2. Wittgenstein sociologo
2.1 l’accesso al mondo è sociale: il comunitarismo di Winch
Con The Idea of a Social Science, Winch si propone di definire e delimitare lo spazio di agibilità delle scienze sociali, distinguendole tanto dalle scienze naturali, quanto dalla filosofia (Winch 1958, p. 1). Nel primo capitolo, in particolare, Winch si sforza in via preliminare di chiarire il concetto di filosofia, che viene a delinearsi come un'indagine concettuale sull’intelligibilità della realtà (Winch 1958, p. 11) e sulle differenti forme che tale nozione può assumere all’interno dei diversi ambiti del sapere umano: la filosofia, così, conserva il proprio spazio di autonomia rispetto alla scienza, come indagine a priori finalizzata alla comprensione di ciò che è coinvolto nel nostro concetto di realtà. Tale disciplina, chiamata da Winch epistemologia, sarà strettamente connessa alle scienze sociali, nel momento in cui il nostro concetto d’intelligibilità e di realtà diventa funzione della comunità di cui facciamo parte (Winch 1958, p. 24): in questa cornice si colloca la discussione sulle regole in Wittgenstein, posta, non a caso, a chiusura del primo capitolo, a sostanziare la tesi secondo cui la connessione ineludibile tra linguaggio, pensiero e realtà può darsi solo nel contesto di una società umana.
Il punto di partenza della riflessione di Winch ricalca la discussione wittgensteiniana sulla definizione ostensiva, come caso specifico del seguire una regola: com’è possibile che una definizione di questo tipo sia connessa con gli usi successivi dell’espressione? Rispondere che la correttezza è data dall’identità tra l’applicazione futura e l’atto definitorio non ci permette di risolvere il problema. La nozione d’identità ha natura ambigua, e per avere un significato riconoscibile bisogna ricorrere a considerazioni contestuali (Winch 1958, p. 27). Appurata la connessione logica ineludibile tra regola e identità, ci si deve chiedere, secondo Winch, in quali circostanze ha senso attribuire lo stato di rule-follower: condizioni di contorno che, prevedibilmente, sono individuate in una pluralità concorrenziale di agenti.
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L’argomento che segue per sostanziare questa conclusione è sorprendentemente simile a quello che Kripke porrà a condizione preliminare della propria sfida scettica: ciò che un individuo singolarmente fa può essere interpretato costantemente in molteplici modi, giacché gli esempi della regola sono sempre finiti. Si pensi a un caso, ci dice Winch, in cui un individuo A scriva su una lavagna una sequenza numerica facilmente riconoscibile, come ad esempio 1 3 5 7, e chieda a un altro individuo B di continuarla. B proverà intuitivamente con 9 11 13 15, ma A, sorprendentemente, rifiuta di accettare questa sequenza come quella corretta, e di contro scriverà di nuovo 1 3 5 7, lasciando intendere che questo gruppo di numeri rappresenti l’invariante della ripetizione nella successione. Supponiamo che questo gioco continui ripetutamente, B avanza un’ipotesi interpretativa e A gliela nega, articolandone un’altra, e così via: è questo un caso in cui si può, in un certo senso, parlare di seguire una regola (continua a sostituire una continuazione diversa da quella suggerita da B, ad esempio), ma, certo, non di una regola matematica. Che conclusione si può raggiungere in base a questo esempio?
(The example) suggests that one has to take account not only of the action of the person whose behavior is in question as a candidate for the category of rule-following, but also the reactions of other people to what he does. More specifically, it is only in a situation in which it makes sense to suppose that somebody else could in principle discover the rule which I am following that I can intelligibly be said to follow a rule at all.
(Winch 1958, p. 30)
L’esempio suggerisce che bisogna tenere in conto non solo il comportamento dell’interpretato, ma anche e soprattutto le reazioni degli altri rispetto alle azioni che egli compie. Potremmo parlare di una sorta di requisito di condivisibilità: solo nella situazione in cui ha senso supporre che qualcun altro potrebbe di principio scoprire la regola che sto seguendo, posso intelligibilmente dire che la seguo.
Una conclusione di questo genere ci sembra presenti dei problemi, se come tale vuole essere un argomento per la necessità concettuale della comunità relativamente al seguire una regola. In primo luogo, l’esempio descritto da Winch, più che essere utile per indagare la grammatica della parola regola, ci appare più come un esempio non controverso in cui qualcuno inganna qualcun altro: ciò che A propone a B è, di fatto, un
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gioco, B deve indovinare che regola sia espressa dalla sequenza numerica che egli scrive, ma A di volta in volta nega sistematicamente che la soluzione proposta da B sia quella corretta. A non segue alcuna regola matematica, perché, di fatto, egli non sta giocando un gioco matematico: un gioco, tra l’altro, che presuppone la conoscenza acquisita delle regolarità matematiche sia da parte di B, sia soprattutto da parte di A, il quale deve avere un’ottima conoscenza della matematica per portare avanti il gioco più a lungo possibile (ammesso, ovviamente, che il povero B non si scocci prima). L’esempio, quindi, sembra non cogliere il punto. In secondo luogo, ciò cui Winch perviene, non è sufficiente per sostenere una posizione comunitarista: ciò che abbiamo chiamato principio di condivisibilità, infatti, asserisce che le regole che seguiamo siano di principio comprensibili e condivisibili da parte terzi, ma non ci dice affatto che tali regole debbano essere di fatto condivise. Detta ancora in altri termini, le regole sotto il principio di condivisibilità debbono essere pubbliche per essere tali, ma questo non implica affatto che siano sociali, nel senso di condivise in atto (C. McGinn 1984, p. 192).
L’esempio delle sequenze numeriche evidentemente è insufficiente per garantire un ruolo di un certo rilievo alla comunità, e, non a caso, non è l’unico argomento che Winch porta a sostegno della propria tesi. L’introduzione della comunità è necessaria per garantire il concetto di errore: la regola stabilisce uno standard di correttezza, e come tale è logicamente connessa alla possibilità di fare errori (questo è ciò che la distingue, ad esempio, dall’individuo che traccia una linea col compasso, apparentemente seguendo le regolarità di un campione modello, elaborato da Wittgenstein in PI §237). Partendo dal presupposto che impariamo a seguire la regola tutti nella stessa maniera grazie all’addestramento, il quale è esso stesso a stabilire ciò che è corretto e ciò che non lo è, la nozione di errore sarà definita nei termini di una contravvenzione a ciò che è stabilito come corretto (Winch 1958, p. 32). Senza una pluralità d’individui capaci di dirmi dove e se ho sbagliato, non potrei apprendere cosa significhi fare la stessa cosa, non sarebbe possibile stabilire uno standard di correttezza e quindi non potrei seguire una regola in completo isolamento. Al requisito di condivisibilità se ne deve dunque aggiungere un altro: è insensato sostenere che qualcuno possa stabilire uno standard di correttezza personale se non ha mai avuto
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esperienza di un plesso di regole comunitarie; queste due caratteristiche andrebbero a costituire il concetto proprio di seguire una regola (Winch 1058, p. 31).
Questo, in sintesi, è il risultato dell’analisi concettuale di Winch: seguire una regola è un fatto pubblico (nel lessico di McGinn), che insieme non può verificarsi in un contesto che non sia sociale. La prima connotazione è intuitivamente compatibile con il testo delle Ricerche: abbiamo già visto che, nel momento in cui seguire una regola è definito nei termini di una prassi (PI §202), è chiaro che, come tale, essa sarà aperta allo sguardo di terzi, i quali conseguentemente potranno comprenderla come la intendo io se necessario. Più controverso, invece, è il secondo punto, soprattutto se riflettiamo sul fatto che Winch vorrebbe insistere nel sostenere che tale verità è di carattere concettuale, inerente al funzionamento interno del concetto di regola. Il suo argomento, ribadiamolo, si basa tutto sulla constatazione del fatto che condizione del nostro seguire una regola sia l’addestramento, tramite il quale e nel cui contesto parlare di “fare la stessa cosa” assume un senso. L’addestramento è una nozione costitutivamente inter-soggettiva, e come tale pone l’analisi di Winch già in partenza su binari comunitari: senza addestramento non impariamo l’uso di identico e diverso come di corretto e scorretto, nozioni analoghe e connesse, e quindi senza di esso non sarebbe possibile concepire standard di correttezza e assumere la possibilità di errore. Ebbene, possiamo concedere benissimo a Winch tutto questo: di fatto, egli ci sta dicendo che per parlare correttamente bisogna essere addestrati, verità palese quanto triviale. Il punto è che Winch non ci chiede solo di accettare ciò, ci dice anche che tale verità, e con essa il concetto di addestramento, costituisce una determinazione concettuale della nozione di regola, e questo è decisamente meno ovvio: rimane il dubbio che una tale verità sia di carattere empirico, e come tale non escluda la possibilità di un linguista solitario. Introducendo l’addestramento nel concetto di rule following, inoltre, Winch è costretto a definire ciò che è corretto come ciò che è stabilito come tale nel contesto dell’insegnamento, di modo che risulti possibile dire che io seguo una regola se le mie azioni si conformano a quelle degli altri, le quali rimarranno standard di raffronto costante, e non se agisco correttamente: come nel caso di Kripke, nel tentativo di spiegare la correttezza, c’è il rischio di non renderne conto affatto.
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Al di là dei meriti propri della discussione di Winch, non possiamo fare a meno di notare, in questo testo del 1958, tutti o quasi gli elementi del dibattito che caratterizzerà i decenni successivi a Kripkenstein: il carattere pubblico del seguire una regola, il ruolo controverso dell’addestramento nei confronti della costituzione del concetto di regola, l’utilizzo in chiave comunitarista del paradosso delle interpretazioni, e così via. In esso, inoltre, già è presente un abbozzo di polemica anti-individualista nei confronti di Peter Strawson154, nella cui recensione alle Ricerche aveva elaborato l’esempio dell’isolano solitario, paradigma di ogni Crusoe discusso di lì in avanti, per arginare la plausibilità della lettura comunitarista (Strawson 1954, p. 36). La critica di Winch si fa interessante, poiché nega la cogenza di un simile controesempio; la pensabilità dello stesso, infatti, presuppone come già attivi i significati acquisiti del nostro linguaggio pubblico, e aggiunge:
From the fact that we can observe him (Crusoe) going through certain motions and making certain sounds, which, were they to be performed by somebody else in another context, it would be quite legitimate to describe in those terms, it by no means follows that his activities are legitimately so describable. (…) It is not those practices considered on their own which justify the application of categories like language and meaning, but the social context in which those practices are performed.
(Winch 1958, p. 35)
In questo passaggio, Winch ci dice qualcosa in più sull’influenza che la comunità dovrebbe assumere sulle regole seguite dai propri singoli componenti: la comunità è definita come la condizione contestuale che vivifica e rende delle pratiche generiche proprio quelle azioni che manifestano regole specifiche. Questo punto, come vedremo, coglie uno dei nuclei più problematici e al contempo interessanti della dialettica wittgensteiniana espressa in PI §§198-205, dove Wittgenstein elabora alcuni casi immaginari che ci inducono a esaltare il contesto e le circostanze d’esecuzione come
154 Oltre a Strawson, Winch ha da ridire pure sulla posizione di un altro proto-individualista, Alfred Ayer, secondo il quale Crusoe potrebbe nominare gli oggetti che presentino una somiglianza sufficientemente marcata da poter esser raggruppati sotto il medesimo nome (Ayer 1954). La replica di Winch contesta la plausibilità di un simile caso, in quanto il concetto di simile presuppone l’acquisizione di una regola, e la regola è possibile solo in un contesto sociale (Winch 1958, p. 36). Per quanto sia indubbio che le nozioni di identità sia relativa alla regola in questione, è altrettanto indubbio che non sia affatto pacifico che regola e identità siano a loro volta relative a un contesto comunitario.
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condizione di significazione. Ancora una volta, però, raccomandiamo cautela: non è affatto immediato, come sembra credere Winch, che queste circostanze debbano essere necessariamente sociali.