CAPITOLO 3 I POTERI ISTRUTTORI DELLE COMMISSION
3.6 Abrogazione 3° comma
Con disposizione inserita nel Decreto Legge 30 settembre 2005 n. 203 dalla legge di conversione 2 dicembre 2005 n. 248, il comma 3 dell’articolo 7 del D.lgs., 546/92 è stato abrogato.
La norma stabiliva: “E’ sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia”.
La disposizione abrogata consentiva alla Commissione tributaria di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia. Come per i poteri istruttori previsti dai primi due commi, era un’insindacabile decisione del giudice, indipendente dalla richiesta delle parti, e l’ordine non poteva essere rivolto a terzi. Era un potere riconducibile ai profili inquisitori del processo tributario.
L’ordine di esibizione costituiva il potere più utilizzato dalle Commissioni tributarie. Infatti, dall’analisi della giurisprudenza successiva all’emanazione del D.lgs. 546/92, non si ravvisano pronunce inerenti l’utilizzo di poteri di accesso, richiesta dati e chiarimenti, ma solo relative all’ordine di esibizione. Il legislatore, abrogando il 3° comma dell’art. 7 D.lgs. 546/92, ha voluto rafforzare il carattere dispositivo del processo tributario, per cui se «la rilevanza pubblicistica dell’obbligazione tributaria giustifica pienamente i penetranti poteri che la legge conferisce all’amministrazione nel corso del procedimento destinato a concludersi con il provvedimento impositivo, certamente non implica affatto, ne consente, che tale posizione si perpetui nella successiva fase giurisdizionale e che, in tal modo, sia contaminata l’essenza stessa del ruolo del giudice facendone una sorta di longa manus dell’amministrazione: in particolare, attribuendo al giudice poteri officiosi che, per la indeterminatezza dei presupposti del loro esercizio (o non
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esercizio), sono potenzialmente idonei a risolversi in una vera e propria supplenza all’amministrazione»42.
Si voluto, evidentemente, in tal modo affievolire ulteriormente il contenuto inquisitorio del processo tributario.
Secondo l'orientamento dominate della giurisprudenza il potere di ordinare in qualsiasi momento alle parti il deposito di documenti doveva essere un potere non sostitutivo dell'onere probatorio delle parti ma integrativo e, quindi, esercitabile solo nei casi in cui la parte non avesse potuto produrre la prova per fatti a essa non imputabili.
Ma la formulazione alquanto generica della norma aveva dato adito ad interpretazioni estensive, tanto da arrivare a sostenere che il giudice tributario avesse l'obbligo, e non la facoltà, di acquisire d'ufficio le prove in caso di inerzia delle parti, stravolgendo il sistema degli oneri probatori.
Pertanto, il legislatore, nell'intento di ridimensionare i poteri del giudice tributario, ha abrogato tale disposizione, «eliminando così ogni possibile limitazione al principio di legalità consacrato sul piano probatorio dall'art. 2697 del codice civile che impone la dimostrazione, da parte di chi esercita lo ius impositionis, dei presupposti di fatto del credito fiscale controverso e, da parte del soggetto passivo, dell'esistenza di evenienze estintive e/o modificative dell'obbligazione tributaria dedotta in lite.»43
Tuttavia, tale abrogazione è una scelta che appare discutibile sotto molti punti di vista44.
L’abrogazione della norma, infatti, non produce gli stessi effetti di un divieto espresso, ed inoltre non si vede perché non possa essere acquisito d’ufficio il documento indispensabile per la decisione che la parte non abbia potuto
42Corte Costituzionale 19 marzo 2007 n.109 43 Cass. 11/01/ 2006 n. 366
44Cesare Glendi in un articolo apparso sul Sole 24 Ore del 28novembre 2005, si chiede, infatti, se
valeva la pena eliminare tale facoltà con ilsicuro effetto di aumentare pericolosamente la forbice tra la “verità materiale”e “l’esito virtuale”, frutto perverso di regole preclusive demandate alla meradiligenza delle parti.
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produrre per colpa alla stessa non imputabile, perché in possesso della controparte che non lo ha reso disponibile, o per altri motivi.
È stato ritenuto che l’abrogazione ha sottratto al giudice il potere di ripristinare, di fatto, la parità delle armi nell’interesse del contribuente, nel contesto in cui l’Amministrazione finanziaria non si costituisca in giudizio o, pur costituendosi, non produca i documenti che sono nella sua disponibilità e sui quali ha fondato l’atto di accertamento.
Tutto questo poiché il potere di cui all’abrogato terzo comma dell’art. 7, nonostante astrattamente indirizzabile in maniera oggettiva nei riguardi delle parti, di fatto ricadeva sull’Amministrazione finanziaria, quindi sulla parte pubblica, e non sul contribuente, il quale ha tutto l’interesse di depositare in giudizio tutti documenti in suo possesso ai fini della difesa.
Alcuni interpreti, anche dopo l’abrogazione della norma, hanno continuato a sostenere la possibilità, per il giudice tributario, di ordinare alle parti l’esibizione di documenti, in quanto tale potere sarebbe comunque attribuito da altre norme.
In questo contesto, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 109 del 29 marzo 2007, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 1, del D.lgs. 546/92 nella parte in cui non prevede tra i poteri istruttori delle Commissioni tributarie quello di ordinare alle parti, pur nei limiti dei fatti dedotti, di produrre documenti necessari ai fini della decisione.
L’eccezione in incostituzionalità era stata sollevata in relazione al comma 1 dell’art. 7, poiché la permanenza di tale disposizione, che attribuisce poteri molto ampi alle commissioni tramite il rinvio generico agli stessi poteri e facoltà consentite all’Amministrazione, sembrerebbe incoerente con l’abrogazione del comma 3. Tuttavia la Consulta precisa che «è impensabile una riviviscenza, sotto le spoglie di una interpretazione estensiva del disposto
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dell’articolo 7, comma 1 del D.lgs. 546/92, del soppresso potere di ordinare il deposito di documenti necessari per la decisione».
Tuttavia, col la stessa sentenza n. 109 del 29 marzo 2007, la Corte Costituzionale ha specificato che «il carattere non esaustivo della disciplina dell’istruzione probatoria contenuta nell’articolo 7 impongono di ritenere che la produzione di documenti, oltre che spontanea, possa essere ordinata a norma dell’articolo 210 del c.p.c.», quindi ad istanza di parte, ed anche nei confronti di terzi.
Con la circolare 13/3/2006 n. 10, anche l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’abrogazione dell’ordine di esibizione «va interpretata nel senso che il potere istruttorio di ordinare il deposito di documenti può essere esercitato dal giudice tributario soltanto a seguito dalla preventiva istanza di una delle parti processuali e non più, come in precedenza, d’iniziativa della stessa commissione».
Si ritiene allora applicabile, anche per effetto della norma generale di rinvio di cui all’articolo 1 del D.lgs. 546/92, l’articolo 210 del c.p.c., in assenza di una disposizione specifica e di evidenti motivi di incompatibilità.
L’art. 210 c.p.c. prevede che: “Negli stessi limiti entro cui può essere ordinata a norma dell’art. 118 l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo”.
La produzione di documenti può quindi essere ordinata, a norma dell’art. 210 c.p.c., anche nei confronti di terzi, e l’esigenza di una istanza di parte affinché il giudice possa ordinare l’esibizione di documenti è coerente con il principio dispositivo che il legislatore vuole che governi il processo tributario e vale ad escludere in radice per il giudice ogni ruolo di supplenza della parte inerte, sia essa l’Amministrazione o il contribuente.
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Inoltre l’ordine di esibizione deve apparire indispensabile per conoscere i fatti della causa, in virtù del rinvio all’art. 118 c.p.c.45.
L’ordine di esibizione deve avere come oggetto un documento ben individuato, relativo ad una prova, o ad un principio di prova già fornito dalla parte, non disponibile, perché non spontaneamente prodotto, o in possesso dell'altra parte e purché sia ritenuto indispensabile per la decisione della causa. L’esibizione a norma dell’art. 210 c.p.c. non può comunque essere disposta per supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante.
Sul piano probatorio, la mancata ottemperanza all’ordine di esibizione non comporta, di per sé, la soccombenza della parte inottemperante, ma è considerata come la manifestazione di un comportamento dal quale il giudice può desumere argomenti di prova ai sensi dell’articolo 116, comma 2, del c. p. c., anche se il rifiuto può essere significativo solo se non adeguatamente motivato, oppure in quanto mero inadempimento.
Sempre con la sentenza della Corte Costituzionale n. 109 del 19 marzo 2007, è stato riconosciuto che «il giudice ha il potere, nei confronti di pubbliche amministrazioni diversa da quella che è parte del giudizio davanti a lui pendente, di chiedere informazioni o documenti ai sensi dell’art. 213 del codice di procedura civile, e cioè attivarsi in funzione di chiarificazione dei risultati probatori prodotti dai mezzi di prova dei quali si sono servite le parti».
L’art. 213 c.p.c. stabilisce che: “Fuori dei casi previsti negli arti. 210 e 211, il giudice può richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo”.
45L’art. 210 c.p.c. prevede che l’ordine di esibizione può essere adottato nei limiti in cui può essere
eseguita l’ispezione di persone e di cose ex art. 118 c.p.c., la quale può essere disposta solo se indispensabile per conoscere i fatti della causa
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Con il richiamo all’art. 213 c.p.c. la Corte costituzionale non intendeva sostenere l’utilizzabilità del potere d’ufficio al Giudice anche nei confronti della stessa Amministrazione parte del processo.
Pertanto, con l’applicazione dell’art. 213 c.p.c., il giudice potrebbe, anche d’ufficio, acquisire informazioni scritte dal una Pubblica Amministrazione terza rispetto al processo.
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