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Il mercato è un costrutto formale, un ordine costruito attraverso un vero e proprio programma politico che ha l’obiettivo di salvaguardare la sua propria esistenza.

Trasformandosi in strategia di governo, il mercato diviene l'unico spazio in cui un governo diventa possibile. Esiste una sola ragione politica ed è quella che ha come fine il mercato.

Abbiamo detto che l'economia neoliberale è «un insieme di attività regolate»98. È probabilmente la metafora del gioco quella che più d'ogni altra ne descrive il reale funzionamento. Un gioco «in cui le regole però non sono decisioni che vengono prese da qualcuno al posto degli altri. Si tratta di un insieme di regole che determina in che maniera ciascuno deve giocare un gioco di cui, al limite, nessuno conosce l'esito»99. Tutto ciò si traduce nella cosiddetta politica sociale individuale che ha come obiettivo garantire a chiunque la possibilità di accedere allo spazio economico.

Permettere a ciascun individuo di entrare a far parte dello spazio economico deve essere quindi l'obiettivo di una politica sociale. Affinché ciò avvenga, affinché, cioè, vi sia un’estensione pressoché totale dell’agire economico a tutte le sfere dell’agire umano e delle relazioni sociali è necessario un lavoro capillare che punti direttamente a una trasformazione di tipo antropologico.

Si verifica, in questo punto, il secondo slittamento, quello dell’identificazione del soggetto con la forma impresa. Al fine di garantire le condizioni per un’estensione totale della forma mercato la logica neoliberale intraprende una grande operazione di

produzione di nuove forme di soggettivazione attraverso un processo di imprenditorializzazione degli individui.

Si tratta di educare i soggetti all’imprenditorialità alla forma impresa, ritenuta, quest’ultima, dai neoliberali il nucleo base di formazione della società. La società, infatti, è concepita come un’impresa, che ne diviene, di conseguenza, il motore pulsante. Attraverso un movimento di privatizzazione della singolarità, il neoliberalismo ripensa l’insieme dei soggetti che compongono la società come una serie di “iniziative private” che in maniera autonoma, con decisione e coraggio, conducono razionalmente la loro esistenza. Questo è il motivo per cui Foucault pensa che la razionalità neoliberale sia una modalità di governo personale delle condotte, una forma di governo del sé100. Mediante l’accentuazione della dimensione della forma impresa come unità di misura della società tutti gli aspetti riguardanti il comportamento sociale vengono filtrati attraverso la capacità universale di scegliere, ossia un frame attraverso cui è possibile leggere tutte le azioni della vita quotidiana, a partire da una griglia concettuale che connetta i costi, i benefici e l’utilità di quelle azioni all’interno di un ambiente. In questo modo, il soggetto neoliberale si presenta come un individuo-impresa che intraprende attivamente la propria auto-realizzazione grazie alla propria capacità di autogovernarsi responsabilmente tramite delle scelte razionali. Prerequisito fondamentale è, naturalmente, l’assunto secondo il quale il soggetto è immerso in una condizione di libertà che ne determina la condotta. La pratica di governo neoliberale «non si accontenta di rispettare questa o quella liberà, di garantire questa o quella libertà. Fa molto di più, consuma libertà. […] La nuova arte di governo si presenterà pertanto come l’arte della gestione della libertà, ma non nel senso dell’imperativo sii libero»101.

Al contrario è un'esortazione del tipo «ti procurerò di essere libero»102; «farò in modo che tu sia libero di essere libero»103. Come ribadisce Foucault, la libertà non si esaurisce nell'imperativo dell'essere libero ma in una gestione e organizzazione delle condizioni che consentono al soggetto di essere libero. Si tratta delle condizioni che fanno si che un uomo possa governare la propria libertà; di creare le condizioni di possibilità della libertà. La libertà diventa, in questo modo, una risorsa di governo, una tecnica di gestione delle condotte umane. Si governa con la libertà, attraverso la produzione di libertà.

Governare degli uomini liberi, lasciandoli liberi di gestirsi in completa autonomia: questo è il grande segreto della razionalità neoliberale. Appare evidente, allora, che nel momento in cui la libertà diventa qualcosa che mentre si produce si consuma, la produzione della stessa deve essere demandata all’iniziativa personale, è necessario che diventi un’auto-produzione. Io stesso in quanto imprenditore della mia vita mi produco e consumo la mia libertà. Una società di uomini liberi può essere gestita solamente attraverso un auto-governo imprenditoriale.

Si tratta di costruire «una trama sociale in cui le unità di base dovrebbero avere la forma dell'impresa, poiché cos'altro è la proprietà privata se non un'impresa? Che cos'è una casa singola se non un'impresa? Che cos'è la gestione delle piccole comunità di vicini […] se non altrettante forme di impresa?»104. L'operazione a cui si mette mano è, appunto, quella di una enorme generalizzazione della forma impresa, attraverso la sua moltiplicazione e diffusione sistematica a tutto il corpo sociale. L'impresa diviene la forma attraverso cui la società si manifesta: «Fare del mercato, della concorrenza, e dunque dell'impresa, quella che si potrebbe chiamare la potenza che dà forma alla società»105.

L'impresa, il mercato si trasformano in ciò che forma la società, suo fondamento e giustificazione. Quella che si prospetta, allora, è una società dell'impresa in cui elemento originale è la ricreazione del concetto stesso di società attorno alla nascita dell'impresa come attore economico principale. E l'impresa, poi, non si configura come un'istituzione ma come un modo di comportarsi nel mercato attraverso la forma della concorrenza.

Il passaggio epocale fa si che il nucleo di decifrazione delle analisi economiche non sia costituito dagli individui, i soggetti di interesse, né tanto meno dai processi o dai meccanismi, quanto dalle imprese: «L'homo oeconomicus è piuttosto un imprenditore, è l'imprenditore di se stesso»106. Tutta la vita dell'uomo economico, come vedremo nel dettaglio tra poco, è ripensata nei termini di un'attività produttiva il cui scopo è la produzione della propria soddisfazione.

L’obiettivo consiste nel costruire un processo universale di mutamento antropologico in cui è d'obbligo ripensare l'uomo e la sua umanità in termini di adattamento. Adattamento perché lo spirito imprenditoriale consiste in fondo, molto semplicemente, nella capacità di saper vendere una merce più cara di quanto la si è comprata: in questo

senso chiunque è un imprenditore potenziale in quanto non è necessario possedere un patrimonio iniziale ma la semplice abilità di saper rispondere alle circostanze riuscendo ad ottenere più di quanto previsto. L'imprenditore, quindi, è un essere dotato di spirito commerciale capace di trarre, anche da poche informazioni, il massimo profitto.

Fuori dalla sfera meramente economica, come massimizzazione del profitto, lo spirito imprenditoriale ha a che fare con la gestione delle occasioni della vita, con la capacità di mettere alla prova se stessi e le proprie facoltà, di imparare, di correggersi, di adattarsi. Essere imprenditori rappresenta un processo di crescita interiore, un modo di conduzione dell'esistenza dentro il mercato inteso come processo di autocostituzione di sé.

L'imprenditore si configura come un uomo che con spirito speculativo e attraverso un bilancio tra costi e benefici, rischi e previsioni, sfida il pericolo mettendosi in gioco al fine di migliorare la propria sorte. Egli è un massimizzatore di occasioni, pronto con spirito di allerta a cogliere le opportunità, a creare in maniera attiva e costruttiva la possibilità di un miglioramento attraverso l'acquisizione di informazioni, di competenze107.

Vivere la propria vita come un'impresa: adattamento necessario ad un ordine economico in continuo mutamento e basato su un regime di concorrenza spietato e generalizzato. Si tratta di portare avanti una sorta di rivoluzione permanente che deve interessare esattamente il modo di essere, di vita e la mentalità degli individui. Un compito immenso di trasformazione antropologica e sociale il cui fulcro sono le condizioni di vita individuale e collettiva, affinché il meccanismo formale e artificiale della concorrenza possa prendere forma. Creare una nuova organizzazione che sia compatibile con la nuova economia significa anche, e soprattutto, modificare l'uomo stesso, in questo continuo procedimento di adattamento, di adeguamento tra lo stile di vita e l'economia di mercato.

Dovrebbe essere chiaro, allora, perché Foucault parla di equivoco economico-etico intorno alla stessa nozione di impresa. Nel momento in cui la forma impresa è generalizzata a tutto il tessuto sociale, quest'ultimo è scomposto e analizzato secondo la lente dell'impresa e non più quella dell'individuo:

«Bisogna che la vita dell'individuo non si inscriva come vita individuale nel quadro di una grande impresa costituita dall'azienda o, al limite, dallo stato, ma piuttosto che possa inscriversi nel quadro di una

molteplicità di imprese diverse concatenate e intrecciate tra loro; imprese che, in un certo senso, siano a portata di mano per l'individuo, molto limitate nella loro dimensione, affinché l'azione dell'individuo, le sue decisioni, le sue scelte, possano avere su di esse degli effetti significativi e percepibili, ma anche abbastanza numerose perché [l'individuo] non dipenda da una soltanto»108.

La vita stessa dell'individuo, tutti gli aspetti della sua vita come, per esempio, il suo rapporto con la proprietà privata, con la famiglia, con se stesso, con i sistemi assicurativi e con la pensione, devono essere pensati in maniera imprenditoriale. Deve fare di se stesso e della sua vita un'impresa costante, trasformando la sua esistenza in una strategia economica della moltiplicazione delle capacità di investimento e delle forme di profitto.

Si noti bene che perfino il concetto di profitto si ammanta, in questo caso, di una sfumatura extra-economica, lo vedremo nell’ultimo capitolo, spirituale, poiché si può considerare profitto tutto ciò che procura ben-essere, che contribuisce al vivere bene, felici e soddisfatti. L’obiettivo, in effetti, è mistificare a tal punto il valore del denaro da far coincidere il ben-essere spirituale con quello economico. Si potrebbe dire, con una battuta, che il liberalismo non è neanche più una questione di capitale ma un affare dell’anima: «Economics are the method the object is to change the heart and the

soul»109.

Le categorie economiche e più in generale il modello economico, fondato su una pratica strategica che ha nel calcolo investimento-costi-benefici il suo paradigma, diviene il modello in base al quale calcolare ogni rapporto sociale e la società stessa. Ancora più profondamente, come si vedrà a breve con la teoria del capitale umano, l'impresa costituisce il quadro interpretativo e legittimante dell’esistenza stessa «la forma di rapporto dell'individuo con se stesso, con il tempo, con il suo ambiente, con il futuro, con il gruppo e con la famiglia»110. Il modo in cui si sta al mondo, o meglio si sta nella società è esclusivamente nella forma dell'impresa. L’estensione parossistica della categoria di imprenditore a chiunque, trasforma dell'imprenditorialità in una modalità di rapporto con se stesso. La dimensione imprenditoriale si trasforma in un modo di conduzione e di governo di se stessi all'interno del mercato come spazio di manifestazione delle relazioni umane, le quali, queste ultime trovano nella dimensione impresa la forma autentica. Ripetiamolo ancora, dunque: l'imprenditorialità, ripensata come una facoltà naturale e umana, avvia un processo di soggettivazione da cui emerge una nuova forma di soggettività, detta, appunto imprenditoriale111.

Con la forma impresa è ridisegnato l'ambiente sociale e vengono ripensate tutte le relazioni umane, familiari, affettive, lavorative. È a grandi linee questa l'idea di quella che i neoliberali tedeschi chiamano la Vitalpolitik, la politica della vita. Una politica che estende il campo economico a qualsivoglia sfera sociale e allo stesso tempo una politica112.

Si tratta di applicare criteri economici a fenomeni che propriamente economici non sono. Si assiste, in questa maniera, ad un’inversione dei rapporti del sociale rispetto all'economico. Predisporre la società affinché i meccanismi formali seppur fragili della concorrenza possano funzionare: ne viene fuori «una politica che doveva prendere in carico e in conto dei processi sociali, per far posto al loro interno, a un meccanismo economico»113. I neoliberali sognano una società d’impresa, una società per il mercato, strutturata, cioè, affinché il mercato e tutte le sue strutture possano esplicarsi pienamente.

L'enorme svolta del neoliberismo sta proprio nell’aver rintracciato in un oggetto come la società – quindi l'individuo – l'obiettivo di una, potenzialmente infinita, operazione di governo. Operazione di governo che, tuttavia, assume fin da subito le sembianze di un auto-governo, dal momento che si tratta di un enorme progetto di responsabilizzazione sociale sulla conduzione delle proprie esistenze. Sarebbe proprio questo il senso profondo dell'operazione di universalizzazione della logica dell'impresa a tutta la società.

Figura dal profilo più dinamico e attivo dell’homo oeconomicus, l'imprenditore è un uomo della conoscenza, del learning by discovery, che migliora il proprio status attraverso un processo di uscita dall'ignoranza, resa possibile dall'esperienza del mercato. Facendo coincidere l’esperienza del mercato con il fare esperienza della realtà possiamo azzardarci a paragonare l'imprenditore, questa figura a metà tra la conoscenza e la prassi all’uomo del sapere aude114. Quell’uomo che con decisione e coraggio è uscito dal suo stato di minorità per assumersi la responsabilità del proprio autogoverno è diventato l’imprenditore che dotato di informazioni, conoscenze e di audacia giudiziosa prende in carica razionalmente, cioè economicamente, la propria vita. Ancora una volta si intravede l’invito a gestire razionalmente la propria obbedienza.