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Il caso Hanu c Romania

IL GIUSTO PROCESSO D’APPELLO ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA DELLA C.E.D.U.

3. La giurisprudenza della Corte EDU sulla rinnovazione delle prove in appello

3.3 Il caso Hanu c Romania

All’origine della causa vi è un ricorso154 contro la Romania, proposto

alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, da parte di un cittadino rumeno, Sig. Marius Hanu il quale sosteneva che il procedimento penale contro di lui non era stato equo poiché i giudici nazionali dell’appello non avevano assunto direttamente le prove ed erano giunti a ribaltare la sentenza assolutoria del primo grado pur avendo come riferimento il

medesimo quadro probatorio del giudice di primo grado155.

154 CEDU, Hanu c. Romania, ricorso n. 10890/04, sent. 4 giugno 2013,

155 Il ricorrente, un ufficiale giudiziario era stato accusato di corruzione, abuso di potere e falso. L’accusa si basava su denunce penali presentate due individui che il ricorrente aveva assistito in qualità ufficiale giudiziario in un procedimento di esecuzione. Il Sig. Hanu era accusato di aver chiesto soldi in cambio di favori nelle procedure di esecuzione riguardanti i due denuncianti. In particolare, in data 22 marzo 2000 era stata istituita un’operazione, nei confronti dell’ufficiale giudiziario, nella quale la polizia aveva consegnato ad uno dei denuncianti un registratore e del denaro marcato con una sostanza fluorescente. Dal rapporto dell’operazione emergeva che l’ufficiale giudiziario al momento dello scambio non volle prendere il denaro ed evitò di toccarlo facendo segno di metterlo nella sua valigetta; a questo comportamento avrebbe dovuto testimoniare il cugino della denunciante, che però da quanto emerse, in quel momento non era presente essendosi assentato per andare al bagno.

Infine, dopo che la busta contenente il denaro era stata collocata nella valigetta dell’ufficiale giudiziario, la polizia era apparsa. Il rapporto dell'operazione ha dichiarato che non era stata trovata alcuna sostanza fluorescente sulle mani del ricorrente, mentre il denaro era stato trovato nella sua valigetta.

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In primo grado il Tribunale ha assolto il ricorrente da tutte le accuse dopo aver sentito i testimoni, gli autori delle denunce e il ricorrente. Nella sua decisione, il tribunale rilevò che le uniche prove a carico disponibili erano le dichiarazioni dei denuncianti e di altri testimoni, alcuni dei quali erano parenti degli stessi denuncianti, che potevano dichiarare solo quello che era stato loro detto dai predetti denuncianti. Inoltre, dalle dichiarazioni, emerse che nessuno dei testimoni aveva effettivamente visto consegnare il denaro al ricorrente.

Infine il tribunale osservò che non era stata fatta alcuna menzione, in una qualsiasi delle prove presentate, del registratore che era stato usato durante l'operazione di polizia. Pertanto, nessuna delle prove era stata ritenuta conclusiva ai fini della colpevolezza del ricorrente.

Il procuratore interpose appello e nel corso di un'udienza svoltasi presso la Corte d'Appello venne ribaltato l’esito assolutorio e venne chiesta la condanna del ricorrente ritenendo l’imputato colpevole di entrambe le accuse.

È importante notare che nel caso di specie il ricorrente non aveva fornito alcuna prova dinanzi al giudice di secondo grado, ma gli era stata data l'opportunità di essere sentito ai fini del dibattimento, nel quale ha dichiarato di essere innocente. Nessun testimone è stato ascoltato e nessuna prova ulteriore è stata fornita in tale fase del procedimento. Né il ricorrente né il suo avvocato hanno presentato osservazioni scritte. La Corte d’appello è giunta alla conclusione che le dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del primo grado di giudizio provavano che il ricorrente aveva commesso entrambi i reati contestati.

Il ricorrente presentò ricorso avverso la sentenza di secondo grado, sostenendo che il giudice d'appello non era riuscito a sentire i testimoni in prima persona per quanto riguarda le dichiarazioni su cui si era fondata e aveva omesso di prendere in considerazione altre prove in sua difesa: che l'accusa aveva trattenuto il nastro di registrazione dell'operazione dal fascicolo, nonostante il ricorrente avesse chiesto che

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fosse valutata dal giudice e nonostante lo il pubblico ministero avesse autorizzato la registrazione. Infine, il ricorrente sottolineò che nessuno degli elementi probatori addotti (cioè nessuna delle testimonianze) costituisse la prova conclusiva che egli avesse commesso i reati contestati.

Alla successiva udienza, la Corte Suprema rigettò definitivamente l’appello del ricorrente sulla questione di diritto giungendo alla conclusione che la Corte di Appello avesse valutato correttamente le testimonianze e che le osservazioni del ricorrente non fossero comprovate da nessuna delle altre testimonianze rese. Nessun riferimento veniva fatto alle osservazioni del ricorrente relative al registratore o al fatto che il tribunale competente per l’appello non avesse sentito direttamente i querelanti né i testimoni.

A questo punto il ricorrente si rivolse alla Corte europea.

La sentenza Hanu c. Romania interviene a qualche anno di distanza dalla sentenza Dan, si tratta di una sentenza in cui i giudici di Strasburgo confermano la violazione del diritto all’equo processo di cui l’articolo 6 della Convenzione, ogniqualvolta l’imputato non sia messo nelle condizioni di affrontare i testimoni in presenza del giudice che deve decidere la causa, violazione dovuta al fatto che le osservazioni del giudice chiamato a decidere, sul comportamento – le reazioni del teste, il tono della sua voce, la mimica e la gestualità – e quindi sulla credibilità di un testimone, possono avere conseguenze sul destino dell’imputato quando la testimonianza arrivi ad essere un elemento probatorio fondamentale per la decisione.

Secondo i giudici di Strasburgo il fatto che la Corte Suprema pur essendo nella possibilità di rinviare la causa ad un tribunale di grado inferiore (cosa che nel caso di specie era in conformità con le disposizioni del codice di procedura penale in vigore all'epoca dei fatti) non lo abbia fatto ha determinato una sostanziale riduzione del diritto di difesa del ricorrente.

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La Corte ha ribadito che uno dei requisiti per un processo equo è che l’imputato abbia la possibilità di confrontarsi con i testimoni alla presenza di un giudice chiamato a decidere la causa, poiché l’osservazione diretta da parte del giudice dell’atteggiamento e della credibilità di un determinato testimone può essere determinante per

l’accusato e per la stessa cognizione giudiziale156.

3.3.1 L’obbligo di rinnovazione d’ufficio delle prove

dichiarative in caso di overturning

Ciò che di nuovo ha portato la sentenza Hanu rispetto alla precedente (Dan) è la previsione di un obbligo di rinnovazione officiosa della prova dichiarativa ogni volta in cui il giudice si prospetti la possibilità di ribaltamento dell’esito assolutorio sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa. Altrimenti il diritto di difesa “patisce una lesione, in quanto si nega il diritto alla valutazione affidabile della prova testimoniale, garantito pienamente solo dal rispetto del principio di oralità”.

In particolare la corte afferma che tale obbligo sussiste:

1) quando il giudice di seconda istanza ha pieni poteri in ordine alla

valutazione della responsabilità dell’accusato, con integrale cognizione del fatto e del diritto;

2) quando l'accertamento della responsabilità avviene attraverso la

rivalutazione cartolare dei soli contenuti della testimonianza, a prescindere da ogni analisi dei dati comunicativi impercettibili da una lettura delle carte;

156 Nella sentenza in esame, la Corte EDU rimanda, in tema di “diritto al confronto” alle cause P.K. c. Finlandia ricorso n. 37442/97, sent. 9 luglio 2002; mutatis

mutandis, Pitkänen c. Finlandia, ricorso n. 30508/96, §§ 62-65, sent. 9 marzo 2004;

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3) ed infine, quando la nuova valutazione risulta decisiva per la

sentenza di condanna arrivando a fondare l'overturning della decisione di primo grado, allora il diritto di difesa subisce sicuramente una lesione, in quanto si nega all'accusato il diritto alla valutazione della prova orale da parte del giudice chiamato a decidere, con violazione del contraddittorio e dell’immediatezza, quindi si violano le garanzie dell’equo processo sancite dall’articolo 6 § 1 della Convenzione EDU.

Quando ricorrono tali circostanze anche nel caso in cui l’imputato non si sia attivato per ottenerne la rinnovazione “i tribunali hanno l’obbligo rinnovare la prova dichiarativa per emettere una condanna per la prima volta in appello” perciò “la nuova audizione dei testimoni finalizzata alla valutazione della loro attendibilità è misura che deve essere presa d’ufficio anche senza la istanza di parte”157

Quindi la Corte europea, nelle pronunce più recenti, precisa espressamente che, nei casi ora illustrati, la riassunzione dei testimoni escussi in primo grado deve essere disposta dal giudice anche se manchi la richiesta dell’imputato, superando così un proprio pregresso

orientamento158, che, viceversa, la reputava necessaria.

La CEDU prevede, pertanto, un vero e proprio dovere in capo all’organo giudicante in ordine alla rinnovazione della testimonianza decisiva ai fini dell’overturning in fase di appello della sentenza di proscioglimento o assolutoria159.

157 Dănilă v. Romania , n. 53897/00 , sent. 8 marzo 2007, al § 41 in cui la corte aveva già precedentemente, alla sentenza Hanu, stabilito l’obbligo di rinnovazione ex officio in mancanza di iniziativa della parte.

158 CEDU, Destrehem c. Francia, ric. n. 56551/00 sent. 18 maggio 2004 §45.

159 CEDU, ric. n. 36605/2004, Manolachi c. Romania, sent. 5 marzo 2013, in «www.dirittopenalecontemporaneo.it» con nota di S. RECCHIONE, La prova

dichiarativa cartolare al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, del 07

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