• Non ci sono risultati.

Il compito più importante della municipalità è dunque di preoccuparsi del mantenimento della quiete pubblica. Vengono pertanto immediatamente intensificate le misure di sicurezza per garantire che il momentaneo cambio istituzionale non dia adito ad attacchi alla proprietà:

Nell’atto che la Municipalità s’incarica della momentanea sussistenza dei Manufattori disimpiegati di questa città, la quiete pubblica, la sicurezza personale, la impegna ad invitare il Comandante di questa Piazza a far pattugliare dall’imbrunir della sera fino a notte avanzata per la Città con far arrestare quei soggetti, che abusando del protesto di loro miseria affrontassero i cittadini per la strada, o alle Case.89

La prima preoccupazione dunque è di evitare attentati alla proprietà. Ben evi- dente dunque appare sin da subito l’ispirazione dei membri della Municipale, che non hanno nessuna intenzione di chiedere misure che garantiscano una re- distribuzione della ricchezza o il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti. Gli interessi da tutelare sono quelli dei ceti medio-alti e il primo obbiettivo da raggiungere è quello di assicurare il mantenimento dell'or- dine. Per quanto riguarda invece la popolazione, ci saranno alcuni interventi, ma per lo più diretti a sostentare i disoccupati con l’istituzione di lavori pubblici, secondo un modello già rodato dalle politiche leopoldine. Nell’analisi dell’applicazione delle riforme degli anni Settanta e Ottanta condotta da Barsan- ti attraverso lo studio delle carte della Comunità, possiamo vedere infatti che lo stesso granduca aveva proposto dei pubblici lavori per dare un sollievo imme- diato ai disoccupati, viste le carenze strutturali del sistema manufatturiero. In questo frangente pare che inizialmente il magistrato comunitativo si fosse oppo- sto all’organizzazione di opere pubbliche, sostenendo che non ve n’era di biso- gno e che lo stato non doveva occuparsi di mantenere i lavoratori, perché in questo modo avrebbe fatto un’indebita concorrenza ai privati. Nel copialettere della municipalità troviamo un memoriale steso dal Nardi e indirizzato al com- missario delegato Cailhasson, che sostiene la tesi della non intromissione dello

89A.S.Pi, Comune Div. D, f. 174, c.361;

Stato nel pubblico commercio, tipica delle riforme di liberalizzazione dell’apparato produttivo e commerciale, sia valida solo in momenti di pace. Gli sconvolgimenti portati invece dall’occupazione e dalle spese necessarie al man- tenimento delle truppe hanno ribaltato il sistema:

In tempi dunque o di malcontento, o di cattiva intenzione, o di paura nella classe de'più ricchi, La lor maniera di pensare cangia. Essi non pensano ai soliti godimenti, o al commercio delle loro ricchezze, ma pensano a ritenere presso di se tutto ciò, che l'organizzazione sociale gli ha permesso d'accumulare, e questo per provvedere a bisogni straordinari ai quali s'immaginano andare incontro, o per far nascere degli ostacoli a qualche nuovo sistema, contro di cui son pervenuti o per altre ragioni, che non importa sviluppare. Ma se ricusano i ricchi di far lavorare, cosa resta a poveri da fare, se non morìr dalla fame, o obbligare i ricchi a dargli lavoro, e in ricompensa del lavoro una porzione delle loro ricchezze che li sostenti?90

Si richiede dunque alle autorità francesi l’autorizzazione a stanziare finanziamenti per opere pubbliche dove possano essere impiegati tutti quelli che erano rimasti privi di fonti di sussistenza a causa dell’occupazione e del blocco del porto di Livorno.

Dal Copialettere della Municipalità vediamo in che cosa altro consiste l’attività del nuovo collegio. Per prima cosa si domanda alle autorità francesi di non mettere in atto la sostituzione del Bargello Andrea Fabbrini con quello di

Livorno, Chiarini 91 . Non conosciamo i motivi di questa proposta di

trasferimento, né i motivi per cui la Municipalità insisterà nell’opporvisi; l’ufficiale in questione non si farà scrupolo poi nel redigere rapporti con precise descrizioni di tutti i presunti abusi fatti dai “democratici”, che costituiranno gran parte delle prove a carico dei patrioti pisani durante i processi del 1800. Si può notare tuttavia a mio parere una sorta di tendenza protezionistica nelle decisioni del collegio, che cercherà di non far allontanare o danneggiare in alcun modo nessun membro della vecchia amministrazione, a partire dal Commissario Maffei che riotterrà il versamento dello stipendio grazie all’intervento dei municipalisti. Nelle mansioni di mantenimento dell’ordine

90 A.S.Fi, Galli Tassi Bardini, f. 114, c. 11, n.29, 30 germinale anno 7. Il memoriale è interamente riportato nell’Appendice 2.

pubblico, assegnate dal decreto di Reinhard alla Municipalità, confluiranno anche molte delle prerogative della figura del commissario. In particolare il nuovo collegio si occuperà di dirimere le liti per via di conciliazione e di soccorrere nobili indigenti92.

Compaiono poi nel Copialettere della Municipalità numerosissimi richiami ai vicari della provincia perché si incarichino immediatamente di punire abusi o insulti ai danni dei patrioti da parte della popolazione93. Questo dato è

significativo, perché ci mostra come ad una apparente docilità e approvazione diffusa, millantata dalla propaganda, corrispondevano in realtà diversi episodi di insofferenza verso i patrioti, distribuiti durante tutto il periodo dell’occupazione. Allo stesso modo furono elogiati e incoraggiati i parroci che denunciarono episodi d’ostilità contro i democratici o che s’adoprarono dal pulpito in favore della concordia civile94. I municipalisti si occuperanno poi di

prevenire tumulti nel bagno dei forzati in subbuglio, ordinando il trasferimento di parte dei prigionieri a Lucca e a Livorno. Particolare attenzione sarà posta poi al controllo degli emigrès, che nel frattempo tentavano di sottrarsi all’espulsione disperdendosi nelle campagne. Fu redatta infatti una nota per il Cailhasson, delegato della commissione francese a Pisa, in cui si suggeriva di trasferire questi ultimi nei paesi vicini alla repubblica Cisalpina, dai quali si riteneva potessero arrecare meno danno alla morale e quiete della popolazione95.

Altra grande preoccupazione causata dall’invasione e dal frequente passaggio di truppe era la minaccia di un’epidemia di peste. A questo proposito la Municipalità si cimenterà in una vera e propria battaglia con le autorità francesi affinché fossero utilizzati i vecchi sistemi previsti dagli statuti toscani per ridurre il rischio d’infezione. Pare che infatti su questo tema il governo occupante si sia affrettato ad organizzare un bureau di sanità a Livorno per sovraintendere alle disposizioni necessarie96, ma che questo non fosse agli occhi

dei toscani particolarmente adatto a difendere la popolazione dalla possibilità di

92 In particolare nel copialettere della Municipalità viene citato il caso di una richiesta di sussidio per il nobile Bonaccorso da Paule presso il fratello di quest’ultimo. v. A.S.Fi, Galli Tassi Bardini, f. 114, c. 136, n. 274, 21 pratile anno 7;

93 Ivi, c.2, n.2, 27 germinale anno 7 e segg.; 94 Ivi, c.8, n.19, 29 germinale anno 7; 95 Ivi, c.10, n.26, 29 germinale, anno 7; 96 Ivi, c.61, n.111, 13 fiorile anno 7;

contagio. Secondo i municipalisti infatti si trattava di un lavoro che necessitava di personale specializzato e ben rodato, perché spesso si rendeva necessario bruciare corpi con tutti i loro effetti personali, che rischiavano di rivelarsi infetti. È chiaro che gli amministratori toscani temessero che l’avidità e l’incapacità dei militari potesse compromettere la salute pubblica. Sul fronte della battaglia contro l’epidemia sarà inoltre molto attivo un medico di note simpatie e frequentazioni democratiche, Francesco Masi, che era stato uno dei quaranta membri della deputazione di consultori.

Nel bando con cui era stata istituita la Municipalità si specificava che questa aveva il compito di nominare una Guardia Nazionale per garantire il buon ordine cittadino. Su questa questione si creeranno tuttavia alcuni contrasti. Apparentemente infatti nonostante l’editto, l’amministrazione francese non si era affrettata ad emanare il regolamento in base al quale questa avrebbe preso possesso delle sue funzioni. Tanto che sarà la stessa Municipalità pisana a

richiamare il delegato della commissione francese su questo punto97. Il

presidente Nardi esprimerà al Cailhasson anche le proprie preoccupazioni in merito al fatto che i soli patrioti si erano iscritti, mentre gli altri cittadini, temendo di venire poi arruolati per battaglie regolari disertavano in massa le iscrizioni98. Per incoraggiare ad inscriversi la municipalità suggerirà poi di

concedere il mezzo per farsi sostituire nel servizio attivo pagando il corrispondente di una giornata di lavoro, calcolato in una lira e dieci. Questa soluzione secondo i municipalisti era da sostenersi perché:

Con questo metodo si toglie ogni legittima scusa di non soscriversi [sic], e si offre un soccorso a chi mancasse di lavoro99;

97 A.S.Fi., Galli Tassi Bardini, f. 114, c.11, n.28, 29 germinale anno 7;

98 Possiamo vedere un esempio dell’estrema reticenza al prestarsi a divenire parte della Guardia Nazionale attraverso una nota che registra la supplica di Giovan Domenico Anguillesi, letterato di fede realista:

“Citt, Capitano/Alle rimostranze del cittadino Anguillesi, che asserisce non esser domiciliato in questa città né poter perciò essere incluso nel ruolo de' supplementari alla Guardia Nazionale la Municipalità vi invita a sospendere ogni domanda per il pagamento del cambio finché non cosi se egli abbia il diritto di essere escluso./Saluto Repubblicano/Nardi Vicepresidente/Agostini Venerosi Segretario; Ivi, f. 149, n. 385, 25 pratile anno 7;

I municipalisti cercheranno invece con questo tentativo di invogliare i disoccu- pati e poveri ad entrare a far parte della Guardia Nazionale, garantendo a chi so- stituiva un altro soggetto idoneo un guadagno. A questo punto tuttavia sarà quasi impossibile coinvolgere i nobili e i proprietari nel servizio di guardia. Era infatti uso soprattutto degli aristocratici quello di inviare i propri servitori a montare la guardia al posto loro100. Su questo problema si esprimerà anche il

«Monitore Fiorentino»:

Gli aristocratici facean di tutto, perché non avesse effetto il piano sulla Guardia Na- zionale. Si produceano anche i cavilli di un Dottore sull’intelligenza del Proclama del 3 fiorile. Molti ascritti alla medesima, si disimpegnavano affatto da ogni servigio, ad- dossandolo in loro vece ai proprj domestici101.

Si potrebbe quasi ipotizzare che questa prima soluzione della sostituzione paga- ta sia stato un metodo scelto dalla Municipalità per evitare attriti con le classi dirigenti. Altra possibile spiegazione invece potrebbe consistere nel fatto che rendendo obbligatorio un esborso in cambio della sostituzione i municipalisti cercavano di impedire la pratica di mandare a far servizio in propria vece i do- mestici ai quali i nobili molto probabilmente non si sentivano in obbligo di ver- sare alcuna speciale retribuzione. In seguito tuttavia la situazione si farà inso- stenibile e le diserzioni troppo frequenti ed evidenti, inficiando il prestigio stes- so dell’istituzione. Il 19 maggio la Municipalità scrive al rappresentante della commissione francese che non si era trovato modo per far iscrivere i ricchi alla Guardia e che i poveri erano “troppo gravati per farlo”. Richiedono dunque che sia emanata una disposizione generale o che si congedi quelli che si erano arruo- lati e che giustamente protestavano. Leopoldo Vaccà, significativamente uno dei più radicali del gruppo dei municipalisti, di dichiarata fede repubblicana e posto

100 Il Balì Angiolo Roncioni, benché nobile, fece parte della Guardia Nazionale. Nel suo articolo Michele Luzzati riporta in Appendice il «Ristretto brevissimo dell’esame» a cui fu sottoposto durante il processo; alla domanda se avesse mai «prestato servizio ai francesi», il patrizio rispose che piuttosto ha «prestato servizio alla Patria » entrando a far parte della Guardia Nazionale. v. M.LUZZATI, l Balì Angiolo Roncioni, op.cit., p. 137;

101 V. «Monitore Fiorentino», n.70, 14 giugno 1799/26 Pratile anno VII (la corrispondenza da Pisa era datata 12 giugno), v. anche M.LUZZATI, Il Balì Angiolo Roncioni, op.cit., p.122, n.8;

al comando della guardia, si era dunque incontrato col Generale Miollis, di stan- za a Livorno per cercare una soluzione102.

Il generale ordinerà di far valere gli ordini relativi alla formazione della guardi, per cui soltanto i “cittadini attivi” potevano entrare a farne parte, e questo escludeva la partecipazione dei domestici. Si domandò dunque all’arcivescovo di intervenire presso i parroci affinché fornissero un elenco di tutti i cittadini tra i 18 e i 40 anni per formare nuove liste di iscrizione. La reticenza della popola- zione ad entrare a far parte della guardia nazionale non era immotivata. Duran- te i primi moti insurrezionali nella zona di Viareggio sarà mandata proprio la guardia nazionale ad arrestare i rivoltosi, capeggiata dal cittadino Leopoldo Vaccà e da Ottavio Morandini. L’impegno militare di Leopoldo diverrà tale da richiedere di essere sostituito come membro della Municipalità dal Cittadino Giovan Battista Ruschi. Continuerà poi la carriera militare anche dopo l’espatrio seguito alla cacciata dei francesi dal Granducato. Diventerà infatti ufficiale e prenderà parte alla campagna di Spagna, dove contrarrà una grave malattia che lo porterà alla morte prematura. Durante i processi istruiti dopo l’evacuazione francese, la partecipazione alla guardia nazionale sarà considerata tra i crimini più gravi e considerata alla stregua di tradimento.

Dal copialettere della municipalità traspare tuttavia anche un altro aspetto dell’attività di questo nuovo organismo. Mi sembra infatti che i municipalisti cerchino di svolgere una funzione costante di mediazione tra gli interessi della comunità e le autorità francesi. Questo si può riscontrare sia quando si impe- gnano per trovare soluzioni alla miseria della popolazione promuovendo lavori pubblici, sia in alcune occasioni dove si fanno promotori delle istanze di alcuni cittadini eminenti103. Cercano infatti più di una volte di sostenere le proteste di

Domenico Scotto, un mercante originario di Procida che si era arricchito con il commercio di armi da fuoco. Aveva poi acquistato a Pisa appena due anni prima dell’arrivo dei francesi la Fortezza Nuova104, posta alle fine delle mura, con un

fabbricato, trasformandolo poi nel sul palazzo di rappresentanza con annesso

102 v. «Monitore Fiorentino» n.70, e A.S.Fi, Galli Tassi Bardini, f. 114, c. 99, n.191, 30 fiorile anno 7; 103 Ivi, c. 21, n.40, 3 fiorile anno 7;

104 Lo Scotto acquistò la fortezza dalla ricca famiglia dei Chiesa, che a loro volta l’avevano comprata grazie alla riduzione degli apparati militari voluta da Pietro leopoldo che la rese disponibile sul mercato; v. A. PANAJIA, ll Casino dei Nobili, op.cit., p.140;

un lussuoso giardino105. Aveva investito anche in appezzamenti terrieri molto

estesi nella zona di Lari e di Fauglia, diventando uno dei possidenti più impor- tanti della provincia. All’arrivo dei francesi il generale Miollis gli imporrà senza tanti complimenti il pagamento di una somma di seicento scudi calcolata sopra i beni che possedeva nella città labronica e da pagarsi immediatamente, pena l’esecuzione. Lo Scotto allora farà pressione sulla Municipalità affinché riuscis- se ad ottenere direttamente dal Commissario Reinhard di far pagare un’imposizione al mercante soltanto sui beni immobili che possedeva nella pro- vincia di Pisa, dove era residente. I municipalisti si affretteranno a dimostrare il proprio supporto allo Scotto, chiedendo anche la mediazione del Gianni e sotto- lineando il fatto che il ricco possidente dava sostentamento a più di quattrocen- to lavoratori nelle campagne e che prometteva di adoperarne altri trecento per la costruzione di strade nella zona di Fauglia. Si cerca di intercedere anche a fa- vore dell’arcivescovo Franceschi a cui era stato egualmente richiesti il pagamen- to di un imposta sia sui beni presenti nella provincia pisana che su quelli di Li- vorno.

All’inizio di maggio, dopo i successi dell’armata austro-russa di Suvorov scoppia la rivolta aretina. Il 9 maggio vengono dunque prelevati come ostaggi per garan- tire la pubblica quiete dieci tra i più eminenti cittadini pisani: Tommaso Alliata, Pietro Cosi del Voglia, Lorenzo Franceschi, Antonio Lorenzani Ghettini, Lodovi- co Poschi, il canonico Michele Bellincioni, Giovan Domenico Benvenuti, il reve- rendo Costantino Unis, il reverendo Francesco Antonio Viazzoli e il reverendo Gaetano Volpi. La prima metà è costituita da esponenti del Patriziato pisano, e appartiene a famiglie di cui mi paion note le scarse simpatie per i repubblica- ni106; i restanti sono una rappresentanza del clero locale la cui influenza sul po-

polo, dopo le insurrezioni del “Viva Maria107” i francesi hanno motivo di temere.

Gli ostaggi dopo esser concentrati a Livorno da tutta la Toscana, partono ac- compagnati da alcuni servitori, e rimarranno in esilio per oltre un anno. Al loro

105 v. A. SOBRERO, Palazzo Scotto e il suo rapporto con il giardino, in Le dimore di Pisa: l’arte di abitare i

palazzi di un’antica repubblica marinara dal medioevo all’unità d’Italia, Atti del convegno di studi, a.c. di E.DANIELE, Alinea Editrice, Pisa, 2010;

106Queste considerazioni si basano sul fatto che alcuni esponenti di tali famiglie, e spesso gli stessi soggetti presi in ostaggio, si sono più volte rifiutati di ricoprire incarichi sotto il governo francese, mentre avevano ricoperto vari uffici prima dell’invasione. Ad esempio il Poschi e il Cosi del Voglia erano membri dell’amministrazione dell’ordine di S. Stefano;

ritorno per ringraziare Dio della fine dell’esilio commissioneranno un dipinto da

offrire come ex voto al monastero della Madonna di Montenero108. Per la scelta

dei soggetti viene domandata dalle autorità militari la consulenza della Munici-

palità di Pisa. Dalla una lettera del generale Thouret, indirizzata a Tito Manzi,

membro della Municipalità, sappiamo che i municipalisti cercheranno di oppor- si al sequestro degli ostaggi, ma dalle autorità francesi non sarà dato loro modo di impedirlo:

Caro Tito

Ho ricevuto la tua lettera di questa mattina, ne ho comunicato la sostanza al commissario il quale riconosce la giustezza delle vostre riflessioni e divide il vostro dolore della rigorosa misura che si va prendendo, persuaso come lo siete della perfetta inutilità della medesima. Siccome quell’idea degli ostaggi sembra venire dal Generale Cailhasson non ha la speranza di potere ottenere una eccezione in favore di questa Città; Egli la stima fortunato che l’esecuzione sia affidata al Comandante militare, ben risoluto di non parteciparvi in nessuna maniera, e di non avere nessuna mano in un atto che egli vorrebbe impedire. Egli scriverà nulladimeno al Commissario Reinhard, ma non dovete sperare verun successo. Fate anche Voi l’istesso, Caro Tito, lasciate fare agli altri quelle dolorose operazioni che tutta la nostra buona volontà non puole prevenire. Che i militari eseguiscano les misures militaires. Avrete sempre per voi la consolazione di aver servito i Nostri concittadini con tutto il vostro potere, e meritato la stima di quelli che vedono e sanno apprezzare la vostra condotta ed i vostri sentimenti.

Pisa 19 [..] Vostro amico Tardieu

Appare evidente da questo documento come ormai siano gli stessi Municipalisti a temere l’era post-occupazione e a tentare di cautelarsi nei confronti di una futura reazione, che colpirà effettivamente tutti i componenti della Municipalità e tanti altri attraverso i procedimenti aperti contro in vari componenti del cosiddetto “partito francese”. Nel frattempo la rivolta aretina ormai dilaga, il

108 Il dipinto si trova tutt’ora nel monastero;

Commissario Reinhard pubblica un bando, datato 15 messidoro, anno settimo, in cui annuncia:

Il Commissario del Governo francese in Toscana, e Lucca.

Considerando che una Ribellione provocata, e feroce ha invasa una parte considerabile della Toscana nel mentre che l’Armata Francese è chiamata momentaneamente a combattere altrove la causa generale della Liberta d’Italia..109

Seguono cinque articoli in cui si chiede che tutti i cittadini “che hanno servito il loro Paese, e la Causa della Libertà” si riuniscano a Livorno per entrar a far parte del Battaglione toscano. Vengono inoltre dichiarati tutti i nobili e i preti della Toscana come responsabili della sorte di coloro che venissero perseguitati per l’aderenza al partito francese. Appare evidente da quest’ultimo articolo che le truppe si stanno preparando in gran fretta a lasciare il Granducato e tentano di tutelare i loro collaboratori dalla reazione annunciata dalle truppe alleate. Viene specificato che gli ostaggi risponderanno “testa per testa delle uccisioni e degli oltraggi arrecati ai Patrioti”. Nel quarto e quinto articolo si invita la popolazione a riunirsi per difendere la propria vita, proprietà e religione contro gli aggressori, e si garantisce protezione alla “ritirata” di quei cittadini che avranno prestato giuramento di fedeltà alla repubblica e si saranno battuti per essa. Appare singolare il richiamo alla religione contro una ribellione che ne aveva fatto la propria insegna al grido di “Viva Maria”, mentre d’altra parte si prendono misure per salvaguardare nell’espatrio i patrioti più coinvolti. Il 4