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Abbiamo visto che l'estensione della forma impresa esprime un passaggio decisivo all'interno della governamentalità neoliberale. In particolare appare essenziale lo scivolamento della pratica di governo economico, in pratica di governo sociale, fino ad una sorta di coincidenza teorica dei due aspetti. Dunque: il sociale è l'economico e viceversa.

Interiorizzando l'idea della coincidenza tra impresa ed esistenza, si assisterebbe all'estensione dell'agire economico a tutto il tessuto sociale, compiendo quel salto che fa si che la natura umana divenga un fattore di investimento: capitale umano. Ecco il terzo slittamento: la natura umana si fa capitale. Possiamo definire il capitale umano l'epifenomeno della ragione di governo neoliberale come governamentalizzazione di se stessi. Il progetto di un autogoverno del sé attraverso l’impresa viene completato solo grazie alla individuazione del principio di obbedienza nella natura umana.

Qui il governo si è fatto veramente ragionevole e la ragione radicalmente obbediente. Non c’è altro da fare che gestirsi il proprio patrimonio naturale come un capitale di investimento, come una risorsa.

Per comprenderne le caratteristiche è necessario ritornare brevemente su elemento cardine dell'economia politica, che i neoliberali concepiscono proprio a partire da una sua considerazione come risorsa scarsa: il lavoro.

Polemizzando con gli economisti classici, scrive Foucault, i neoliberali americani sostengono che pur avendo considerato il lavoro come uno dei fattori (insieme a terra e capitale) dal quale proviene la ricchezza hanno finito per lasciarlo quasi del tutto inesplorato. L'economia classica avrebbe considerato il ruolo del lavoro in un modo del tutto astratto, in termini esclusivamente quantitativi: «L'economia politica classica non ha mai analizzato il lavoro in se stesso, o piuttosto si è continuamente impegnata a neutralizzarlo, riducendolo esclusivamente al fattore tempo»115. Tentativo dei neoliberali è far rientrare il lavoro all'interno dell'analisi economica.

Reintrodurre il lavoro nelle analisi economiche non significa analizzarlo dal punto di vista del costo del lavoro, della sua quantità, del suo prezzo o del suo lavoro ma da punto di vista soggettivo. Tenendo per assunta la definizione di scienza economica, di

cui sopra, il lavoro verrà analizzato da un punto di vista modale, chiedendosi, cioè «in che modo chi lavora utilizza le risorse di cui dispone»116.

Piuttosto che assumere la prospettiva macroeconomica dei meccanismi di produzione, di scambio, di consumo si tratta invece di sposare la prospettiva di chi lavora: «Si dovrà studiare il lavoro come comportamento economico, e come comportamento praticato, messo in atto, razionalizzato, calcolato, dallo stesso individuo che lavora»117.

Dunque, non considerare il lavoro come un dato quantitativo all'interno di processi oggettivi ma trasformarlo in un comportamento umano che risponde a una determinata logica calcolante. Indagare la natura del lavoro, in quanto comportamento naturale, vuol dire capovolgere la prospettiva, domandandosi: «Che cosa significa lavorare per colui che lavora?»118. Come procede un lavoratore o meglio un futuro lavoratore nell'operare delle scelte dal punto di vista lavorativo? Analizzando il sistema di razionalità a cui un lavoratore obbedisce, ritiene il lavoro un principio di razionalità strategica, una strategia che obbedisce a determinati parametri e criteri e che è compito dell'economia politica ricercare. Si tratta, quindi, di capire come le differenze qualitative del lavoro abbiano una ripercussione di tipo economico: «Porsi, dunque, dal punto di vista del lavoratore e far si che per la prima volta il lavoratore sia, nell'analisi economica, non un oggetto – l'oggetto di una domanda e di un'offerta in forma di forza lavoro –, ma un soggetto economico attivo»119. Ciò contro cui combattono i neoliberali è la spersonalizzazione della concezione del lavoro. Quest'ultima, tuttavia, non dipende dalla realtà economica in sé ma dal modo in cui è stata pensata. Il tentativo, quindi, è quello di dare vita a una forma di personalizzazione del lavoro in risposta a questo processo di spersonalizzazione che ha nella visione esclusivamente quantitativa il principale elemento di critica. L'economia diventa una scienza che studia le strategie che sottendono alle scelte: una scienza soggettiva.

Rapidamente su questo passaggio: il cambio di prospettiva soggettiva rintraccia la ragionevolezza del lavoro nella ricerca di un salario, il quale non deve essere inteso come il prezzo della vendita della forza-lavoro bensì come un reddito. Per i neoliberali il reddito è uguale a un rendimento di un capitale. Allo stesso modo il capitale è considerato l'insieme di quei fattori che permettono un reddito presente o futuro:

«Se si ammette che il salario è un reddito, sarà dunque il reddito di un capitale. Ora in che cosa consiste il capitale di cui il salario rappresenta il reddito? Ebbene, consiste nell'insieme di tutti i fattori fisici e

che, visto dalla prospettiva del lavoratore, il lavoro non è una merce ridotta per astrazione alla forza lavoro e al tempo impiegato per utilizzarla»120.

I neo-liberali considerano il salario non un prezzo di vendita, ma un reddito, e quindi un profitto, che proviene da un investimento ed è il rendimento di un capitale. Si trova, in questo punto, il notevole cambio di prospettiva che ciò comporta: un capitale diviene l'insieme dei fattori psico-fisici, le attitudini e le competenze che messe a valore permettono di conseguire un salario: le qualità umane messe a valore si trasformano in capitale. Si parla, appunto di capitale umano.

Ciò vuol dire, immediatamente, che qualsiasi lavoro comporta un capitale e che di conseguenza qualsiasi lavoratore possiede un capitale, ancora meglio, è un capitale nella misura in cui possiede un'attitudine, una competenza, che in qualche modo incarna completamente. Così considerato, il capitale, in quanto rendimento di un reddito, è indissociabile dalla persona che lo incarna. Dunque il lavoratore non è un capitale come gli altri: «L'attitudine a lavorare, la competenza, il poter fare qualcosa, non può essere separato da colui che è competente e che ha questa capacità»121. Lavorare, allora, significa, mettere a valore una competenza e il lavoratore diviene esattamente qualcuno che ha competenza, che è una competenza. Trattandosi di un capitale, seppur vivente perché soggettivamente incarnato nel corpo di chi lo porta, sarà ovviamente dedito alla produzione di un flusso di reddito a tempo limitato, con una sua durata vitale, un periodo di utilizzabilità, una sua obsolescenza e una sua distruzione. Ciò che a noi interessa, nel nostro caso, è sottolineare il cambiamento di paradigma da una posizione del lavoro come merce a una concezione del capitale-competenza «che riceve, in funzioni di differenti variabili, un certo reddito costituito dal salario, un reddito-salario, così che è il lavoratore in quanto tale ad apparire come una sorta di impresa in sé»122. Perché vale la pena concentrarsi sulla teorizzazione del capitale umano dal punto di vista degli economisti? Dato che, come abbiamo visto, il lavoratore si trasforma in un possessore di capitale umano che deve gestire la sua natura come un imprenditore gestirebbe la sua azienda, è necessario analizzare il modo in cui questo capitale si accumula e di cosa si compone.

Si tratta di un elemento interessante «nella misura in cui tale capitale si costituisce grazie all'utilizzazione di risorse rare, il cui uso risulterebbe alternativo in vista di un fine determinato»123. Se il lavoro è una risorsa rara, di conseguenza il capitale umano è

pensato come un elemento che ha bisogno di numerosi investimenti affinché possa essere competitivo sul mercato. Esistono, allora, elementi innati ed elementi acquisiti. In quegli innati è compreso il fattore genetico di partenza (il corpo che abbiamo)124; gli elementi acquisiti, invece, sono tutta una serie di campi di apprendimento che hanno nel potenziamento del capitale-competenza l’obiettivo principale. Tra i più importanti, naturalmente, l’investimento educativo o più in generale ciò che riguarda la formazione della competenza di un capitale umano: rapporto genitori-figli, salute, stimoli culturali e ambientali, mobilità125.

In generale ha a che fare con quei fattori, insomma, che hanno come scopo un miglioramento di status, un miglioramento delle facoltà, delle competenze e dei comportamenti. Il discorso neoliberale ruota intorno, allora, a una vera e propria analisi ambientale sulle condizioni che contribuiscono a creare un buon patrimonio psichico, fisico, attitudinale, dell'individuo nel suo processo di capitalizzazione, o potremmo anche dire di soggettivazione capitalizzata. Rintracciando tutti gli elementi che rendono un capitale umano sempre più capitale, elementi che comprendono ora praticamente qualsiasi sfera, si giunge a una totale capitalizzazione di tutti i comportamenti umani. Tutti i fenomeni che i neoliberali descrivono non sono semplici effetti di meccanismi economici che assoggettano l'individuo. Siamo di fronte a un processo di soggettivazione, di creazione di nuove soggettività a partire dall'analisi dei comportamenti in termini di impresa, di investimento, e reddito. Ancora una volta, come abbiamo visto, si tratta di estendere la forma economica del mercato all'intero sistema sociale: «Principio di intellegibilità e di decifrazione dei rapporti sociali e dei comportamenti individuali»126.

Punto di svolta essenziale, vediamo la proliferazione di un discorso economico che allarga il suo potere a tutti gli ambiti, anche quelli che economici non sono: «Una sorta di analisi economicista del non-economico»127.

Interventi qualitativi rivolti al contesto culturale, sociale, sanitario, in cui far sviluppare le capacità imprenditoriali degli individui e in cui realizzare un processo di soggettivazione imprenditoriale.

Rientrano nella analisi economica relazioni che appartengono ad altri campi come la demografia, la sociologia, la psicologia. Nessuna area è fuori dal controllo economico. Strutturata come principio di senso la griglia interpretativa economicista è estesa a

qualsiasi campo di intervento. Il modello investimento-costo-profitto diviene il modello di decifrazione di qualsiasi condotta umana – i rapporti del soggetto con se stesso e con gli altri, con il tempo, con il proprio ambiente – rientra in una questione di impresa. Ancora meglio la vita stessa diventa il capitale di un’impresa.

Un soggetto che comportandosi consuma comportamenti, allo stesso modo in cui consuma libertà: «Il consumatore, nella misura in cui consuma, è un produttore. E che cosa produce? Produce, molto semplicemente, la propria soddisfazione»128.

Il comportamento in questo modo è concepito come una macchina di produzione del valore, che produce appunto soddisfazione. Essendo qualsiasi comportamento inseparabile dal proprio possessore, ciascuno diviene un produttore e un consumatore di comportamenti soddisfacenti per se stesso. Una specie di imprenditore della propria soddisfazione.

Comportarsi significa allora consumare dei comportamenti razionali, nella misura in cui sono l’esito di investimenti andati a buon fine. Per questo motivo il consumo è un’attività d'impresa con cui il soggetto, disponendo del capitale umano di cui dispone, produrrà la propria. Consumare diviene quindi produrre comportamenti idonei e conformi a un determinato investimento. Questa definizione, è d’altra parte, un altro modo di descrivere il comportamento razionale: «Un soggetto economico è un soggetto che, in senso stretto, cerca in ogni modo di massimizzare il suo profitto, di ottimizzare il rapporto guadagno/perdita; in senso ampio, è colui la cui condotta è influenzata dai guadagni e dalle perdite che vi sono associati»129.

Si tratta, allora, della più totale «generalizzazione dell'oggetto economico, sino all'implicazione di ogni condotta che utilizzi mezzi limitati a un fine tra altri fini»130. Ogni condotta in cui sia rintracciabile una strategia di tipo razionale diviene, quindi, una condotta di tipo economico:

«Dopotutto, l'economia non è forse l'analisi delle condotte razionali, e ogni condotta razionale, di qualunque tipo essa sia, non dipende forse, a sua volta, da qualcosa come un'analisi economica? Una condotta razionale come quella che consiste nel condurre un ragionamento formale, non è forse una condotta economica? […] Non si vede perché non si possa definire ogni condotta razionale, ogni comportamento razionale, qualunque esso sia, come l'oggetto possibile di un'analisi economica»131.

Ma non è tutto. In modo ancora più radicale, è possibile estendere l'oggetto delle analisi economiche oltre le condotte razionali «vale a dire a condotte che non cercano affatto, o

che non cercano soltanto di ottimizzare l'allocazione delle risorse rare a un fine determinato»132.

È necessario in questo senso anche solo che la condotta del soggetto economico trovi un qualche punto di ancoraggio nella realtà. È sufficiente che non si tratti di una condotta completamente aleatoria e disancorata dalla realtà: «Vale a dire che ogni condotta che risponderà in maniera sistematica a delle modificazioni nelle variabili dell'ambiente, dovrà poter rinviare a un'analisi economica, intendendo quindi, per dirla con Becker, ogni condotta “che accetta la realtà”»133. L'estensione della griglia di intellegibilità economica a qualsiasi comportamento umano, perfino quello all’apparenza irrazionale, introduce una grande novità allargando lo spazio di razionalità economica all'infinito. Si tratta di una mossa obbligata, del resto, una mossa che protegge da qualsiasi critica la teoria del capitale umano inglobando finanche le scelte di investimento (formative e non) evidentemente anti-economiche. Fino al paradosso: anche le scelte antieconomiche sono economiche. Ciò che viene disegnato, allora, è uno spazio in cui non esiste un

fuori. Dal momento che l’uomo economico è governabile attraverso le sue azioni e

mediante la modificazione delle sue variabili ambientali.

Una straordinaria operazione ambivalente che produce soggettivazioni assoggettate in cui l’homo œconomicus diventa l'artefice del suo assoggettamento ma allo stesso tempo il soggetto che produce e ri-produce gli effetti microfisici di questo processo di governo. Secondo una logica per cui più la sua libertà cresce più cresce la sua governabilità. Facendo diventare economica ogni condotta che rispetta la realtà l'homo œconomicus diventa adesso «colui che accetta la realtà»134.

Con un’estensione terminologica che allarga e sussume qualsiasi piano razionale e irrazionale, si definisce condotta qualsiasi comportamento che modifica in maniera sensibile il reale e che subisce mutazioni da esso; ancora meglio: qualsiasi comportamento che risponde in maniera non aleatoria e quindi sistematica alle variabili dell'ambiente. L'economia, invece, si può definire «come la scienza della sistematicità delle risposte alle variabili dell'ambiente»135. La gamma delle risposte sistematiche con cui un soggetto risponde all'ambiente: la scienza economica si fa scienza del comportamento. Si fa tecnica comportamentale.

Dal momento che tutte le azioni hanno a che fare con la qualità dell'ambiente abitato dagli uomini economici (la società diventa un ambiente) ogni intervento non avrà mai la

forma dell'assoggettamento ma di un intervento di tecnologia ambientale.

Configurandosi come un ambiente di mercato la razionalità governamentale lavorerà allora alla dilatazione di tutti i campi, di tutta la realtà alla situazione di mercato. Si assiste, quindi, ad un totale appiattimento dei termini: il mercato è l'unica realtà- ambiente di manifestazione della società.

Si schiude qui un punto estremamente problematico, visto che l'uomo economico, essendo per sua “natura” un soggetto che ha nei confronti del reale un atteggiamento di accettazione, «appare come colui che è possibile maneggiare, e che risponderà sistematicamente alle modificazioni sistematiche che verranno introdotte artificialmente nell'ambiente. L'homo œconomicus è, insomma, colui che risulta eminentemente governabile»136.

Sottoposto a un piano infinito di governamentalizzazione il soggetto economico è questo soggetto-oggetto di una «governamentalità che agisce sull'ambiente e modifica sistematicamente le variabili dell'ambiente»137. Superfluo aggiungere che gli interventi di governo in questo modo si moltiplicano e si estendono in maniera parossistica perché non si interviene più sui processi economici ma in funzione di esso.

Si assiste, in questo modo, a un ampliamento infinito del discorso economico, che si presenta come il sapere-potere della nuova razionalità governamentale. Nel momento in cui le condizioni di vita di un individuo diventano il reddito di un capitale, si opera uno schiacciamento del piano biopolitico su quello economico.

L'individuo diviene un individuo governabile unicamente in quanto è un soggetto economico, è un soggetto che trova esclusivamente nell'economia la sua discorsività. Tra il potere e gli individui si pone, allora, la griglia di intellegibilità dell'economico, come principio regolatore della conduzione delle condotte degli individui. Spazio di contatto tra individuo e governo, l’uomo economico «è l'interfaccia tra il governo e l'individuo»138. Il soggetto economico rappresenta il risultato di una precisa modalità di conduzione delle condotte, il punto di ancoraggio di una serie di tecniche di governo, l'effetto di una serie di strategie di soggettivazione. Lungi dall'essere un dato, un elemento originario l'uomo economico costituisce, piuttosto, l’esito della combinazione di pratiche di potere e produzione di sapere dal quale emerge un particolare regime di verità.