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Il caso Dan c Moldavia

IL GIUSTO PROCESSO D’APPELLO ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA DELLA C.E.D.U.

3. La giurisprudenza della Corte EDU sulla rinnovazione delle prove in appello

3.2 Il caso Dan c Moldavia

In Moldavia, il preside di un liceo era accusato di aver ottenuto del denaro come corrispettivo per autorizzare il trasferimento di uno studente nel suo istituto.

In primo grado era stato assolto a causa delle contraddizioni emerse dai racconti dei testimoni dell’accusa; all’assoluzione in primo grado seguì l’impugnazione del pubblico ministero e in grado di appello i testimoni dell’accusa furono ritenuti attendibili e coerenti, tuttavia questa valutazione di attendibilità non venne effettuata con una percezione diretta di tali testimonianze, ma con una mera rilettura dei verbali del dibattimento di primo grado; la corte d’appello, quindi, condannò l’imputato rovesciando così l’esito assolutorio del primo grado di giudizio.

L’imputato impugnò dapprima la sentenza della corte d’appello davanti alla Suprema corte di giustizia interna la quale dichiarò inammissibile l’impugnazione, di conseguenza egli si rivolse alla Corte europea

145 P.GAETA Condanna in appello e rinnovazione del dibattimento, in Libro dell’anno del Diritto 2014 (www.treccani.it) L’autore evidenzia come tale principio prima di essere quindi “ribadito” nella sentenza Dan c. Moldavia viene precedentemente ribadito dai giudici di Strasburgo in altre pronunce e cioè: nel § 36 della pronuncia Sigurþór Arnarsson c. Islanda del 15.7.2003 (n. 44671/98) e soprattutto nella decisione Destrehem c. Francia del 18.5.2004 (n. 56651/00), il cui significativo § 45 stigmatizzava l’operato della corte d’appello che, in riforma dell’assoluzione di prime cure, «a fondé la condamnation du requérant sur une nouvelle interprétation de

témoignages dont elle n’a pas entendu les auteurs», con violazione delle regole del

giusto processo sotto il profilo del diritto di difesa. Non senza considerare l’ulteriore sentenza Danila c. Romania dell’8.3.2007 (n. 53897/00), dove ad essere censurato è – come si vedrà anche in altre pronunce – lo sconcertante potere cassatorio ed, insieme, decisorio dell’Alta Corte rumena, la quale sembra solita annullare i verdetti assolutori dei gradi precedenti e, senza reiterare l’istruttoria, a sostituirli con una condanna.

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prospettando una violazione dei canoni del giusto processo di cui all’articolo 6 della Convezione europea dei diritti dell’uomo.

Il giudice sovranazionale concluse che «chi è chiamato a decidere sulla colpevolezza di un individuo deve “in linea di principio” udire i testimoni personalmente, per valutarne la credibilità/attendibilità», aggiungendo che «valutare l’attendibilità delle fonti di prova è un compito complesso» che non può essere correttamente assolto attraverso la «mera rilettura» – «mere… reliance» – delle dichiarazioni

verbalizzate durante il processo di primo grado146.

Quando la Corte europea utilizza l’espressione “in linea di principio”, non lo fa per consentire una deroga generale alla rinnovazione dell’istruttoria in appello, ma vuole sottolineare che le ipotesi in cui la necessità di riascoltare i testi viene meno, sono quelle enunciate da lei stessa: morte del testimone o necessità di proteggere il dichiarante da dichiarazioni autoincriminanti.

Si può allora concludere che: non è la condanna in appello ad essere di per sé ad essere incompatibile con gli standard di equità convenzionali, ma il fatto che la stessa non sia preceduta da una nuova audizione dei testimoni su cui si basa la prova della responsabilità dell’imputato e la cui attendibilità è stata rivalutata sulla sola base dei verbali presenti nei fascicoli processuali147.

In particolare, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ritiene che non vi sia una violazione dei canoni dell’equo processo quando il giudice di seconda istanza nel ribaltare l’assoluzione abbia proceduto all’ascolto diretto del testimone determinante.

Sulla base di questo ragionamento la Moldavia veniva condannata dai giudici di Strasburgo per violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione EDU.

146 CEDU Sez. III, 5/07/2011 ricorso numero 8999/07, Caso Dan c\Moldavia 147 V.AIUTI Percorsi di Giurisprudenza – l’art. 603 c.p.p. dopo dan c. Moldavia: un

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3.2.1 La main evidence

I giudici di Strasburgo, nel caso Dan hanno specificato che si deve procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa quando essa

presenti il carattere della main evidence148 (cioè il carattere della

decisività).

Il criterio della “decisività” non trova alcuna enunciazione espressa nelle pronunce di Strasburgo, ma viene tratto dalla circostanza che i giudici europei, nei “casi” di cui si sono occupati hanno sempre rimarcato che la prova della quale si lamentava la rivalutazione cartolare costituisse praticamente la prova unica o quella principale (main evidence) posta a fondamento della decisione.

In particolare, per apprezzare quale sia l’efficacia probatoria di una testimonianza, la Corte deve effettuare una sorta di “ragionamento ipotetico” cioè: dalle prove utilizzate nelle decisioni nazionali deve “sottrarre” le dichiarazioni del testimone (o dei testimoni) che il ricorrente non ha potuto esaminare. Se, dopo tale operazione, la condanna risultasse ancora supportata da «elementi sufficienti», la

procedura sarà considerata «complessivamente equa»149, al contrario vi

sarà violazione dell’equo processo qualora a seguito di tale sottrazione non si possa più affermare la colpevolezza dell’imputato.

Nel caso in esame, la Corte di Strasburgo sottolineava appunto il fatto che le dichiarazioni dei testimoni costituissero l’unica prova “diretta” del fatto di reato. Infatti nel caso Dan c. Moldavia la violazione della convenzione emergeva dal fatto che il resto delle prove, erano prove

148 v. CEDU Dan c. Moldavia, cit, § 31 in cui la Corte va a valutare il “peso specifico” che ha la prova di cui è chiesta la rinnovazione in rapporto agli altri elementi che fondano la decisione. Nel caso di specie la corte rileva che la prova dichiarativa non rinnovata costituiva la main evidence sulla quale si era determinato il giudizio nel caso concreto, mentre le altre prove avevano il carattere di indirect evidence e per questo motivo doveva essere rinnovata, andando in caso contrario, a violare le garanzie dell’equo processo di cui all’articolo 6 della C.e.d.u.

149 S.LONATI Le definizioni di testimone in IL DIRITTO DELL’ACCUSATO DI INTERROGARE O FARE INTERROGARE” LE FONTI DI PROVA A CARICO, op. cit. pag. 162.

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indirette, prove indiziarie, che non potevano da sole portare alla condanna del ricorrente.

Perciò i contributi testimoniali erano da soli sufficienti (e quindi andavano a costituire la c.d. main evidence) per fondare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato.

I giudici europei arrivarono alla conclusione che quando in grado di appello il giudice si trova davanti ad una prova dichiarativa che si presenta come unica prova a danno dell’accusato oppure come elemento accusatorio prevalente, l’impostazione tradizionale come controllo ex actis si pone in violazione dei principi del giusto processo di cui all’articolo 6 della Convenzione; soprattutto perché si tratta delle stesse testimonianze che il giudice di primo grado ha ritenuto inattendibili dopo averle ascoltate ed osservate di persona.

3.2.2 Pieni poteri di fatto e di diritto della Corte d’appello

Nella sentenza Dan, i giudici affermano inoltre che il principio di oralità deve essere rispettato, dal giudice dell’impugnazione, non solo quando egli intenda fondare la condanna su quella prova (quindi quando la prova integri la c.d. main evidence) operandone un diverso apprezzamento rispetto al giudice che lo ha preceduto, ma anche quando egli abbia pieni poteri sia in fatto che in diritto, sulla valutazione della responsabilità.

Infatti, come stabilito dalla stessa Corte europea, le modalità di applicazione dell’articolo 6 C.e.d.u. nei procedimenti davanti alle Corti d’appello dipendono dalle caratteristiche specifiche del procedimento che si sta celebrando perciò si deve tener conto del ruolo svolto dalla

Corte d’appello in quell’ordinamento150. In particolare quando una

Corte d’appello è chiamata ad esaminare non solo la legge ma anche i

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fatti, e quindi a compiere una valutazione completa circa la colpevolezza o l’innocenza dell'imputato, non può, secondo i principi del giusto processo, giungere a decidere di tali questioni senza effettuare una

valutazione diretta delle prove orali151.

3.2.3 La rivalutazione di attendibilità della prova dichiarativa

Sullo sfondo, emerge proprio la valorizzazione della testimonianza come “evento”, come fatto complesso, che necessita di una valutazione estesa anche ai dati extradichiarativi, dunque all’analisi del contegno del testimone, essenziale per una corretta valutazione della sua attendibilità.

La testimonianza sarebbe quindi un “evento” che - se posto alla base della condanna - deve necessariamente svilupparsi di fronte al giudice chiamato a decidere, che solo percependolo direttamente può apprezzarne la credibilità, valutando nella sua interezza (e complessità

extraverbale) il flusso comunicativo152.

Esaminare i testimoni, in modo da poterne ascoltare direttamente le risposte e analizzare l’atteggiamento in aula sono momenti fondamentali per apprezzarne l’attendibilità. Solamente così, infatti, il giudice del controllo - ma forse, a questo punto, del nuovo giudizio - potrebbe formarsi un reale - e non "mediato" - convincimento sulla colpevolezza dell'imputato153.

Sulla scia del caso Dan c. Moldavia la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affrontato nuovamente il tema della condanna in grado di

151 CEDU, Popovic c/ Moldavia, 27 novembre 2007; Costantinescu c/ Romania, 27 giugno 2000; Marcos Barrios c/ Spagna, 21 settembre 2010.

152 S. RECCHIONE La prova dichiarativa cartolare al vaglio della corte europea dei

diritti dell’uomo in DIR. PEN. CONT. nota a Corte eur. dir. uomo, Sez III, 5 marzo

2013, ric. n. 36605/04, Manolachi c. Romania e C. eur. dir.uomo, Sez. III, 9 aprile 2013, ric. recn. 17520/04, Flueraş c. Romania del 7 maggio 2013 consultabile dal sito: www.dirittopenalecontemporaneo.it

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appello in riforma della pronuncia assolutoria emessa all'esito del giudizio di primo grado, come nel caso Hanu c. Romania in cui pur confermando in toto i dicta precedentemente sanciti dalla sentenza Dan, ne ha ampliato il contenuto: in particolare ha posto il principio secondo cui il giudice di appello è tenuto ad operare la riassunzione della prova testimoniale decisiva anche se la stessa non sia stata richiesta dall’imputato, dovendo, in tali casi, provvedervi ex officio, poiché la mancata richiesta da parte dell’accusato non può e non deve essere considerata quale disinteresse dello stesso per il proprio processo.