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Adesso che abbiamo esaminato la tesi di Foucault sul concetto di attitudine critica e le caratteristiche principali della razionalità governamentale dovrebbe apparire meno azzardata l’idea di intrecciare insieme queste due parti, nell’ottica di una lettura critica del neoliberalismo. Laddove per lettura “critica” si intende, beninteso, non una interpretazione-valutazione in negativo del dispositivo neoliberale, bensì un’analisi della presa in carico da parte del neoliberalismo dell’atteggiamento critico. In questa sede, il significato del termine critica è strettamente circoscritto all’interpretazione foucaultiana del saggio di Kant. Detto molto semplicemente: l’interpretazione di Foucault ci autorizza a pensare che esiste uno strettissimo legame tra razionalità neoliberale e atteggiamento critico nella misura in cui il neoliberalismo assume lo spirito critico trasformandolo in un atteggiamento di tipo economico a partire dal quale garantire la legittimità o l’illegittimità del potere. Attitudine critica e l’attitudine economica coincidono: «Non si tratta più, questa volta, di far comprendere dei processi sociali e di renderli intelligibili; si tratta piuttosto di ancorare e di giustificare una critica politica permanente dell'azione politica e dell'azione di governo»139. L'azione economica si fa ragione di governo in quanto autorità capace, grazie alla sua conoscenza, di setacciare sotto il suo filtro critico qualsiasi azione politica:

«Bisogna, insomma, costituire, nei confronti della governamentalità effettivamente esercitata, una critica che non sia semplicemente politica, né semplicemente giuridica. Occorre dar vita a una critica mercantile, al cinismo di una critica mercantile contrapposta all'azione della potenza pubblica»140.

L’atteggiamento critico, quindi, è preso in carico dal dispositivo economico che manifestandosi effettivamente come comportamento, come modo di condursi e condurre, si presta bene ad un’interpretazione in chiave illuminista. Se oggi una critica è possibile, deve essere sottomessa alla razionalità politica, poiché non vi è dimensione dell’esistenza umana che non possa essere interpretata secondo il paradigma del mercato, dell’impresa, della concorrenza e del capitale umano. Non vi è nulla che possa sfuggire alla griglia economicista. Nulla può prescindere dalla razionalità economica

neo-governamentale. Si può dire allora, con una battuta, che uscire dalla minorità per entrare nella fase adulta, e quindi critica, significa accettare la realtà?

Analizzando qualsiasi azione della potenza pubblica sotto il vaglio di un’inconsistenza o di una contraddizione economica il mercato assumerà l'aspetto di un vero e proprio discrimine politico, di un giudice permanente dell'azione di governo: «In nome di una legge del mercato che dovrà permettere di misurare e di valutare ciascuna delle sue attività»141.

Con il neoliberalismo la scienza economica diventa la scienza del governo nella misura in cui il governo trova nell'economia la sua ragion d'essere. Con il neoliberalismo l'economia in quanto scienza della natura umana incarna la razionalità di governo in quanto tale. In questo senso rinnega il suo essere ideologia nella misura in cui si presenta come ragione stessa142.

La nuova figura della soggettività imprenditoriale che pensa un uomo autonomo e responsabile, governato dalla sua stessa capacità di autogovernarsi cambia radicalmente il rapporto tra governanti e governati neutralizzando la possibilità di una resistenza che eluda il piano della pratica comportamentale o della condotta. Il punto di svolta della razionalità neoliberale sta proprio qui: nello slittamento del potere da governo e controllo sugli individui a un potere dei soggetti su loro stessi. In questo senso quando il regime di veridizione trova la sua razionalità all'interno del mercato come epifenomeno della verità dei comportamenti umani, il comportamento umano, qualsiasi esso sia, razionale e non, costituisce ciò attraverso cui il soggetto diventa afferrabile dal potere. Il comportamento degli individui non rappresenta ciò nonostante cui si esercita il potere ma esattamente ciò attraverso cui si governa. Proprio in virtù della sua razionalità il soggetto risulta governabile. Proprio in virtù della sua libertà egli si governa attraverso il suo stesso auto-governo.

Attraverso la volontà di non essere governati in questo modo siamo giunti all’ipotesi che la ragione governamentale liberale sia una ragione costitutivamente critica, nella misura in cui coglie in se stessa il principio della propria limitazione. Questo principio, dovrebbe essere chiaro, sta nella ragione stessa e nell’ossessiva domanda che vuole la ragione senza pericolo e senza il furore del potere. Ora se, come sappiamo, la critica manifesta un ethos contro-governamentale (quel volere essere governati altrimenti) che traccia il limite del potere e lo interroga senza sosta sulla sua verità, in che modo questo

atteggiamento si declina nella pratica liberale? Il liberalismo rappresenta davvero l'incarnazione dello spirito critico e dunque della resistenza al potere? Si tratta di domandarsi, quindi, se è davvero il caso di interpretare il neoliberalismo come un governo critico e quindi delle contro-condotte143.

Se d’altronde il soggetto della ragione di governo neoliberale è l’uomo “che accetta la

realtà” – quando la verità del mercato figura come l’unica realtà da accettare – come

può, questo individuo inchiodato ai suoi comportamenti e al suo ambiente, essere un uomo della critica? Risulta arduo, in effetti, riuscire ad inventare una condotta che non sia sussunta nell'analisi economica del mercato; una condotta che non rientri nell'analisi comportamentale. Arduo poter rintracciare, quando la condotta diventa un comportamento di tipo economico, una forma di contro-condotta, che non rientri nell'analisi strategico-ambientale dell'homo imprenditore di se stesso.

Non è piuttosto lecito dire che la messa a valore delle qualità degli individui sotto forma di capitale-competenze, che fa dell'uomo un capitale, riesce a sussumere nel processo di capitalizzazione anche l'attitudine critica? Può esistere, quindi, un capitale umano critico?

Ambizione della tesi sarà tentare di trovare una risposta a tali quesiti nella consulenza filosofica.

1 I. Kant, Risposta alla domanda: Che cos’è l'illuminismo?, in Kant, Foucault. Che cos'è l'illuminismo?, Mimesis, Milano 2012. È principalmente in tre testi che Foucault discute il famoso articolo kantiano pubblicato sulla rivista Berlinische Monatsschrift nel dicembre del 1784: la prima volta, in occasione di una conferenza tenuta alla Società francese di filosofia, il 27 maggio 1978, e pubblicata successivamente nel 1990 con il titolo Qu'est-ce que la critique? (Critique et Aufklärung) in “Bulletin de la société française de philosophie”, n. 2/1990, pp. 35-64. Una sua versione si trova adesso in M. Foucault, Qu'est-ce que la critique suivi de La culture de soi, a cura di H. P. Fruchaud – D. Lorenzini, Vrin, Paris 2015. La traduzione italiana è curata da Paolo Napoli, M. Foucault, Illuminismo e critica, Donzelli, Roma 1997; la seconda volta, nel 1983, durante la lezione inaugurale del corso al Collège de France, ll governo di sé e degli altri, cit. Un estratto verrà rivisto da Foucault e pubblicato sotto forma di articolo l'anno successivo con il titolo Qu'est-ce que les Lumières?, oggi in M. Foucault, Dits et Ècrits, vol. II, 1976-1988, Quarto Gallimard, Parigi 2001, n. 351, pp. 1498-1507. Un altro estratto riappare sempre nel 1984 con il titolo What is Enlightenment? in The Foucault Reader, un'antologia di testi e di interviste a cura di Paul Rabinow, Pantheon Books, New York 1984 pp. 32- 50; la cui traduzione in francese si trova ora in DE II, n. 339, cit., p. 1381-1397. La traduzione italiana è di S. Loriga, M. Foucault, Che cos'è l'illuminismo? è contenuta in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, vol. III, 1978-1985, a cura di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 217-232. Infine, ancora nel 1983, in occasione di una conferenza all'Università di Berkeley dal titolo La culture de soi, contenuto nel già citato M. Foucault, Qu'est-ce que la critique?, p. 81.

2 M. Foucault, Nascita della biopolitica, tr. it. M. Bertani ‒ V. Zini, Feltrinelli, Milano 2005.

3 In realtà è bene precisare che Kant rappresenta un autore fondante del pensiero filosofico foucaultiano, continuo punto di riferimento analitico e polemico, fin dalla tesi complementare di dottorato sull'Antropologia kantiana, pubblicata nel 1964, ora in I. Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico. Introduzione e note di Michel Foucault, tr. it. a cura di M. Bertani ‒ G. Garelli Einaudi, Torino 2010. Fimiani sostiene che tutta l’opera foucaultiana, dagli esordi fino agli anni ’80, «può apparire una sorta di riscrittura occultante del testo kantiano, può considerarsi, per così dire, un suo palinsesto» (M. Fimiani, Foucault e Kant. Critica, clinica etica, La città del sole, Napoli 1997, p. 12). Cfr. G. Marramao, Illuminismo e attualità: il Moderno come interrogazione sul presente. Due testi di Foucault e Habermas, in “Il centauro”, n. 11-12/1984, pp. 223-228; AA. VV., Foucault Lecteur de Kant: le champ anthropologique, in “Lumieres” n. 16/2011; P. Amato, Ontologia e storia. La filosofia di Michel Foucault, Carocci, Roma 2011.

4 I. Kant, Risposta alla domanda: Che cos'è l'illuminismo?, cit., p. 9. «La fuoriuscita dallo stato di minorità che contrassegna l'uomo illuminato non è lo stadio di arrivo ma semmai il suo opposto, il prendere congedo da una realtà. La critica si lega a questa vocazione apolide del soggetto che nella legge di indocilità trova il suo punto di equilibrio; la sua ragion d'essere fondamentale è nell'irrequietezza della possibilità più che nella serenità della certezza» (P. Napoli, Il governo e la critica, in M. Foucault, Illuminismo e critica, cit., p. 18).

5 M. Foucault, Il soggetto e il potere, in H. L. Dreyfus – P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault. Analitica della verità e storia del presente, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, p. 249.

6 M. Foucault, Bisogna difendere la società. Corso al Collège de France 1976-77, tr. it. di M. Bertani ‒ A. Fontana, Feltrinelli, Milano 2008, p. 32. Sulla questione del governo e del potere in Foucault: M. Foucault, La volontà di sapere, tr. it. P. Pasquino ‒ G. Procacci, Feltrinelli, Milano 1978; Id., Omnes et singulatim. Verso una critica della ragione politica, in Biopolitica e liberalismo. Detti e scritti su potere ed etica 1975-1984, a cura di O. Marzocca, Medusa, Milano, 2001; Id., Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France 1977-1978, tr. it. P. Napoli, Feltrinelli, Milano 2007. Per un approfondimento sul tema: M. Senellart, Michel Foucault. Governamentalità e Ragion di Stato, in “Bollettino dell’Archivio della Ragion di Stato”, n. 2/1994, pp. 37-73; AA.VV. Moltiplicare Foucault. Ventanni dopo, a cura di O. Marzocca, Mimesis, Milano 2004; AA. VV., Michel Foucault. L'Islam e la rivoluzione iraniana, in “La Rose de Personne”, Mimesis, Milano 2005 e in particolare i contributi di P. Di Vittorio, Che cos'è il radicalismo, pp. 115-132 e M. Schirone, La rivoluzione iraniana e la modalità pastorale di esercizio del governo, pp. 133-142; P. Di Vittorio, Margini del potere, in “Rivista sperimentale di Freniatria. La rivista della salute mentale”, n. 3/2005, pp. 54-78; O. Marzocca, Perché il governo. Il laboratorio etico-politico di Foucault, Manifestolibri, Roma 2007; L. Cremonesi, Michel Foucault e il mondo antico. Spunti per una critica dell'attualità, Ets, Pisa 2008; V. Sorrentino, Il pensiero politico di Foucault, Meltemi, Roma 2008; L. Bazzicalupo, Storicizzazione radicale, genealogia della governamentalità e soggettivazione politica, in “Materiali

7 M. Foucault, Sicurezza, territori, popolazione, cit., p. 143. 8 Ibidem.

9 Ibidem. 10 Ivi, p. 97. 11 Ivi, p. 98.

12 M. Foucault, Strutturalismo e post-strutturalismo, in Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969- 1984, a cura di M. Bertani, Einaudi, Torino 2001, p. 322. Si veda F. Gros, Foucault et le projet critique, in “Raison prèsente”, n. 114/1995, pp. 11-20; M. Senellart La critique de la raison gouvernementale, in AA.VV. Foucault au Collège de France. Un itinéraire, Presses universitaires de Bordeaux, Bordeaux 2003, pp. 131-147.

13 M. Foucault, Strutturalismo et post-strutturalismo, cit., p. 324. 14 M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 71.

15 Questo discorso nasce con la modernità, che si configura, secondo Foucault, come il momento in cui proliferano, una serie di discorsi sullo statuto del potere inteso come questione di governo; la cosiddetta “ratio gubernatoria”: «Il fatto importante che bisogna considerare è il momento in cui, in quanto fenomeno storico reale, specifico, irriducibile, lo Stato entra effettivamente nella pratica riflessa degli uomini. Il problema è sapere quando, in che condizioni e in che forma lo Stato ha iniziato ad essere progettato, programmato e sviluppato all'interno di una pratica di riflessione; da che momento è diventato oggetto di conoscenza e di analisi e in che modo è entrato a fare parte di una strategia riflettuta e concertata. […] Insomma, ciò che bisogna tentare di comprendere è l'ingresso dello Stato nel campo delle pratiche di pensiero degli uomini» (ivi, p. 182). Sull’emergenza della ragion di Stato, come arte di governo, si può consultare: AA. VV., Effetto Foucault, a cura di P. A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 1986, e in particolare i saggi di G. Procacci, Il governo del sociale, pp. 184-192; G. Marramao, L'ossessione della sovranità, pp. 171-183 e P. Pasquino, Michel Foucault: la problematica del “governo e della veridizione, pp. 46-56; G. Burchell – C. Gordon – P. Miller, The Foucault Effect: Studies in Governmentality, The University Chicago Press, Chicago 1991, in particolare l'introduzione di C. Gordon, Governmental rationality: an introduction, pp. 1-52; E. de Conciliis (a cura di), Dopo Foucault. Genealogie del postmoderno, Mimesis, Milano 2007; M. Senellart, Dalla ragion di Stato al liberalismo: genesi della governamentalità moderna, in M. Galzigna, Foucault oggi, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 190-199.

16 M. Foucault, Illuminismo e critica, cit., p. 34.

17 Ivi, p. 37. Dalla prospettiva di Foucault si deve parlare non di rifiuto ma di «resistenza alla governamentalizzazione» (G. Le Blanc, La pensée Foucault, Ellipses, Paris 2006, p. 41). Descritta come forza che dà origine a un contro-potere, la resistenza non è il contrario del potere, la libertà assoluta di un'innocenza originaria, né tanto meno il fuori del potere. La resistenza alla governamentalizzazione è, piuttosto, il punto di una governamentalizzazione altra. Si veda S. Vaccaro, La volontà di non essere governati, in AA.VV., Il governo di sé, il governo degli altri, Due punti Edizioni, Palermo 2011, pp. 51-72; D. Lorenzini, Foucault, la contro-condotta e l’atteggiamento critico, in “Materiali foucaultiani”, n. 7-8/2015, pp. 137-148.

18 M. Foucault, Illuminismo e critica, cit., p. 37. La critica è prima di tutto un antidoto alla logica del governo: «Compito della critica è quello di percepire il limite oltre il quale diventa intollerabile essere governati» (P. Napoli, Il governo e la critica, cit., p. 15).

19 La filosofia, secondo Foucault, avrebbe da sempre intrattenuto un rapporto quasi viscerale con il potere: «Uno dei ruoli principali della filosofia in Occidente è stata di porre un limite, di porre un a questo troppo di potere, a questa superproduzione di potere ogni volta e in tutti i casi in cui questo rischiava di diventare minaccioso» (M. Foucault, La filosofia analitica della politica, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, cit., p. 100). La filosofia sarebbe sempre antidispotica, pensata in un rapporto essenziale con l'esercizio illimitato del potere. Ruolo di moderazione in rapporto all'esercizio del potere. Contro-potere della filosofia «la filosofia doveva dire al potere: qui tu ti fermerai, e non andrai più lontano? Si tratta di un tradimento della filosofia? O è perché la filosofia è stata sempre segretamente, qualsiasi cosa abbia detto, una certa filosofia del potere? Dopo tutto, dire al potere: fermati qui, non è prendere precisamente, virtualmente, segretamente anche, il posto del potere, farsi la legge della legge e di conseguenza realizzarsi come legge?» (ivi 104). La filosofia avrebbe proprio questo compito: mettere un limite alla violenza e al dominio del potere. Nessun governo è immune dalle forme eccessive di potere. Cfr. S. Chignola, Biopolitica e governamentalità. Michel Foucault e la politica dei governati, in AA.VV., Il governo di sé, il

20 M. Foucault, Illuminismo e critica, cit., p. 65. 21 Ibidem.

22 Ivi, p. 37. 23 Ivi, p. 39.

24 Ibidem. «Noi viviamo in una società che funziona in gran parte con la verità – voglio dire che produce e fa circolare dei discorsi che hanno funzione di verità, che vengono considerati tale e hanno grazie a questa dei poteri specifici. La messa in opera dei discorsi veri (e che d'altra parte cambiano senza fine) è uno dei problemi fondamentali dell'Occidente. La storia della verità – del potere proprio ai discorsi accettati come veri – è interamente da fare» (M. Foucault, No al sesso re, cit., p. 152). Fare la storia della produzione della verità significa ricostruire la storia dell'Occidente, dal momento che quest'ultimo costituisce la storia del modo in cui la verità si è prodotta e ha inscritto i suoi effetti. Il potere “funziona” attraverso la verità e a sua volta la verità riproduce il potere stesso: «Molteplici relazioni di potere attraversano, caratterizzano, costituiscono il corpo sociale. Queste relazioni di potere non possono dissociarsi né stabilirsi, né funzionare senza una produzione, un’accumulazione, una circolazione, un funzionamento di discorso vero. [...] siamo sottomessi dal potere alla produzione di verità e non possiamo esercitare il potere che attraverso la produzione di verità [...] Dopotutto siamo giudicati, condannati, classificati, costretti a compiti, destinati a un certo modo di vivere o a un certo modo di morire, in funzione dei discorsi veri che portano con sé effetti specifici di potere» (M. Foucault, Bisogna difendere la società, cit., pp. 28-29). Su tutto questo si veda R. Rochlitz, Esthétique de l'existence. Morale postconventionelle et théorie du pouvoir chez Michel Foucault, in AA.VV., Michel Foucault philosophe. Recontre internationale, Paris 9,10,11 Janvier 1988, Éditions du seuil, Paris 1989, pp. 289-297; D. Trombadori, Colloqui con Foucault, Castelvecchi, Roma 1999; J. Revel, Foucault. Une pensée du discontinu, cit.; Id., Foucault avec Merleau-Ponty, cit.

25 M. Foucault, Illuminismo e critica, cit., p. 39. 26 Ibidem.

27 Ibidem. «La critica e il nuovo pensare [...] non orientano, in tal senso, all'insubordinazione illimitata e spontanea, ad un'opposizione generale e totale, astrattamente rivolta contro ogni forma di governamentalità, pongono piuttosto il problema dell'esercizio di una libertà che conosca i propri limiti e che sia in grado di mutare il suo rapporto con il potere» (M. Fimiani, Foucault e Kant. Critica, clinica, etica, cit., p. 26). In questo senso, non a caso, si parla di indocilità riflessa, in quanto atteggiamento di ribellione ponderata. Sarebbe il caso di interrogare, tuttavia, l'efficacia e la natura di un'insofferenza tanto paziente. Se la pazienza è la virtù di chi non è coinvolto, e la critica si configura come atteggiamento ragionato, meditato, vi sarebbe una certa discrasia tra l'urgenza dettata dalla necessità del cambiamento e la non-necessità dettata dal carattere ponderato e limitato della critica. Cfr. anche P. Vernaglione, Michel Foucault e l'eredità critica, in “Materiali foucaultiani”, n. 7- 8/2015, pp. 295-313.

28 M. Foucault, Illuminismo e critica, cit., p. 58.

29 I. Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo, cit., p. 9. 30 M. Foucault, Che cos’è l’illuminismo?, cit., p. 219.

31 «Ma da tutte le parti odo gridare: non ragionate! L'ufficiale dice: non ragionate, ma fate esercitazioni! L'intendente di finanza: non ragionate, ma pagate! L'ecclesiastico: non ragionate, ma credete!» (I. Kant, Risposta alla domanda: Che cos'è l'Illuminismo?, cit., p. 10). Non è secondario il fatto che Foucault faccia notare come Kant utilizzi il termine tedesco razonieren, termine impiegato nelle Critiche e che ha a che fare non con un uso generalizzato della ragione, ma sta ad indicare la facoltà della ragione che ha come fine essa stessa: «Razonieren è ragionare per ragionare» (M. Foucault, Che cos’è l’illuminismo?, cit., p. 40).

32 M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, cit., p. 42.

33 I. Kant, Risposta alla domanda: Che cos'è l'illuminismo?, cit., p. 16. 34 M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, cit., p. 43.

35 Ibidem.

36 M. Foucault, Che cos’è l’illuminismo?, cit., p. 221.

37 M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, cit., p. 43. «Mi sembra più utile evidenziare la difficoltà teorica in cui si muove Kant, quando attribuisce all’educazione dell’uomo due significati toto coelo incompatibili, eppure storicamente compresenti: se infatti, dal punto di vista politico, educare ha significato (e significa), infantilizzare per governare, l’illuminismo ha cercato (e cerca) di inventare un’altra pedagogia, fondata sulla cultura e sulla libertà, che neutralizzi quella basata sulla paura e

imporsi sulle menti altrui, senza tuttavia esigere l’obbedienza: il filosofo moderno è un parresiasta – ha il coraggio della verità – solo quando, paradossalmente, insegna a non obbedire ma al contempo dice “ciò che è e ciò che si deve fare”» (E. de Conciliis, Foucault e il presente senza qualità. Appunti per una rivoluzione pastorale, in “Kainos”, n. 10/2010, p. 6). Il problema che emergere qui è interessante e spinoso: vi sarebbe nella non-necessità della ragione nel suo versante pubblico il segreto dell'essere condotti, il segreto del governo. Ma ciò si sposa con l'anelito al sapere aude con l'invito all'auto-conduzione? Troviamo allora in questo punto il rapporto segreto tra il conosci te stesso e la cura di sé. Se il sapere aude diventa la forma del governo di sé come ciò può non cozzare con l'arte della disobbedienza ragionata? Come fa ad essere disobbedienza se è ragionata? E come si fa ad essere disobbedienti, nell'ottica kantiana e nel solco che traccia e che lo stesso Foucault segue, se si ragiona? E la stessa cosa vale se all’inverso ci chiediamo come si fa a non essere disobbedienti, a non voler essere governati in un altro modo, se si fa un uso corretto della facoltà della ragione? 38 M. Foucault, Che cos’è l’illuminismo?, cit., p. 221.