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L'attività istruttoria delle Commissioni tributarie in appello

CAPITOLO 7 POTERI DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE IN GRADO

7.2 L'attività istruttoria delle Commissioni tributarie in appello

Secondo l'art. 58 del D.lgs. 546/92 "Il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti".

L'articolo in commento dispone che in grado di appello non possono disporsi nuove prove salvo ricorrano particolari circostanze, cioè necessità della prova ai fini della decisione e impossibilità per la parte, per causa a lei non imputabile, di dedurla in primo grado, ed è impregiudicata la facoltà di produzione di nuovi documenti.

63AYROLDI G., Poteri istruttori del giudice tributario (art. 7 D.lgs. 546/92), op. cit., in

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In dottrina si rileva come tale ultima facoltà tende a mitigare il rigore del divieto di nuove prove, riconoscendo il ruolo fondamentale che la prova documentale assume nel giudizio tributario64.

Le eccezioni al generale divieto di nuove prove si possono così riassumere:  sono ammissibili solo quelle nuove prove ritenute necessarie ai fini

della decisione, cioè quelle sole prove che costituiscono l'unico mezzo idoneo ad accertare la sussistenza dei fatti controversi non sufficientemente provati. Quindi la necessità della prova ai fini della decisione significa idoneità del mezzo istruttorio a provare i fatti, ma anche infungibilità rispetto ad altri mezzi probatori che la parte aveva l'onere di fornire;

 sono ammissibili quelle sole prove che la parte dimostra di non aver potuto produrre in primo grado per causa ad essa non imputabile. Trattasi di una sostanziale rimessione in termini, ma che la dottrina rileva essere difficilmente configurabile e raramente applicata i quanto nel giudizio tributario sono escluse quelle prove come la testimonianza o il giuramento per le quali tale circostanza potrebbe verificarsi, mentre più verosimilmente la previsione dell'impedimento scusabile dovuto ad una causa non imputabile potrebbe ricorrere per la richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti;

 è sempre ammissibile la produzione di nuovi documenti in appello, ma tale facoltà si pone sempre in relazione ai limiti imposti dal divieto, di cui all'art. 57, di proporre nuove domande. La produzione di nuovi documenti sarà ammissibile se è finalizzata a dimostrare l'infondatezza delle domande ed eccezioni già proposte in primo grado e non anche a provare la fondatezza di domande nuove od eccezioni nuove non

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rilevabili d'ufficio, sicché in tal caso i nuovi documenti dovranno essere dichiarati inammissibili.

Il divieto di disporre nuove prove non è derogabile dalla volontà delle parti e l'eventuale proposizione di istanze per nuovi accertamenti e nuove acquisizioni, fuori dai limiti consentiti, deve essere respinta anche d'ufficio. Prova nuova in appello equivale a prova non dedotta in primo grado. La prova dedotta è quella che sia stata ritualmente richiesta dalla parte, indipendentemente dal fatto che poi il giudice di primo grado l'abbia ammessa oppure no. Di conseguenza, la parte che reiteri, in sede di appello, la richiesta della prova non ammessa in primo grado, non incorre nella preclusione di prova nuova. Il giudice di appello dovrà, quindi, se ritiene di doversi discostare dall'orientamento assunto dalla Commissione tributaria provinciale, ammettere la prova richiesta senza verificare le condizioni poste dall'art. 58 per l'ammissione di nuove prove.

Il problema che si pone con riguardo all'art. 58 è se prove nuove, che il giudice non può disporre, siano anche quelle corrispondenti ai poteri istruttori previsti dai primi due commi dell'art. 765

Nel processo tributario, non essendo ammessi come mezzi di prova né il giuramento, né la prova testimoniale, e potendo produrre nuovi documenti anche in appello, la preclusione di prove nuove riguarda solo quegli accertamenti descritti nell'art. 7 del D.lgs. 546/92, ai primi due commi, i quali sono oggetto di un potere discrezionale del giudice.

In sostanza, le attività istruttorie consentite alle Commissioni tributarie in appello sono, oltre alle prove documentali, quelle previste dall'art. 7, e cioè:

 le facoltà di accesso conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta;

65AYROLDI G., Poteri istruttori del giudice tributario (art. 7 D.lgs. 546/92) op. cit., in

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 le facoltà di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta;

 richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il corpo della guardia di finanza;

 disporre di consulenza tecnica.

Al riguardo, sono ritenuti mezzi di prova l'accesso, o l'ispezione giudiziale, ed anche l'ordine di esibizione di documenti alla parte o al terzo previsto dall'art. 210 c.p.c (applicabile a seguito dell'abrogazione del 3° comma dell'art. 7 D.lgs. 546/92).

Non sono ritenuti, invece, mezzi di prova la richiesta di informazioni alla Pubblica Amministrazione di cui all'art. 213 c.p.c, corrispondente alla facoltà della Commissione tributaria, sia provinciale che regionale, di richiedere dati, informazioni e chiarimenti, e la facoltà della Commissione tributaria di richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'Amministrazione pubblica. Sicuramente non è un mezzo di prova la consulenza tecnica.

In conclusione, il divieto posto dall'art. 58 riguarda solo, tra i poteri istruttori delle Commissioni tributarie disciplinati dall'art. 7, quelli ai quali si riconosca la natura di mezzi di prova, cioè la facoltà di accesso e l'ordine di esibizione di documenti alla parte o al terzo.

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CONCLUSIONI

La Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione, riconoscendo l’esistenza di una disparità di poteri fra le parti in causa, con varie sentenze che si sono susseguite in questi ultimi anni, stanno cercando di dare attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’articolo 111 della Costituzione, per garantire l’effettivo principio della parità delle armi processuali, nonché l’effettività del diritto di difesa.

Si può affermare, tuttavia, che nella pratica non si riscontra una piena attuazione di questi principi, per cui il contribuente viene a trovarsi spesso in una condizione di debolezza processuale rispetto all’Amministrazione finanziaria. Questo, soprattutto, con riferimento agli ampi poteri istruttori offerti all’Ente impositore e perché raramente i poteri istruttori delle Commissioni Tributarie vengono esercitati su richiesta del contribuente. Il contribuente risulta essere la parte più debole del processo tributario, proprio per i minori poteri istruttori che esso ha, in quanto il giudice tributario non cerca la verità ma si basa solo su ciò che le parti hanno proposto per supportare le loro tesi.

In questo contesto, i poteri attribuiti alle Commissioni tributarie dall'art. 7 del D.lgs.546/92 sono finalizzati a ridurre questa disparità tra le parti e garantire così i principi del "giusto processo".

L'intervento officioso del giudice, come ampiamente esposto, deve aversi in tutti quei casi in cui non vi siano lacune istruttorie derivanti da negligenze delle parti in causa. Per fare questo il giudice deve avere la facoltà di avvalersi di tutti quei poteri istruttori che ritiene più opportuni alla ricerca della verità, in via del tutto discrezionale. Tale discrezionalità dovrà essere garantita dall’assoluta assenza di sollecitazione esterna, tanto della parte privata, quanto della parte pubblica.

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Il vero problema appare quindi proprio la definizione di terzietà del giudice, ovvero del vincolo del giudice di garantire l’equilibrio tra le parti in causa, cioè la sua terzietà nel giudicare se la mancanza di prove dedotte in giudizio sia legata a mera negligenza delle parti o dovuta ad altri motivi che lo obbligherebbero a ricercare anche aliunde ogni elemento di prova valido per il suo convincimento nel giudizio.

Il giudice tributario, ad ogni modo, non deve correre il rischio di trasformarsi in organo attivo dell’Amministrazione finanziaria, ma nemmeno limitarsi a ricercare la verità solo attraverso la documentazione proposta dalle parti se tale documentazione lo allontana dal pronunciarsi in modo ragionevolmente motivato.In entrambi i casi, il giudice rischia di perdere irrimediabilmente la sua terzietà nel giudicato, in lesione del diritto costituzionalmente garantito dall’art. 111.

È in questa situazione che è auspicabile un intervento legislativo, essendo allo stato attuale non garantita l’opportunità che il giudice proceda in modo officioso al reperimento delle prove per i fatti dedotti in giudizio, vista la divergenza di giudizi che tale vuoto legislativo ha creato a livello tanto dottrinario che giurisprudenziale.

È stato, inoltre, criticamente rilevato come nel processo tributario, permanga uno sbilanciamento della posizione processuale delle parti. Infatti la parte pubblica è favorita in giudizio rispetto al contribuente potendo utilizzare dichiarazioni testimoniali rese da terzi in sede di controlli e verifiche, in quanto recepiti nei processi verbali di constatazione ed ai quali l’ufficio rinvia per relationem ai fini motivazionali dell’atto accertativo, mentre rimane preclusa al contribuente la possibilità dell’utilizzo delle prove orali espressamente vietate nel processo tributario, con la conseguente violazione del principio di difesa e della parità delle armi processuali.

Non solo, l’esclusione del giuramento e della prova testimoniale prevista dall’art. 7 del D.lgs. 546/92, e già indicata nell’art. 35 D.P.R. n. 636/1972,

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come modificato dal D.P.R. n. 739/1981, rende evidente la perpetuazione del legislatore nel mantenere il processo tributario essenzialmente un processo a carattere documentale.

Tale impostazione ormai non è più condivisa dalla dottrina maggioritaria, che richiede da tempo un allineamento ed adeguamento del processo tributario al pari delle altre giurisdizioni, soprattutto per il monito autorevole e sovraordinato della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della CEDU. Gran parte della dottrina, infatti, continua a dubitare della legittimità costituzionale del divieto della prova testimoniale, soprattutto in relazione al novellato articolo 111 della Costituzione in cui si afferma il fondamentale principio del giusto processo.

Da più parti si propone da tempo di eliminare dal contenzioso tributario il divieto di testimonianza per parificare il ruolo del processo a quello degli altri giudizi. L’apertura a questo mezzo orale garantirebbe appieno il rispetto del principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale per evitare sospetti di incompatibilità europea della norma.

Non da ultimo desta perplessità la scelta di riservare ad organi della Pubblica amministrazione la stesura delle relazioni previste dal comma 2 dell’art. 7 D.lgs. 546/92, considerando le ombre di non imparzialità che tali organi vengono inevitabilmente a proiettare sul giudizio. Tuttavia, la posizione del contribuente risulta comunque in parte tutelata dalla facoltà di nominare un proprio esperto che affianchi l’organo pubblico nell’espletamento dell’incarico e, più in generale, dalla possibilità di invocare le garanzie previste dal codice di procedura civile in materia di consulenza tecnica.

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