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CAPITOLO 2. L’economia toscana alle soglie del 1799 e le requisizioni francesi.

2.1. Effetti delle riforme leopoldine sull'economia

Nel secondo paragrafo ho descritto in sintesi gli avvenimenti che si susseguirono all’indomani dell’occupazione francese del 1799, ma quale contesto socio-economico trovarono i francesi al loro ingresso nel Granducato? E come vi interagirono? Per rispondere a queste domande mi è parso utile una sommaria descrizione del contesto economico della provincia pisana all’indomani delle riforme operate da Pietro Leopoldo.

Tra fine anni Sessanta del Diciottesimo secolo e la fine degli anni Ottanta il nuovo granduca si era cimentato in tutta una serie di riforme volte ad una razionalizzazione ed ammodernamento della compagine statale che permettesse una diminuzione del debito pubblico, da ottenersi tramite riduzione di spese militari, appannaggi regi, snellimento degli apparati burocratici e nazionalizzazione di quei beni ecclesiastici che non svolgevano un’attività di cura delle anime. Con lo scioglimento di fidecommessi e manomorte tentò poi di garantire una maggiore circolazione delle terre, per permettere a nuovi investitori di poter accumulare possedimenti abbastanza estesi per applicarvi le nuove tecniche110 agricole ed aumentarne la produttività. La liberazione dai

vincoli a cui erano sottoposti questi appezzamenti di terreno permetterà inoltre di intraprendere numerosi interventi di bonifica111.

L'alienazione dei beni di enti pii ed ecclesiastici permise inoltre il passaggio di proprietà attraverso lo strumento dell’allivellamento, che consisteva sostanzialmente in un affitto agevolato, bloccato per un certo numero di anni; si

110L’ispirazione fisiocratica di una politica economica che tendeva ad un rilancio dell’agricoltura come settore principale di investimento e produzione della ricchezza nazionale, rimanda alle speculazioni di economisti francesi quali Quesnay e Mirabeau. Per un’analisi dell’influenza dei fisiocratici rimando a L. DEL PANE, La finanza toscana dagli inizi del secolo XVIII alla caduta del Granducato, Edizione a.c. della Banca Commerciale italiana, Milano, 1965, e a Riformatori Lombardi, Piemontesi e Toscani, in a.c. di F. VENTURI, Illuministi italiani, t. III, Ricciardi , Milano-Napoli, 1958; Anche in ambito toscano nacquero diverse teorie sullo miglior sfruttamento del suolo e sulle innovazioni da apportare al sistema agricolo toscano, per una sintesi complessiva su questi interventi e una nota bibliografica aggiornata rimando a L. MASCILLI MIGLIORINI, L’età delle riforme, in Il granducato di Toscana. I Lorena, op.cit.;

111Gli interventi di bonifica saranno perpetuate sotto Ferdinando III da Giovanni Fabbroni; su G. Fabbroni v. R. PASTA, Scienza, politica e rivoluzione: l'opera di Giovanni Fabbroni (1752-1822), intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Olschki, Firenze, 1989; per un esempio del miglioramento del rendimento dei poderi agricoli in Val di Chiana a seguito degli interventi di bonifica v. O. GOTI, L’agricoltura Toscana nel periodo rivoluzionario e napoleonico, Alcuni “biens de la couronne” in Val di Chiana, in a.c. di I. TOGNARINI, La Toscana nell’età rivoluzionaria e napoleonica, Edizioni Scientifiche italiane, 1985, Napoli:

cercava infatti di permettere l’acquisto anche a chi non aveva capitali propri, al fine di creare un piccolo ceto di proprietari che sfruttasse meglio la coltivazione delle terre mettendone a coltura la maggior superficie possibile e di favorire allo stesso tempo un innalzamento del livello medio del tenore di vita della popolazione agricola. Nella stessa ottica fu intrapresa una semplificazione della tassazione, adesso riorganizzata per quanto riguarda i possessi agricoli in un'unica tassa chiamata di “redenzione”. Quest’unica gabella era infatti emessa al solo carico dei possessori, nel chiaro intento di sgravare i contadini e gli affittuari del peso di tributi eccessivi. Si puntava così ad alleggerire le condizioni economiche dei fittavoli e dei braccianti112. Oltre a ciò, per sviluppare una più

intensa commercializzazione dei grani e attraverso di essa potenziare l’agricoltura toscana, ci si accinse a realizzare lo scioglimento di ogni vincolo per l’esportazione di cereali dal granducato. Questo provvedimento intendeva arricchire i proprietari terrieri e nel contempo incrementare il settore commerciale che faceva capo al porto di Livorno.

Molti di questi provvedimenti non ottennero tuttavia le conseguenze sperate. Nella attuazione di questi entrarono di fatto in opera i consiglieri del principe, che, per quanto favorevoli alle riforme113, erano comunque nel loro complesso

esponenti del ceto dei grandi possessori, e di questi interessi si resero portatori. Alle aste per la vendita dei beni terrieri furono infatti proprio questi proprietari a far incetta di terreni. Anche nei casi in cui venne previsto l’allivellamento degli appezzamenti, i costi per gli investimenti iniziali necessari all’impianto delle colture e gli elevati affitti imposero nella maggior parte dei casi la vendita dei piccoli poderi ai grandi proprietari. A ciò si aggiunse la mancata rinegoziazione dei patti colonici, che avrebbe potuto migliorare le condizioni di vita dei mezzadri ed impedito ai proprietari di rifarsi su di loro delle imposizioni agricole, nonostante formalmente non ne fossero gravati. Anche altri interventi granducali, come la limitazione del lusso della corte, incisero negativamente sull’occupazione cittadina, facendo mancare una solida fonte di commesse al

112Per un’analisi degli scritti di fine Settecento sulle condizioni di vita dei ceti agricoli rimando a G. TURI, “Viva Maria”, op. cit.;

113 In un primo tempo gli esponenti del ceto medio sostennero le esigenze di un miglioramento delle condizioni di vita di contadini e mezzadri all’interno delle loro dissertazioni e interventi a favore di una riforma economica che spezzasse i blocchi di possesso terriero de Regie Possessioni, demanio e enti pii, permettendone una libera circolazione, v. DAL PANE, op.cit, p. 77;

settore manifatturiero, oltre al danno provocato dai licenziamenti seguiti alle razionalizzazioni amministrative. A peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei ceti inferiori concorse la perdita del diritto consuetudinario allo sfruttamento dei beni delle comunità, adesso alienati, che fungevano in moltissimi casi da unica fonte integrativa di sussistenza per i più poveri, specialmente attraverso la vendita del legname, il pascolo, e la pesca. La liberalizzazione del prezzo del grano, che secondo i vari esponenti dell’Accademia dei georgofili e il ministro Gianni avrebbe dovuto garantire un equilibrio naturale tra i salari e il costo dei cereali, provocò invece un impennata dei prezzi a causa dell’incetta di proprietari e commercianti, interessati a creare penuria di grani per ottenere un considerevole aumento dei guadagni.

A Pisa le stagione delle riforme era iniziata con la grande inchiesta del 1766 sullo stato dell'agricoltura e delle manifatture114. L’utilizzo del metodo statistico per

tracciare una profilo economico da cui partire per l’elaborazione delle riforme era stato un sistema già usato dai riformatori sabaudi e napoletani; nella città per condurre l'inchiesta i priori nominarono il 22 dicembre del 1767 una commissione composta da Avv. Oliviero Borghini, Cammillo Marracci, Giuseppe Mecherini e Pier Gaetano Prini115, tutti esponenti di nobiltà e patriziato. Dal

rapporto stilato risultava che nella città le manifatture più attive si trovavano nell'ambito della lavorazione della seta e del cuoio. Entrambi i settori tuttavia mostravano chiari segni di crisi. La manifattura serica soffriva per il calo delle commesse e per la competizione della produzione livornese, di minor qualità ma dal prezzo più vantaggioso. In difficoltà simili era la fabbricazione della cera, dove i prodotti risultavano più costosi di quelli importati da Venezia e la fabbricazione del vetro, che non riusciva a rifornirsi di materie prime e combustibile. L'industria di velluto, delle cotonine per vele e quella dello zucchero, nonostante le agevolazioni fiscali promosse dalla Reggenza erano fallite. Rimanevano soltanto alcune imprese gestite da ebrei, in possesso di un appalto sul vestiario militare. A questa situazione desolante la commissione proponeva di porre rimedio con la restaurazione dei privilegi corporativi cittadini, eliminati dai provvedimenti della Reggenza. Il Granduca tuttavia

114 A quest’inchiesta l’anno successivo si aggiungerà l’opera di censimento della popolazione, atta ad individuare la distribuzione degli impieghi nei vari settori, v. DAL. PANE, op.cit., p. 87;

aveva intrapreso un percorso in direzione completamente opposta e all'inizio degli anni Settanta iniziò dei provvedimenti volti all'eliminazione dei vincoli corporativi residui con la soppressione del tribunale dell'arte della seta, sancita il 26 maggio del '70. Negli anni successivi diversi tentativi saranno compiuti da Pietro Leopoldo per impiantare delle manifatture che risollevassero l’economia della provincia, ma poche di queste riuscirono a radicarsi. Sappiamo ad esempio che fu stabilita una saponiera da un francese, grazie a diversi privilegi governativi. Nonostante questi tuttavia la manifattura andrà in rovina poco dopo esser stata ceduta ad un nuovo proprietario. Venne impiantata poi dall’Imperatore anche una fabbrica di orologi, che impiegava 36 lavoranti, tra i quali degli svizzeri che erano stati fatti arrivare per insegnare il mestiere agli operai toscani, ma nonostante questa arrivasse a produrre degli oggetti di buona fattura non riusciva tuttavia a trovare un mercato sufficiente e sembrava essere in difficoltà già a partire dal 1773. Simile sorte ebbe una manifattura di cappelli. Godette di una vita più duratura invece una fabbrica di mussoline:

…questa limitandosi a stampare robe da fuori va avanti sufficientemente ed occupa varie persone a filare e lavorare116.

Sappiamo inoltre che in questi anni fu stabilita anche una fabbrica di chincaglierie diretta da francesi e lorenesi, e che nel 1776 era in buono stato ed impiegava 60 persone (quasi tutte toscane), mentre esisteva un’altra fabbrica di tinte di Blay nella parrocchia di S. Marta, ma apparentemente non particolarmente florida117.

Per quanto riguarda i provvedimenti di riforma emanati dal granduca nel 1770, si prescrisse lo scioglimento di dazi e vincoli commerciali colla riorganizzazione del ministero delle grascie, eliminando qualsiasi privativa sul prezzo di pane, olio, pesce e carne ed istituendone la libera vendita; il passo successivo fu la soppressione della congrega dell'annona. L'anno dopo il granduca comanderà la compilazione di un estimo dei beni stabili, in preparazione della riforma tributaria e per completare gli studi sulla distribuzione della proprietà terriera

116PIETRO LEOPOLDO D’ASBURGO LORENA, Relazioni sul governo, op.cit., vol. II, p.69; 117Ivi, p. 259;

nella provincia. Negli anni 1775-6 infine saranno messe in opera le riforme più significative del sistema amministrativo cittadino ed in particolare quella dell'ufficio dei Fiumi e dei Fossi e del Magistrato Comunitativo. L'operato del primo, tradizionalmente incaricato della sorveglianza e manutenzione dei corsi d'acqua e di altre incombenze legate alla cura delle strade118 e dell'igiene e del

lastricato cittadino veniva infatti fortemente criticato dai cittadini. Lo stato di abbandono e impaludamento di numerose porzioni del territorio della provincia a causa della cronica incuria della manutenzione dei fossi e canali, erano tra i maggiori ostacoli ad una politica di potenziamento del settore agricolo. La riforma prevedeva dunque una immediata razionalizzazione giurisdizionale e amministrativa attraverso la soppressione delle magistrature dei fossi e dei surrogati dei Nove, le cui funzioni sarebbero state assorbite all'Auditore dei Fossi e delle Comunità, di nomina granducale. L'amministrazione restava invece al Provveditore, reso completamente indipendente dall'Auditore; in questo modo si eliminavano alla radice le possibilità di sovrapposizione di mandati e giurisdizioni. In seguito il tribunale e l'auditore dell'Ufficio furono soppressi e le loro prerogative passarono al tribunale del commissariato. La cura dei corsi d'acqua minori e delle strade secondarie veniva inoltre interamente delegata ai privati che possedevano i terreni interessati dal corso dei canali e dalle reti viarie, secondo quell'ideologia che si poneva alla base di gran parte delle riforme e che puntava a coinvolgere direttamente nell'amministrazione il ceto dei proprietari, il cui privato interesse sarebbe servito da garanzia ad un solerte adempimento degli incarichi119.

Il nuovo regolamento per la comunità di Pisa e dintorni, emanato il 17 giugno del 1776 ridisegnò il sistema amministrativo del territorio con la creazione di 16 comunità distribuite in 4 cancellerie. Per la comunità di Pisa, come abbiamo già visto, l'amministrazione economica veniva interamente assegnata alla

118 Pare che una delle incombenze più frequenti dell’Uffizio, in relazione alla manutenzione delle strade cittadine, fosse quella di combattere contro “i villani”, che a quanto pare avevano l’abitudine di estendere le superfici coltivabili poste ai bordi delle strade ai limitari della città fino ad includervi abbondanti pezzi di strada, limitando notevolmente le dimensioni della carreggiata, come nel tratto che collegava le strade per le Piagge, quella di S. Michele degli Scalzi e quella diretta a Calci: “ ridotta ad una viottola. L’ingordigia di coltivare ha indotto i confinanti ad allargare le loro tenute mangiando dei pezzi laterali di detta strada, riducendola uno scheletro, niente più larga in alcuni luoghi di braccia 4.” Cit. in D. BARSANTI, Pisa in età leopoldina, op.cit., p. 71;

magistratura composta da tre priori e tre gonfalonieri. Ad entrambi gli enti riformati il granduca ordinò di vendere o allivellare i beni stabili, fondi e luoghi di Monte in loro possesso e reinvestirli in luoghi di Monte fiorentini. Questo provvedimento intendeva garantire delle entrate per i futuri interventi delle magistrature e nel contempo allargare il ceto dei proprietari e migliorare lo sfruttamento agricolo della provincia. Tra gli effetti vi sarà però l'espropriazione di tutti i terreni di uso civico, utilizzati fino ad allora dalle classi meno abbienti come insostituibile integrazione ai loro guadagni. Attraverso lo sfruttamento del legname raccolto nelle macchie, dei terreni lasciati per il pascolo e delle zone palustri, utilizzate per la raccolta di giunchi e la fabbricazione di cordame per navicelli, infatti, i contadini e piccoli artigiani riuscivano ad ottenere risorse spesso indispensabili. La loro alienazione causò dunque un sensibile impoverimento di questo ceto120.

In sostanza negli ultimi decenni del Settecento gli strati più poveri della popolazione, soprattutto contadina, si trovarono gravati da minori fonti di sostentamento e a dover far fronte ad una crescita costante dei prezzi dei beni di prima necessità. Questo processo si inscriveva in un periodo di peggioramento generalizzato delle condizioni di vita dei ceti medio-bassi europei, a causa

principalmente dell’aumento demografico121 e del conseguente innalzamento del

prezzo del grano, a cui in Toscana si unirono le fluttuazioni di questo, conseguenti alla liberalizzazione del commercio dei cereali. Le politiche economiche patrocinate dal Gianni, volte ad un ristabilimento dell’equilibrio tra la capitale e le province, non riuscirono a migliorare questo trend discendente. La sua politica, volta a supportare il più possibile il rilancio dell’agricoltura determinò poi negli ultimi anni del governo di Leopoldo un trionfo della tassazione indiretta che andrà a colpire soprattutto i ceti più deboli122.

120 Per una buona analisi degli effetti della riforma comunitativa nella provincia pisana e delle resistenze dei ceti medio-bassi alla sua applicazione rimando a A. ZAGLI, Il lago e la comunità: storia di Bientina, un castello di pescatori nella Toscana moderna, Edizioni Polistampa, Firenze, 2001;

121In Toscana si ha un tasso continuo di accrescimento della popolazione tra la seconda metà del XVIII secolo e la Restaurazione; in particolare l’aumento demografico vedrà un picco nel decennio 1784-1794, a cui seguirà un aumento assai più contenuto nel decennio successive, cfr. L. DEL PANTA, LA struttura del regime demografico della Toscana nell’età dei Lorena, in a.c. di Z. CIUFFOLETTI e L. ROMBAI, La Toscana dei Lorena, Riforme, territorio, società, Olschki, Firenze, 1989, tabella a p. 535;

Dopo il 1792, inoltre, le ripercussioni delle guerre europee ed una crisi generalizzata delle manifatture peggiorarono ulteriormente le condizioni

economiche del granducato123. A metà degli anni Novanta l’occupazione

francese di Livorno incrementò ancora il deficit del bilancio statale soprattutto a causa delle elevate contribuzioni che Bonaparte impose a Ferdinando, sotto minaccia d’annessione dell’intero territorio granducale. Nemmeno i provvedimenti presi a partire dagli anni Novanta per arginare la crisi delle manifatture, come il divieto di esportazione di lana e seta greggia, che vanno ad aggiungersi alle misure protezionistiche assunte già con il Gianni, riusciranno a risollevare l’economia Toscana. Al dissesto del bilancio statale concorreranno poi le spese per il parziale riarmo tentato dal granduca e per il sostentamento del nuovo ceto di burocrati moltiplicato dalle riforme leopoldine. A questo si sommava ancora il costo di tutte quelle serie di lavori pubblici decisi per arginare la disoccupazione e resi necessarie dopo i moti popolari degli anni Novanta e Novantacinque per mantenere la pubblica quiete. Nei primi anni Novanta, infatti, avevano iniziato a manifestarsi tutta una serie di rivolte popolari, causate principalmente dal caroviveri e gravate poi di valenze religiose, in reazione alle soppressioni leopoldine dei culti esteriori, cari ai ceti meno abbienti124. La Reggenza125 lasciata da Pietro Leopoldo dopo la sua

elezione ad imperatore, timorosa di una propagazione degli eventi rivoluzionari che deflagravano oltralpe, si affrettò a porre rimedio abolendo

123L’industria della lana risultava infatti sempre più marginale a Firenze, dove la decrescita del settore si prolungava ormai incessantemente dalla fine del XVI secolo; mentre anche nelle zone periferiche di Arezzo e della Valdarno, nelle quali si era sviluppata nel corso del XVIII secolo, alla fine di questo, soprattutto a causa del blocco commerciale causato dalle guerre, cresce la crisi. Resiste Prato, grazie per lo più’ all’esportazione di berretti alla levantina, ma nel complesso la Toscana non riesce nemmeno a far fronte al proprio bisogno interno di panni lana. L’industria serica aveva invece mantenuto esportazioni elevate, raggiungendo quote maggiori rispetto all’inizio del secolo, ma a scapito della qualità dei prodotti e della contrazioni dei salari, che aveva ulteriormente impoverito il ceto proletario. Il periodo d’occupazione contrarrà ulteriormente la produzione della seta per favorire le esportazioni lionesi. A Volterra è in crisi l’industria dell’alabastro, mentre Pescia si stava sviluppando come centro di produzione della carta. v. P. MALANIMA, La decadenza di un'economia cittadina. L'industria di Firenze nei secoli XVI- XVIII, Il Mulino, Bologna, 1982; C. MANGIO, Tra conservazione e rivoluzione, op.cit.;

124G. TURI, op. cit.; in particolare in questi anni la rivolta scoppierà in un primo momento a Livorno, dove si domandava la restituzione del santuario della Madonna di Montenero e della processione della patrona, S. Giulia;

125Alla sua partenza per Vienna, Pietro Leopoldo lascia il governo della Toscana ad un Consiglio composto dal Gianni, seppur private di qualunque dicastero, il vecchio Serristori, direttore della Segreteria di Stato, Luigi Dithmar, secondo direttore della segreteria di finanze, Bartolomeo Martini, Michele Ciani, Giuseppe Giusti al Buongoverno e il Bartolini Baldelli come amministratore del patrimonio della corona.

momentaneamente il libero commercio e calmierando il prezzo dei beni di

prima necessità.A Pisa nel ‘90 il Magistrato comunitativo si adeguò senza batter

ciglio alla soppressione della libertà frumentaria al fine di:

Prevenire i perniciosi lamenti che purtroppo hanno preso piede in questa città e nominatamente nel popolo basso126.

Finché ci si rese conto del danno economico subito dalle casse comunali per mantenere basso il prezzo del pane e dei generi di prima necessità, che, data la scarsità dei raccolti, aveva raggiunto quote molto elevate. Il ristabilimento della libera circolazione dei grani reimposto da Vienna dall’ormai Imperatore Leopoldo II ottenne dunque l’unanime plauso della comunità, che addirittura si augurerà che questo provvedimento potesse divenire “legge costituzionale della Toscana all’effetto che dai nemici del pubblico bene non venga in futuro in alcuna benché minima parte alterata127”. Si prestò attenzione anche a ristabilire

quegli aspetti di culto popolare eliminati dalle riforme precedenti.

Nel frattempo tuttavia si era verificato un parziale rinnovo128 dei consiglieri del

principe con l’ascesa al trono di Ferdinando III; una svolta in materia economica fu determinata infatti dall’azione del Manfredini, che assieme al

Lampredi129, ostinato oppositore delle riforme leopoldine e dell’egemonia

politica acquisita dal ceto dei proprietari terrieri, si impegnerà nell’affermare il diritto del popolo alla sussistenza, e a lottare per interventi che regolassero il

carovita130. Ferdinando si troverà dunque costretto a incrementare nuovamente

il debito pubblico, inaugurando una politica di segno opposto a quella perseguita dal padre, ma imposta dalle difficilissime contingenze a cui si trovava a far fronte. In seguito, tuttavia, le continue carestie ed eventi congiunturali

126 cit. in D.BARSANTI, Pisa in età leopoldina, op. cit., p. 119; 127 Ivi;

128 Il Gianni uno dei più ferventi sostenitori delle riforme, era stato allontanato da Firenze a seguito dei tumulti cittadini del ’90, che l’avevano momentaneamente obbligato a rifugiarsi nella Repubblica di