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Nobiltà d’opinione e trattamenti nobiliari, il ruolo sociale della nobiltà a Pisa a fine Settecento.

3.2 “Albero senza radici, berretto senza testa” Ricezione popolare di simboli e ideali rivoluzionari:

4. CAPITOLO Le classi dirigent

4.2 Nobiltà d’opinione e trattamenti nobiliari, il ruolo sociale della nobiltà a Pisa a fine Settecento.

“Il nobile, ma povero, non è da più delle lucciole, che hanno bensì nella deretana parte un poco di luce, ma luce fatua, trastullo solamente de’ fanciulli 309

309L.A. MURATORI, De difetti della giurisprudenza, in op.cit., I, p.88;

Nonostante l’erosione del potere politico determinata dalle riforme comunitative e dall’assurgere della figura del ricco possidente come soggetto titolare di diritti politici, l’aristocrazia mantiene ancora un ruolo preminente nella società toscana tra Sette e Ottocento, e questo soprattutto a causa del suo prestigio.

Ma in che cosa consiste questo prestigio e come si manifesta nella Pisa di fine Settecento? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tentare di analizzare quali sono le forme di distinzione di cui gode l’aristocrazia nel quotidiano. Ancora una volta possiamo ricorrere alla pubblicistica democratica. Nella

Lettera di Giuseppe Niccolini istitutore di Pubblica Istruzione nella Repubblica Cisalpina ai suoi amati Concittadini Pisani, troviamo infatti diversi riferimento

a dei comportamenti e pratiche, che marcano l’essenza del privilegio e della distinzione nei confronti degli altri ceti. L’opuscolo ci mostra inoltre quali sono le strategie adottate dal nuovo governo per salvaguardare il messaggio degli ideali rivoluzionari senza di fatto modificare gli assetti istituzionali del paese conquistato. Partiamo dunque dal suo opuscolo, composto nel giorno immediatamente successivo all’erezione dell’albero della libertà nell’Ex Piazza dei Cavalieri, per identificare alcune delle “distinzioni” proprie dello status nobiliare:

E Voi oramai parte di Popolo, Voi che la vostra, e la comune disgrazia collocati vi avea in una classe ingiustamente privilegiata, conosciete [sic] alla perfine [sic] il torto che avevi [sic]. Adunatevi ancor per una volta fra quelle mura ove tripudiando nel lusso, nei giochi…....[sic] barbaramente insultavi [sic] ai timidi e laboriosi Artigiani, ma sia una tale adunanza solo per versare lacrime di pentimento, e per fare col pianto vostro santo lavacro alla impurità di quei fregiati appartamenti. – Allora i vostri Fratelli vi porranno sicuri il piede, certi di non esser contaminati dalla atmosfera respirazione [sic]di quei superbi ricettacoli. –

Sin dalle prime parole appare evidente il taglio politico impresso dall’autore. Le truppe francesi sono arrivate in Toscana da meno di due settimane, ma già la società è stata rigenerata e non esistono più classi distinte, ma un unico popolo

di cittadini. È evidente dalla data di pubblicazione inserita nell’opuscolo310, che

il momento puntuale a cui si fa risalire un’abolizione effettiva delle distinzioni cetuali è rappresentato dall’erezione dell’albero della Libertà. I francesi infatti non emaneranno mai delle vere e proprie misure legislative per sancire la decadenza dei titoli nobiliari, ma in compenso sarà immediatamente adottata la prassi di eliminare i titoli onorifici dai documenti legali e da ogni stampato pubblico. Il «Monitore fiorentino» inizierà sin dal battesimo di stampa a rivolgersi agli “ex nobili’, per invitarli alla rigenerazione democratica, come farà il resto della pubblicistica patriottica.

Il linguaggio e i temi adottati sono di chiara origine rousseauviana. Si sottolinea come il nobile nasca tale solo per scelta del caso, all’interno di una società dove gli uomini sono eguali per natura e da questo deriva dunque l’ingiustizia del privilegio (“il torto che avevate”). Si attacca dunque l’ordinamento cetuale, assolvendo i nobili che ne hanno preso coscienza. Significativa è la richiesta di pentimento e il richiamo alle lacrime, segno inequivocabile di contrizione. Ci appare evidentissimo in questo passo il richiamo alle radici culturali del cristianesimo, sotteso al contesto simbolico della rigenerazione rivoluzionaria. La politica adottata dai francesi e propagandata dai democratici si concentra dunque sul conseguimento di un’uguaglianza simbolica, che elimini le manifestazioni evidenti del privilegio, ma non si diriga contemporaneamente a progettare una redistribuzione delle ricchezze creando un reale livellamento sociale. La novità rispetto al retaggio delle riforme leopoldine consisterà dunque quasi esclusivamente nell’attacco alla semantica d’Antico regime, attraverso un tentativo di soppressione di tutti quelle pratiche e attribuzioni che ostacolavano l’idea di un’uguaglianza formale tra i cittadini.

Nell’opuscolo il simbolo della distinzione nobiliare viene identificato in un luogo dove gli aristocratici pisani si riunivano per “tripudiare nel lusso e nel gioco”. Il riferimento è al Casino dei nobili, un’istituzione cittadina dove erano ammessi soltanto i nobili. La scelta di farne un paradigma polemico si basa dunque sul carattere d’esclusività e di separatezza di questo locale. L’annuncio che il pubblicista democratico fa alla popolazione è che presto questo luogo sarà

310Sebbene la data di pubblicazione sia il 3 aprile, alla fine dell’opuscolo stesso si specifica che la redazione risaliva in realtà all’indomani della cerimonia d’erezione dell’albero della Libertà, il 30 marzo 1799;

aperto alla frequentazione di tutti. Questo è il cambiamento che portano con se le truppe francesi: un’uguaglianza che distrugga per prima cosa i simboli degli ingiusti privilegi.

Il Casino dei nobili a fine Settecento era oramai un tipo di istituzione presente in tutte le maggiori città toscane; a Pisa fu inaugurato nel 1754311, in un palazzo di

proprietà dei padri di Nicosia, affacciato nell’attuale Piazza Garibaldi. Era stato costituito per creare un ambiente dove l’aristocrazia avesse modo di praticare la nuova sociabilità settecentesca, intessuta di feste, conversazioni, e riunioni mondane, senza doversi sobbarcare i costi, eccessivi per le singole famiglie, dell’organizzazione di numerosi ricevimenti e occasioni di intrattenimento. Il Casino infatti veniva finanziato congiuntamente dai membri, che si autotassavano a tal fine312. L’esigenza di un luogo dove esercitare le nuove

formule di socialità importate dal modello francese si sviluppò a seguito del rilancio che la città di Pisa ebbe nei circuiti europei del Grand Tour dopo la costruzione dei Bagni di S. Giuliano, meta turistica assai apprezzata dai viaggiatori stranieri. La presenza di dame e cavalieri avvezzi ad un sistema di intrattenimenti assai più vari e moderni rispetto alla provinciale vita nobiliare pisana dette un nuovo impulso all’adozione di pratiche sociali e culturali più moderne.

Sulle attività e le funzioni che queste istituzione ebbe sull’evoluzione identitaria dell’aristocrazia pisana troviamo di nuovo qualche indicazione nelle invettive dei pubblicisti democratici; Andrea Vacca’ ad esempio ci terrà a sottolineare che:

I nobili si dice in Toscana non facevano una classe a parte che in apparenza, e tutti i lor privilegi si riducevano a potersi radunare in un casino, ove per non morir dalla noja calunniavano i galantuomini, si nutrivan d’orgoglio, imparavano l’etichetta, s’istruivano in tutti i giochi di carte, per far poi con queste belle prerogative, secondo l’opinione di un

311Esisteva già nel secolo precedente un luogo destinato al gioco chiamato “Casino de’ Gentiluomini”, ma si trattava di un istituzione a carattere privato; il Casino settecentesco chiederà invece il Patrocinio della Reggenza e diventerà una pubblica società, seppur riservata esclusivamente all’aristocrazia; v. A. ADDOBBATI, Il Casino dei nobili e il disciplinamento delle aristocrazie toscane nel XVIII secolo, in «Bollettino storico pisano», n. LXII, a.1993;

312Per un approfondimento sul funzionamento e lo statuto amministrativo del Casino de Nobili, v. A. ADDOBBATI, Il Casino de Nobili, op.cit ;

mio concittadino, l’ornamento della città, a cui avventuratamente era toccato in sorte d’essergli patria.313

Anche da questo testo emerge una forte valenza identitaria di alcune prerogative nobiliari “che gonfian d’orgoglio i partecipanti”, ed ancora una volta è il Casino ad esserne identificato come simbolo. Quando il medico pisano ci racconta che nel Casino i nobili si limitavano ad “imparare l’etichetta”, ci dà in realtà un’altra informazione preziosa sulle funzioni specifiche dell’istituzione; questi luoghi di ritrovo infatti rappresentarono per l’aristocrazia settecentesca uno spazio privilegiato per la diffusione e l’articolazione di quei modelli di

comportamento che andavano a divenire caratteri fondamentali

dell’appartenenza al ceto nobiliare. Si conferma l’idea di una distinzione sociale da mantenersi attraverso la rigida adesione a modelli di comportamento prestabiliti, che facciano dell’esibizione pubblica di magnificenza e di un comportamento codificato un segno del prestigio sociale. Il Casino dei Nobili durante l’occupazione del 1799 verrà chiuso su iniziativa degli stessi aristocratici, come riportato nell’articolo del «Monitore Fiorentino»:

Si tacque di un documento che fa onore all’abolita Nobiltà, la quale spontanea si confonde col popolo e annienta una delle sue più vistose e insultanti distinzioni314.

Segue poi la descrizione dello scioglimento della società da parte dei deputati, con conseguente liquidazione dei debiti e crediti di questa.

Ma il Casino non sarà l’unico simbolo di distinzione sociale ad essere colpito. Il 3 fiorile alla Municipalità arriva infatti l’ordine di chiudere “il Collegio della Casa detta Carovana”315. Viene colpita anche l’istituzione dei Cavalieri di S.

Stefano, che rappresentava uno dei segni distintivi della classe nobiliare, fungendo oltretutto da strumento d’accesso al ceto dirigente del Granducato per quei soggetti la cui ascesa sociale veniva ad essere suggellata dalla

313Un patriota ai suoi concittadini, Peverata, Pisa, 1799, ristampato sul monitore Fiorentino 1 giugno n.59 v. M.LUZZATI, Orientamenti democratici, op.cit;

314 «Monitore Fiorentino», n.10, 5 Aprile 1799, 16 germinale anno VII; 315 A.S.Fi, Galli Tassi Bardini, f. 114, c. 24, n. 45, 3 fiorile anno 7;

nobilitazione, tramite acquisto di una commenda316. Altro gesto dalla forte

valenza propagandistica fu l’abolizione dei titoli nobiliari. Quel che rappresentavano agli occhi dei democratici le espressioni di deferenza con cui le consuetudini obbligavano a rivolgersi ai membri di nobiltà e patriziato lo possiamo intravedere nei toni un po’ esasperati del solito Vaccà:

Quante volte sono stato penetrato da una profonda pietà al vedere alcuni di questi insetti voler dominare sopra il Popolo, gettando sopra lui uno sguardo superbo, e disdegnoso, e gonfio dei suoi privilegi compiacersi in sentir proferire il proprio nome preceduto da una serie di titoli buffoni, da una schiera di vocaboli, che nulla significano317

La pubblicistica punta dunque ad una delegittimazione di tutte quelle raffigurazioni sensibili di disuguaglianza sociale presenti nella società toscana. Nella città di Pisa non si verifica però nessun atto coercitivo per distruggere l’identità dei ceti dirigenti. Le insegne sui palazzi non saranno demolite e allo stesso modo gli autori meno virulenti dei Vaccà invitano i nobili stessi a privarsi volontariamente degli orpelli che li allontanano dalla rigenerazione e ad accettare il nuovo patto sociale basato sull’uguaglianza:

Prendete le Pergamene delle vostre famiglie, e con esse portate gli emblemi delle distin- zioni a pie’ dell’Albero rigeneratore. – Non vogliate aspettare che una legge giustamente ve lo imponga. – Io vel consiglio pel vostro bene maggiore. - il Popolo vedrà che il cor vo- stro si è purificato, e che non vi abbisognano degli impulsi violenti a farvi agire secondo la naturale Uguaglianza. Forzati che il siate non godrete giammai della popolar confiden- za. – Tremate se questa vi manca. – Ma Voi lo farete. - Voi scienziati siete dei diritti dell’uomo, e le Anime vostre già si slanciano verso della Virtù, della Giustizia318.

Quando la polemica investe gli oggetti del lusso, altra fondamentale manifestazione di un’elevata appartenenza sociale, non si ritrova una vera e propria critica all’ingiustizia in relazione ad una distribuzione così ineguale

316 Sulla funzione sociale dell’Ordine di S. Stefano rimando alle opere di F.ANGIOLINI, A.COPPINI e D.BARSANTI;

317Al popolo sovrano della campagna pisana, Peverata, Pisa, 1799; 318 Lettera di Giuseppe Niccolini, op.cit.;

delle ricchezze. Tutto quello che si sottolinea è una superiorità morale dei ceti bassi:

Voi leggiadrissime Donne che dall’alto di leggeri angliche bighe. E di dorate quadrighe, a traverso di boemj Cristalli non vi degnate abbassare uno sguardo alle vostre sorelle, che in umil gonna, timide e riverenti vi offrivan l’incenzo [sic] della venerazione, siate adesso più degne dell’amor loro. – Abbracciatele affettuosamente, e ricordatevi che la Virtu’ sul vestir miseri Panni. – deponete un’intempestiva alterigia, ed allora sarete pienamente adorabili319.

In queste righe la polemica contro il lusso acquista infatti cenni moralistici nell’opposizione tra la virtù, rappresentata in “miseri panni” e l’alterigia aristocratica, circondata da cristalli e carrozze. Il riferimento è quello ad una democrazia di morigerata uguaglianza guerriera, sul modello dell’antica Sparta, tanto cara ai giacobini.

319 Lettera di Giuseppe Niccolini, op.cit.

5. CAPITOLO. Sistemi di sociabilità e frequentazioni di patrioti