POTEREDI DISAPPLICAZIONE DEI REGOLAMENTI E
DEGLI ATTI GENERALI
6.1 Il potere di disapplicazione
Ai sensi del comma 5 dell’art. 7 del D.lgs. 546/92, il giudice tributario può disapplicare, se li ritiene illegittimi, i regolamenti e gli atti amministrativi generali.
L’importanza assunta da questa disposizione è connessa alla crescente estensione delle ipotesi in cui sono attribuite, dalla legge primaria, competenze normative secondarie agli organi dell’Esecutivo o agli Enti locali, per il processo di delegificazione.
Il potere di disapplicazione rientra nella cosiddetta “cognizione incidentale” del giudice, posto che sul capo di sentenza relativo alla disapplicazione, non si forma un giudicato opponibile in altre giurisdizioni.
La sentenza con la quale è dichiarata l’illegittimità dell’atto impugnato per essere stato ritenuto illegittimo, in via incidentale, l’atto generale che ne costituisce il presupposto, fa stato tra le parti, ma l’eventuale giudicato non riguarderà l’atto disapplicato, in quanto investe soltanto l’atto impugnato riconducibile alla giurisdizione delle Commissioni tributarie.
Pertanto, la declaratoria di disapplicazione, ad esempio, di un regolamento, non toglie validità allo stesso, a differenza di quanto sarebbe potuto accadere se della questione fosse stato coinvolto il giudice amministrativo.
La legittimità dell’atto generale o del regolamento può essere sindacata in via principale soltanto dal giudice cui è riservata la giurisdizione, cioè dal giudice amministrativo, che ha il potere di annullamento.
Il potere di cui all’art. 7, 5° comma, comporta, quindi, che le Commissioni tributarie, potranno decidere la controversia come se l’atto che si ritiene
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illegittimo non esistesse, senza alcun effetto o conseguenza all’esterno della medesima controversia.
La potestà di disapplicazione non è circoscritta ai soli regolamenti o agli atti amministrativi illegittimi, in quanto il giudice può disapplicare anche: le sanzioni tributarie, qualora vi sia obiettiva incertezza amministrativa; le norme di diritto interno, ove vi sia contrasto con il diritto comunitario.
6.2 Disapplicazione dei regolamenti e degli atti amministrativi
Nel caso in cui la pretesa fiscale dipenda dalle situazioni contenute in un regolamento o in un atto amministrativo generale, il contribuente non deve necessariamente sindacare quest’ultimo dinanzi alla giustizia amministrativa. Il contribuente, quindi, non dovrà impugnare innanzi il giudice amministrativo l’atto generale che costituisce il presupposto dell’atto impositivo, ma nell’impugnazione di quest’ultimo innanzi al giudice tributario può invocare l’illegittimità dell’atto generale come mezzo al fine dell’annullamento dell’atto impositivo, che deve essere pronunciato qualora la Commissione, ritenendo l’atto generale illegittimo, lo disapplichi.
Infatti, è attribuito al giudice tributario il potere di disapplicare l’atto amministrativo generale o il regolamento da cui dipende la fattispecie impositiva. Tale potestà è attribuita, appunto, dal comma 5 dell’art. 7 del D.lgs. 546/92, secondo cui “le Commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente”.
A titolo esemplificativo, la Commissione tributaria può disapplicare, se illegittimi: i decreti di irregolare funzionamento degli uffici; i decreti di revisione degli estimi catastali; le delibere comunali in tema di TARSU.
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6.3 Disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza normativa
Ai sensi dell’art. 8 del D.lgs. 546/92, in presenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma fiscale, la Commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalla legge.
Tale norma è espressione di un principio giuridico generale59, correlato ad altre disposizioni quali60:
▪ l’art. 6 del D.lgs. 472/9761, secondo cui “non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e il pagamento”;
▪ l’art. 10, comma 3, dello Statuto dei diritti del Contribuente, per effetto del quale “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito d’imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria”.
La violazione, dunque, deve essere frutto di erronea interpretazione della normativa derivante da obiettive condizioni di incertezza.
La richiesta di disapplicazione delle sanzioni deve, a titolo cautelativo, essere formulata dal contribuente in sede di stesura del ricorso introduttivo.
59Principio di scusabilità dell’errore del contribuente causato dalla oggettiva incertezza sulla
interpretazione della legge tributaria
60CISSELLO A. - SAGGESE P., Contenzioso tributario, op. cit., Milano, 2013, pag. 329
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Ciò premesso, secondo l’opinione prevalente in dottrina, il giudice tributario, in presenza di obiettive condizioni di incertezza, potrebbe procedere d’ufficio alla disapplicazione delle sanzioni.
La giurisprudenza, invece, si è espressa in maniera contrastante in merito alla necessità, ai fini della disapplicazione, dell’istanza di parte.
Oggetto della disapplicazione sono le sanzioni amministrative tributarie, cioè le sanzioni non penali previste per la violazione di disposizioni tributarie, applicate dall’Amministrazione finanziaria con un separato provvedimento di irrogazione delle sanzioni o con lo stesso atto di imposizione.
L’art. 19 del D.lgs. 546/92 stabilisce che ogni atto impositivo può essere impugnato solo per vizi propri. In base a ciò, la richiesta di disapplicazione può essere avanzata dal contribuente, nel caso di sanzioni irrogate unitamente all’avviso di accertamento, in sede di ricorso contro tale atto, e non nel gravame contro la successiva cartella di pagamento.
L’analisi della giurisprudenza ha chiarito l’ambito di applicazione della obiettiva incertezza, che giustifica la disapplicazione delle sanzioni tributarie. Quali fatti sintomatici dell’obiettiva incertezza la Cassazione rammenta: la mancanza di precedenti giurisprudenziali o di una prassi amministrativa; la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; il contrasto tra opinioni dottrinali.
In sostanza, ogni volta che l’accertamento giudiziale, secondo il libero apprezzamento del giudice, consente di verificare la sussistenza della buona fede del contribuente causata, non dalla mera ignoranza, ma da circostanze qualificate e ragionevoli, la Commissione tributaria deve disapplicare le sanzioni.
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La funzione dell’istituto è, quindi, quella di correggere il sistema tributario, caratterizzato da una normativa oscura e contraddittoria62, attuando un meccanismo di autotutela che esclude l’applicazione delle sanzioni non penali, sulla base dell’interesse pubblico alla non punibilità di illeciti determinati da circostanze oggettivamente non imputabili al contribuente.
Trattasi di un principio di valenza costituzionale, rintracciabile nella giurisprudenza della Corte Costituzionale che afferma l’esistenza di un valore costituzionale comportante la chiarezza normativa e la certezza nell’applicazione del diritto.
6.4 Disapplicazione delle leggi per contrasto con il diritto comunitario
Il giudice nazionale può disapplicare le norme di diritto interno qualora contrastino con il diritto comunitario.
Tale principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale con varie sentenze ove è stato specificato che le statuizioni della legge interna configgenti con il diritto comunitario possono essere disapplicate dal giudice.
Le norme di diritto comunitario a cui viene fatto riferimento sono i regolamenti e le statuizioni risultanti dalle sentenze della Corte di giustizia, oltre alle direttive sufficientemente particolareggiate e che contengono l’indicazione del termine ultimo, entro il quale gli Stati membri devono adottare la legislazione interna di recepimento, qualora il termine sia scaduto inutilmente. Se però la norma statale di recepimento della direttiva comunitaria si discosta nel contenuto da questa, va ugualmente disapplicata, in quanto viola un principio fondamentale del trattato comunitario.
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