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I fondamenti della comicità

1.9 Strategie per la traduzione della comicità

1.9.4 Accettabilità e adeguatezza nel testo comico: una questione di priorità

Osimo, rivolgendosi al suo lettore modello, l’apprendente traduttore, ribadisce più e più volte che una buona traduzione inizia necessariamente con l’individuazione della

dominante. Concetto introdotto e sostenuto, tra gli altri, da Jakobson, la dominate è la

componente portante attorno alla quale si sviluppa tutto il testo: ne deriva che l’atto dell’individuazione della dominante coincide con il momento in cui il traduttore determina le sue priorità in traduzione, identificando quegli elementi del prototesto che dovranno necessariamente giungere al metatesto e quelli che invece, se necessario, potranno essere sacrificati.

Si presti attenzione al fatto che, a differenza di quanto si possa pensare, la dominante non coincide necessariamente con il tema principale del testo, ma è un concetto dif- ferente, in grado di concretizzarsi ne “la dialettica relazionale tra personaggi […], o ancora

il legame personale dell’autore con questa realtà. In poesia, ma in certi casi anche in narrativa, la dominante di un’opera è spesso la struttura ritmica, rimica, fonetica.” (Osimo, 2004: 113123).

Un concetto così ampio di dominante, soprattutto svincolato dall’argomento del te- sto, ci permette di ipotizzare che anche la produzione di un determinato “effetto” sul pubblico finale possa costituire una dominante, e asserire che l’indurre il lettore al riso possa rientrare a pieno merito tra le priorità di un traduttore nella trasposizione di un testo da una lingua ad un’altra.

Si prenda in considerazione quest’ultimo caso. Coerenza vuole che l’autore che si ac- cinge alla composizione di un testo comico abbia come sua finalità quella di suscitare il riso nel suo lettore. Che sia una risata a crepapelle, un ghigno malizioso o un lieve arricciamento di labbra, questo non ha rilevanza particolare: ciò che l’autore farà è individuare il suo lettore modello e tradurre la sua ispirazione in un linguaggio tale che, rielaborato dalla mente dei fruitori, auspicabilmente sortisca l’effetto desiderato e pianificato dall’autore.

Si immagini ora che l’operazione abbia successo, che l’opera venga entusiasticamente accolta come una delle più divertenti scritte di recente e che un qualche editore pro- ponga allo scrittore di farla tradurre e di pubblicarla all’estero.

Si prosegua con la fantasia: per uscire in un mercato di un contesto socio-culturale molto diverso da quello dello scrittore, il testo viene affidato nelle mani di un tra- duttore che, dopo averlo letto e analizzato, si trova di fronte alla necessità di scegliere quale sia la strategia migliore da adottare per produrre una buona traduzione.

E la domanda sarà, invariabilmente, sempre la medesima. Accettabilità o adeguatezza? Approccio source- o target-oriented? Si è già visto che il traduttore non deve essere ne- cessariamente un estremista: accettabilità e adeguatezza sono i due poli di un conti- nuum, e di certo non sono infrequenti i casi in cui i traduttori perseguano entrambe, bilanciate in un discreto equilibrio.

Ai fini della chiarezza d’analisi si sceglie invece qui la via dell’estremismo, allo scopo di portare alla luce implicazioni e conseguenze dell’applicazione sia dell’uno che dell’al- tro approccio nella loro forma più rigorosa e intransigente.

Si torni dunque al nostro traduttore e alla sua amletica perplessità sul metodo da adot- tare: egli, esterofilo convinto, abbraccia l’approccio source-oriented e si incammina per il sentiero che conduce alla vetta dell’adeguatezza. Il suo intento sarà dunque di servire al pubblico ricevente un testo fedele e devoto all’originale, la cui lettura catapulti il lettore nella realtà emittente, nelle sue caotiche implicazioni culturali, nelle sue dina- miche sociali, al fine di fargli respirare gli odori e gustare i sapori delle sue preferenze, delle sue inclinazioni e dei suoi gusti.

Nulla vieta che l’autore originale abbia scritto un testo modernissimo, abbia rubato uno scatto fotografico di un mondo contemporaneo, globalizzato, intraculturale e cosmopolita, sostanzialmente stroncando sul nascere qualsiasi eventuale forma di gap culturale tra la realtà emittente e quella ricevente: i riferimenti si consumano tutti all’interno dei confini di una cultura che già da tempo si è intrecciata con le altre, e così contaminata si è diffusa e ha viaggiato fino agli angoli più reconditi del pianeta, bussando alle porte dell’esperienza di ciascun individuo per farsi conoscere, vivere e adoperare.

“There are situations which may be seen as funny in all western societies. Practical jokes such as pulling a chair away when someone is about to sit down are a pretty universal source of amusement to school children, while other stock examples include seeing someone slip on a banana skin or receive a custard pie in the face.” (Chiaro, 1992: 6124)

In questo caso, il lavoro del traduttore potrebbe rivelarsi più semplice del previsto, una tranquilla traversata da una realtà culturale all’altra: la comicità dell’autore infatti, così concepita, si presenta scevra da ogni marcato aspetto connotativo, depurata da elementi culturospecifici, e nelle esperte e sapienti mani del traduttore, viaggerebbe leggera su mezzi linguistici per giungere efficacemente nella cultura d’arrivo, in cui il lettore se la riderebbe a crepapelle su temi e su fatti a lui cari e familiari, ma sufficien- temente leggeri da consentirne l’utilizzo in chiave comica.

Accuratezza di analisi tuttavia vuole che si prenda in considerazione anche il caso diverso, quello cioè di un autore che scrive del proprio universo, che parla del proprio paese, che decide di raccontare e di raccontarsi attraverso i filtri dei gruppi in cui appartiene e delle comunità in cui vive: il suo testo sarà allora intriso di riferimenti storico-politici, di richiami a questa o a quella celebrità o personaggio famoso, di menzioni a eventi passati; potrebbe riecheggiare la battuta di un film che ha segnato la sua infanzia, o la gaffe di un concorrente di un gioco a premi, le gesta di un eroe cittadino o i successi di un condottiere nazionale e ricamarci sopra una battuta o una barzelletta, di presa immediata su un suo concittadino, ma che lascerebbe alquanto interdetto un qualunque altro fruitore medio, che con tutta probabilità neanche vi scorgerebbe la scintilla dello stimolo comico.

In questo caso il traduttore non avrebbe vita facile: egli infatti si troverebbe da un

lato schiacciato dal peso della dominante, intransigente nel rammentargli la natura del testo originale e gli intenti dell’autore, che palesemente si rivolgeva al suo pubblico con il desiderio di presentargli un testo che lo intrattenesse in senso comico, e trasci- nato dall’altro dal desiderio di limitare al minimo il suo intervento sul testo, dettatogli dall’adozione dell’approccio source-oriented.

E la mediazione tra queste due tendenze non è certo di semplice gestione, dal mo- mento che il mantenimento nel testo finale dell’elemento culturospecifico, grezzo e invariato, inibirebbe con buone probabilità la forza perlocutoria dell’originale, a causa delle lacune che, come si può ragionevolmente ipotizzare, il lettore modello ha della realtà e del contesto emittente:

“Communication breaks down when the levels of prior knowledge held by the speaker/writer and by the listener/reader are not similar. While this is true of any communication, the breakdown is particularly obvious in the case of translated humor, whose perception depends directly on the concurrence of facts and impressions available to both speaker/writer and listener/reader.” (Del Corral, 1988: 25, in Vandaele, 2010: 149125)

In che modo dunque, si potrebbe ragionevolmente concretizzare l’intervento del traduttore, per mezzo di quale tecnica potrebbe egli evitare l’etichetta di “traduttore fantasma” che lascia il fruitore in balia di una traduzione povera e inefficace, interdetto di fronte ad un contenuto che non riesce a carpire e in cui non ritrova la comicità che gli era stata promessa, e il protagonismo tipico del traduttore/autore, che pretendendo di inserirsi tra l’autore e il suo pubblico con interventi sostanziosi sul testo originale, rischia spesso di produrre un’opera terza più che una traduzione? Non si stesse disqui- sendo di comicità, una dignitosa proposta da tenere in considerazione potrebbe essere quella dell’esplicitazione/espansione, da realizzarsi in un apparato metatestuale, come la prefazione, le note a margine, la postfazione o la combinazione delle tre. Esse infatti consentirebbero al traduttore di esplicitare tutto quel complesso di informazioni che costituiscono l’implicito culturale della realtà emittente, le quali andrebbero a soc- correre il pubblico finale nell’interpretazione del testo, consentendo al traduttore di non apportare stravolgimenti all’impianto semiotico del testo di partenza e, al lettore che ne è interessato di fruire nel minimo dettaglio di una trasposizione effettivamente fedele all’originale, e non di una rielaborazione posticcia.

“Le note, considerate da moltissimi editori come il fumo negli occhi, sono invece considerate qui come quel dispositivo metatestuale che permette al traduttore di scrivere liberamente anche frasi a prima vista poco comprensibili per la cultura ricevente, che però, con l’ausilio delle spiegazioni metatestuali, vengono comprese a un livello molto più profondo di come accadrebbe con una traduzione scorrevole senza note.” (Osimo, 2004: 88126)

125 Vandaele, Humor in Translation, cit., p. 149. 126 Osimo, Manuale del Traduttore, cit., p. 88.

Tuttavia, dato che il comico è l’oggetto del discorso, è necessario specificare che l’inefficacia dell’esplicitazione/espansione nella trattazione inter- e intra-linguistica della comicità è opinione condivisa tra molti: ne fanno menzione White “Analyzing

humor is like dissecting a frog. Few people are interested and the frog dies of it.” (White, 1941),

Antonopoulou “The risk of jeopardizing the humorous effect through explication is consider-

able: explanations are infamous joke killers” (Antonopoulou, 2004: 223127) e Attardo “[It]

results in the distraction of the humorous effect” (Attardo, 1994: 289128). Nella sua analisi de-

gli effetti illocutori e perlocutori del discorso, Hickey129 si spinge oltre, evidenziando

come l’esegesi sia una tecnica assolutamente da evitare nella trasposizione linguistica del comico, in quanto la spiegazione delle modalità originali scelte dall’autore per far ridere il suo pubblico ha il potere di inibire completamente il medesimo effetto per- locutorio sul pubblico ricevente. Sempre secondo Hickey, se è l’effetto perlocutorio ad essere la dominante del testo source, meglio utilizzare altre tecniche (Hickey parla di recontextualization130) al fine di garantirne la trasposizione anche a costo di dover

rinunciare all’equivalenza formale. Analogo è il concetto di communicative translation:

“A communicative translation is produced, when, in a given situation, the Source Text uses an Source Language expression standard for that situation, and the Target Text uses a Target Language expression standard for an equivalent Target Culture situation” (Dickins, Hervey and Higgins, 2002 in Littlejohn, Mehta, 2012: 56131)

Il concetto di communicative translation si rivela particolarmente utile dunque in tutte quelle occasioni in cui la scintilla della comicità si accende in contesti di situational

equivalence, in cui però, nonostante la coincidenza degli scenari tra le culture emittente

e ricevente, i due relativi sistemi linguistici utilizzano espressioni anche sensibilmente differenti per designare comportamenti o accadimenti analoghi. Per rendere il signi- ficato del testo source non è dunque possibile evitare la manipolazione dell’originale, che in questo caso, oltre ad avvenire su un piano meramente linguistico, si espande sul piano culturale, forte della comprensione che due sistemi linguistico-culturali possano condividere uno script, ma che la scansione e lo sviluppo dello stesso siano dettati da norme e da pattern differenti. L’assenza di una situational equivalence segnala la presenza di un gap culturale ancora più vasto, in cui il traduttore si trova nella spinosa posizione di dover decidere “how to find lexical equivalents for the areas and aspects which are not

known in the receptor culture […] since there will be some concepts in the source language, which

127 Antonopoulou Eleni, “Humor theory and translation research”, Humor, Vol. 17, Issue 3, 2004, pp. 219-255. 128 Attardo, Linguistic Theories of Humor, cit., p. 289.

129 Hickey Leo, “Perlocutionary Equivalence: Marking, Exegesis and Recontextualization” in L. Hickey (a cura di),

The Pragmatics of Translation, Clevedon, Multilingual Matters, 1998.

130 Rista-Dema Mimoza, “Language Register and the Impacts of Translation: Evidence from Albanian Political Memoirs and their English Translation”, in S. Gyasi, O. Beverly Hartford (a cura di), Political Discourse Analysis, New York, Nova Publisher, 2008, p.3.

131 Littlejohn Andrew, MEHTA, Sandhya Rao (a cura di), “Language Studies: Stretching the Boundaries”, Newcastle, Cambridge Scholars, 2012.

do not have lexical equivalents in the target language.” (Maasoum, Davtalab, 2011: 1767132).

In casi simili Newmark propone la ricerca di una cultural analogy da realizzarsi per mezzo di un cultural equivalent: “an approximate translation where a SL cultural word is tran-

slated by a TL cultural word” (Newmark, 1988, in Maasoum, Davtalab, 2011: 1771133),

mentre Hervey e Higgins si posizionano all’interno dell’ala più estrema dell’accetta- bilità con il concetto di cultural transplantation: “the whole text is rewritten in target culture.

The TL word is not a literal equivalent but has a similar cultural connotation to some extent.”

(Hervey, Higgins, 2006, in Maasoum, Davtalab, 2011134)

Come il lettore avrà intuito, si è ormai abbandonato il terreno delle strategie source-o-

riented per inoltrarsi nei territori dell’accettabilità, dell’intervento del traduttore sul

testo a favore della comprensione del pubblico ricevente. L’approdo a questo approc- cio traduttivo è stato il frutto spontaneo del naturale svilupparsi della riflessione su testi comici contenenti allusioni a sistemi culturali terzi, con il termine allusione da intendersi nella sua accezione più ampia, ben argomentata da Leppihalme:

“It denotes translation problems arising from the presence in the source text not only of intertextual elements but also of references to other types of source-cultural phenomena, e.g. historical people and events and popular culture, which are likely to be unknown or less well known among target- text readers.” (Leppihalme, 1992: 183135)

Gli autori pescano costantemente allusioni dal loro bacino intertestuale e lo fanno pure con una certa libertà, forti della consapevolezza di condividerlo, sia in termini di contenuti che di frequenza di esposizione, con il loro pubblico136. E questo è parti-

colarmente vero nel caso di testi comici, dove il riferimento o il paragone con acca- dimenti, persone, contesti e tendenze è spesso il sale della comicità. Ma la traduzione sottrae all’autore il suo pubblico e lo sostituisce con un altro, lasciando il traduttore con in mano, anziché il famigerato pugno di mosche, un pugno di allusioni, evirate dei loro referenti e svuotate del loro senso costitutivo. Ciò che il presente elaborato mira a dimostrare è che il traduttore non può permettersi di lasciare queste allusioni invariate, se il testo su cui sta operando è un testo comico la cui dominante è l’effetto perlocutorio che quello stesso testo produce sul suo pubblico, vale a dire il suscitare ilarità.

Si riconsiderino quindi per un momento le macrostrategie a disposizione del tradut- tore per affrontare il complesso quadro di un testo comico. Alla luce di quanto appena concluso, assolutamente inadeguate si rivelano le scelte di traduzione letterale, che

132 Maasoum Seyed Mohammad Hosseini, Davtalab Hoda, “An Analysis of Culture-specific Items in the Persian Translation of “Dubliners” Based on Newmark’s Model”, Theory and Practice in Language Studies, Vol. 1, Issue 12, 2011, pp. 1767-1779.

133 Maasoum, Davtalab, An Analysis of Culture-specific Items in the Persian Translation of “Dubliners” Based on

Newmark’s Model, cit., p. 1771.

134 Maasoum, Davtalab, An Analysis of Culture-specific Items in the Persian Translation of “Dubliners” Based on

Newmark’s Model, cit., p. 1770.

135 Leppihalme Ritva, “Allusions and thei translation” in H. Nyyssönen, L. Kuure, Acquisition of Language -

Acquisition of Culture, Association Finlandaise de linguistique applìquée 50, 1992, pp. 183-191.

implicano il mantenimento del VEH invariato nel testo target, tagliando bruscamen- te il pubblico ricevente fuori dalla condivisione del momento comico. Le parole di Antonini aiutano a chiarire, ancora una volta, le ragioni che avvalorano questa affer- mazione:

“In order to be able to understand a joke, audiences need to be made privy not only to the meaning of its wording but also and especially to all those added meanings that in the source language are able to trigger a whole range of associations linked to the general knowledge of the world they refer to.” (Antonini, in Chiaro 2010: 66137)

Interessante, almeno sul fronte dell’educazione del lettore e del rispetto del suo dirit- to di usufruire di un’opera autentica e non di una rielaborazione pensata per lui dal traduttore, sarebbe l’explanatory translation, impraticabile però nel contesto del comico, di natura avverso all’esegesi, per non parlare della sua applicazione nel settore dei pro- dotti audiovisivi, dove le limitazioni spazio temporali già circoscrivono le potenzialità espressive dell’autore, figurarsi la minuziosità dei contenuti.

La soluzione ottimale può essere dunque rappresentata solamente dalle strategie che guardano alla traduzione funzionale, che rielabora il comico tenendo conto delle lo- giche della cultura e della lingua ricevente, alle quali lo rende affine e conforme. Sono gli stessi autori dei cataloghi riportati nel paragrafo precedente a schierarsi espressa- mente a favore della “traduzione culturale”, sostenendone la superiorità sulle altre opzioni: Chiaro, parla della sostituzione del ST VEH con un’altra possibile soluzione di VEH nel TT in termini di “most difficult but certainly the most satisfying for translators

and audiences alike” (Chiaro, 2010: 6138); mentre secondo Fuentes Luque: “the last option

[the effective or functional translation] is, in our opinion, the ideal one” (Fuentes Luque, in Chiaro 2010139).

Il capitolo successivo nasce dall’intenzione di avvalorare questa tesi, mediante l’analisi di un prodotto pensato per intrattenere comicamente il proprio target, il lungometrag- gio comico Shazai no Ousama del regista Mizuta Nobuo.

137 Chiaro, Translation, Humour and the Media, cit., p. 66. 138 Chiaro, Translation, Humour and the Media, cit., p. 6. 139 Chiaro, Translation, Humour and the Media, cit., p. 186.

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