Commento traduttologico
1. Pre-translation – Adaption – Spotting 2 Pre-translation – Spotting – Adaption
2.3. L’analisi dei passaggi comic
1.3.7 Una donna ascolta sempre
Dopo aver presentato il suo caso a Kuroshima e Kuramochi, il giovane almeno quanto smaliziato Numata viene spedito a porgere le sue scuse a Misaki, con il non dichiarato intento di farle ritirare la denuncia e di evitare a Numata il licenziamento. Il giovane arriva tutto trafelato (pare che chi arrivi di corsa risulti, agli occhi dell’offeso, più sin- ceramente pentito) sulle note dei consigli del nostro veterano presidente, che insegna come la dedizione e il manifesto interesse verso le parole della parte lesa siano armi fondamentali, che sarebbe opportuno imparare maneggiare con destrezza, nel caso in cui si sia commesso un torto e ciò che si desideri sia farsi perdonare. Al tempo stesso però, capiamo come sia prassi per l’offeso provare un’irrefrenabile impulso allo sfogo, che tenta di soddisfare investendo il colpevole del misfatto di un fiume di parole da
cui trapela, tra l’altro, uno scarsissimo interesse verso ciò che la controparte pentita ha da dire a sua discolpa. Come affrontare questo ingarbugliato intreccio di emozioni ed esigenze? Assecondando l’offeso con una bella faccia di marmo e una buona dose di convinzione, tanto il rancoroso sarà così sinceramente impegnato nel suo monologo di odio sibillino e frustrazione, da non cogliere una sola parola di ciò che gli verrà det- to. Incredibile? Per nulla. Anzi, Kuroshima è pronto a dimostrarlo con un semplice test che... fallirà miseramente. L’innata ed irrefrenabile brama di attenzioni e il desiderio di essere ascoltate che caratterizza le facenti parte dell’universo femminile si rivela, infatti, insufficiente a renderle sorde alle parole di chi gli sta di fronte, soprattutto nel caso in cui esse si rivelino una sfilza di scempiaggini come quelle che Numata tenta di far passare per aizuchi (あいづち).
Stringa Timing Versione originale Traduzione letterale Sottotitolo
374 0:21:41.19-
0:21:44.89
人は怒っている 時、まったく聞く 耳もっていません
Una persona arrabbiata non è
aperta all’ascolto. Se una donna è arrabbiata, non ti ascolterà.
375 0:21:44.89- 0:21:49.18 どれぐらい聞いて いないか簡単な実 験をして見まし ょう!
Lascia che ti dimostri con un semplice esperimento quanto poco ti possa ascoltare.
Non sei convinto? Lascia che te lo dimostri! 376 0:21:49.18- 0:21:52.52 プレゼン用の資料 だって、結局読 んで くれないし I documenti per la
presentazione… alla fine non li aveva letti.
Lo so che non li ha letti quei documenti! 377 0:21:52.52- 0:21:53.41 確かに È vero. Vero. 378 0:21:53.41- 0:21:54.40 確かに “È vero” “Vero”
Stringa Timing Versione originale Traduzione letterale Sottotitolo 379 0:21:54.90- 0:21:57.04 確かに これを試 しにこう変えてみ ましょう
Proviamo a sostituire “è vero” con qualcosa di diverso.
E se le dicesse qualcos’altro? 380 0:21:57.08- 0:21:59.07 ぱしかに / Pero! 381 0:21:59.07- 0:22:01.73 プレゼンの前に目 を通してください って私言いまし たよね
Le avevo chiesto di darci un’occhiata prima della presentazione.
Mi ero raccomandata su quei documenti! 382 0:22:01.73- 0:22:02.80 ぱしかに / Pero! 383 0:22:02.80- 0:22:05.09 打ち合わせの時だ って、携帯いじっ てばっかだし
La riunione poi, l’ha passata a giocare con cellulare!
Ha passato la riunione con il cellulare in mano! 384 0:22:05.09- 0:22:05.87 ぱしかに / Pero! 385 0:22:05.87- 0:22:09.21 それで企画が通っ たら、自分の手柄 みたい自慢して Terminata la presentazione, si è vantato del progetto come fosse opera sua!
Si è pavoneggiato del progetto, neanche fosse suo!
386 0:22:09.21-
0:22:10.18
恥ずかしくないん ですか
Ma non si vergogna? Ma non si vergogna?
387 0:22:10.18- 0:22:11.74 ぱしかに・・・ うん / Pero, sì! 388 0:22:11.79- 0:22:14.31 ぱしかに、ぱし かにそうかもし れない Questo è ingiustamente,
meschinamente severo! Maturamente, profumatamente pero!
389 0:22:14.31-
0:22:16.14
はい、全然聞いて いません
Visto? Non stava
assolutamente ascoltando Visto? Non si è accorta di nulla!
390 0:22:16.14- 0:22:18.16 パスカル Pascal Sumero 391 0:22:16.35- 0:22:18.16 ではこれならどう でしょう
E se provassimo con questo? Proviamo con questo!
392 0:22:18.16-
0:22:20.86
要するに,信頼関 係だと思うんです
Alla fine, si dovrebbe instaurare un rapporto di fiducia.
È tutta una questione di fiducia.
393 0:22:20.86-
0:22:22.59
Stringa Timing Versione originale Traduzione letterale Sottotitolo 394 0:22:22.59- 0:22:26.01 神妙な顔をしてれ ば相槌なんて何で もいいんです
Qualsiasi parola andrà bene, se detta con fare ossequioso.
l segreto è dirlo con convinzione.
395 0:22:26.01-
0:22:27.61
どんどんいきま しょう
Sempre più difficile! Guarda qua!
396 0:22:27.61-
0:22:30.48
体を触られただけ で裁判とか 私だ ってイヤなんです
Non vorrei finire in tribunale
per una sciocchezza simile. Non vorrei finire in tribunale ma…
397 0:22:30.48-
0:22:31.31
ラスカル Rascal Caballero!
398 0:22:31.31-
0:22:32.27
でも悔しいんです È una situazione sconveniente! Lei mi costringe!
399 0:22:32.27- 0:22:34.27 ラスク・・・うう んラスク・・・ ラスク Fetta biscottata...fetta biscottata...fetta biscottata!
Ptero, squero, Lutero!
400 0:22:34.27-
0:22:36.02
だって私たち ビスネスパートナ ーでしょう
Siamo pur sempre colleghi! Siamo pur sempre colleghi!
401 0:22:36.02- 0:22:36.77 パスタ Pasta! Calimero! 402 0:22:36.77- 0:22:37.51 それなのに Tuttavia... Tuttavia... 403 0:22:37.51- 0:22:37.91 トシチャン! Toshi! Sombrero! 404 0:22:37.91- 0:22:39.54 信頼関係も築ない なんて
Persino un rapporto di fiducia con lei è impossibile!
Fidarsi di lei è impossibile!
405 0:22:39.54- 0:22:40.24 トシチャーン! Toshi!! Sombrero!! 406 0:22:40.24- 0:22:43.42 何なのよ。あたし 傷づいてるんで すよ!
Qual è il suo problema? Così
mi offende. La vuole smettere? Così mi offende
407 0:22:43.41-
0:22:46.42
ラスカルって言う 何ですか。アライ グマですか。
E che cos’è Rascal? Il
Questo si è rivelato il passaggio più intricato del prodotto analizzato, non tanto per la difficoltà del testo o per la complessità di sciogliere il meccanismo responsabile dello stimolo comico, quanto piuttosto per il reperimento di un valido traducente, che ce- lasse al suo interno il potenziale di far quantomeno sorridere il pubblico italiano senza risultare forzato o incoerente e allo stesso tempo senza snaturare completamente la struttura del dialogo originale.
La comicità su cui si fonda l’intero passaggio ha natura indiscutibilmente verbale, giocando con la sostituzione di termini assonanti per ottenere un effetto esilarante e grottesco al tempo stesso. La scelta delle parole che costituiscono il bisticcio lingui- stico, all’apparenza priva di una qualsiasi logica e del tutto casuale, nasconde in realtà riferimenti al contesto socio-culturale giapponese, per giunta non sufficientemente transculturali da giustificare una scelta come il mantenimento. Il ritmo dei turni di parola, serratissimo per via della concitazione del momento, costringe all’economia espressiva e ad un preciso lavoro di limatura nel confezionamento del sottotitolo, ini- bendo totalmente la possibilità di ricorrere all’espansione.
A rendere ancor più intricata la situazione si aggiunge il fatto che, quella che l’ignaro spettatore medio italiano confonde, c’è da dire a pieno diritto, con una “ordinaria” situazione comunicativa che coinvolge due interlocutori, di cui uno agisce princi- palmente come oratore e l’altro come ascoltatore, racchiude in realtà un potenziale
culture bump, che seppur non così significativo da inibire la comprensione dello spetta-
tore straniero, la impoverisce nel significato, percepito invece vividamente dal fruitore giapponese, e guasta lievemente la godibilità della scena.
L’intero spezzone si basa infatti sul concetto di aizuchi: motivo estremamente pecu- liare della cultura giapponese, esso denota un insieme piuttosto vasto di interiezioni avente funzione fatica, che si ritiene buona norma adoperare copiosamente nel corso di una conversazione per rassicurare l’interlocutore sul proprio livello di comprensio- ne e di interesse verso la materia esposta “chiming in with another’s conversation” (Nelson, 1966 in Miller, 1991: 11519) e dare chiara testimonianza della propria attiva e sentita
partecipazione alla comunicazione in corso “keep time with the rhythm of the speaker” (Nishio, Iwabuchi, 1969 in Miller, 1991: 11520).
Non si tratta certo di espressioni complesse, che apportano un cospicuo contributo al significato globale della comunicazione, né tantomeno risultano esse equiparabili a forme di espressione di assenso o dissenso, che lasciano trapelare la posizione dell’a- scoltatore in merito all’argomento in oggetto; si tratta piuttosto di espressioni neutrali, corrispondenti agli universali “ah-ah”, “mmh-mmh”, “ok” e agli italiani “ah si?”, “ma dai?”, “certo”, “capisco”, ecc.
19 Miller Laura. “Verbal listening behavior in conversations between Japanese and Americans” in J. Blommaert, J. Verschueren (a cura di) “The Pragmatics of Intercultural and International Communication”, Amsterdam & Phila- delphia, John Benjamins, 1991, pp. 110-130.
“The custom of aizuchi is deeply ingrained in the Japanese, and the habit often misleads foreigners who are not familiar with it, because they presume that the Japanese are indicating that they understand, that they agree, that they want the speaker to continue, and so on. As it happens, none of the above may be true [...]. In most cases, the person “giving” the aizuchi is simply obeying a cultural impulse to signal to the speaker that he or she is listening.” (De Mente, 2011: 1921)
La loro funzione assolutamente formale e la loro mancanza di un significato intrin- seco sono ulteriormente confermate dal fatto che persino i cenni col capo vengono fatti rientrare a pieno titolo nella categoria. È importante tuttavia sottolineare che la povertà contenutistica non attenua in alcun modo la loro assoluta indispensabilità e la loro ricorrenza nella conversazione, inclusa quella più formale: se in Italia un interlo- cutore che ascolta in silenzio viene genericamente ritenuto un ottimo e straordinaria- mente educato ascoltatore, la medesima persona rischia invece, in Giappone, di passare per un irrispettoso maleducato.
“The custom of aizuchi is an important courtesy that is expected as part of overall Japanese etiquette. Failure to respond with suitable aizuchi nod or sound clearly indicates that the listener is in an unfriendly or unreceptive mood, or that something else is preventing communication.” (De Mente, 2011: 1922)
È la conoscenza del funzionamento del fenomeno degli aizuchi a rendere particolar- mente gustoso il passaggio in oggetto. Kuroshima ironizza sulla consuetudine delle interiezioni, trasformandole da segni di indubbia cortesia e buon costume a gesti di offensiva noncuranza e malcelata scortesia. Se chi parla è eccessivamente concentrato sul proprio atto locutorio, al punto di non curarsi della risposta di chi ha di fronte, l’aizuchi si svuota completamente del suo significato, articolandosi in un suono e in un corrispettivo movimento labiale che non sono altro che la pallida ombra del presun- to coinvolgimento della controparte. In altre parole, in un simile contesto, tutto può diventare aizuchi, basta dare quel tanto di aria alla bocca necessario a espletare il pro- prio ruolo di bravo ascoltatore e dare all’oratore l’infondato contentino della propria partecipazione alla conversazione. È con questo spirito che Kuroshima e Numata si imbarcano nella costruzione di un gioco di parole, il cui poco nobile intento è quello di dimostrare l’assoluta sordità di Misaki a qualsiasi osservazione, e che li porterà inve- ce ad essere sbugiardati dalla prontezza della ragazza, che non solo coglie scaltramente tutte le fandonie inventate da Numata, ma ne chiede pure spiegazione, esterrefatta da tanta maleducazione.
21 De Mente Boyé Lafayette, Japan’s Cultural Code Words: Key Terms That Explain the Attitudes and Behavior of
the Japanese, Tokyo, Tuttle Publishing, 2004.
L’exploit di Numata è indubbiamente esilarante: egli rielabora l’aizuchi vero e pro- prio tashikani (確かに), propriamente e correttamente utilizzato solo nel primissimo scambio di battute dello spezzone, ricamandovi sopra un bisticcio linguistico costitu- ito come segue:
“tashikani” → “pashikani” → “Pasukaru”→ “Rasukaru” → “rasuku” → “pasuta” → “Toshichan”
「確かに」 →「ぱしかに」 →「パスカル」 →「ラスカル」→「ラス ク」 →「パスタ」 → 「トシチャン」
Il pun è reso ancor più interessante dal fatto che non sono solo l’assonanza dei termi- ni e l’assurdità della situazione a fare da padrone: come si è detto, il bisticcio è stato così sapientemente elaborato da affiancare a parole di uso piuttosto comune, come
pasuta (pasta), rasuku (fette biscottate, dall’inglese rask) e Pasukaru (Pascal), due riferi-
menti alla realtà dello spettacolo e dell’intrattenimento giapponese. Toshichan è infatti un’abbreviazione vezzeggiativa di Tahara Toshihiko, nome di un celebre cantante pop giapponese, noto per le sue abilità di ballerino e vincitore di un Japan Music Award nel 1983. Rasukaru è invece il nome del simpatico procione protagonista della serie animata Araiguma Rasukaru (あらいぐまラスカル), tratta dal romanzo Rascal, A Me-
moir of a Better Era di Sterling North, e conosciuta in Italia con il titolo di Rascal, il mio amico orsetto. Il riferimento all’anime è particolarmente rilevante perché è proprio
il termine Rasukaru a svolgere il ruolo di trigger, a creare cioè quel precedente che rivelerà l’imprevista attenzione prestata da Misaki alle parole di Numata e il fallimen- to del test di Kuroshima, concedendo finalmente libero sfogo al potenziale comico dell’intera scena.
Richiamando ancora una volta il pensiero di Attardo, si veda come la comicità si fondi sulla SO: effettivo/non effettivo, Misaki presta/non presta attenzione agli aizu-
chi di Numata; mentre due proposizioni interrogative retorichecostituiscono il LM
(Rasukarutte iu nan desuka e Araiguma desuka). L’ostacolo alla trasposizione viene an- cora una volta dalla presenza di un ECR monoculturale che, ricoprendo il ruolo di meccanismo logico responsabile dello switch tra gli script e agendo simultaneamente come agevolatore del suddetto passaggio in qualità di switch-trigger, rende non fruibile il momento comico per lo spettatore straniero, che può solo dedurre che Misaki abbia in realtà colto l’irriverente delirio linguistico di Numata.
Compito del traduttore è dunque quello di fornire al suo pubblico gli strumenti ne- cessari a cogliere i suggerimenti che vengono dal testo e dotarlo delle competenze indispensabili per decifrare gli indizi che, se propriamente interpretati, schiuderanno le porte della comicità. Per farlo, egli dovrà depurare il meccanismo logico dalle sue radici culturospecifiche e ricercare un valido equivalente, facilmente identificabile per il pubblico ricevente. Con questi presupposti, l’efficace trasposizione in italiano pote- va coincidere solamente con il reperimento di un gruppo di parole omofone, in rima
o eventualmente assonanti ad un’espressione utilizzata come intercalare fatico, possi- bilmente lievemente affermativa, tutte brevi, di senso compiuto anche quando isolate. Inoltre, almeno una di queste parole doveva contenere il riferimento ad un elemento extralinguistico, non monoculturale, su cui potesse essere costruita un’interrogativa che, nell’indagare il motivo per il quale quell’elemento extralinguistico trovasse spazio all’interno del testo, avesse come effetto perlocutorio la risata.
La soluzione proposta si fonda su un ventaglio di termini in rima -ero con l’intercalare fatico “vero”, selezionato come parola chiave nella generazione del bisticcio linguisti- co. La selezione è stata effettuata mediante la redazione di liste di vocaboli terminanti in quel suffisso e desinenza, e la scelta è ricaduta su di uno sparuto gruppo, distintosi per singolarità, scarsa occorrenza e arguzia, nel tentativo di aggiungere sale ad una forma di comicità, il gioco di parole, che conosce nella nostra cultura un successo più contenuto, se paragonato all’entusiastica risposta che è in grado di riscuotere in Giap- pone. Dalla medesima lista è stato selezionato Calimero, personaggio dell’animazione italiana degli anni sessanta e settanta, divenuto popolare grazie agli spot dell’azienda di detersivi Mira Lanza in Carosello, nonché termine in cui si è riconosciuto il poten- ziale di costituirsi come un buon equivalente culturale dell’originale Rascal. Entrambi i referenti extralinguistici pescano infatti nel mondo dell’animazione, sono di idea- zione non proprio recente, fatto questo che consente loro di aver ormai consolidato il proprio posto nell’immaginario collettivo dei rispettivi paesi, divenendo di facile richiamo se propriamente suggeriti agli spettatori. L’essere riproposto in anni recenti in alcuni spot televisivi rende inoltre Calimero una figura piuttosto intergeneraziona- le, risultando dunque familiare anche ai più giovani tra i fruitori. Si noti tuttavia che, nella versione italiana, si è scelto di sviluppare la punch line in maniera diversa rispetto all’originale, decisione presa sulla base della considerazione che una parte piuttosto consistente della fama di Calimero è legata ad alcune frasi che il pulcino, sfiancato dalle disavventure, era solito pronunciare e diventate in seguito di culto; se ne ricor- dano qui un paio tra le più celebri: “Sono piccolo e nero” e “È un ingiustizia, però!”. Considerati dunque i tratti salienti della personalità di Numata, giovane, sbruffone, allergico alle responsabilità, e con un’innata abilità nel non riuscire a riconoscere le potenziali, disastrose conseguenze delle sue azioni, il paragone con lo sventurato Calimero, reale e innocente vittima delle circostanze, è venuto spontaneo, così come è parso doveroso il richiamo alle sue impareggiabili e storiche esclamazioni. Ecco dunque che l’originale “E che cos’è Rascal? Il procione?”, diventa “E che c’entra Calimero? Si crede piccolo e nero?” trasformandosi in un pungente frecciata satirica all’irresponsabilità e al noncurante menefreghismo di Numata.
“Dynamic equivalence is therefore to be defined in terms of the degree to which the receptors of the message in the receptor language respond to it in substantially the same manner as the receptors in the source language.” (Nida, Taber, 1969: 241)
La definizione che Nida e Taber danno di equivalenza dinamica o funzionale è il frutto di una serie di considerazioni di carattere linguistico su comunicazione e tra- duzione:
› each language has its own genius;
› to communicate effectively one must respect the genius of each
language;
› anything that can be said in one language can be said in another, unless
the form is an essential element of the message;
› to preserve the content of the message, the form must be changed.
(Nida, Taber, 1969: 3-62)
La rivoluzione apportata dai due autori, ormai nei lontani anni sessanta, agli approcci alla traduzione, e al dibattito sul concetto di equivalenza nell’ambito dei Translation
Studies, sta interamente nella riscoperta centralità del messaggio del testo nei contesti
di trasposizione linguistica, e nella sua indiscussa supremazia sulla forma: più che il te- sto in sé, il traduttore deve guardare al suo messaggio, ambire all’empatia con l’autore nello scovare gli intenti e i motivi del suo scrivere o del suo dire, per poi esprimerli, nella lingua ricevente, rielaborati nella forma più chiara, naturale e scorrevole possibile concessa e imposta dalle strutture grammaticali e morfosintattiche del codice target. Essa diviene traduzione funzionale perchè, guardando allo skopos del testo e carpen- done le finalità profonde, il traduttore coglierà le intenzioni illocutorie dell’autore, mentre la sua conoscenza del sistema linguistico-culturale ricevente, gli consentirà di trasporle nell’effettiva realizzazione dei relativi effetti perlocutori.
1 Nida, Taber, The theory and practice of [Biblical] translation, cit., p. 24. 2 Nida, Taber, The theory and practice of [Biblical] translation, cit., p. 3-6.
“It would be wrong to think, however, that the response of the receptors in the second language is merely in terms of comprehension of the information, for communication is not merely informative. It must also be expressive and imperative if it is to serve the principal purpose of communications. (Nida, Taber, 1969: 243)
Questo è possibile grazie all’implementazione di un’analisi testuale che fissi le priorità