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4. La crisi siriana e l’ultima ondata d’immigrazione

4.3 Accesso al territorio giordano

Il confine tra la Siria e la Giordania si estende per circa 370 km. Due frontiere e punti di accesso ufficiali lungo il confine nord determinano il limite tra i due paesi: il primo si trova in prossimità della città siriana di Dara’a e la città giordana di Ramtha; mentre il secondo corrisponde alla località siriana di Naseeb e quella giordana di Jaber. Le due frontiere a Dara’a e Naseeb ricadevano inizialmente sotto il controllo del governo di Assad, ma sono state successivamente conquistate dai ribelli e continuano ad essere teatro di scontri. Oltre ai punti d’accesso ufficiali, esistono numerosi canali non ufficiali lungo il confine est a cavallo di una zona desertica. Tali canali sono principalmente controllati dalle autorità giordane e da qualche anno risultano essere i principali punti d’accesso72.

Mappa 11:

Punti di

passaggio con i paesi confinanti la Siria

Fonte: Map Action, settembre 2013

72 ORSAM, (2014). The Situation of the Sirian Refugees in the Neighboring Countries: findings, conclusions and

Figura 5: Punti di passaggio formali ed informali verso la Giordania Fonte: UNHCR, Sirian Refugees Living outside camps in Jordan 2013

Inizialmente, il governo giordano – e in modo simile il governo libanese e quello turco – ha adottato una politica “open-border” nei confronti dei siriani. Le autorità giordane permettevano dunque libero accesso, sia per i siriani che arrivavano legalmente, sia per quelli che giungevano tramite canali illegali seppur in possesso di documenti. In un primo momento, il flusso di arrivi era principalmente canalizzato nelle due frontiere ufficiali lungo il confine nord. Dalla fine del 2012, l’ingresso attraverso Dara’a inizia ad essere negato a determinate categorie, quali: rifugiati palestinesi siriani, gli uomini non accompagnati non aventi legami familiari in Giordania, le persone sprovviste di documenti e gli iracheni presenti in Siria. Secondo un report pubblicato da Amnesty International basato su informazioni raccolte sul campo e interviste con le autorità locali, il governo giordano ha parzialmente confermato le limitazioni d’accesso per queste quattro categorie di rifugiati73.

Gli iracheni provenienti dalla Siria sono invece respinti sulla base di due considerazioni: in primo luogo, la Giordania ospita già un grandissimo numero di iracheni

73 Sia gli uomini sprovvisti di documenti sia coloro i quali non avessero legami familiari in Giordania sembrano

(circa 60,000) fuggiti durante la Guerra del Golfo e in seguito all’invasione statunitense; in secondo luogo, secondo le autorità giordane, l’attuale situazione in Iraq permetterebbe agli iracheni di ritornare nel loro paese piuttosto che rifugiarsi in paesi terzi.

La questione dei palestinesi siriani affonda invece in radici più complicate, e se inizialmente i respingimenti costituivano una “pratica” consuetudinaria, dal gennaio del 2013 sono diventati una politica ufficiale a tutti gli effetti. Secondo l’intervista di Amnesty con il governo giordano, tale scelta non intende intaccare il “diritto di ritorno” dei palestinesi – ma piuttosto intende spingere lo stato di Israele ad assumersi la totale responsabilità nei confronti dei rifugiati palestinesi74. Nella seconda metà del 2013, i limiti d’accesso vengono estesi alla maggior parte dei siriani. Il governo giordano inizia così ad inasprire ulteriormente le politiche d’accesso lungo la parte occidentale, restringendo l’ingresso solamente a feriti di guerra e rifugiati considerati particolarmente vulnerabili. Tale misura ha dunque costretto i siriani respinti nella parte ovest a raggiungere i punti di attraversamento più lontani lungo il confine est verso il campo profughi Al-Rukbhan75.

Human Rights Watch ha inoltre riferito che dal 2014 in poi le autorità giordane hanno aumentato i respingimenti e le restrizioni nei punti d’accesso lungo la parte est, lasciando migliaia di siriani in perenne attesa in condizioni estremamente precarie in una zona desertica. Immagini satellitari risalenti al dicembre 2015 e fornite dalla stessa organizzazione mostrano l’elevata concentrazione di tendopoli nate proprio nei pressi di Rukbhan di fronte ad una barriera di sabbia che marca la fine di una zona demilitarizzata in territorio giordano. In questa lingua di terra che dista pochi kilometri dalla Siria, migliaia di siriani in fuga si trovano dunque in un limbo, dipendendo da scarsi aiuti umanitari e senza possibilità di tornare indietro né di attraversare il confine.

Nel dicembre 2015 si stimava che circa 12,000 fossero bloccati al confine, ma considerata l’escalation del conflitto siriano i numeri sono in costante aumento76. Nel giugno del 2016, in seguito all’uccisione di sei soldati giordani causata da un’auto-bomba

74Amnesty International, (2013). JORDAN: GROWING RESTRICTIONS, TOUGH CONDITIONS: THE PLIGHT OF

THOSE FLEEING SIRIA TO JORDAN. Londra: Amnesty International, p.10.

75 Secondo un report pubblicato da ORSAM nel 2014, i rifugiati siriani sono soliti pagare una tangente ai beduini per

attraversare le lunghe zone desertiche e sorpassare le zone di conflitto, raggiungendo la parte est del confine.

76 Human Rights Watch, (2016). Jordan: 70,000 Sirians Trapped at Border. [online]:

in prossimità del campo profughi Al-Rukbhan, il governo giordano ha reagito in modo drastico, sospendendo gli aiuti umanitari a tutti coloro che fossero bloccati lungo il confine nord-est – che nel giugno 2016 corrispondevano a circa 70,000 persone, inclusi numerosissimi bambini.

Come emerge da testimonianze dirette raccolte sul campo, la situazione lungo il confine risulta essere estremamente allarmante: alle scarsissime condizioni igienico- sanitarie, l’insufficienza di acqua e cibo, bisogna aggiungere l’alto livello di violenza diffusa, il rischio di sfruttamento, e l’elevato numero di trafficanti che aiutano ad attraversare il confine 77 . In risposta alle numerosissime condanne espresse da organizzazioni umanitarie in merito alla chiusura del confine e alla sospensione di aiuti umanitari, il governo giordano si è subito mostrato impassibile dichiarando di non poter accogliere ulteriori rifugiati.

Nonostante la chiusura del confine abbia determinato forti conseguenze sull’economia giordana, il rappresentante del governo Mohammed Al-Momani, Ministro della Comunicazione, ha subito dichiarato che, “i gruppi bloccati nel nord del paese non sono un problema della Giordania, ma un problema di tutta la comunità internazionale, e le organizzazioni internazionali devono trovare un modo per aiutarli”; aggiungendo che “la sicurezza e la stabilità della Giordania superano ogni altra preoccupazione”78 . Considerando che il paese ha da tempo ecceduto la propria capacità di accogliere e assorbire rifugiati, l’aiuto della comunità internazionale risulta essere dunque più che necessario.