioni che vengono dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha ritenuto in più occasioni che, quando il giudice di appello si trova ad esaminare questioni di natura fattuale e condanna l’imputato sulla base di una rivalutazione contraria a quest’ultimo delle deposizioni rese nel giudizio di primo grado, conclusosi con una sentenza di

246 Parere ANM illustrato in Commissione di giustizia, del 17 febbraio 2015 (associazione nazionale magistrati) Proposta di legge C. 2798, modifiche al codice

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proscioglimento, senza procedere, anche di ufficio ad una riassunzione

delle testimonianze, si concreta una violazione dell’art. 6 C.e.d.u.247.

Oltre alla modifica appena vista, la Camera ha soppresso l’inciso <<quando non ritiene manifestamente infondata l’impugnazione>>; la soppressione della manifesta infondatezza è stata effettuata perché è chiaro che una simile valutazione da parte del giudice di secondo grado potrebbe facilmente sconfinare in un giudizio di merito anticipato.

Francesco Caprioli248 sollevò proprio questa problematica relativa al

comma di nuovo conio, anche sotto un altro aspetto, in particolare fece notare che la previsione di una “manifesta infondatezza dell’impugnazione” determinerebbe che qualora un pubblico ministero appellasse contro una sentenza di proscioglimento, che ha prosciolto l'imputato perché le dichiarazioni testimoniali esistenti a suo carico erano scarsamente attendibili e, per di più, esisteva una prova d'alibi formidabile e il pubblico ministero appella attaccando solo la valutazione della prova dichiarativa, ma senza nulla eccepire in ordine a quella prova d'alibi, perché mai dovremmo nuovamente sentire i testimoni ? Qualunque esito abbia quella rinnovazione, ci sarà sempre la prova d'alibi a impedire la condanna.

Quindi era, probabilmente, per soddisfare questa esigenza che il disegno di legge stabiliva: «quando non sia manifestamente infondata». Tuttavia, questa formula, è stata molto criticata, e giustamente, perché si confonde una valutazione di ammissibilità “della prova” con una valutazione di ammissibilità “dell'impugnazione”, e si innesca in piena

udienza d'appello un giudizio di manifesta infondatezza

dell'impugnazione.

Per evitare tali problematiche il nuovo comma 4-bis prevede che << nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova

247 M. BARGIS “I ritocchi alle modifiche in tema di impugnazioni nel testo del d.d.l. n. 2798 approvato dalla Camera dei deputati” in Diritto Penale Contemporaneo 248 Seduta n. 12 di Mercoledì 29 aprile 2015.

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dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale>>.

Quindi la Commissione giustizia ha rimosso il limite della manifesta infondatezza, senza sostituirlo con nessun altro, rendendo obbligatoria la rinnovazione non solo quando l'impugnazione prenda specificamente di mira l'attendibilità di un testimone, ma ogni qual volta si censuri la "valutazione" della prova dichiarativa. Con ciò la riforma sembra voler estendere i suoi effetti in un ambito ben più ampio di quello imposto dalle pronunce della Corte di Strasburgo.

In sostanza, ai sensi del nuovo comma 4-bis dell’art 603 c.p.p. – se varato – non sarà più possibile ribaltare una valutazione di proscioglimento in condanna sulla base di una mera rilettura delle prove dichiarative acquisite in primo grado.

Con la previsione di questo nuovo comma il mito dell’immediatezza appare assurgere a criterio performativo della prova dichiarativa nel secondo grado di processo: l’escussione diretta e immediata davanti al decidente non sarebbe più un quid pluris ma il cluou per una corretta

apprensione e formazione dei saperi probatori di natura dichiarativa249.

249 D.CHINNICI “Contraddittorio, immediatezza e parità delle parti nel giudizio di

appello. Estenuazioni interne e affermazioni europee” in PROCESSO PENALE E

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Conclusioni

L’intento posto alla base del presente lavoro era quello di affrontare la tematica del secondo grado di giudizio alla luce del “giusto processo” e di come esso violi taluni principi sanciti dalla carta Costituzionale e dalla Convenzione europea.

La soluzione preferibile per avere un secondo grado di giudizio rispettoso del diritto di difesa dell’imputato non è certo quella prospettata dalla ormai tristemente nota Legge n. 46/2006 che eliminando il potere di appello delle sentenze assolutorie da parte del pubblico ministero, ha compresso le prerogative della parte pubblica, con conseguente violazione del principio della parità delle parti (art. 111, comma 2, Cost.), ma è sufficiente che qualora il giudice d'appello si trovasse a dover rivalutare il merito di una sentenza assolutoria pronunciata in primo grado e ritenesse di riformarla in peius, condannando il soggetto precedentemente assolto, debba esistere un obbligo di non procedere in tal senso, senza prima aver nuovamente riassunto le prove orali di fronte a sé in ossequio alla facoltà della persona accusata di un reato «davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore» di cui all’articolo 111 comma 3 della Costituzione. Il quale dicendo “davanti al giudice” non limita tale facoltà al giudice di primo grado.

Quindi, per rispettare i canoni del “giusto processo” anche nel secondo grado di giudizio, dovrebbe essere obbligatorio, ogni qualvolta una delle parti impugni la pronuncia, emessa all’esito del primo grado di giudizio, che i giudici di seconde cure procedano a rinnovare le prove dichiarative ove volessero valutarne diversamente l’attendibilità e quindi capovolgere l’esito della precedente sentenza.

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In questo modo, nessun diritto costituzionalmente protetto sarebbe violato. Al pubblico ministero rimane – nel rispetto del principio della parità delle parti - la facoltà di appellare anche le pronunce che lo hanno visto "soccombere" e all'imputato verrebbe comunque garantito il rispetto del contraddittorio nella formazione della prova, evitando che l’eventuale dichiarazione di colpevolezza sia il frutto di una mera rilettura dei dati probatori acquisiti in primo grado.

Secondo quanto stabilito dalle SS.UU penali nella sentenza 27620/16 l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale sorgerebbe solo quando il giudice di seconde cure intenda ribaltare l’esito assolutorio, perché la regola del "ragionevole dubbio" di cui all’articolo 533 c.p.p. si collega direttamente al principio della presunzione di innocenza. Infatti, secondo quanto stabilito nella sentenza tale obbligo non sussisterebbe nel caso opposto, cioè qualora il giudice di seconde cure proceda ad un overturning della sentenza di condanna, proprio perché in tal caso non viene in questione il principio del "ragionevole dubbio” di conseguenza in questo caso si profilerebbe solo un dovere di "motivazione rafforzata”.

Tale pronuncia della S.C. non farebbe altro che anticipare, quello che è il contenuto del d.d.l. S 2067 il quale prevede l’inserimento di un nuovo comma, il 4-bis, da inserire all’art. 603 c.p.p., il quale prevede che «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».

Questa soluzione pare però non soddisfare pienamente la parità delle parti, sarebbe più corretto forse prevede un obbligo in capo al giudice di secondo grado di rinnovare la prova dichiarativa ogni volta in cui debba valutarne l’attendibilità, sia essa a sostegno della condanna o della assoluzione.

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In caso di mancata approvazione del d.d.l. tale obbligo può comunque rientrare nel parametro della “assoluta necessità” posto che la testimonianza è un “evento” cioè un fatto complesso che si compone di comunicazione verbale e comunicazione extra-verbale e che - se posto alla base della condanna - deve svilupparsi di fronte al giudice, che solo così può apprezzare la credibilità del testimone, misurandone le parole ma anche il tono di voce ed il linguaggio dei gesti.

In questo modo la sentenza di appello sarebbe l'epilogo di un iter valutativo delle prove orali, scrupoloso e attento non solo alle garanzie della difesa ma anche dell’accusa.

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