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3.1 “Il faut dancer” Contesto simbolico e opera di catalizzazione del consenso

"Piantate in mezzo a una pubblica piazza un palo coronato di fiori, ponetevi intorno un popolo, e otterrete una festa" Rousseau

Figura 4. " La mattina del 5 luglio 1799". Incisione anonima a colori. Roma, Archivio del Museo centrale del Risorgimento

Al loro arrivo le truppe francesi, mentre si occupano di organizzare un sistema burocratico in grado di attendere al nuovo governo regionale e sopperire ai bisogni urgenti causati dal sostentamento delle molteplici campagne militari, tentano di organizzare attorno al proprio operato il consenso della popolazione che permetta loro di stabilire un’occupazione duratura e che li ponga al sicuro da ribellioni interne.

Il primo fronte su cui devono combattere a questo proposito, è senz’altro quello di tentare di smentire la rappresentazione che la propaganda reazionaria andava facendo della Rivoluzione e dai valori di cui le truppe si rendevano portatrici:

Non si trattava di una guerra di commercio, di frontiere o di prestigio, ma di una guerra dichiarata a qualsiasi esponente del dominio, della regalità, della religione, della morale, della proprietà, della gerarchia degli ordini, dei privilegi e della proprietà. Sovrani, nobili, proprietari, tutti hanno lo stesso interesse a stroncarla166.

La penna di de Maistre ci dà un’idea dell’immagine della rivoluzione proiettata all’estero dai suoi detrattori, e diretta in particolare alle corti ed alle classi dirigenti di Antico Regime; ma vi era un altro tipo di propaganda ancora più pervasiva e diffusa: quella dei preti émigrés. I francesi agli occhi dell’Europa cristiana sono prima di tutto un “Popolo senza religione”.

In un libello filofrancese intitolato Lettera di Claudio Claudj papista a Pio VI, si possono trovare, anche se per smentirle, tutte le più comuni accuse che la propaganda reazionaria muoveva alla nazione francese:

Avevo letto sulle Gazzette gli orrori che s’imputavano a quella Nazione; avevo inteso da diversi viaggiatori, e particolarmente dagli Emigrati che in Francia non v’era sicurezza di vita, né di proprietà. Non v’era religione, non v’era Culto; i Sacerdoti perseguitati, i templi distrutti. Violati i Monasteri, spogliati i conventi; spregiate le immagini di Dio, della Madonna, e dei Santi; rotti, e calpestati i Crocifissi, mandate alla zecca le Pissidi, e i vasi sacri; le istesse campane, segno della riunione dei fedeli erano serviti a far moneta167.

166J. DE MAISTRE, Marie Antoinette, archiduchesse d’Autriche, ou causes et tableau de la Révolution,

p.15, cit. in M. BOULOISEAU, op. cit., p.28;

Nella propaganda antifrancese infatti era rimasto vivo il ricordo dell’apice della violenza anticlericale scoppiata a seguito del rifiuto di gran parte del clero di prestare il giuramento civile alla nuova Costituzione e deflagrato nel ’93 durante la campagna di “scristianizzazione”. I francesi si trovano dunque a dover fare i conti con l’immagine di atei e sovvertitori dell’ordine pubblico; non a caso i primi proclami diffusi dai generali, all’indomani dell’ingresso in Toscana, rassicureranno con molta enfasi i cittadini sul rispetto del culto. Le requisizioni nei luoghi religiosi saranno piuttosto limitati, e di preferenza a danni di enti slegati dall’opera di cura delle anime. Si prenderanno di mira piuttosto i simboli di una religione tutt’altro che popolare, espressione dei secolari legami tra privilegi ecclesiastici e patriziato cittadino, come il Priorato di Malta e la religione di S. Stefano. Si lasceranno inoltre intatte anche le più consolidate celebrazioni del culto, come le processioni del corpus domini168, a cui piuttosto

saranno indirizzati a partecipare i nuovi componenti delle élites “democratiche”, per consolidare l’immagine di un nuovo ordine di cose che non escluda la religione169.

Solo alla fine del periodo di occupazione, quando i rovesci militari metteranno alle strette i generali ed il governo provvisorio si preparerà alla ritirata, farà la sua comparsa un bando in cui verrà imposta una nuova contribuzione sui conventi170, esplicitamente destinata al sostentamento dei poveri171. Questo ci

appare come un tardivo e tiepido tentativo di conquistare il favore popolare e evitare l’adesione delle masse contadine alla rivolta degli aretini.

168v. A.S.Pi, Leg. 13(1), Bando 20 maggio: Organizzazione della processione del Corpus Domini con percorso stabilito dai vescovi di concordo con le Municipalità e istruzioni per la partecipazione dei membri della Municipalità con fiocco tricolore al braccio assieme alla Guardia Nazionale;

169Questa nuova politica di acquiescenza nei confronti delle radici di una religione tradizionale che così duramente confliggono con l’estremo sforzo di creazione di una società laica in Francia, confluiranno nella politica adottata da Napoleone, con Il concordato firmato da Pio VII. Per un approfondimento sui rapporti tra Napoleone e la Chiesa cattolica rimando alle opera di O. BOUDON;

170“ Miravasi è vero i sacri Templi poveri e nudi delle preziose lor suppellettili, divenute ormai preda della gallica insaziabile rapacità, ma ricchi bensì comparivano e adorni dell’accresciuta frequenza del popolo adoratore, che ivi a sfogar correndo le sue interne afflizioni, ivi a lui svelando le tacite ardenti sue brame, ripetea sovente coll’appassionato Davidde [sic]: Domine, ante te omne desiderium meum, et gemitus meus a te non est absconditus!”, G. D. ANGUILLESI, Orazione politico morale, Peverata, Pisa, 1799, p. 17; Da questo passo possiamo vedere come l’esercizio delle pratiche liturgiche non abbia sofferto di alcuna restrizione durante l’occupazione;

171A.S.Pi, Leg. 13 (1), Bando 25 giugno 1799; già Ferdinando in realtà aveva chiesto un prestito straordinario al clero sotto forma di versamento alla zecca degli oggetti non essenziali;

Tra i primi interventi del governo francese, sin dall’arrivo in Toscana, finalizzati alla prevenzione di eventuali tumulti cittadini, ci sarà quello di assicurarsi immediatamente il controllo dei forni e stabilire delle ispezioni regolari per la qualità del pane, consci delle difficoltà di reperimento della farina che l’occupazione militare aveva provocato. Di fronte alle richieste di calmierazione dei prezzi si mobiliteranno anche i “Patriotti”, come si può vedere dal un libello del municipalista Leopoldo Vaccà172; in questo innanzitutto il medico si sforzerà

di far capire alla popolazione che non dipendeva dalla Municipalità fissare il prezzo del pane, ma restava prerogativa del governo francese. Segue poi una perorazione a favore del libero prezzo dei cereali usando l'argomentazione, cara ai fisiocratici e sostenitori delle riforme leopoldine, che la libertà avrebbe garantito un equilibrio spontaneo dei prezzi ed il costante afflusso di cereali, altrimenti ostacolato da un abbassamento eccessivo sfavorevole ai venditori. La battaglia in difesa della libera circolazione dei grani intrapresa dai municipalisti oltre a richiamarsi all’eredità delle riforme leopoldine, intendeva scongiurare il blocco dei depositi di grano presenti a Livorno, ordinato dalle autorità militari per garantire il sostentamento delle truppe. Una grossa parte della produzione del grano dei proprietari pisani proveniva infatti dalle Maremme e veniva trasportata per mare a Livorno. Da qui poi era stoccata in depositi, e immessa sul mercato a seconda della disponibilità e del prezzo raggiunto sul mercato. Bloccando i depositi i francesi dunque sottraevano ai possidenti gran parte delle proprie entrate, ed allo stesso tempo rendevano inagibile alla comunità la maggior piazza di acquisto dei grani, dove era solita far scorta nei momenti di penuria. Questo è quello che il Presidente di turno Tito Manzi scriverà in una lettera al Commissario francese a Livorno, Chaucet:

Pisa raccoglie nelle sue Maremme la maggior parte del grano, che ella possiede; la lunghezza e il dispendio della via di terra fa preferire ai proprietari quella del mare per dove questo grano è più celermente, e con minor costo trasportato a Livorno; ivi si lascia

172Discorso del cittadino municipalista Leopoldo Vacca Berlinghieri letto nella seduta pubblica della

Municipalità di Pisa del 11 fiorile anno VII della Repubblica in replica ad una petizione relativa al prezzo del grano fatta alla Municipalità nella precedente seduta pubblica del 4 fiorile anno VII della Repubblica”, Pisa, Peverata, 1799; cit. in M. LUZZATI, Orientamenti democratici, op.cit;

per lo più, come in luogo di più facile commercio, e per il risparmio delle ultime spese. Tale è il corso ordinario delle cose annualmente e ne sono questi i motivi;

Il Divieto general d'estrazione per ogni sorte [sic]di grano esistente in Livorno vi ha dunque inchiodato tutto quello che di lor particolare proprietà vi conservavano i cittadini di Pisa per la loro sussistenza […] vi ha fermato egualmente quello che i Fornai del Paese avevano già preventivamente acquistato per sovvenire ai bisogni delle loro botteghe173.

Verranno poi fatte pressioni sul Gianni e il Reinhard affinché questi depositi tornassero nella disponibilità dei proprietari. Anche in questo caso, oltre alla preoccupazione per la salute pubblica troviamo la traccia di interessi forti che premeranno sulla Municipalità. Uno dei personaggi che eserciterà più pressioni per il rilascio del grano stoccato a Livorno sarà infatti il potente arcivescovo Franceschi.

Quando i primi segni della rivolta aretina inizieranno ad infiammare le campagne tuttavia, lo stesso governo francese, oltre ad obbligare i militari al rilascio di una parte del grano conservato nel porto, adotterà misure per calmierare i prezzi.

Si tenta anche di assicurarsi che, dopo l’impiego delle masse di disoccupati in pubblici lavori e incombenze create all’uopo, il numero di questi non venga a crescere in seguito a licenziamenti di cui si servivano le famiglie della vecchia élites per fomentare disordini e creare pressioni sul nuovo governo. Appaiono diversi articoli di denuncia di tali casi nel «Monitore fiorentino», e in opuscoli filofrancesi; alcuni di questi riguardano dei proprietari terrieri pisani, che vengono accusati di aver licenziato i braccianti per incitarli alla rivolta e verso di loro si rivolgeranno le parole di un concittadino pisano, fedele agli ideali repubblicani:

Amate quei che un giorno ingiustamente consideravi [sic] Esseri a Voi di gran lunga inferiori. – Voi siete ricchi, essi poveri sono, ma sono onesti, e laboriosi. – fregiate viepiù le vostre comodità colla continuazione dei fregiati lavori, ed affezionatevi così maggiormente i vostri fratelli. – Ma guai a voi se presi da indirette passioni troncate ad essi le strade onde sussistere. – Guai se acciecati trascinar vi lasciate agli orrori che

inevitabilmente succederebbero alla necessità Popolare – Niuno sottrar vi potrebbe dall’Ira che Voi stessi infusa avreste nei docili cuori dei vostri onesti Artigiani fratelli174.

Non sappiamo con esattezza se l’accusa di licenziamento volontario finalizzato alla creazione di disordini corrisponda a verità, i proprietari, dal canto loro, lamentavano difficoltà economiche dovute all’aumento dei prezzi ed alle continue requisizioni variamente mascherate. Ma di fatto i francesi emanarono una legge nella quale restava proibito “ai ricchi, e ai Nobili di licenziare i domestici, ed altre genti che stipendiano”. La disposizione venne resa pubblica con effetto per tre decadì (un mese), salvo il sottolinearne la rinnovabilità; inoltre si obbligarono i parroci a leggere quest’ordine durante la messa, evidentemente per diffondere il più possibile tra gli abitanti un profilo degli occupanti come difensori degli interessi popolari contro le speculazioni di ricchi e aristocratici.

Più complessa ed elaborata sarà l’opera di istituzionalizzazione di un nuovo linguaggio simbolico e pedagogico con l’intento di favorire un’identificazione immediata dei principi “democratici”. In Toscana inoltre si crea una sorta di divorzio tra il principio della democrazia e quello della repubblica, con gran delusione dei più ferventi “patriotti”; le direttive del direttorio erano chiare in materia, la Toscana non doveva divenire una Repubblica, ma restare a disposizione come moneta di scambio in eventuali trattative con l’Impero asburgico. Naturalmente era necessario non lasciar trapelare queste istruzioni per non alienarsi le simpatie dei patrioti.

Nel triennio giacobino si diffonde in Italia, a seguito delle armate francesi, una raffigurazione allegorica del tema della Libertà, seguendo diversi stili e gradazioni; all’inizio si tratta per lo più di personificazioni molto semplici, complete di intestazioni e vignette, caratterizzate da una simbologia ancora piuttosto stereotipata e che riprende in alcuni oggetti, come per esempio il raggio di luce ed il leone, simboli della monarchia. Nella carta intestata usata dall’amministrazione ci si limita ad oggetti inanimati, come berretti frigi o fasci

174“Lettera di Giuseppe Niccolini Toscano istitutore di Pubblica Istruzione nella Repubblica Cisalpina ai

littori; dopo il colpo di Stato del 9 termidoro si avrà però una svolta, con la creazione di scene composite e paesaggi allegorici con al centro la raffigurazione classica della Libertà. La carta intestata rimasta nel fondo del Comune, divisione D, presso l’Archivio di Stato di Pisa, presenta entrambi i modelli175. Dalle prime

figure stereotipate il passaggio a figure più composite sarà segnato in varie parti d’Italia dall’intervento di grandi disegnatori, soprattutto a Roma, città ricolma di artisti che si esercitavano nella ripresa dei temi neoclassici e Milano dove si

metterà a disposizione del Bonaparte l’Appiani176. Il convincimento delle

popolazioni conquistato tramite l’uso del nuovo pantheon repubblicano appare fondamentale al nuovo governo, ben cosciente, dopo il tirocinio rivoluzionario, del valore politico di simboli e del linguaggio, che rappresentano la prima espressione di potere sulla società. Ci si sforza quindi da subito di coagulare un immediato consenso popolare tramite gli strumenti che nel percorso di democratizzazione della Francia erano apparsi come tra i più efficaci, e tra i pochi ad essere in grado di creare una “realtà simbolica”177: le feste.

L’utilizzo delle feste178 per una riaffermazione di un contesto simbolico in realtà

non è prerogativa del nuovo ambito semantico rivoluzionario. La monarchia ne aveva già fatto strumento di propaganda, e riaffermazione dei principi dell’ordine di una società divisa gerarchicamente per gradi, manifestati nei

momenti di celebrazione attraverso un accurato cerimoniale179. Per non parlare

dell’utilizzo che ne aveva fatta la religione, la cui prima conquista era stata la divisione del tempo settimanale in lavorativo e festivo, con la consacrazione della domenica al Signore e la creazione di tutto un sistema di feste ulteriori dedicate ai santi che scandivano e definivano tutti i giorni lasciati liberi dal

175 A.S.Pi, Comune Div. D;

176 C. SAVETTIERI, Dal Neoclassicismo al Romanticismo, Carrocci, Roma, 2009;

177Secondo le analisi di Brelich sulla storia della religione, la festa si situa all’interno di uno spazio sacro, creando una relata autonoma dal quella del tempo profane. Costituisce dunque una realtà al riparo dal tempo e per ciò essa è in grado di assorbire degli interessi storici, che sono alla base della sua organizzazione, ma di esprimerli al di fuori del momento contingente, universalizzandoli nella creazione di un contesto simbolico, v. F. PITOCCO, op.cit. p.18 e segg.;

178Per un utile compendio sull’analisi del tema della festa nelle scienze sociali rimando alla voce relativa nell’Enciclopedia di Scienze sociali, Treccani;

179Già Rousseau si era soffermato su questo punto : “ On ne saurait croire à quel point le cœur du people suit ses yeux, et combine la majesté du cérémonial lui en impose. Cela donne à l’autorité un air d’ordre et de règle qui inspire la confiance et qui écarte les idées de caprice et de fantaisie attachées à celles du pouvoir arbitraire.”, Considération sur le gouvernement de Pologne, in J.J. ROUSSEAU, Œuvres complètes, vol. III, Gallimard, France, 1964, p. 964 ;

lavoro. Questa operazione era poi stata confermata e rinnovata nel successivo disciplinamento della materia dopo il concilio di Trento. Un nuovo impulso regolatore si ebbe poi in Francia sotto il regno di Luigi XIV quando si procedette ad una diminuzione delle feste religiose allora in vigore. Iniziò così un dibattito con forti motivazioni economiche oltre che morali, destinato a proseguire sotto l’impulso dato dal movimento giansenista, ed a secolarizzarsi nelle proposte di riforma di stampo illuministico, portate avanti in particolare dagli enciclopedisti e legate alle tematiche del lusso e degli spettacoli. Rousseau vi inserirà delle riflessioni sul carattere pedagogico della festa, evidenziata come strumento essenziale per educare il “cittadino” all’amore per la patria e per dar forma al sentimento di comunità180. I rivoluzionari nel processo di riedificazione

simbolica del patto sociale181 si approprieranno della concezione delle feste del

ginevrino, il quale fu poi uno dei pochi a sostenere l’importanza di moltiplicare le feste anziché diminuirle, in quanto esse costituivano un momento di socialità fondamentale per lo sviluppo della coscienza popolare182. La questione della

limitazione delle feste religiose in ambito francese culminerà infine alla fine del Settecento, in piena Rivoluzione, con la proposizione del marchese de la Villette che “gli interessi dei santi sono contrari agli interessi dei popoli” e con la ristrutturazione operata dalla frattura rivoluzionaria nel rapporto tra religione e gestione degli spazi pubblici.

Si sviluppò anche una corrente riformatrice interna al cattolicesimo che in

Italia ebbe uno dei suoi maggiori esponenti in Ludovico Antonio Muratori183;il

sacerdote nel suo ‘Regolata divotione”, dopo le necessarie osservazioni sulle minacce alla pubblica morale e sulla desacralizzazione delle troppe feste correnti, che venivano ormai trascorse nelle osterie o in attività ludiche con sprezzo del terzo comandamento, introdusse la questione economica nel dibattito sulle feste, proponendo una diminuzione dei giorni festivi per

180 J.J.ROUSSEAU, “il faut invente des jeux, des fêtes, des solennités […] beaucoup des spectacles en plein air, ou les rangs soient distingués avec soin, mais où tout le people prenne part également…” Considération sur le gouvernement de Pologne, op. cit., p. 962-963;

181In relazione alla concezione estetica della festa nella Francia della seconda metà del Diciottesimo secolo, rimando a E. FRANZINI, Il teatro, la festa, la rivoluzione. Su Rousseau e gli enciclopedisti, Centro Internazionale Studi di Estetica, Agosto 2002;

182“Sono già molte le feste pubbliche che possediamo; sarei ancora più felice, se le aumentassimo” J.J ROUSSEAU, Lettre à D’Alembert sur les spectacles, 1758;

permettere ai meno abbienti di procacciarsi la sussistenza. L’attenzione concessa a questo argomento dal nuovo Papa Prospero Lambertini permetterà lo sviluppo di un dibattito, che vedrà opporsi fieramente alle proposizioni riformatrici avanzate da diversi ecclesiastici, come il Muratori e il Tamburini, una fazione che si opponeva alla diminuzione delle festività le cui figure di spicco si individuavano nel Commissario del S. Uffizio L. M. Luino e nel cardinal

Querini184. Benedetto XIV alla fine non produrrà una modificazione definitiva in

materia, ma lascerà libertà ai vescovi di stabilire il numero delle festività in ogni diocesi, salvo il diritto di ratifica; la questione verrà invece rimandata all’ambito del giurisdizionalismo nei trattati separati con diversi sovrani che negli anni compresi tra il 1748 e il 1754 otterranno dal Papa il permesso di riformare il calendario liturgico nel regno di Napoli, nel granducato di Toscana e nell’Impero Asburgico185.

Anche in Toscana esisteva dunque tutto un apparato di feste186, che negli ultimi

anni della dinastia medicea, sotto l’impulso dell’estrema religiosità di Cosimo III avevano visto un forte disciplinamento degli aspetti celebrativi, improntati in questo periodo ad una pietà barocca con forte carattere di coinvolgimento della popolazione veicolato attraverso processioni, flagellazioni e rappresentazioni allegoriche. Il Granduca pose un’estrema attenzione ad evitare occasioni di frequentazioni promiscue, che potessero attentare alla castità dei sudditi. In questo periodo tuttavia il sovrano non si era interessato soltanto ad una promozione delle feste religiose, ma aveva anche patrocinato alcune festività laiche, quali il palio dei cocchi e il gioco del calcio, ormai diventata una manifestazione simbolica della autorità del principe187.

Pietro Leopoldo invece dirigerà anche verso l’ambito delle festività il suo amplissimo sforzo riformatore, entrando nel merito dei precetti festivi con una legge del 1767, dopo che la limitazione del numero delle feste si era rivelata incapace da sola di riaccendere il fervore religioso. Il Granduca ritornerà con diversi motupropri su questa legge, evidentemente rimasta per gran parte

184Per il dibattito sulla riforma del calendario ecclesiastico rimando a F. VENTURI, op. cit.;

185Che l’iniziativa per la riduzione delle festività sarebbe passata al braccio secolare era stato intuito dallo