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Il 1799 a Pisa. Analisi delle modalità di occupazione francese e della diffusione degli ideali rivoluzionari.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN STORIA E CIVILTÀ

Il 1799 a Pisa. Analisi dell’occupazione militare e della diffusione

degli ideali rivoluzionari.

Figura 1. "il fu club". Incisione anonima a colori. Milano, Raccolta Bertarelli

Relatori:

Prof. Andrea Addobbati Candidato:

Prof. Michele Luzzati Giulia Chiappino

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Indice

:

INTRODUZIONE……… p.4

1. CAPITOLO. Contesto e occupazione, come si svolsero i fatti

1.1. Il Contesto internazionale dalla Rivoluzione all’Invasione francese del Grandu-cato nel 1799………. p.9 1.2. I francesi a Pisa. Prime misure d’ordine pubblico………p.23 1.3 Organizzazione istituzionale. Le vecchie magistrature e la nuova Municipali-tà……….. p.29 1.4 Guardia nazionale e ostaggi……… p.37

2. CAPITOLO. L’economia toscana alle soglie del 1799 e le requisizioni france-si.

2.1. Effetti delle riforme leopoldine sull'economia………p.46 2.2 Effetti dell’occupazione francese sull’economia della città di Pisa………p. 56 2.3 L’organizzazione dei lavori pubblici e la questione del libero commercio dei grani……….. p.66

3. CAPITOLO. Opera di catalizzazione del consenso

3.1. “Il faut dancer”. Contesto simbolico e opera di catalizzazione del consenso…p.71 3.2 “Albero senza radici, berretto senza testa”. Ricezione popolare di simboli e ideali rivoluzionari:……….. p.99

4. CAPITOLO. Le classi dirigenti

4.1 L’aristocrazia pisana attraverso lo specchio della pubblicistica del ’99……. p.110 4.2 Nobiltà d’opinione e trattamenti nobiliari, il ruolo sociale della nobiltà a Pisa a fine Settecento……… p.133

5. CAPITOLO. Sistemi di sociabilità e frequentazioni di patrioti nella Pisa di fine Settecento;

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5.2. L'Accademia dei Polentofagi………p.155 5.3 Salotti “giacobini” e Private Conversazioni……….p.169 5.4 Università e rivoluzione………..p.187 CONCLUSIONE……….…. p.200 APPENDICE 1………... p.205 APPENDICE 2………... p.206 APPENDICE 3……… p.208 BIBLIOGRAFIA……… p.219 ABBREVIAZIONI

A.S.Pi Archivio storico di Pisa A.s.Fi Archivio storico di Firenze A.S.Li Archivio di Stato di Livorno BUP Biblioteca Universitaria di Pisa

DBI Dizionario biografico degli italiani [consultabile in rete: http://www.treccani.it/biografie/]

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INTRODUZIONE

“Ovunque Libertà piantò suo seggio Per le vie dell’inganno e del terrore [..] Non val che tu sospiri o ti contorci, infame prostituta, è già deciso che nel bollor al frale tuo conquiso Abbia da diventar veleno ai sorci”

Nel seguente elaborato ho cercato di analizzare il periodo dell’occupazione della città di Pisa da parte delle armate rivoluzionarie francesi nel 1799. La scelta di questo intervallo di tempo, assai breve rispetto alla seconda occupazione di età napoleonica, è stata determinata dallo sviluppo di alcune particolari interazioni fra occupanti, vecchie classi dirigenti e nuovi soggetti in cerca di promozione so-ciale, che a mio avviso in questo contesto determinano delle dinamiche differen-ti da quelle che si verificheranno in seguito. Ho cercato infatdifferen-ti di ricostruire co-me alcuni esponenti di un ceto co-medio di professionisti, profondaco-mente influen-zati dal pensiero illuminista, tentino di ottenere un accesso alle istituzioni e all’esercizio di diritti politici che fino ad allora erano stati loro negati.

Per analizzare questi fenomeni sono partita da un primo capitolo nel quale, do-po una breve introduzione sul contesto europeo che aveva do-portato all’invasione del Granducato, ho cercato di indagare il processo di formazione ed il ruolo ri-coperto dalla Municipalità, unica nuova istituzione creata in città durante l’occupazione. Nel secondo capitolo invece l’intento è stato quello di sottolineare l’impatto delle riforme leopoldine sulla provincia pisana, per ricostruire la con-dizione economica della città all’arrivo delle truppe. A questo punto ho cercato poi di evidenziare le modalità di applicazione delle requisizioni e attraverso di esse ricostruire l’operato della Municipalità, tra protezione degli interessi citta-dini e mediazione con le nuove autorità.

Il capitolo sull’organizzazione del consenso mi ha permesso invece di esplorare brevemente le soluzioni adottate dai francesi per evitare ribellioni interne e dif-fondere parte del bagaglio ideologico e culturale della rivoluzione. Nel secondo paragrafo ho poi cercato di evidenziare come la popolazione abbia reagito alla

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diffusione del linguaggio simbolico rivoluzionario ed i limiti dell’operazione ten-tata dai francesi. Il quarto capitolo mi è servito invece per ricostruire l’interazione degli occupanti con le classi dirigenti pisane e il rapporto tra queste ultime e la Municipalità, per tentare di evidenziare alcuni possibili legami con esponenti della vecchia e nuova classe dirigente. Nell’ultimo infine ho cercato di approfondire il ruolo che i nuovi soggetti coinvolti nell’amministrazione cittadi-na e il loro entourage avevano esercitato nella vita sociale cittadicittadi-na. Il tentativo è stato inoltre quello di evidenziare come l’introduzione di nuovi modelli di inte-razione sociale sviluppatasi nel corso del Diciottesimo secolo abbiano favorito l’incontro e la frequentazione delle classi dirigenti tradizionali con esponenti del ceto medio capaci di distinguersi per le doti intellettuali, che saranno poi in molti casi i protagonisti della diffusione di ideali patriottici. Nell’ultimo para-grafo ho cercato poi di accennare alla funzione svolta dall’Università per la mo-dernizzazione della formazione intellettuale del Granducato, e ad evidenziare lo spazio che in essa si erano ritagliati alcuni soggetti accusati di diffusione di “massime democratiche”.

Per quanto riguarda la bibliografia di cui mi sono servita, il mio studio è partito da un articolo di Michele Luzzati apparso sul «Bollettino storico pisano» del 19701. Il soggetto erano le vicende del Balì Angiolo Roncioni, patrizio pisano tra

il 1799 e il 1801. Dopo una prima lettura sono immediatamente rimasta colpita dalla descrizione dei “crimini di democrazia” e da qui ho deciso di approfondire la questione. Sempre dello stesso autore è stato estremamente utile l’articolo

sulla pubblicistica pisana durante la prima occupazione2. Questa pubblicazione

mi ha permesso infatti di individuare con più precisione quali furono alcuni dei soggetti più politicamente attivi in questo periodo e l’importanza che l’eredità del riformismo leopoldino aveva avuto sulla formazione di questi soggetti. Fon-damentale naturalmente è stata la lettura di Carlo Mangio, autore che tra tutti ha dedicato più studi al triennio giacobino in Toscana e alla mobilitazione dei patrioti3. Molto utili sono state anche diverse pubblicazioni di Mario Montorzi4,

1 M. LUZZATI, Il Balì Angiolo Roncioni nelle vicende toscane del 1799-1801, in «Bollettino Storico Pisano», vol. XXXIX, pp.121-138, 1970;

2 M. LUZZATI, Orientamenti democratici e tradizione leopoldina nella Toscana del 1799: la pubblicistica

pisana, in «Critica storica», n. 4, 1969, pp. 466-509;

3 C. MANGIO, Toscana e Francia Rivoluzionaria. I non facili rapporti diplomatici tra Granducato di

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a cui si deve il ritrovamento del materiale archivistico relativo ai processi per crimine di “democrazia” nella biblioteca Guarnacci di Volterra. Per quanto ri-guarda la ricostruzione degli effetti delle riforme leopoldine nella città di Pisa, è stata fondamentale l’opera dedicata a questo argomento da Danilo Barsanti5,

che attraverso le molteplici appendici documentarie mi ha permesso anche di identificare diversi dei personaggi che saranno più tardi protagonisti delle vi-cende da me studiate. Estremamente utili per rintracciare informazioni preziose su molti elementi della classe dirigente pisana sono stati anche i libri scritti da

Alessandro Panajia6, ricchissimi di informazioni prosopografiche e di elementi

di storia sociale custodite, in molti casi, in archivi privati. In particolare grazie all’opera intitolata Una privata conversazione, dedicata alle riunioni di palazzo Roncioni, mi è stato possibile ricostruire le diverse modalità di frequentazione tra i salotti della classe media e alcuni esclusivi salotti patrizi e completare il profilo di alcuni personaggi. Altre informazioni sui modelli di sociabilità e fre-quentazioni del patriziato cittadino sono state magistralmente illustrate nei due

libri di Roberto Bizzocchi7, che mi hanno permesso di cogliere alcuni aspetti di

imitazione di pratiche sociali dell’aristocrazia adottate dai ceti medi pisani. Estremamente utile per comprendere meglio gli aspetti in relazione all’identità delle classe dirigenti cittadine e del prestigio esercitato sul resto della cittadi-nanza, oltre ai contributi degli autori precedentemente menzionati, è stato lo studio del Casino dei nobili condotto da Andrea Addobbati, mentre il suo libro sulla festa e il gioco mi ha permesso di contestualizzare all’interno delle

pp.161-198; I patrioti pisani. I primi risultati di un’indagine sugli atti dei processi ‘Per attentati contro la sovranità ed ordine pubblico’ del 1799-1800, in «Bollettino Storico Pisano,1982, a. LI; Una memoria difensiva del poeta Giovanni Domenico Anguillesi processato per giacobinismo, in «Bollettino storico pisano», n. LXII, a.1993, pp. 309-317; I Patrioti toscani fra repubblica etrusca e Restaurazione, Olschki, Firenze, 1991; F. DIAZ, L. MASCILLI MIGLIORINI, C. MANGIO, Il Granducato di Toscana. I Lorena dalla Reggenza agli anni rivoluzionari, in «Storia d’Italia», a.c. di G. GALASSO, vol.13, tomo secondo, Utet, 1997, Torino;

4 M. MONTORZI, Crepuscoli granducali. Incontri di esperienza e di cultura giuridica in Toscana sulle soglie

dell’età contemporanea, ETS, Pisa, 2006; Giustizia in Contado. Studi sull’esercizio della giurisdizione nel territorio pontederese e pisano in età moderna, Edizioni Firenze, Firenze, 1997;

5 D. BARSANTI, Pisa in età leopoldina. Le vicende della comunità, la politica amministrativa, il ruolo

sociale dell'ordine di S. Stefano (1765-90), Edizioni ETS, Pisa, 1995;

6 A. PANAJIA, Il Casino dei Nobili. Famiglie illustri, viaggiatori, mondanità a Pisa tra Sette e Ottocento, ETS, Pisa, 1996; A. AGOSTINI, A. PANAJIA, Una privata conversazione: L’Accademia Roncioni e Vittorio Alfieri, Felici Editore, Pisa, 2001;

7R. BIZZOCCHI, In famiglia. Storie di interessi e affetti nell'Italia moderna, Laterza, Bari, 2001; Cicisbei.

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zioni toscane l’impatto dell’elemento festivo a cui faranno ricorso i francesi per veicolare l’instaurazione di un nuovo discorso simbolico8.

Per quanto riguarda l’utilizzo di fonti documentarie, parto dalla precisazione che, dato il periodo trattato, ci sono state delle specifiche difficoltà. Infatti gran parte del materiale prodotto in questi anni è stato vittima di un meticoloso pro-cesso di distruzione o occultamento (nel caso dei registri prodotti dai municipa-listi). Ad esempio nel Fondo dell’ordine di S. Stefano, conservato nell’Archivio di Stato di Pisa, quasi tutti i fogli recanti traccia dei processi per “democrazia” a cavalieri stefaniani sono stati rigorosamente stracciati. Anche nel fondo segreto del Commissariato il materiale reperibile è in realtà costituito per lo più da sup-pliche di famigliari per ottenere il rilascio dei processati. Addirittura in diversi archivi privati le famiglie si sono date cura di nascondere tutte le tracce di even-ti9 che saranno giudicati durante la breve Restaurazione granducale del

1799-1800 come passibili di processo, esilio e pubblica infamia, quando gli stessi

pro-tagonisti non avessero già preso alcune cautele in prima persona10. Durante la

seconda occupazione verrà poi dato ordine di eliminare tutte le tracce degli in-famanti processi subiti dai patrioti.

Le fonti principali che ho utilizzato per svolgere la mia ricerca sono costituite dunque dai Partiti del Magistrato Comunitativo presenti nell’Archivio di Stato di Pisa11, dove sono registrati tutti i provvedimenti economici presi dalla Comunità

pisana per far fronte alle richieste degli occupanti. Da questo fondo mi è stato inoltre possibile ricostruire il percorso attraverso il quale i patrioti più intra-prendenti riuscirono ad utilizzare l’appoggio dei francesi per ritagliarsi uno spa-zio nelle istituspa-zioni. Per ricostruire invece con più efficacia le interaspa-zioni pret-tamente politiche con le autorità francesi, ho esaminato il Copialettere della Municipalità pisana, allo stato delle mie conoscenze inedito, reperito nel fondo

8A. ADDOBBATI, Il Casino dei nobili e il disciplinamento delle aristocrazie toscane nel XVIII secolo, in «Bollettino storico pisano», n. LXII, a.1993, pp. 277-309; La festa e il gioco nella Toscana del Settecento, Edizioni Plus, Pisa, 2002;

9 Nell’archivio Fantoni ad esempio saranno eliminate tutte le lettere relative al triennio giacobino; 10 In diverse delle lettere inviate a Tito Manzi da Angiolo Roncioni durante il periodo in cui si era nascosto per sfuggire al processo, comparirà alla fine la scritta bruler, o bruciare subito, questo ci dà un idea della quantità di materiale che possa aver subito la stessa sorte.

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Galli Tassi Bardini dell’Archivio di Stato di Firenze12. Questi documenti mi sono

stati preziosi per comprendere le interazioni fra quegli elementi del cosiddetto “partito francese” che arriveranno a ricoprire un ruolo istituzionale effettivo e la cittadinanza, in particolare negli aspetti di tutela di privilegi consolidati e tenta-tivi di inserire riforme improntate ad una visione nuova della società. Il Copia-lettere, pur essendo un documento pubblico, è confluito in un fondo privato do-po l’intervento dell’allora commissario di Pisa Gherardo Maffei. Al momento dell’evacuazione delle truppe, infatti, i Municipalisti avevano consegnato i do-cumenti che certificavano la legalità del loro operato al nobile volterrano, rap-presentante della restaurata autorità granducale. Speravano in questo modo di evitare un processo per collaborazionismo. Il Maffei tuttavia scelse evidente-mente di non inviare le carte a Firenze e le conservò all’interno del proprio ar-chivio personale, assieme alle carte dei processi per “genio democratico”. A mio avviso la ragione di questa scelta è da ritrovarsi in alcune note del Copialettere dalle quali poteva trasparire una collaborazione del Commissario stesso con la Municipalità e le autorità francesi. Non mi sono note poi le vicende attraverso le quali una parte dell’archivio di Gherardo Maffei sia passata come versamento alla biblioteca Guarnacci di Volterra - quella contenente i processi -, mentre un’altra sia invece stata trasmessa per linea ereditaria, alla famiglia Bardini di Volterra, poi a sua volta assorbita nel casato fiorentino dei Galli Tassi.

Per ricostruire le opinioni politiche ed economiche di alcuni dei personaggi de-scritti, mi sono invece servita degli opuscoli conservati nella BUP. Infine per in-dagare le interazione sociale tra sospetti “giacobini” ed élites culturali e politiche cittadine, oltre ad alcuni epistolari privati, ho utilizzato per lo più i rapporti del Bargello di Pisa, compresi nei processi. La lettura del «Monitore Fiorentino» mi ha permesso poi di collocare gli avvenimenti nel contesto più ampio delle vicen-de vicen-del Granducato e di ivicen-dentificare le direttive vicen-della propaganda politica.

12 Il ritrovamento di questo materiale archivistico si deve al dottorando in storia moderna dell’Università degli Studi di Pisa Manuel Rossi.

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1 CAPITOLO. CONTESTO E OCCUPAZIONE. COME SI SVOLSERO I

FATTI.

1.1.

Il

Contesto

internazionale

dalla

rivoluzione

all’Invasione francese del Granducato nel 1799.

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“Quant à la Toscane, elle a obtenu tout

ce que l’administration la plus sage, la plus paternelle aurait pû lui assurer contre l’injustice française ; c’est d’avoir été le dernier Etat de l’Italie à y succomber comme elle sera

le premier à en revenir13

Dopo una breve parentesi di pacifismo14, durata pressappoco dallo scoppio della

Rivoluzione alla fuga di Varennes, nel 1792 il nuovo governo francese guidato dai girondini si impegna in uno scontro bellico con le potenze europee che durerà, con l'unica significativa cesura della pace di Amiens, sino alla sconfitta di Waterloo.

Il 20 aprile 1792 la quasi unanimità dell’Assemblea legislativa, ad eccezione di sette voti tra i quali quello di Robespierre, dichiara Guerra all’Austria, dove Francesco II, nominato re di Boemia e Ungheria, attendeva l’elezione ad Imperatore. La Prussia, forte dei trattati d’alleanza, si schiera a fianco dell’Impero. La scelta di dare inizio ad una guerra fu determinata, da parte del partito girondino, dalla paura di complotti realisti fomentati dagli émigrés nelle corti europee15, e dal desiderio di far schierare apertamente Luigi XVI al fine di

raggiungere o una solida monarchia parlamentare oppure una definitiva

13 Le Chevalier Mac Pherson a Ferdinando di Toscana, lettera inviata da Londra il 3 Maggio 1799, Stàtnì Ustrêdnì Archiv, Praha (SUAP), Hapsbursko-Tonskànsky Archiv, Rodiny Archiv, N. d’Inv. 24, cit. in A. SALVESTRINI, Marco Aurelio, l’imperatore filosofo. Idee, ideologie e intrighi nella crisi europea di fine Settecento, «Rassegna storica del Risorgimento», a. LXXX, aprile-giugno 1994, p. 149; Salvestrini, tramite una perizia calligrafica, ipotizza che «le Chevalier Mac Pherson» sia in realtà uno pseudonimo per l’ex ambasciatore britannico alla corte toscana lord William Wyndam, che in quella data si trovava a Palermo, assieme agli esuli della corte toscana fuoriusciti dopo la conquista francese del Granducato.

14 Utilizzo il termine pacifismo in riferimento a tutto il dibattito culturale, oltre che politico, a cui corrispose l’emanazione del decreto del 22 maggio 1790, tramite il quale la Francia rinunciava ufficialmente ad intraprendere qualsiasi guerra di conquista. Per un approfondimento sul dibattito tra pace e guerra nella Francia rivoluzionaria rimando a La philosophie e la paix, actes du XXVIIIe Congrès International de l’Association des Sociétés de Philosophie de Langue Française, Università di Bologna 19 aout- 2 septembre 2000, sous la direction de W.TEGA, G.FERRANDI, M.MALAGUTI, G.VOLPE, Librairie philosophique J.Vrin, Paris, 2002;

15 Questi timori s’intensificano dopo la dichiarazione di Pillnitz di Pietro Leopoldo del 27 agosto 1791. In questo documento l’Imperatore pone i prodromi di una coalizione antifrancese, ideata per creare pressioni sulla Nazione rivoluzionaria al fine di garantire un rispetto delle prerogative istituzionali del monarca francese. In questo accordo segreto era prevista infatti una mobilitazione degli eserciti europei per accerchiare la Francia, come possibile deterrente per evitare derive anti-monarchiche della Rivoluzione; v. A. SALVESTRINI, Marco Aurelio, op. cit.;

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esautorazione del sovrano; i resti del partito di corte e dei tradizionali rappresentanti di nobiltà e clero appoggiarono la dichiarazione nella speranza che gli eserciti coalizzati riportassero il prima possibile in Francia l’Ancien

Régime. Poco dopo la dichiarazione ci sarà la fuga di Varennes, a cui seguirà la

sospensione dell’autorità regia, e la successiva dichiarazione della Repubblica. La Francia repubblicana, dopo alcune sconfitte iniziali provocate dalla scarsa adesione all’impegno bellico dei quadri dell’esercito, ancora occupati dai residui dell’aristocrazia, si riorganizza velocemente al grido della “Patrie en danger”. Presto ottiene importanti vittorie sugli eserciti alleati, arrivando a conquistare in settembre la Savoia, mentre la vittoria di Jemappes aveva già assicurato il possesso del Belgio, seguito dall’occupazione della Renania. Nel frattempo il decreto approvato il 19 novembre del 1792 da un’Assemblea legislativa ormai dominata dai brissottini, aveva sancito l’impegno della Repubblica nel prestare aiuto a tutti i popoli che tenteranno di rivendicare la propria libertà. Si era così inaugurata una linea politica che andava al di là dell’acquisizione delle semplici “frontiere naturali” e puntava alla formazione di un cordone di repubbliche Sorelle che garantisse la Grande Nation, impedendo alle potenze nemiche di riportare lo scontro bellico sul suolo francese.

In questo contesto internazionale il Granducato di Toscana retto da Ferdinando III, secondogenito di Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, dopo diversi tentativi di mediazione diplomatiche con l’Impero Asburgico e gli Stati della futura coalizione antifrancese, nell’aprile del 1792 sceglie di confermare la neutralità16

come “legge fondamentale e perpetua dello Stato”, secondo la formulazione scelta dal padre nel 1778. La politica perseguita dall’insediamento degli Asburgo-Lorena nel Granducato aveva infatti puntato su un incremento dei traffici commerciali incentrati sull’attività del porto franco di Livorno17. Al fine

di non ostacolarne in nessun modo l’espansione, e forte della protezione

16I. BIAGIANTI, Vittorio Fossombroni e la politica estera del Granducato. Dalla neutralità di Pietro

Leopoldo alla restaurazione di Ferdinando III, in «Rassegna Storica Toscana», a. XLIII, Luglio-dicembre 1997, pp.199-235;

17Livorno era stato dichiarato porto franco dai Medici nel 1675; sedici anni dopo aveva assunto lo statuto di neutralità nei conflitti europei, confermata e resa “costituzione fondamentale perpetua di Livorno e dello stato toscano da Pietro Leopoldo nel 1778”. Per una bibliografia sul porto di Livorno v. a. c. di A. ALIMENTO, War, Trade and Neutrality. Europe and the Mediterranean in the Seventeenth and Eighteenth centuries, FrancoAngeli Storia, 2011, Milano; e P. FILIPPINI, Il porto di Livorno e la Toscana (1676-1814), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998;

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imperiale in caso di minaccia, il secondogenito di Maria Teresa aveva scelto di disarmare lo Stato con l'editto del 1778, favorito da un periodo privo di scontri bellici importanti sul territorio italiano, reinvestendo le risorse precedentemente destinate all'apparato militare, per rafforzare il settore agricolo ed il commercio, in contemporanea all’adozione della liberalizzazione della vendita dei grani.

La neutralità garantisce anche in questo momento lucrosissimi profitti18

attraverso i rifornimenti, in particolar modo di frumento19, venduti alla

Repubblica francese20, i cui porti sono sottoposti al blocco inglese che impedisce

l’arrivo di qualsiasi derrata attraverso le rotte atlantiche. Sembra inoltre l'unica opzione possibile per evitare uno scontro diretto con la Francia, che da parte sua stava procedendo ad una progressiva invasione del territorio italiano a partire dal Piemonte, esponendo quindi il territorio granducale ad un’occupazione, passando attraverso la repubblica di Genova, sempre più legata ai francesi. I tentativi di organizzare una coalizione italica sotto il patrocinio di Vienna non riescono a causa delle rivalità interne tra i vari staterelli. Il regno di Napoli infatti preferiva di gran lunga abbandonare il Piemonte all'invasione per tentare di espandere la propria influenza sulla Penisola, piuttosto che impegnarsi in un intervento che potesse prevenire future espansioni delle armate rivoluzionarie21.

Allo stesso modo lo Stato Pontificio preferiva restare a guardare ancora per un po' lo svolgersi degli avvenimenti, sicuro della protezione dei Borboni di Napoli e dell'Impero.

Il Granducato tenterà di conservare l'indipendenza dello stato, cercando di mantenere un ruolo di mediazione tra le potenze belligeranti e proponendo il marchese Manfredini come agente diplomatico tra Austria e Francia.

18Per un’analisi delle reazioni economiche del porto di Livorno allo scoppiare della guerra tra Francia e Austria nel 1792, riflesse dalle tariffe assicurative, v. A. ADDOBBATI, Commercio rischio Guerra. Il mercato delle assicurazioni marittime di Livorno (1694-1795), Edizioni di Storia e di letteratura, Roma, 2007;

19Per quanto la Francia fosse una grande produttrice di frumento, il raccolto era mal distribuito tra le varie regioni, e la politica di aggiotaggio e accaparramento dei possessori fondiari e di ricchi commercianti, che cercavano di speculare sul rialzo dei prezzi, causò innumerevoli tumulti nelle province, v. M. BOULOISEAU, La Francia rivoluzionaria. La Repubblica Giacobina 1792/94, Laterza, Roma-Bari, 1975;

20Ne abbiamo testimonianza nelle parole di Matteo Biffi Tolomei: “I Francesi vuotarono Livorno del grano forestiero, che vi era a lire diciotto e diciannove il sacco”, cit. in G. TURI, «Viva Maria» La reazione alle riforme leopoldine(1790-1799), Olschki, Firenze, 1969, p. 84 in nota;

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Quest’ultimo, era stato precettore di entrambi i rampolli asburgici. Vero e proprio consigliere del Principe in Toscana, forte di un’esperienza diretta passata al servizio dell’esercito austriaco, riteneva che l’apparato militare imperiale fosse fortemente impreparato a fronteggiare un conflitto contro il popolosissimo stato francese, e si adopererà in ogni modo per dissuadere l’imperiale discepolo dall’impegnarsi in uno scontro22.

Ma la guerra è cominciata. A febbraio, dopo l’esecuzione di Luigi XVI, si sono schierate a fianco dell’Impero asburgico e della Prussia anche Inghilterra, Olanda e a marzo la Spagna. Le pressioni di Lord Harvey, inviato inglese presso la corte granducale, affinché il giovane Ferdinando si decida a prender parte allo scontro si fanno sempre più schiaccianti, fino ad accusare il Granduca di simpatie giacobine23; l’Imperatore, chiamato in soccorso più volte dal fratello,

si rifiuta di intervenire a moderare le pressioni inglesi, che culminano nel celebre ultimatum dei primi di ottobre del 1793: o la Toscana abbandona la neutralità e si schiera a fianco delle potenze reazionarie, o gli inglesi

bombarderanno il porto di Livorno. Il caso della “Modeste” a Genova24, dove i

britannici avevano mitragliato un vascello francese, ponendo in seguito l’embargo al porto neutrale, mostra chiaramente all’apparato di governo toscano che non rimangono molti spazi di manovra per uno Stato senza esercito. Il 28 ottobre viene stipulata la convenzione anglo-toscana ed il Granducato recede formalmente dalla dichiarazione di neutralità, in cambio della protezione britannica. Lo schieramento dalla parte della coalizione della Toscana si verifica in un periodo militarmente sfavorevole alla Repubblica francese, indebolita dai moti della Vandea, attaccata sul fronte del Reno e delle Fiandre e con Tolone

22Il marchese, si dimostra inoltre impregnato di quegli ideali illuministi che imperavano negli anni Settanta-Ottanta nella corte del Granduca Pietro Leopoldo, e a cui richiama più volte entrambi i discepoli; nella sua corrispondenza con l’imperatore Francesco II, il marchese si permette di ricordargli che la creazione della Repubblica era stata una decisione espressione della volontà generale del popolo francese, ed in quanto tale andava rispettata : “..Toute l’Europe vous demande, que Vous reconossiez [sic] l’indépendance absolue de la France, que vous garantissiez, s’il est possible, qùelle même s’y prête par une Négociation” cit. in L.E. FUNARO, “All’Armata e in corte”. Profilo di Federico Manfredini, in «Rassegna Storica Toscana», a. XL, luglio-dicembre 1994, pp. 247-249;

23v. B.M.CECCHINI, La politica estera toscana dal 1793 al 1799 nei documenti dell’Haus-Hof und Staatsarchive di Vienna. Prime Note, in «Rassegna Storica Toscana», a. XLIII, luglio-dicembre 1997, pp.237-286;

24v. B.M. CECCHINI, I problemi della neutralità negli stati italiani nel 1793. Il caso della Toscana e della Repubblica di Genova attraverso la corrispondenza segreta dell’ambasciatore russo Lizakevi, «Rassegna storica del Risorgimento», a. LXXX, aprile-giugno 1993, pp.147-186;

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che si era consegnata agli austro-napoletani e ai britannici. A questo punto il Mediterraneo era diventato un mare britannico; aumentò inoltre l’immigrazione dei rifugiati francesi, scappati dalla repressione delle rivolte federaliste, che forti della protezione inglese si stabiliscono in massa nel porto labronico e vi aprono nuove attività25.

L’adesione alla coalizione non viene però seguita da un impegno attivo nello sforzo bellico, e il Granduca rifiuta aiuti economici e invio di uomini sia ai Piemontesi che al fratello. Nonostante Alessio de la Flotte, rappresentante francese a Firenze, fosse stato allontanato su pressione dell’Harvey ben prima della stipulazione della convenzione, lo stato maggiore toscano tenta di mantenere ugualmente rapporti diplomatici coi rappresentanti francesi che restano di stanza a Genova, dove viene inviato il Carletti, mentre il Manfredini manterrà i contatti con Cacault26, rimasto a Firenze in veste non ufficiale.

Quest’ultimo scriverà il 16 dicembre al suo ministro degli esteri Deforgues, in relazione ai sentimenti della corte toscana verso i francesi:

“A conservé son bon sens à l’égard de notre révolution.. Elle désire nos succès, pour prouver qu’elle n’avoit [sic] pas tort de ménager l’amitié de la France27”.

Nel 1794, nonostante l’allontanamento di Manfredini dalla corte granducale per alcuni mesi, imposto da Vienna, il Granducato spinto dal timore per la riconquista francese di Tolone, nonostante la protezione fornita alla città dagli inglesi, e da un conseguente rafforzamento della minaccia della Marina francese per il porto di Livorno, si prepara ad un trattato segreto con la Francia

25 A. ADDOBBATI, Commercio e rischio guerra, op. cit., p.260; anche dopo il ristabilimento della neutralità e i primi decreti d'espulsione, i britannici riusciranno a mantenere nel porto un'influenza abbastanza forte da impedire la cacciata degli émigrés da loro protetti. Godevano inoltre di una posizione di enorme prestigio nella città labronica, dopo che il blocco del porto di Genova aveva ancora aumentato l'attività di quello livornese; un numero ancora maggiore di émigrés arriveranno poi nel porto labronico dopo la riconquista francese di Tolone; v F. DIAZ, L. MASCILLI MIGLIORINI, C. MANGIO, Il Granducato di Toscana. I Lorena dalla Reggenza agli anni rivoluzionari, in «Storia d’Italia», diretta da G. GALASSO, vol.13, tomo secondo, Utet, 1997, Torino; p. 172-173;

26Francois Cacault, entrato nella diplomazia francese nel 1788 come incaricato d'affari ad interim a Napoli, presso la corte borbonica, per l'assenza temporanea dell'ambasciatore francese Talleyrand. Nel 1791 fu richiamato in Francia, accusato di aver protetto in Italia gli émigrés, ma due anni dopo fu inviato nuovamente in missione diplomatica presso lo Stato della Chiesa in sostituzione di Ugo di Basseville, che era stato assassinato. In seguito ai disordini antifrancesi avvenuti a Roma nel 1793 non poté giungere nella capitale pontificia e si fermò a Firenze;

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termidoriana, preceduto da un decreto d’espulsione per gli émigrés entrati nello stato dopo il 15 gennaio del 1793. Dopo che le trattative furono facilitate dalla caduta di Robespierre, il 9 febbraio 1795 la Toscana torna neutrale. Miot viene nominato plenipotenziario a Firenze dal Comitato di Salute Pubblica, mentre il Carletti è ricevuto con pari grado a Parigi il 17 marzo. Secondo le memorie del Miot questo è il primo “trionfo” in politica estera per la Repubblica28. Appare

molto interessante in proposito il quadro che il futuro conte de Melito stende degli equilibri politici toscani; alla svolta reazionaria di Pietro Leopoldo, in seguito all’incoronazione a Vienna, il rappresentante francese aveva associato un rafforzamento del partito toscano che era stato ostile alle riforme illuminate di quest’ultimo29, composto dai vecchi interessi di nobiltà e patriziato unito ad

un recupero dell’influenza del clero nelle trattative politiche. Questo partito si era schierato su posizioni conservatrici nettamente antifrancesi, e fu controbilanciato a corte dall’influenza del marchese Manfredini, appoggiato da alcuni illuminati esponenti della nobiltà fiorentina come il Galluzzi, il Carletti e, secondo Miot più che altro per convenienza personale, dal giovane Neri Corsini, appena nominato su spinta del Manfredini a capo del Ministero degli esteri. Tuttavia il diplomatico segnala come gli sforzi del cosiddetto “marchese

giacobino30”, emarginato dai circoli viennesi, si concentrino sul mantenimento

della neutralità e non siano più in grado di controllare l’avanzata del partito filo-austriaco nelle cariche ministeriali. A rinsaldare questi timori arriva la nomina a Ministro degli esteri del Seratti, noto ai francesi per l’anglofilia dichiarata. L’opinione espressa già dal ‘95 da Miot rimane emblematica:

28Mémoire du comte Miot de Melito, Ancien ministre, ambassadeur, conseiller d’Etat et membre de

l’Institute, tome premier, Paris, 1880, p.57.

29 A conferma di questa lettura politica concorre la condivisione da parte di Francesco Maria Gianni della scelta di neutralità, riportata in una lettera al Marulli nel 5 gennaio del 1795, dove offre la seguente riflessione in merito alla nuova politica della Convenzione termidoriana: “vedrete che presso a poco il piano di pacificazione sognato cammina d’accordo. Essi non devono estendersi in conquiste e moltiplicarsi i nemici, ma conviene loro procurarsi degli alleati e dei neutrali. La loro nuova politica richiede di cautelarsi acciò in avvenire non insorgano nuove coalizione segrete [rif. A Pilsnit, n.d.r.], e perciò penseranno di riconoscere le nazioni, e corrispondere con esse, ma non già con le Corti e con i Gabinetti. Conviene loro che nei governi monarchici si istituisca almeno una divisione di poteri, più tosto che faticarsi a distruggere i troni. Una guerra esterna è necessaria per loro, sino a che abbiano fissata la marcia del loro governo.”, v. M. DIAZ, Francesco Maria Gianni. Dalla burocrazia alla Politica sotto Pietro Leopoldo di Toscana, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1964, p. 368;

30Per la tenacia con cui perseguirà una politica ostile alla guerra contro la Francia, Federigo Manfredini riceverà il nomignolo di “Marchese giacobino” dai suoi nemici;

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“..il est évident que, tant que nous ne dominerions pas en Italie par la force des armes, nous n’y aurions ni la sécurité de la neutralité ni les avantages de la conquête.31”

A confermare quest'impressione giunge la nomina a governatore del porto di Livorno a Francesco Spannocchi Piccolomini, ex ufficiale della marina

napoletana e noto per le simpatie filo-britanniche32. Nel frattempo i prussiani

stipuleranno una pace coi francesi il 5 aprile del 1795, poco dopo seguiti dalla Spagna.

Gli ultimi mesi del 1795 segnano però una svolta negli equilibri politici della Nazione rivoluzionaria con la sconfitta delle ultime insorgenze giacobine da parte della Convenzione e la comparsa sulla scena politica del giovane Bonaparte, che, chiamato da Barras, seda la rivolta realista del 13 vendemmiaio. Quando quest’ultimo diviene uno dei cinque componenti del Direttorio offre al corso la guida della Campagna d’Italia. Il giovane generale si lancia nell’impresa, facendo delle conquiste sul suolo italico il primo tassello per la costruzione di quella fama che più tardi gli garantirà l’accesso alle vette della politica francese. Le vittorie di Bonaparte costringono i piemontesi all’armistizio di Cherasco del 28 aprile 1796; seguono l’ingresso a Milano dove viene proclamata la Repubblica Transpadana. Il Piemonte cede ai francesi Nizza e la Savoia. Napoletani e inglesi a questo punto temono che dietro alla neutralità Toscana vi sia un riposizionamento austriaco verso trattative di pace con la Repubblica. Nel frattempo si spargono voci su un imminente occupazione di Livorno, non confermate dal Neri Corsini, rappresentante ufficiale a Parigi. Come si svolsero in seguito gli eventi e quale impressione lasciarono sugli abitanti del Granducato possiamo leggerlo in un estratto del Memoriale di cose notabili registrato in quegli anni dal nobile pisano Giovanni Vincenzo Cosi del Voglia:

1 luglio 1796. Fino del 26 giugno prossimo scorso, affinché la Toscana ancora subisse i meritati gastighi, entrarono prima dalla parte di Pistoia le truppe francesi in numero di 6 in 7 mila uomini comandati dall'istesso generalissimo Napoleone Bonaparte con il generale Murat ed altri, e passando Arno e Pisa mostravano di prendere la strada di Roma, come in

31 Memoires du comte Miot de Melito, op. cit., p.68;

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Bologna l'istesso Bonaparte aveva dato ad intendere in amicizia al Marchese Manfredini mandato dal granduca per procurare la deviazione del passo delle truppe dalla Toscana. Ma giunte ad un punto, in cambio di voltare a sinistra, come l'esortava il conte generale Strasoldo, che loro serviva di scorta, voltarono alla destra per Livorno33.

Nonostante i timori di una possibile invasione del porto, già paventata in altre occasioni e sventata più volte dall'abile gioco diplomatico del Manfredini e dalle circostanze, anche questa volta evidentemente le speranze dei toscani si erano concentrate sull'intervento del Marchese. Questi aveva infatti organizzato un abboccamento col generale Bonaparte il 20 giugno a Bologna, e evidentemente ricevendovi vaghe rassicurazioni sul rispetto del trattato di neutralità aveva ritenuto che l'obbiettivo non fosse il porto ma il mero passaggio verso lo stato Pontificio, con il quale i rapporti erano sempre più tesi. Le truppe di Napoleone invece deviarono verso il porto.

Motivazioni preponderanti furono la speranza di impadronirsi dei carichi delle navi inglesi che ancora vi transitavano, assieme al desiderio di eliminare un concorrente di Marsiglia al controllo dei traffici mediterranei e controbilanciare la potenza navale inglese nel mare interno34. I britannici da parte loro

trasferiscono i loro vascelli a Portoferraio, immediatamente occupato, e pongono il blocco a Livorno. I proventi dell’occupazione, assieme alle contribuzioni forzose imposte al Granduca vengono adoperate dai francesi per

la campagna di Corsica, dove nel '93 Pasquale Paoli s'era ribellato ai francesi35

ed aveva offerto ai britannici il porto di S. Fiorenzo, mentre sulle coste toscane si scatena una guerra di corsa ed un susseguirsi di incursioni inglesi. Dopo la gravità di quest'attacco deliberato, mi pare che si possa individuare una cesura nelle relazioni diplomatiche toscane. A questo punto infatti diventa evidente che

33 Cit. in D. BARSANTI, I Cosi del Voglia. Ascesa e decadenza di una famiglia nobile pisana attraverso

l’Ordine di S. Stefano, Edizioni ETS, Pisa, 2001, p.171-172;

34 Significativa è la lettura che ne darà il giacobino Filippo Pananti in una lettera a Luigi Angiolini, futuro rappresentante toscano a Parigi: «Tutto questo appartiene ad un vastissimo piano per gl'Inglesi dal Mediterraneo e Genova ha molto da temere», nel frattempo infatti i francesi trattavano la pace con lo Stato Pontificio e il regno di Napoli per chiudere i loro porti agli inglesi. Il trattato di S. Ildefonso con la Spagna andava poi a rafforzare l'accerchiamento della flotta britannica, fino a costringerla ad abbandonare la Corsica; v. C. MANGIO, Toscana e Francia rivoluzionaria, op.cit., p. 186;

35 Il Paoli non condivideva la direzione impressa alla Rivoluzione dal Governo giacobino e dopo il regicidio prese le distanze dalla Francia, cercando la protezione britannica per mantenere il controllo dell'isola;

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i francesi non si sentano in alcun modo vincolati al rispetto della neutralità, nonostante le dichiarazioni ufficiali. Si rende necessaria una rimodulazione della politica estera che consideri ogni possibilità di difesa contro un'invasione diretta di tutto il territorio granducale, riavvicinandosi alle forze coalizzate, seppur con la discrezione resa necessaria dalla presenza del nemico nel territorio toscano.

Nel gennaio dell’anno successivo il governo granducale riesce a strappare al Bonaparte un accordo per la liberazione di Livorno, al costo di una contribuzione di un milione di lire tornesi da versarsi all’Armata d’Italia e della completa evacuazione da parte degli inglesi della costa toscana, ma a questo punto appare quanto mai chiaro che il destino dell’indipendenza del Granducato è legato al confronto tra Francia e impero austriaco nella penisola.

Nel frattempo le armate di Bonaparte hanno conquistato i territori pontifici di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, che riuniti in Congresso a Reggio Emilia proclamano la repubblica Cispadana. Il 19 febbraio successivo la cessione di questi territori verrà ratificata da Pio VI con la Pace di Tolentino, mentre gli austriaci, dopo le disfatte di Arcole, Rivoli, Mantova, con la Pace di Leoben del 18 aprile, che culminerà col trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797,

riconoscono l’occupazione della Lombardia. Venezia il 12 maggio diventa

Municipalità repubblicana, solo per poi passare a dominio asburgico con il trattato di Campoformio.Il 19 maggio 1997 nasce la repubblica Cisalpina, vi sarà aggregata la Cispadana il 27 luglio. Nel giugno intanto anche la repubblica di Genova lascia il posto alla repubblica Ligure. Il Trattato di Campoformio ratificherà la nascita della Cisalpina in cambio della cessione del Veneto, Istria e Dalmazia. Tra fine dicembre e gennaio, sfruttando il caso diplomatico provocato dall’assassinio di Duphot, ospite ed in procinto di diventare cognato di Giuseppe Bonaparte, il generale Berthier occupa lo stato pontificio e dichiara la nascita della repubblica Romana, proclamata il 15 febbraio 1798.

A questo punto il Granducato si trova circondato da territori sotto il diretto controllo francese, e non potrà evitare le frizioni diplomatiche con la Francia per l’ospitalità concessa a Pio VI. È inoltre soggetto ai desideri d’espansione della Cisalpina, che puntava ad annettere Lucca e la Garfagnana, senza parlare del

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fermento interno dei “patriotti”36 galvanizzati dalla creazione delle repubbliche

e culminato nella sventata congiura di Dattelis37. Ferdinando III si rifiuta inoltre

di accondiscendere al pagamento di ulteriori sovvenzioni all’armata d’Italia. Nonostante le truppe francesi avessero ormai occupato quasi tutta l’Italia, il Direttorio sceglie di non pregiudicare le possibilità di una pace con l’Austria con la formazione di uno Stato italiano federalistico o unitario, senza prestar attenzione alle aspirazioni dei patrioti italiani, appoggiati invece dagli ambienti militari38. Nel 1798 il governo francese sembra ancora interessato a restaurare i

rapporti amichevoli con l’Austria, a conferma di ciò viene inviato nel Granducato Charles Reinhard, un moderato, fedelissimo di Talleyrand, come ambasciatore presso il fratello di Francesco II. Durante l’estate alla conferenza diplomatica di Seltz il rappresentante di Francesco II, Coblentz, tenterà di ridisegnare le zone di influenza in Italia offrendo alla Francia il Granducato in cambio della Lombardia, da assegnare nei loro progetti a Ferdinando III in corrispettivo della perdita della Toscana, ma l’inarrestabile espansione francese non dava adito ad accordi del genere.

Il primo a spezzare l’equilibrio che ancora tenta di mantenere il Direttorio è però il Regno di Napoli, che forte delle alleanze strette con Austria, Russia e Gran Bretagna, affidando il comando del suo esercito al generale austriaco Mack a fine novembre invade la repubblica Romana. Il Granduca, avvertito dell’imminente attacco napoletano, impaurito dalle probabili ripercussioni e da una nuova occupazione del porto di Livorno chiede a Vienna l’invio di truppe a difesa della Toscana, ma il fratello, impegnato in altri fronti e insoddisfatto dal mancato allineamento del Granduca alla politica della coalizione, rifiuta. A fine ottobre allora Ferdinando si rivolge direttamente a Napoli per la difesa militare di Livorno, con l’accortezza di mantenere segrete le trattative e concordare un ultimatum da parte del Borbone par salvaguardarsi da eventuali future accuse

36 C. MANGIO, Tra conservazione e rivoluzione, in F. DIAZ, L. MASCILLI MIGLIORINI, C. MANGIO, Il

Granducato di Toscana. I Lorena dalla Reggenza agli anni rivoluzionari, in «Storia d’Italia», diretta da G.GALASSO, vol.13, tomo secondo, Utet, 1997, Torino;

37 La congiura Dattelis per il Granducato diviene il simbolo concreto del pericolo rappresentato dalla Cisalpina, dove si erano concentrati i patrioti ansiosi di estendere il dominio francese su tutta la penisola. Per una bibliografia su De Attelis, rimando alla voce redatta da Cassani sul Dizionario Biografico degli Italiani, vol.33; la grafia del nome a cui mi rifaccio è stata mutuata da C. Mangio, I patrioti toscani, op.cit., e fa riferimento alla grafia usata nei documenti conservati presso A.S.FI;

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francesi39. Il Re invia allora il 28 novembre 7.000 soldati tramite una flotta

capeggiata dall’Ammiraglio Nelson a Livorno, per tagliare la ritirata ai francesi. Il 30 novembre il governo toscano tenta intanto di potenziare le truppe di volontari per rimpinguare le esigue forze militari dello Stato. Ma l’invasione napoletana viene bloccata dal generale Championnet, che mette in fuga il Re di Napoli, e occupa la parte settentrionale del regno borbonico, dove nel gennaio del 1799 viene creata la repubblica napoletana. Il Piemonte nel frattempo scaccia la corte Sabauda e viene annesso direttamente alla Francia. L’occupazione napoletana e l’accusa di complicità mossa dal Direttorio al governo granducale concorre tuttavia al deterioramento dei rapporti di neutralità, e mentre Ferdinando III è costretto a pagare contribuzioni alla

Grande Nation, il contingente francese di Serrurier, caduta la minaccia

napoletana a Livorno, occupa la Repubblica di Lucca il 2 gennaio 1799, per rafforzare le pressioni affinché il Granduca si presti a pagare 2 milioni di franchi, che vengono concessi sotto forma di prestito alla Repubblica Cisalpina. A questo punto l’Italia è quasi interamente conquistata dalle truppe francesi, che puntano ad un’espansione marittima ed economica nel Mediterraneo, sostenuta dal neo-ministro degli esteri Talleyrand e dall’ingresso nel Direttorio di Merlin de Douai, uno degli inventori della politica dei “grandes limites”, favorito da Napoleone. Le Repubbliche create in gran parte della penisola diventano inoltre il simbolo dell’affermazione del potere personale del generale Bonaparte (nonostante il momentaneo impegno in Egitto), che dopo il colpo di stato del 18 fruttidoro è sempre più inserito ai vertici della politica francese, e ne orienta le scelte in politica estera a fronte di una salda alleanza con l’antico vescovo di Metz. Il rafforzamento della Campagna d’Italia promette inoltre alla Francia una fonte di entrate dallo sfruttamento della penisola ed un nuovo sbocco commerciale per la produzione francese, fortemente penalizzata dal blocco inglese. In un opuscolo di un patriota, troviamo traccia di quel che potevano pensare i coevi in questo preciso momento storico:

M’ero rannicchiato in Toscana, dove aspettavo gli avvenimenti del tempo, e dove mi si diceva che atteso la condotta pacifica, e leale del granduca, e la politica inarrivabile del

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Marchese Manfredini, non sarebbe accaduta la Rivoluzione; ma i Francesi che sono un poco più politici del Manfredini, e che non amano tanto la pace quanto l’amava il Granduca hanno smentito la mia credenza40.

In realtà dopo l’invasione di Livorno è ormai abbastanza palese ai più che l’annessione del Granducato è solo questione di tempo. Il 12 marzo 1799 la Francia del Direttorio dichiara nuovamente guerra all’Austria, colpevole di aver concesso il passaggio attraverso i suoi territori alle truppe russe, alleate degli inglesi ancora in guerra con la Francia; contemporaneamente la guerra viene dichiarata anche al Granducato, le cui manovre di avvicinamento alla nuova coalizione antifrancese in formazione non erano state apprezzate dalla Repubblica.

Segue l’immediata invasione della Toscana da parte di 24000 soldati guidati dal generale Gaultier, mentre una colonna capeggiata dal Miollis prende Livorno. Il 25 è occupata Firenze. Il Granduca lascia lo Stato il 27 marzo per rifugiarsi a Vienna, dopo aver invitato i sudditi all’obbedienza tramite un proclama; la sua cerchia costituita dal Neri Corsini, Manfredini, Seratti e Fossombroni, dopo il fallimento della politica di neutralità si imbarca per la Sicilia, a seguito del bando esteso dall’imperatore a tutto il governo toscano, in cui si proibisce loro l’accesso a tutti gli Stati ereditari. Il Papa Pio VI, dopo il rovesciamento subito con la creazione della repubblica romana nel 1798, trasferitosi a Siena e da lì nella Certosa di Firenze, sotto la protezione del Granduca, fu condotto prima a Bologna, poi a Valence dove morirà il 19 agosto.

L’occupazione tuttavia non viene seguita dalla proclamazione di una Repubblica sul modello della Cisalpina o Cispadana:

“La Toscane ne sera pas révolutionnée, mais elle sera administrée par un gouvernement provisoire, à la tête duquel est place mon mari, avec le titre de «Commissaire organisateur», et compose de patriotes bien-pensants”41

40 Lettera di Claudio Claudj papista alla Santità di Pio VI beatissimo Padre, Firenze, 1799;

41 Une femme de diplomate. Lettres de Madame Reinhard à sa mère. 1798-1815, cit. in C. MANGIO, Tra

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Per il momento il Direttorio sceglie di non operare nessuna sostanziale modifica dell’ordine istituzionale scegliendo di mantenere la Toscana come moneta di scambio da far valere nelle trattative diplomatiche. Una delle prime azioni del governo occupante è infatti quella di confermare le antiche magistrature ed il personale in esse presente, con decreto del 26 marzo e successivi42: al Commissario Reinhard erano state infatti fornite

istruzioni piuttosto libere sul fronte dell’organizzazione giuridico amministrativa da darsi alla Toscana43. Si lasciava al suo giudizio la scelta

se modificare o meno le istituzioni e la legislazione vigente; l’unico limite esplicito espresso dal Direttorio riguardava la conferma del sistema tributario vigente, chiaramente finalizzata a non creare complicazioni per un immediata organizzazione del drenaggio delle risorse. Nel frattempo, almeno secondo le rassicuranti dichiarazioni del «Monitore Fiorentino», ci si apprestava a preparare un nuovo sistema amministrativo basato su dipartimenti e cantoni e si prometteva una futura emanazione di una Carta costituzionale fondata “sui principi della libertà e dell’uguaglianza”44. Per il

momento non viene nominato alcun governo provvisorio, ma un bureau di consultazione composto da tre ministri: Alessandro Rivani, posto a capo della Polizia, dopo che la sua difesa di Dattelis gli era valsa la fama di democratico, Niccolò Salvetti per la giustizia e Francesco Maria Gianni nominato responsabile delle finanze per segnare una linea di continuità legittimante con il riformismo leopoldino.

42A.S.Pi, Leg. T.13 (1), Bando del 26 Marzo 1799; 43 v. C. MANGIO, I Patrioti toscani, op.cit., p. 192-193;

44 v. «Monitore Fiorentino», 12 aprile 1799/23 Germinale anno VII, p.62; di fatto nessun progetto di Costituzione vedrà la luce in questo periodo, nonostante l’imminenza della stesura di una carta costituzionale venga annunciata più volte nella pubblicistica democratica, v. M.LUZZATI, Orientamenti democratici, op.cit.;

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1.2. I francesi a Pisa. Prime misure d’ordine pubblico.

“Pisa 25 marzo. Jeri mattina prima delle ore sette comparve una colonna di soldatesca Francese proveniente da Lucca. S’impossessò immediatamente delle Porte e del Palazzo del Commissario. Furono disarmati i dragoni, e gli altri soldati, che coi loro Uffiziali partono oggi per Lucca, come prigionieri di guerra. Sono stati presi in ostaggi otto dei così detti Nobili. Le Casse dell’Ufizio [sic] dei Fossi, della Dogana, e delle Possessioni Reali furono sigillate, e se ne farà oggi il riscontro. È stato proclamato un ordine contro gli Emigrati, contro questi vili fuggitivi della patria, che sono stati forse le prime sorgenti della calamità della guerra.”45

La mattina di Pasqua del 24 marzo 1799 una guarnigione capeggiata dal commissario di guerra Chaucet46 occupa la citta di Pisa, senza che si

manifesti alcuna opposizione da parte degli abitanti. Nel lasciare la Toscana il Granduca Ferdinando III aveva invitato i sudditi all’obbedienza verso l’occupante e la tradizione neutrale della Toscana, oltre ad aver disabituato i cittadini allo stato di guerra, aveva reso lo stato pressoché privo di corpi militari. Non vi sarà dunque alcuna aperta opposizione contro le truppe provenienti dalla Repubblica di Lucca, che attraverseranno la città, dirette a Livorno. Lasceranno sul posto solo seicento uomini agli ordini del comandante Laborey e del generale Touret. Le prime azioni annunciate nell’articolo del «Monitore fiorentino», giornale sorto nel periodo dell’occupazione sotto la penna di Giovanni

Stecchi47, con forte vocazione propagandistica, rientrano nelle misure che

meglio simboleggiano la presa in possesso di una città. Vengono infatti messe in sicurezza le porte, la cui sorveglianza passa dai militi granducali ai soldati francesi e occupato il Palazzo del Commissario, simbolo

45v. «Monitore Fiorentino», n.2, 27 Marzo 1799 – 6 germinale an VII. Sull’ora dell’ingresso dei francesi a Pisa ci sono diverse versioni; il verbale dei Partiti del Magistrato comunitativo indica infatti le otto, mentre nel suo memoriale - pubblicato da Barsanti - Vincenzo Cosi del Voglia parla delle ore nove; 46 V. A.S.Pi., Comune Div. D, f.174, c.350;

47C. MANGIO, I Patrioti toscani fra "Repubblica etrusca" e Restaurazione, op.cit.; sulla figura di Filippo Stecchi rimando a V.BALDACCI, Filippo Stecchi, un editore fiorentino del Settecento tra riformismo e rivoluzione, Leo Olschki, Firenze, 1989; Per una prospettiva sulla stampa del triennio giacobino rimando invece a CASTRONOVO, G. RICUPERATI, C. CAPRA, La stampa italiana dal Cinquecento all’Ottocento, vol.1, Laterza, Roma, 1976;

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dell’autorità granducale nella provincia48. Nell’entrare in Toscana i

francesi si adoperano immediatamente nel proiettare un’immagine ben distinta da quella di rivoluzionari anticlericali, pronti alla requisizione dei beni di aristocratici e Chiesa, che imperversava nella propaganda controrivoluzionaria. In tutti i loro proclami viene infatti ribadito con forza il rispetto per culto e proprietà privata, assieme all’intenzione di non arrecare offesa alle tradizioni locali49; in questo contesto si colloca il sigillo

posto alle Casse dell’Uffizio de’ Fiumi e de’ Fossi, assieme a quella della Dogana e delle Possessioni Reali. I francesi s’impegnano a rendere manifesto che gli immediati interventi sugli ex possessi granducali sono condotti con forme sottoposte a garanzie legali, ben distinte dalla modalità delle requisizioni senza quartiere, basate unicamente sul diritto di conquista. Tutte le risorse della Comunità, rappresentate dalla Cassa del Monte di Pietà, e da quella del Magistrato Comunitativo, vengono infatti lasciate intatte e non sottoposte a sequestro, a dimostrazione del fatto che le truppe sono venute ad instaurare un nuovo governo legale ed interessato del sostentamento dei cittadini toscani. La comunità di Pisa tuttavia, si affretterà a formare una delegazione per domandare il rilascio delle Casse, composta dal nobile avvocato Giovanni Simonelli e dal procuratore Luigi Papanti50:

Nell’urgenza della circostanza [il Magistrato comunitativo [n.d.r.] determina una commissione presso il generale dell’armata in Toscana, ed il commissario della repub-blica francese. I Cittadini Dott. Luigi Papanti, e Giovanni Simonelli né sono incaricati. Questi protesteranno in nome della Municipalità i più vivi sentimenti di riconoscenza all’invitta Nazione. Domanderanno l’immediato rilascio di tutte le casse Comunitative, e di quelle dell’Ufficio de’ Fossi all’amministrazione ai rispettivi dipartimenti non ap-partenendo queste casse, che ai privati versandovisi le collette per i lavori della Cam-pagna, ed altri oggetti d’economia.

48«Vi è il commissario che è un cavaliere, il quale è il rappresentante del Sovrano, soprintendente alle funzioni pubbliche, spettacoli, teatri etc…” v. PIETRO LEOPOLDO D’ ASBURGO LORENA, Relazioni sul Governo della Toscana, a. c. di A. SALVESTRINI, vol. II, p.67;

49«Monitore Fiorentino», n.1, 26 marzo 1799/6 germinale anno VII.

50 Iscritto nel 1786 nella lista di procuratori autorizzati ad esercitare la professione forense; v. D.BARSANTI, Pisa in età leopoldina, op.cit., p.142, n.114;

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Parimente domanderanno una commissione di reclamazioni, avanti alla quale possa ciascuno presentare le sue querele per ottenere, che siano portate al generale, e ai respettivi uffiziali i fatti provati in favore di chi ricevesse alcuno di quegli aggravi, e torti da quali l’invitta Nazione ci ha garantiti51.

È significativo il fatto che vengano incaricati due soggetti dotati di specifiche competenze giuridiche per occuparsi dell’ambasciata; quello che veniva richiesto era infatti la restituzione delle risorse necessarie al sostentamento della Comunità sulla base della legittimazione giuridica data dal fatto che entrambe le casse contenevano il denaro versato dai cittadini per la gestione di lavori di pubblico interesse.

Un altro intervento immediato degli occupanti sarà l’organizzazione del controllo del flusso di entrate ed uscite dai confini del paese occupato, onde evitare l’ingresso di soggetti sgraditi, oltre ad eventuali spie o individui in rapporti commerciali con le potenze in guerra con la Francia. Il 4 aprile viene infatti pubblicato un bando in cui si prescrive che ciascun cittadino straniero, francese in primis, che desideri risiedere in Toscana, debba munirsi dell’apposita Carta di sicurezza, sottoscritta dal Comandante Gaultier. A questo segue l’ordine d’espulsione degli émigrés francesi, odiatissimi dai compatrioti perché ritenuti responsabili di fomentare in tutta Europa l’odio contro i rivoluzionari e di organizzare complotti con le potenze straniere. Un gran numero di francesi scappati all'espandersi della Rivoluzione si era infatti rifugiato nel Granducato, per lo più nei pressi di Livorno. L’ossessione dei rivoluzionari per gli émigrés emergerà nei continui bandi emanati per rafforzare i provvedimenti di espulsione, regolarmente elusi dai compatrioti che optarono in molti casi per una dispersione nella provincia, meno controllabile della superficie cittadina da parte delle truppe rivoluzionarie o dei bargelli e famigli delle comunità52. Poco dopo saranno espulsi anche tutti i sudditi di potenze

impegnate nello scontro bellico a fianco della coalizione.

Contemporaneamente a queste prime operazioni, dirette alla salvaguardia da un pericolo esterno, si provvede anche a disarmare la popolazione per

51 A.S.Pi, Comune Div. D, 174, c. 352;

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evitare disordini e ribellioni53. Tra i provvedimenti adottati da Pietro

Leopoldo per il mantenimento della neutralità vi era stata, come abbiamo detto, l’abolizione dell’esercito operata tra 1778 e il 1781. Con regolamento interno del 30 giugno del 1789 fu poi ristabilita a Pisa una compagnia veterana regolare, al fine di garantire la città da possibili disordini, visto il clima generalizzato di insofferenza della popolazione dovuto agli effetti delle riforme leopoldine e i rincari dei prezzi dei cereali sulle piazze cittadine. L’anno successivo, in seguito ad un tumulto scoppiato in favore del ripristino delle confraternite religiose, fu restaurato anche il corpo dei dragoni, con circa cento effettivi divisi tra la città di Livorno e Pisa. Altro strumento per il mantenimento dell’ordine pubblico era il corpo delle Bande. Questo battaglione fu istituito a Pisa, con decreto del 20 agosto 1794. Il corpo avrebbe dovuto essere costituito da 2736 uomini capitanati da un Colonnello, scelto direttamente dal granduca tra tre candidati proposti dal Provveditore dell’Uffizio dei Fossi; a questo ufficio cittadino spettava anche l’amministrazione economica del battaglione. All’arrivo dei francesi il Colonnello54 delle Bande per la provincia di Pisa era il Balì

Angiolo Roncioni55. La formazione, concepita esclusivamente per garantire

il mantenimento dell’ordine pubblico non era equipaggiata per una reale

offensiva militare 56 ; la truppa perciò non pose alcuna resistenza

all'ingresso delle truppe francesi. Con un bando del 28 Marzo a questi corpi verrà dunque imposta la consegna degli armamenti; dopodiché saranno invitati a tornare al lavoro nei campi57 e a non indossar più la

divisa pena l’arresto58.

53Ivi, n.3, 28 marzo (8 germinale), p.10;

54A lui subentrerà prima Cammillo Mosca, poi Antonio Bracci Cambini, che nel 1814 redigerà un progetto per un corpo di milizia nazionale dedicato a Ferdinando III;

55M. LUZZATI, Balì Angiolo Roncioni nelle vicende toscane del 1799-1801, op.cit., pp.121-138;

56Al mantenimento di un esercito regolare Pietro Leopoldo, sostituisce una milizia civica territoriale. Per la provincia di Pisa sarà costituito nel 1780 un corpo composto da 18 ufficiali e sottoufficiali e 120 comuni. Questa milizia era posta alle dipendenze della segreteria degli affari militari di Firenze e dal commissario militare di Livorno; v. M. LUZZATTO Introduzione al fondo del Commissariato di Pisa, Fondo segreto, Inventario 32 bis;

57Nell’opuscolo anonimo intitolato Ai toscani, stampato presso Peverata nel 1799, molto probabilmente dopo l’inizio della rivolta aretina, l’autore segnala l’abolizione delle Bande tra le azioni compiute dal nuovo Governo a favore del Popolo, che adesso non viene più distolto dal lavoro per il servizio militare:

(27)

Nel frattempo per assicurarsi della collaborazione della popolazione, ed in particolare delle élites cittadine, otto nobili ostaggi vengono convocati il giorno dopo l'entrata delle truppe, durante la festa della Santissima Annunziata e tenuti agli arresti nel palazzo del Commissariato. Tra questi viene trattenuto anche lo stesso commissario Maffei. Nel memoriale lasciato dal patrizio Giovanni Vincenzo Cosi del Voglia59, membro di un

antica famiglia e titolare di alcune cariche per l’Ordine di S. Stefano, troviamo traccia del sequestro:

Infatti l’istesso generale Thouret, comandante delle truppe in Pisa, la mattina del 25 marzo, festa della santissima Annunziata, ordinò che si adunassero nel palazzo detto del commissario alcuni dei nobili, ai quali esso intimò l’arresto per stare ivi fino a nuovo ordine e come ostaggi per la quiete del popolo, dichiarando essere questa una semplice misura militare per breve tempo, giacché aveva bene osservato che il popolo pisano era dolce e tranquillo, onde dopo tre giorni sciolse l’arresto, rimandò ciascuno alle loro case sebbene dovesse essere guardato per qualche giorno nel girare per la città da una [..]o sia accompagnato, tenendolo a mangiare e dormire nella propria casa. Fra questi invitati mi trovai io scrivente a sentire il discorso prima, e ricevere l’arresto del generale francese, ma avendoli detto che in quei giorni ero travagliato da qualche piccola febbre, con somma umanità mi rispose che avendo da mandare in luogo mio un figlio, mi ritirassi pure in casa e così, offrendosi Tommaso il mio secondogenito, prese il mio posto d’arresto con altri otto, cioè lo stesso commissario della città cavaliere Gherardo Maffei, cavaliere Tommaso Alliata, balì Roncioni, cavaliere Franceschi, operaio Camillo Borghi.60

La sostituzione immediatamente concessa al nobile senza nessuna difficoltà, dimostra un’immediata attenzione delle autorità militari a non alienarsi le simpatie delle élites cittadine. Simili provvedimenti saranno presi anche in relazione agli ostaggi scelti per accompagnare le truppe nella loro ritirata

“I vostri lavori non vengon dalla legge interrotti, ed anzi vi si rendono, coll’abolizione delle Bande, quelle braccia la di cui mancanza era già risentita dalle vostre campagne”, v. Ai toscani, Peverata, Pisa, 1799, p.5;

58A.S.Pi, Leg. 13 (1), Bando 28 Marzo 1799; 59 D. BARSANTI, I Cosi del Voglia, op.cit.; 60 Ivi, Appendice prima, p. 172.

(28)

meno di quattro mesi dopo, come testimoniato dal Copialettere della Municipalità in relazione alla richiesta di sostituzione di Sisto Benvenuti61.

Dalle parole del nobile pisano, confermate da una lettera inviata dal generale

Miollis al Magistrato Comunitativo62, veniamo poi a sapere che la misura di

arresto “cautelare” degli otto ostaggi fu seguita dal loro rilascio dopo solo tre giorni, in virtù della pacifica acquiescenza del popolo pisano.

Nel frattempo dalla città labronica, dove risiede il generale, viene emanato un ordine per la cattura dei disertori; appare subito un immagine più realistica delle truppe repubblicane, dove in realtà il tasso di diserzione rimaneva alto, dopo nemmeno un anno dall’adozione della celeberrima loi

Jourdan63, e ogni nuova conquista poteva rappresentare un ottima

occasione per darsi alla macchia. In questo caso il solito interlocutore delle

autorità militari, ovvero Il Magistrato Comunitativo, si affretta a

specificare, nella risposta all’ordine, l’estrema difficoltà di portare a buon fine un operazione di polizia volta all’arresto di tali disertori, perché molti di essi si erano dispersi nelle campagne.

61 A.S.Fi, Galli Tassi Bardini, f. 114, c.86, n. 158; lettera al generale Miollis di stanza a Livorno, 22 fiorile anno 7;

62Lettera in cui il Miollis comunica alla Comunità l’intenzione di rilasciare gli ostaggi, A.S.Pi, Comune

Div.D, f. 174, c.352-353;

63 La loi Debrel-Jourdain era l’insieme dei provvedimenti tramite i quali nel 1798 venne istituita in Francia la leva generale obbligatoria. Prescriveva che tutti i cittadini tra i 20 e i 25 anni prestassero cinque anni di servizio militare.

Figura

Figura 1. "il fu club". Incisione anonima a colori. Milano, Raccolta Bertarelli
Figura 2. "Un francese tenta di staccare l'Italia dall'Europa. Incisione anonima. Parigi, Biblioteca Nazionale.
Figura 4. " La mattina del 5 luglio 1799". Incisione anonima a colori. Roma, Archivio del Museo centrale del  Risorgimento
Figura 5. Il democratico stordito e disperato. Incisione anonima. Milano, Raccolta Bertarelli.
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