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L’organizzazione dei lavori pubblici e la questione del libero commercio dei gran

CAPITOLO 2. L’economia toscana alle soglie del 1799 e le requisizioni francesi.

2.3 L’organizzazione dei lavori pubblici e la questione del libero commercio dei gran

Tra le prime misure prese dalla Municipalità nominata dal governo francese ci sarà l’organizzazione di alcuni lavori pubblici per il sostentamento dei poveri ed in particolare di coloro che avevano perso il lavoro a causa dell’occupazione. Nel contesto di fortissima disoccupazione, dovuta alla generale stagnazione economica della regione dopo l’occupazione del Porto ed il blocco del commercio estero, unita alla ormai cronica crisi del settore manifatturiero, il 31

marzo la Municipalità si occupa quindi di creare nuovi posti di lavoro; si indissero per questo dei lavori pubblici, tra i quali la demolizione del Bastione della Fortezza, il raddrizzamento della strada fuori dalla Porta Fiorentina, utile anche per facilitare il passaggio di truppe e merci, e si obbligò le case a munirsi di un pozzo per la raccolta delle acque putride. Infine furono fatte sdoganare diverse balle di cotone per dare lavoro a 700 donne in una fabbrica di mussole, mentre nel frattempo si cercava di approntare una politica di controllo ed internamento o espulsione di girovaghi, mendicanti e accattoni. Dai documenti conservati nel fondo del Comune divisione D sappiamo in realtà che vi furono diversi problemi, in particolare in relazione al danneggiamento delle proprietà circostanti ai tratti di mura da abbattere, che resero inattuabile questo progetto. Fu tuttavia impiegata diversa manodopera per riorganizzare il sistema di raccolta delle acque putride, dopo che fu constatato che la maggior parte delle abitazioni in Pisa non possedeva pozzi neri o altri sistemi di smaltimento, nonostante la legislazione leopoldina li rendesse obbligatori.

Dalle carte della Comunità di Pisa compare poi una disputa con la Municipalità di Livorno in relazione ad un preteso sequestro di grani. È evidente come in questo periodo gravato dal sostentamento di tanti soggetti esterni alle normali incombenze della comunità, la questione dell’approvvigionamento di cereali risulti di fondamentale importanza.

In questo frangente la Comunità si impone con forza nella propria funzione, che è quella in questo caso di assicurare il sostentamento della popolazione:

La vostre lagnanze sono inopportune. I grani che appartengono alla vostra comune stanno a libera disposizione dei loro proprietari. La poca lealtà di alcuni venditori, che trovan pretesti all’inadempimento dei loro contratti ci obbliga sul momento a delle misure, che nulla però vi riguardano. Noi rispettiamo la fede del deposito, ed i sacri diritti di proprietà. Salute e fraternità

Nonostante la gravità dello stato di disponibilità di cereali il 18 aprile sarà richiesta alla Municipalità pisana un invio di biscotti, farina, vino e acquavite per i magazzini di Lucca.

Nel frattempo tutti gli sforzi dell’amministrazione francese sono volti all’organizzazione delle requisizioni, che parte dal controllo e punizione di tutti i coloro che tentano di approfittare della confusione derivante dal cambio di governo per estorcere contribuzioni non regolari. Esempi di tali tentativi vengono regolarmente denunciati nei bandi provenienti da Firenze, a mio avviso essi possono denotare sia una reale incidenza del fenomeno delle truffe, che un preciso intento di mostrarsi come nuova istanza a garanzia di giustizia e sicurezza, dedita alla salvaguardia del benessere pubblico.

Informato che alcuni Individui Italiani si sono permessi di andare in alcune Comuni ad esigere a Nome della Repubblica Francese delle Contribuzioni di danaro, di derrate, e di bestiami, e soprattutto nelle proprietà, che facevano parte del Dominio del Gran-Duca di Toscana: Considerando che questa condotta non potrebbe essere abbastanza punita con severità, e che importa di prevenire gli abitanti della Toscana contro le sorprese che la cupidigia, e lo spirito di rapina cercano di fare alla loro buona fede;159

Sempre attraverso i bandi, inoltre, i francesi ribadiscono più volte come essi non si siano avvalsi di alcuna “contribuzione straordinaria”160 in Toscana, e

dunque come tutte le voci di sfruttamento e furto a carico dei francesi siano menzogne diffuse da una propaganda aristocratica e religiosa. È effettivamente vero che per il drenaggio delle risorse toscane non si siano

159Ibidem;

avvalsi quasi per nulla di strumenti cosidetti ‘straordinari”, tuttavia lo sfruttamento economico avvenne, ed in maniera accentuata, in altre forme; ad esempio fu richiesto il pagamento del prestito straordinario richiesto dal Granduca alle comunità nel 1788, ammantando con una legittimazione basata sull’emanazione a carico non direttamente dei francesi, ma del Granduca, di questa, che di fatto era una retribuzione straordinaria, resa necessaria dalle spese incorse a seguito dell’occupazione di Livorno. Si chiederà inoltre il pagamento anticipato della tassa di redenzione agli inizi di aprile.

Il primo aprile tuttavia il Magistrato Comunitativo si affretta a render noto al neonominato Commissario Cailhasson che le casse della comunità, sulle quali i francesi intendevano delegare il sostentamento delle truppe, erano vuote:

Ordinarono farsi presente al Cittadino Cailhasson delegato della commissione di governo francese in Toscana a Pisa la mancanza di denari in cassa della Comunità per favorire le truppe francesi della sussistenza, di cui ne È incaricata la comunità ad oggetto, che sia provvisto prontamente, perché la truppa non resti senza sussistenza, e non seguano inconvenienti, con P.d.v.f.6. (con Partito di voti favorevoli in numero di 6).161

A questo punto ci si domanda come mai le casse della Comunità siano già vuote prima di dover effettivamente sostenere il peso economico di un’occupazione militare. Dai brevi cenni dati in precedenza sulla politica economica di Ferdinando III appare da un lato evidente che un concatenarsi di cause tra le quali le spese della calmierazione dei prezzi e del ristabilimento di privilegi del clero, assieme alle contingenze provocate dall’occupazione di Livorno e dalle contribuzioni forzate all’Armata d’Italia imposte dai francesi, forti di una presenza sempre più massiccia e minacciosa nella Penisola, determini un innalzamento della spesa pubblica. La comunità di Pisa era stata gravata anche recentemente dal rischi di fallimento del Monte di Pietà. Lo stesso prestito imposto nel dicembre del 1798 alle comunità doveva aver inoltre inciso sul bilancio delle casse comunitative;

161A.S.Pi, Comune Div. D, f. 174, c. 375;

sappiamo che alla Comunità di Pisa venne richiesto di versare 2300 scudi l’anno, oltre all’invio immediato degli argenti in possesso della comunità alla zecca di Firenze162.

L’impossibilità delle casse comunitative di far fronte al mantenimento delle truppe non eviterà tuttavia alla città il peso economico del mantenimento dei militari, solo che esso venne differentemente distribuito, richiedendo un imprestito “volontario” gratuito di 30000 scudi ai cittadini più abbienti. Anche questo passaggio, quanto mai necessario, visto che questa era l’unica fascia della popolazione realmente in grado di fornire liquidi, venne riformulato in termini propagandistici nel dipingere ancora una volta la Grande Nation come giusta e paterna nei confronti del popolo, tanto da esigere denaro solo dai più abbienti; come se per i possidenti non fosse più che normale rifarsi in seguito sui propri mezzadri e contadini, che oltretutto in questo periodo venivano licenziati in massa, probabilmente nella segreta speranza che andassero a rimpinguare le file dei rivoltosi guidati dagli aretini. Le impellenze economiche causate dai rovesci bellici che si susseguivano da aprile spingono i francesi ad esigere sempre di più; dopo la già accennata alienazione di alcuni beni ecclesiastici sarà richiesta una consegna di tutti gli oggetti d’oro e d’argento non necessari al culto163, senza tenere conto che

un’imposizione assai simile era stata ordinata nemmeno un anno prima da Ferdinando III. Non a caso i proventi della fusione di questa requisizione saranno piuttosto irrisori. L’estrema ratio degli occupanti, tentata praticamente alla vigilia dell’abbandono del granducato, sarà quella di obbligare il 6 luglio la comunità pisana all’acquisto di 10 azioni per l’acquisto dei beni nazionalizzati, il tutto per un valore complessivo di 5000 scudi; misura poi lasciata cadere per la mancanza di tempo, così come l’ultimo tentativo di obbligare la municipalità a emanare un’imposizione straordinaria. La criticità della situazione militare, con russi e austriaci alle porte del Granducato non lasciava più alcun possibile spazio alla propaganda, e fu richiesto quindi un versamento straordinario, pari a cinque annate della

162D. BARSANTI, Pisa attraverso le carte della Comunità, op.cit;

163Questa esazione straordinaria fu giustificata come richiesta necessaria ad esentare I piccolo possidenti dal pagamento delle Contribuzioni speciali; anche in questo aspetto non viene a mancare una propaganda disperatamente tesa all’ostacolare un’alleanza tra clero e bassi ceti, che si stava formando pian piano in tutta la regione;

tassa comunitativa da versarsi in tre rate. Anche in questo caso i tempi strettissimi dettati dalla ritirata non permetteranno di effettuare il prelievo con successo, ma saranno sufficienti a derubare di 2000 scudi, a titolo di prestito su quest’ultima imposta dalle indebitatissime casse del Monte di Pietà. Quest’ultima azione fu effettuata ancora con modalità che tentavano di accattivarsi la simpatia popolare, per il timore che tutta la popolazione agricola della provincia si schierasse a favore degli aretini. Con un bando del 24 giugno infatti, mentre da una parte si procedeva a raschiare il fondo delle casse del Monte di Pietà, dall’altra si ordinava all’istituto di restituire tutti i pegni in deposito di valore inferiore alle dieci lire, indipendentemente dalla restituzione del prestito164; Il rimborso dei Monti si lasciava a carico delle

Comunità che si erano ribellate, e dalle quali il Governo, in procinto di abbandonare la Toscana non era naturalmente in grado di esigere alcun ché. Alla fine del periodo di occupazione il Granducato aveva speso nel suo complesso circa otto milioni in quattro mesi a fronte di un bilancio annuale di nove165. Il ristabilimento dell’antico governo graverà tuttavia ugualmente

sulle casse della comunità, obbligate già meno di dieci giorni dopo l’evacuazione delle truppe francesi a prendere nuovamente a prestito 2000 scudi dal Monte Pio. Il cavalier Franceschi, fratello dell’arcivescovo si impegnerà a versare in questo periodo un imprestito gratuito alla Comunità di 1000 scudi. Il 26 luglio il Senato fiorentino, che esercitava un ruolo di reggente del granducato fino alla nomina di un collegio deputato da parte di Ferdinando, chiese alla comunità di levare un imprestito straordinario sui beni agricoli e urbani per l’ammontare di 40000 scudi di cui più di 35000 erano lasciati ai bisogni della Comunità. Le imposizioni straordinarie sui possessori continuarono, per l’approvvigionamento di grano, sempre più difficile da reperire e per altre incombenze sino a che il 5 novembre il

gonfaloniere Antonio Ludovico Pandolfini si farà portavoce

dell’esasperazione dei possidenti pisani che dichiareranno di non esser più in grado di pagare nuove contribuzioni. In tutto la comunità di Pisa aveva pagato più di 140000 scudi.

164A.S.Pi, Leg. 13 (1), Bando 24 giugno 1799;