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3.2 “Albero senza radici, berretto senza testa” Ricezione popolare di simboli e ideali rivoluzionari:

5. CAPITOLO Sistemi di sociabilità e frequentazioni di patrioti nella Pisa di fine Settecento;

5.2. L'Accademia dei Polentofag

Il precedente paragrafo sui gabinetti dei lettura ha segnalato una frequentazione comune dei due negozi pisani incriminati come sede di circoli democratici. Si tratta di una combriccola di giovani intellettuali che si erano riuniti in una strana Accademia, detta dei Polentofagi. Pare che l’ispirazione per il nome sia nata nella casa del dottor Francesco Masi, medico livornese dove i letterati erano soliti riunirsi e mangiare un piatto di polenta di castagne366.

Questa strana associazione prese forma in un contesto popolato da numerose altre istituzioni accademiche, sviluppatesi a Pisa tra la fine del Diciassettesimo e metà del Diciottesimo secolo. La più famosa tra queste è la Colonia Alfea, ramo provinciale dell’Arcadia romana, accolita di letterati riuniti all’insegna della semplicità e uguaglianza rappresentate dalla metafora dei pastori, secondo un universo simbolico da Capriccio settecentesco. All’interno di queste istituzioni i componenti si dedicavano alle composizioni e agli esercizi letterari, e man mano che la dimensione educativa e utilitaristica propria dell’illuminismo prendeva piede, al loro interno venne promosso anche lo studio delle scienze speculative e applicate367. Tuttavia, nonostante l’egualitarismo teorico, questi rimanevano

ancora circoli piuttosto esclusivi, aperti principalmente alle componenti più istruite e benestanti del Paese, all'interno delle quali le attività compositive e speculative seguivano canoni piuttosto rigidi. Il patrocinio statale, componente essenziale alla base del rilancio delle Accademie a partire del Diciassettesimo secolo, concorreva a mantenere l'oggetto degli studi accademici ben lontano da argomenti legati alla politica o alla critica sociale. L'unione dei Polentofagi sembra invece sorgere proprio in rivolta agli stretti canoni formali e concettuali imposti dalla tradizione aulica delle altre istituzioni culturali. Questa vocazione

verrà messa in rima in una composizione di Giovan Domenico Anguillesi368, che

accompagnava il nome scelto dalla congrega, in evidente scherno alle imprese369

366v. F. TRIBOLATI, op.cit.;

367V. E.W. COCHRANE, Tradition and Enlightenment in the Tuscan Academies (1690-1800), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1961;

368V. A.ADDOBBATI, La contessa Mastiani Brunacci e il suo salotto, in a.c. di P. COPPINI, L’Università di

Napoleone, Edizioni Plus, Pisa,2004, pp.72-73;

369Quella delle imprese era una caratteristica tipica delle Accademie cinquecentesche e consisteva nell’adozione da parte di ciascuna istituzione di una figura e di un motto che diventasse il contrassegno

tipiche della tradizione accademica cinquecentesca. I poeti annunciavano infatti che:

Dei pedanti il dotto orgoglio/Lungi sta da queste mura;/qua non vanta spettro o soglio/l’accademica impostura.

A differenza degli alfei, in questo circolo il soggetto di diverse composizioni avrà infatti modo di improntarsi maggiormente ad una critica della società, e propenderà spesso per una forte vena satirica nell’espressione. Un esempio lo troviamo nella critica al clero che impregna le novelle in stile bernesco pubblicate, sotto pseudonimo370da due dei componenti, il Batacchi e il De

Coureil. A esser presi di mira sono spesso i costumi eccessivamente liberi di sacerdoti e monaci, assieme alla loro estrema ignoranza e alla scarsissima vocazione. Che le attività e le discussioni della nuova associazione si legassero inoltre molto più direttamente ad un’attualità sconvolta dai recenti avvenimenti della Rivoluzione francese, lo testimonia con evidenza il dissolvimento del gruppo nel 1793, seguito dall’espulsione dal granducato di uno dei suoi membri, il De Coureil371, considerato responsabile della stampa di scritti sediziosi fatti

stampare a Pescia presso il libraio Bartolini.

Giovanni Salvatore De Coureil, d’origine provenzale, ma cresciuto in Toscana, si era dedicato alla composizione e allo studio delle lettere, trovandosi poi a doversi mantenere con traduzioni e lezioni di lingua inglese372. Una celebre

dell’associazione, istituzione o personalmente di un membro, v. E. W. COCHRANE, Tradition and enlightenment, op.cit., pp.4-5 In questo caso la figura scelta dai componenti dell’Accademia e’ un desco con un monticello di Polenta, mentre il motto che l’accompagna e spiega viene composto in versi; 370Evidentemente lo pseudonimo era stato ideato per evitare guai con la censura; il titolo dell'opera è

Novelle di Padre Atanasio da Verrocchio e Agapito da Ficheto, una copia è disponibile alla consultazione presso la BUP, F n. 9. 24;

371Non esiste una voce del DBI dedicata al De Coureil, lo troviamo però citato in diverse antologie letterarie del Settecento, tra le quali, quella che gli dedica un maggior spazio e l’opera di C. DIONISOTTI, Ricordi della scuola italiana, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1998, pp.115 e segg.; il PERA parla di una raccolta autobiografica del poeta, intitolata La storia della mia vita, in possesso dei discendenti del letterato ma non mi è stato possibile ricostruire dove si trovi adesso, v. Curiosita livornesi, op.cit., p 430; 372Il poeta aveva coltivato in giovane età una passione per la letteratura inglese, e si trovò a difendere in diverse dispute letterarie un tragediografo allora comunemente disprezzato per l’irregolarità dello stile, noto come William Shakespeare. Da un passo tratto dalle novelle scritte in parte da lui e in parte dal Batacchi e pubblicate con gli pseudonimi di Padre Atanasio da Verrocchio e padre Agapito da Ficheto sappiamo che diffuse tra gli amici poeti anche lo Swift e fu amante di Alexander Pope precedendo l’apprezzamento di cui questi autori godranno in Italia solo in epoca romantica, probabilmente influenzato dal più vecchio e celebre Lorenzo Pignotti, cattedratico di fisica all’Ateneo di Pisa dal 1775,

conoscenza del nostro poeta fu Vittorio Alfieri, per amor del quale il de Coureil si farà trascinare, diversi anni dopo la morte del tragediografo, in una diatriba letteraria con Giovanni Carmignani, allora uno dei più stimati intellettuali in circolazione tra Pisa e Firenze. Dell'opera dell'astigiano il nostro poeta tesserà sempre le lodi, seppur non risparmiandogli qualche critica stilistica. Si vanterà a più riprese di averne ricevuto una visita durante i soggiorni pisani e di esser

stato onorato con degli incoraggiamenti nel proseguire a comporre373: “benché

non potessimo essere amici per l’avere opinioni troppo diverse”. Visto il noto rigetto delle idee rivoluzionarie avuto dall’astigiano dopo aver assistito ai sommovimenti Parigini che portarono all’arresto del re, a mio avviso sembra probabile che le “opinioni” a cui allude il De Coureil siano di stampo politico. Il giovane letterato infatti sarà noto in città come simpatizzante per i “giacobini” sin dai primi anni Novanta, subirà un primo processo attorno al 1794, e proprio questi sospetti politici concorreranno alla chiusura dell'accademia da parte delle autorità. Nel '99 poi il livornese scriverà un inno per l'erezione dell'albero, e nei processi sarà condannato in contumacia ad un periodo di detenzione a Portoferraio e all'esilio perpetuo. Tornato in Toscana al seguito delle truppe napoleoniche, diventerà poi Segretario del Dipartimento di Stato nel 1800.

appassionato di autori inglesi, che compose un sonetto intitolato L’ombra di Pope nel 1781, e uno sull’ombra di Shakespeare. I membri dell’Accademia infatti si distinguevano da gran parte dei letterati legati allo stile neoclassico per un forte apprezzamento degli autori inglesi e per la propensione ad un gusto che potremmo definire preromantico, e per allora piuttosto all’avanguardia fra gli intellettuali; se il De Coureil probabilmente ne rappresenterà una delle vette più elevate, sappiamo però che anche nel salotto della Cicci questa parlava con l’Anguillesi dei sonetti britannici. Il provenzale fu anche in contatto epistolare con l’abate Cesarotti e da alcune sue missive al celebre letterato si deduce che, data la perenne difficoltà economica abbia domandato al ben più celebre letterato di procurargli degli ordini per le poesie e novelle che era riuscito a farsi pubblicare. Il Cesarotti divenuto celeberrimo per il suo saggio sulla filosofia del gusto, aveva partecipato alla diffusione della cultura anglosassone in Italia cimentandosi in una traduzione dei poemi di Ossian che stavano acquistando sempre maggior fama nel milieu culturale europeo. L’abate aveva scritto nel 1785 un Saggio sopra la lingua italiana, dove ad una purificazione dell’italiano dalle influenze francesi proposta da alcuni intellettuali che iniziavano a fare della letteratura italiana il campo di battaglia per un recupero del patriottismo, opponeva un utilizzo moderato e ragionevole degli strumenti che la cultura francofona poteva offrire per lo sviluppo culturale di un identità nazionale. La sensibilità preromantica non imponeva tuttavia un completo rifiuto di tematiche e composizioni neoclassiche, come testimoniato dall’entusiasmo per l’Alfieri.

373 Pare che il De Coureil e l'Alfieri si fossero incontrati nel '93, prima dell'esilio di quest'ultimo. Il poeta provenzale offrì all'astigiano una copia delle sue poesie per riceverne un giudizio; v. Critici «lillipuziani» e poeti «giganti». Memoria delle polemiche di Vincenzo Monti con Giovanni Salvatore De Coureil, in a.c. di A.COLOMBO, Vincenzo monti e la Francia, Atti del convegno internazionale di studi (Parigi, 24-25 febbraio 2006), pp. 287-313;

Lo scioglimento dell’Accademia374 e il processo di De Coureil, che lo costrinsero

al primo esilio, poi revocato, avvennero durante un'azione di arresto e espulsione di simpatizzanti giacobini ordinato dal Giusti, allora a capo della Polizia granducale, nel maggio del 1794, per timore che dalla Francia si tentasse di organizzare un'opera di proselitismo diretto alla Toscana tramite l'azione di alcuni intellettuali vicini alle idee politiche dei rivoluzionari. Il Commissario di Pisa, a quel tempo già Gherardo Maffei, redasse una: “Nota di quelle persone al

presente commoranti in questa città di Pisa, che nei loro discorsi alle occorrenze hanno fatto comprendere di essere geniali per la Costituzione francese e che da buona parte degl’abitanti [sic] di questa città stessa vengono creduti di partecipare di giacobinismo”, il 9 maggio del 1794. In questo elenco,

oltre al nostro poeta, verranno segnalate alle autorità anche Francesco Slop, figlio del cattedratico di astronomia Giovanni e Luigi Certellini, impiegato nello Scrittoio delle Possessioni e poi membro della Municipalità del ’99, che avevamo già trovato tra i frequentatori del Migliaresi. Entrambi si dimostreranno durante l’occupazione francese effettivamente legati all’ideologia democratica375.

Sulle vicende legate alla denuncia del De Coureil e dei Polentofagi alle autorità

si inserisce lo scontro con il poeta e tragediografo Giovanni De Gamerra376, in

un perfetto esempio dell’asprezza cui potevano giungere le inimicizie personali nel clima di caccia alle streghe promosso dalle autorità. Il livornese, amico del Beccaria e del Metastasio, noto per le composizioni larmoyantes e le convinzioni conservatrici e filo-asburgiche, sarà autore nel 1793 de La Belgia e

la Batavia liberata, composte in onore delle vittorie austriache nei Paesi Bassi

374 Sullo scioglimento da parte delle autorità dell’Accademia dei Polentofagi rimando a C.MANGIO, I

Patrioti toscani, op.cit., p. 81, n. 136;

375 Saranno poi indicati come possibili agitatori il dottor Serafino Maffei, un incisore francese di nome Francesco Ughet, il medico genovese Gaetano Fontana, il fornaio francese Pietro Hinar, lo studente Giuseppe Rossi, membro di un intera famiglia processata nel 1799 e quattro servitori francesi Marco e Simone Jance, Gujot e Manheted ed infine un ebreo segnalato come Del Mare, v. C.MANGIO, I Patrioti toscani, op.cit., p.74; L'indiscussa prevalenza di individui di nazionalità francese conferma la tesi del timore di un complotto ordito da una Francia che aveva da poco ripreso le campagne europee, sotto il pieno controllo dei Montagnard e di Robespierre. In questo contesto, a mio avviso, più che la stampa clandestina degli opuscoli, mi pare probabile che per il De Coureil abbia pesato l'origine, e questo spiegherebbe come mai fu l'unico tra i partecipanti all'Accademia ad essere punito così duramente. 376Per un approfondimento bibliografico sulla figura di Giovanni De Gamerra rimando a R.TURCHI, La

contro le truppe rivoluzionarie. Nello stesso anno, in una lettera diretta ad un amico, diede questo giudizio dei Polentofagi:

conventicola di giacobini di Pisa, il presidente dei quali È un certo de Coureil…. uno sciame di irreligiosi e scellerati, che finora hanno impunemente trionfato a faccia scoperta, anzi alcuni furono installati in regi impieghi377

L’ultimo riferimento era diretto probabilmente a diversi personaggi, come gli impiegati presso lo Studio pisano, Tito Manzi e Leopoldo Vaccà, o Domenico Batacchi, uno dei più attivi membri del sodalizio, che manteneva la numerosa famiglia con un impiego alla Dogana prima di Pisa, poi di Livorno. Nella raccolta di Francesco Pera378, che comprende piccoli stralci delle Memorie

autografe del poeta, troviamo tuttavia la versione del De Coureil in merito a questa vicenda. Il poeta racconta di come dopo aver letto il poema La Belgia e la

Batavia liberate se ne fosse fatto un giudizio piuttosto negativo, espresso poi

con un certo calore:

Produzione più scimunita non ha mai dato il Parnaso italiano. L’invenzione, lo stile, i versi erano tutti del pari cattivi fino alla ridicolezza379.

Il De Coureil si trovò allora con il Certellini, Leopoldo Vaccà e l’Anguillesi al “caffè sotto le sette380” e tutti insieme promulgarono un decreto per prendersi

gioco del tragediografo:

In nome di Apollo e delle Muse, proibivamo al de Gamerra, qualificato da noi col titolo di vituperevole scarabocchiatore di carta, di non far mai più versi in vita sua381.

Nei passi successivi delle sue memorie racconta ancora di come il decreto fu ricopiato da diversi, finché non capitò in mano al De Gamerra stesso, che, inferocito, li denunciò tutti al Tribunale di Firenze come “giacobini faziosi”.

377 Ivi, p.252-253;

378F.PERA, op. cit, pp.431-432; 379Ivi;

380 Caffé situato all'inizio di Borgo Stretto sulla parte destra, dove tutt'ora ci sono le sette colonne; 381 F. PERA, op.cit., p. 432;

Dopodiché i quattro, convocati dal Commissario di Pisa, si difesero dicendo che se le critiche avessero avuto una motivazione politica non avrebbero di certo dato il loro unanime plauso alla Basviliana del Monti, altra opera di simile tenore ma composta da uno dei poeti più reputati del secolo. A quel punto il processo fu lasciato cadere per non luogo a procedere. Il De Coureil racconta poi di come il De Gamerra inviperito avesse tuttavia continuato a cercare un mezzo per vendicarsi, fino a che, corrotto un “procaccino’ di Pescia che portava le missive del provenzale al libraio stampatore Bartolini, entrò in possesso di due opuscoli; uno di questi era la traduzione di un libello in francese di un certo conte di Windisch-Graetz e l’altro un discorso indirizzato al Governo toscano intitolato Facciamoci a parlar chiaro. In entrambi si sosteneva soltanto la necessità di una monarchia costituzionale, ma saranno sufficienti a far decretare la pena d’esilio per il poeta382.

In questo racconto De Coureil riporta tra i compagni che avevano partecipato allo scherzo, il nome del Niccolini, Capitano della Piazza, accusato dalle voci popolari anche lui di giacobinismo. Di questo dice che ebbero assieme “diversi discorsi accademici”, è quindi probabile che facesse parte anche lui dei Polentofagi, forse come lo stesso Leopoldo Vaccà che partecipò alla bravata che gli provocò l’odio del De Gamerra. Anche il Niccolini e il Vaccà saranno nel ’99 processati per giacobinismo. Nel caso di Niccolini, troviamo addirittura delle sanzioni penali estese a tutto il nucleo famigliare. Abbiamo già incontrato infatti uno dei figli, Giuseppe, che durante il ’99, dopo aver militato nella Repubblica Cisalpina pubblicherà un opuscolo già ampiamente citato nel capitolo precedente.

Anche il Peverata pare che frequentasse il circolo di letterati. Secondo la Vicentini fu infatti Giovanni Salvatore de Coureil, giovane intellettuale di origine francese, membro di questo scanzonato sodalizio, ad introdurre il libraio nei circoli democratici383. Lo stampatore era sicuramente entrato in contatto col

provenzale nel 1798, in occasione della stampa del suo Orazio del secolo XVIII.

382Il titolo della traduzione del pamphlet dell’illuminista tedesco Joseph Niklas von Windisch-Graetz era:

Discorso in cui si esaminano le due seguenti questioni: 1. Un Monarca ha egli il diritto di cambiare di propria autorità una costituzione evidentemente viziosa? 2. E’ prudente e di suo interesse d’intraprendere tal cambiamento? Si trova in A.S.Fi, Bgv, 145(affari di gabinetto, 6) n.99, v. C. MANGIO, I Patrioti toscani, op.cit., pp.81, 149;

383F. VICENTINII, Notizie sulle stamperie pisane dalle origini al 1860, in «Bollettino storico pisano», a. VIII, 1939, p. 48-49;

Secondo Laura Zampieri fu addirittura uno dei membri dell’Accademia stessa e la sua stamperia sarebbe stata la sede delle sue riunioni384. Gli stessi legami con

Giovanni Salvatore De Coureil e gli altri letterati in sospetto di “giacobinismo” li troveremo per il padrone dell’altro gabinetto letterario incriminato a Pisa, il negozio pisano di Luigi Migliaresi385. Questo sarà legato da veri e propri vincoli

d'amicizia a diversi esponenti del gruppo, come testimoniato da alcuni stralci di

lettere pubblicate dal Tribolati. Dunque effettivamente bisogna riconoscere che

l’Accademia ospitava al suo interno un numero piuttosto alto di processati per ‘crimini di democrazia”: il De Coureil, il Batacchi, Tito Manzi, Francesco Masi, i due Masi stampatori a Livorno, il Migliaresi, forse il Vaccà e il Niccolini e anche l’Anguillesi, anche se per lui è necessaria qualche precisazione.

Giovanni Domenico Anguillesi386, originario di una modesta famiglia di

Vicopisano, dopo aver studiato nel seminario arcivescovile ottenne nel 1785 una laurea alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa, ma si dedicò alla letteratura. Collaborò al «Giornale dei letterati» fondato nel 1771 da Monsignor Angelo Fabroni, a cui partecipò anche il De Coureil fino all’espulsione a seguito di una diatriba letteraria col Monti387, ed assieme a questo fece parte

all’Accademia dei Polentofagi. Da alcune sue lettere di carattere privato indirizzate al De Coureil intuiamo l’esistenza di un’amicizia tra i due scrittori, che si scambiavano consigli e giudizi sui propri componimenti; lo stesso scambio di opinioni e letture si aveva col Batacchi, come ci riferisce Tribolati. Il «Giornale dei letterati», fu un periodico dove attraverso un largo spazio concesso alle recensioni delle opere italiane ed estere, sia di carattere letterario che scientifico, si teneva aggiornato l’ambiente culturale pisano. Nacque sul modello delle «Novelle letterarie» fiorentine di Giovanni Lami e nonostante trattasse principalmente argomenti letterari, si occupò anche di recensioni di

384L. ZAMPIERI, Note sulla tipografia pisana nel secolo XVIII, in «Bollettino storico pisano», vol. L, a. 1981, pp. 128, n.1;

385L’Accademia viene sciolta nel 1793 proprio per sospetto di massime contrarie al buon costume e vicinanza a circoli democratici, v. Mangio; uno dei membri, il De Coureil, viene esiliato a Genova, ma l’anno dopo gli sarà concesso di rientrare nel Gran Ducato.

386v. DBI, a. c. di N. Carranza;

387 A.COLOMBO, Critici «lillipuziani» e poeti «giganti». Memoria delle polemiche di Vincenzo Monti con

opere giuridiche come quelle del Verri, Beccaria e Filangieri388, contribuendo ad

una “sprovincializzazione” dell’élite culturale pisana. Proporrà al suo interno anche recensioni delle opere di Rousseau, di cui fu criticato, da posizioni moderate, l'impianto teorico su cui il ginevrino basava la possibilità di un patto civile che reggesse una società senza la necessità di un monarca. Nel 1796 il giornale cessa le pubblicazioni, mentre nel ’92 finì l’avventura delle «Novelle letterarie» di Giovanni Lami, senza dubbio la più letta testata di argomento letterario della Toscana.

A differenza di altri membri dell’Accademia de’ Polentofagi, celebri per l’irreligiosità delle composizioni, che spesso prendevano di mira preti e monache, l’Anguillesi, che era stato educato al seminario arcivescovile, mantenne un’intensa religiosità. Sappiamo che fece parte della confraternita della Misericordia, come appare scritto in un suo opuscolo intitolato: Orazione

politico morale recitata il di 18 agosto 1799 nella ven. chiesa prioria di S. Frediano di Pisa in occasione del rendimento di grazie solennizzato dei fratelli della ven. Compagnia della misericordia per la fortunata liberazione della Toscana dalle armi francesi del dott. Gio. Anguillesi, uno dei compagni di detta compagnia, stampato a Pisa da Peverata. Ad un altro opuscolo pubblicato

durante l’occupazione e intitolato Ai cittadini oratori del popolo pisano l’Anguillesi dovette tuttavia il processo per ‘genio democratico’ alla fine della prima occupazione francese, che si risolse in una solenne ammonizione. La lontananza del poeta dagli ideali rivoluzionari389 in realtà è abbastanza evidente,