In questo capitolo, ci occuperemo nel dettaglio dell’interpretazione elaborata da Saul Kripke in merito ai paragrafi sul seguire una regola, esposta in un testo del 1982, Wittgenstein on Rules and Private Language. Quest’opera merita una considerazione a parte, a causa dell’impatto che ha avuto sullo scenario filosofico contemporaneo. In essa troviamo una formulazione lucida e potente di un particolare paradosso scettico, che Kripke rintraccia nei paragrafi centrali dedicati al seguire una regola, e insieme una sua pretesa soluzione. Kripke è cauto nel considerare il problema che ravvisa nelle pagine di Wittgenstein come il problema centrale della filosofia del pensatore viennese. Piuttosto, ci dice, si tratta di come l’argomento di Wittgenstein “abbia colpito Kripke” (Kripke 1982, p. 14): una mossa astuta, poiché in tal modo riesce a smarcarsi dall’impegno di sostenere le tesi che espone, e insieme di attribuirle all’autore delle Ricerche. Non senza ironia, questa interpretazione è stata attribuita a Kripkenstein, o in alcuni casi, a un certo fantomatico Saul Wittgenstein, di modo da evocarne la natura ambigua (Blackburn 1984, Suter 1990).
Ad ogni modo, il testo di Kripke rappresenta uno snodo centrale nella storia degli effetti del pensiero di Wittgenstein. I problemi che il testo enuclea hanno aperto un vero e proprio spazio d’indagine sulla normatività del significato, che via via negli anni è andato a coinvolgere anche temi di filosofia della mente in senso stretto, estendendosi alla natura dei contenuti mentali, oltre il linguaggio, e che si sono fin da subito distinti e
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separati dalla dimensione prettamente esegetica da cui erano emersi. Se si scorge la letteratura sul tema, c’è la tendenza a separare nettamente il problema esegetico (capire quanto di Wittgenstein ci sia in Kripkenstein) da quello teoretico (come affrontare la sfida sollevata da Kripke): come esempio possiamo citare Paul Boghossian, che esplicitamente dice di non volersi occupare delle questioni ermeneutiche, e andare al succo del problema posto da Kripke (Boghossian 1989, p. 507). Per quanto ci riguarda, i due aspetti della vicenda non possono essere davvero trattati distintamente: c’è, infatti, il rischio concreto che l’interpretazione di Kripkenstein sia in realtà una mis-interpretazione, e che come tale possa essere decostruita proprio facendo riferimento al materiale originario da cui essa muove, gli scritti di Ludwig Wittgenstein.
Non ci interesseremo, dunque, del dibattito a partire da Kripke, almeno non in questo capitolo. Piuttosto, ci concentreremo sul rapporto complesso tra l’interpretazione di Kripke e i temi affrontati da Wittgenstein nelle Ricerche. Per farlo, contrapporremo a Kripkenstein un testo97 pubblicato un paio di anni più tardi, nel 1984, di Gordon Baker e Peter Hacker, tradizionalmente riconosciuti come gli alfieri dell’ortodossia wittgensteiniana (Tripodi 2015, p. 278), intitolato Scepticism, Rules and Language. La tesi dei due autori è chiara e netta: Kripke non solo fraintende in modo grossolano gli scritti di Wittgenstein, ma è possibile decostruire in blocco la plausibilità del paradosso scettico attraverso una corretta comprensione dei paragrafi in questione (Baker Hacker 1984, p. 2). Questo lavoro ha avuto un certo successo ed è stato genericamente accolto con favore98, ma la questione, come sempre, è ben lungi dall’essere chiusa. In tempi relativamente recenti, Martin Kusch ha prodotto un’accorata difesa della posizione kripkiana dagli innumerevoli attacchi cui nel corso degli anni è stata sottoposta (Kusch 2006). L’ultimo capitolo del suo libro è dedicato proprio alla relazione tra Kripke e Wittgenstein, in polemica aperta con Baker e Hacker. A nostro giudizio, la replica di Kusch, pur essendo ricca di meriti, non centra del tutto il segno, e lascia scoperte delle criticità espresse da Baker e Hacker che sarà nostro compito cercare di approfondire.
97 Altri testi classici molto validi che si oppongono alla prospettiva scettica sul terreno degli scritti del filosofo viennese, sono McDowell 1984, C. McGinn 1984, Anscombe 1985 e Malcolm 1986. Su Malcolm in particolare torneremo più diffusamente nel prossimo capitolo, mentre Colin McGinn, che produce considerazioni fortemente analoghe a quelle di Baker e Hacker, avremo modo di citarlo già da ora più volte.
98 Recensioni entusiastiche le troviamo da parte di Meredith Williams e Cora Diamond, la quale, nello specifico, scrive che il lavoro di Baker e Hacker è talmente convincente da aver di fatto chiuso la questione in modo definitivo (Diamond 1985).
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Soprattutto, ciò che ci interessa è comprendere le coordinate culturali entro le quali il Wittgenstein di Kripke si colloca, e i motivi alla base del suo successo.
Difatti, l’interpretazione kripkeana è stata il vettore principale tramite cui il nome di Wittgenstein è tornato a circolare nella cultura filosofica statunitense, dopo lunghi anni di oblio e rifiuto99. È curioso che questa sorta di Wittgenstein Renaissance sia legata da una parte al nome di Saul Kripke, e dall’altra a quello di Richard Rorty, che nella Filosofia e Lo Specchio della Natura eleva il pensatore viennese a vate di una nuova cultura post-filosofica, libera dalle maglie concettuali del fondazionalismo kantiano e cartesiano, a fianco di altri nomi illustri, quali Heidegger e Dewey (Rorty 1979). Se Rorty fa di Wittgenstein un filosofo “marginale”, nel senso letterale di un pensatore che sta ai margini della cultura e delle tendenze intellettuali del proprio tempo, rifiutandone i contenuti e gli stili, al contrario Kripke ne esalta l’appetibilità come filosofo che, nonostante qualche mania stilistica di troppo, capace di rendere la fruizione delle Ricerche così ostica e oscura agli occhi dei più, ha in sostanza prodotto una tesi filosofica potente, e solida negli argomenti. Di conseguenza, leggendo il testo di Kripke assistiamo a un tentativo, brillante quanto audace, di filtrare il materiale wittgensteiniano attraverso le maglie rigide dello stile argomentativo tipico della filosofia analitica contemporanea, di cui Kripke è uno degli indiscussi campioni. Il risultato è un testo accattivante, e sicuramente adatto al palato della maggioranza dei filosofi d’oltreoceano. Questo, già di per sé, dovrebbe bastare a metterci in guardia: ciò che va completamente persa, nell’interpretazione kripkiana, è la particolare prospettiva meta-filosofica del pensatore viennese, da sempre il maggiore ostacolo alla fruizione delle Ricerche nei circuiti intellettuali statunitensi. Kripke riuscirebbe quindi a tradurre i problemi di Wittgenstein in un lessico a essi completamente estranei: c’è da chiedersi, a questo punto, quanto di quest’operazione possa dirsi riuscito.
99 I testi più interessanti, in sede storiografica, che analizzano la controversa relazione che la filosofia di Wittgenstein ha intessuto con i pensatori d’oltreoceano, sono Hacker 1996 e, in ambito italiano, il più recente Tripodi 2009b.
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