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Commento traduttologico

1. Pre-translation – Adaption – Spotting 2 Pre-translation – Spotting – Adaption

2.3. L’analisi dei passaggi comic

2.3.5 Alle prese con la stampa

L’analisi della performance di Nambu non è ancora finita e la lista delle gaffe pare moltiplicarsi quando, terminato il suo discorso, l’attore si presta a rispondere alle do- mande della stampa. Si è già fatta menzione alla passione dei giapponesi per i giochi di parole e per le costruzioni linguistiche rielaborate con finalità comiche. Ne dà vivida testimonianza l’autore giapponese Heiyo Nagashima:

“The most frequently used technique to provoke laughter in Japan is called sha- re. It is effectively what is called ‘punning’ in the West, not only in terms of its rules and its social acceptability but also in the nature of the response expected. Linguistic scholar Nakamura Akira has defined the form as ‘a rhetorical

manipulation of a language that makes the indicative function of utterance complicated, introducing words whose pronunciations are homonyms, or very similar, but whose meaning differ.’ ” (Nagashima, 2006: 7516)

L’incontro di Nambu con i giornalisti si rivela terreno più che fertile per il proliferare degli sha-re; se ne riportano di seguito due esempi eloquenti.

a.

Stringa Timing Versione originale Traduzione letterale Sottotitolo

782 0:46:12.36- 0:46:16.42 「被害者のAさ ん」をずっと「被 害者さんのA」と 言ってたし

Ha chiamato per tutto il tempo

la vittima “Signor Vittima”. Ha chiamato la vittima “Signor Vittima”.

783 0:46:16.42-

0:46:19.08

被害者さんのAに は・・・

Con il Signor Vittima… Chiedo al Signor Vittima…

784 0:46:21.29-

0:46:24.28

なんとお詫びした らよいのか。

non so davvero come scusarmi…

di accettare le mie più sentite…

785 0:46:24.28-

0:46:26.43

Aさんです。 Si dice Vittima! Non dica Signor Vittima!

Al malcapitato oggetto dell’exploit violento di Erito, nonostante appaia più volte sullo schermo, non viene mai fatto riferimento per nome, ma solo ed esclusivamente per il generico appellativo di “vittima”. Questa costruita e un po’ posticcia aura di anonima- to diviene nel film un ottimo pretesto per innescare la miccia della comicità. In casi simili, dov’è cioè opportuno garantire l’anonimato di un cittadino pur nella necessità di menzionarlo in un contesto più o meno ufficiale, è buona prassi italiana rispettarne la privacy riferendosi, anziché alla sua persona, alla sua città natia, o indicandone esclu- sivamente le iniziali di nome e cognome. Diversa è la norma in Giappone, dove si usa designare un soggetto generico con l’espressione standard Ē san, dove Ē (la translitte- razione che trascrive il suono A nell’inglese standard britannico) è paragonabile alla prassi piuttosto internazionalmente consolidata di enumerare gli elenchi attribuen- dovi una sequenza di lettere alfabeticamente ordinate, mentre san è il più comune tra i suffissi onorifici utilizzati per rivolgersi rispettosamente ad un interlocutore. In giapponese, la relazione di coreferenza che lega l’apposizione al sostantivo a cui essa si riferisce17, è espressa mediante la particella no; ne deriva che il costrutto italiano “la

vittima, il signor Kuroshima” trova traducente nella lingua giapponese nella dicitu- ra higaisha no Kuroshimasan (被害者の黒島さん), dove higaisha (被害者) è il nome comune che designa il concetto di vittima. Per quanto la sintassi giapponese consenta di posporre i suffissi onorifici ai nomi delle professioni per indicare chi le svolge, si noti, com’è logico, che in questo caso il suffisso onorifico si lega al nome proprio e non all’apposizione, e che una dicitura diversa da questa risulterebbe sintatticamente scorretta.

A questa nozione si aggiunga il fatto che il saper padroneggiare l’utilizzo dei suffissi onorifici è considerata una della abilità basilari della sociolinguistica giapponese, e che l’omissione o l’erroneo utilizzo di questi sono immediatamente percepiti dall’o- recchio di un madrelingua, contribuendo a rendere impacciato e stridente il discorso dell’interlocutore che ne fa un uso inappropriato. L’errore in cui Nambu cade è esat- tamente questo, finendo con il riferirsi alla vittima con l’espressione *higaishasan no Ē (被害者さんのA) anziché con il corretto higaisha no Ēsan (被害者のAさん). L’effetto comico nasce qui da un input pressoché universale, l’innegabile incongruenza perce- pita nell’udire una svista linguistica, stimolo questo che diventa comico se contestua- lizzato in una situazione pubblica o mediatica, come quella di una conferenza stampa, in cui l’accuratezza del linguaggio, o quantomeno la sua correttezza formale, sono considerate a rigor di logica indiscutibili prerequisiti e standard essenziali all’efficacia e alla buona riuscita della comunicazione.

Nella trasposizione linguistica tuttavia, l’universalità dello stimolo si scontra con il particolarismo linguistico-culturale, che rende la svista appena descritta possibile solo ed esclusivamente nella realtà giapponese. Per tradurre il potenziale illocutorio del passaggio in un tangibile effetto perlocutorio anche nella realtà target, è necessario ricercare nella lingua italiana un’espressione che, nella coerenza con il contesto, risulti altrettanto grammaticalmente, morfologicamente o sintatticamente scorretta da crea- re nello spettatore quel senso di incongruenza necessario a risultare nella percezione della comicità.

Il titolo di cortesia Signore, in tutte le sue declinazioni, oltre ad essere propriamente utilizzato come forma di rispetto nell’appellare il proprio interlocutore, trova spes- so spazio nella lingua italiana in sintagmi nominali il cui reale intento, tutt’altro che riguardoso, è quello di denigrare, con una punta di sarcasmo, il soggetto a cui si rife- riscono per un suo difetto o comportamento vizioso a tal punto evidenti da risultare pedanti, con l’espressione “il signor so-tutto-io” sul podio degli esempi più comuni.

Affiancare l’appellativo Signor alla parola vittima, produce dunque un effetto alienan- te, che abbandona il madrelingua italiano in balia di un sentimento di straniamento, derivante dalla percezione di una qualche incongruenza linguistica, a metà strada tra un’errata disposizione delle parole, una mancata concordanza di generi e l’incom- pletezza dell’enunciato. A questo si unisce, come visto sopra, il sorriso che riesce a strappare l’utilizzo del titolo di cortesia, se decontestualizzato per scopi lievemente denigratori. La scelta di utilizzare la lettera maiuscola in Vittima, quasi a volerlo ren- dere il nome proprio dell’innominato malcapitato, completa il quadro, rendendo vi- vidamente la goffaggine di Nambu di fronte ai giornalisti e trasmettendo quel senso di imbarazzo che fa della performance dell’attore una vera e propria gaffe a tutti gli effetti.

b.

Stringa Timing Versione originale Traduzione letterale Sottotitolo

788 0:46:35.30-

0:46:38.13

中日スポーツのこ とをずっと

e ha chiamato il Chunichi

Sports e storpiato il nome della testata Sport Japan.

789 0:46:38.13-

0:46:39.90

中日シュポーチュ シャンどうぞ

“Escort Japan, prego.” Escort Japan, prego.

Se la comicità del passaggio riportato nella tabella a era il risultato di un meccanismo puramente linguistico, la tabella b riporta uno sha-re reso ulteriormente complesso dall’ECR in esso contenuto, forse non così culturospecifico da risultare monocultura- le, ma indiscutibilmente settoriale se considerato sotto il profilo del target di utenza. Il

Chunichi Sports (中日スポーツ) è un periodico sportivo affiliato al gruppo Chunichi

Shimbun Co., Ltd. (株式会社中日新聞社), particolarmente forte nella prefettura di

Aichi e indiscutibilmente noto in Giappone in quanto responsabile della pubblica- zione di un altro quotidiano ampiamente letto, il Tokyo Shimbun (東京新聞). Anche qui, il meccanismo che regola il comico si distingue per la semplicità: la storpiatura di un nome, soprattutto nel caso si tratti di un nome proprio, che denota tra l’altro un oggetto o un fenomeno ad ampia e capillare diffusione, è spesso responsabile di ilarità, soprattutto come affermato in precedenza, se accade in contesti formali o in cui, ancor peggio, la presenza dei media rischia di rendere la gaffe di pubblico dominio.

La storpiatura in cui incappa Nambu si colora alle orecchie di un madrelingua di una sfumatura infantile e bambinesca: il suono tsu (ツ), contenuto nella parola supōtsu (ス ポーツ), risulta particolarmente ostico da pronunciare per i più piccoli, che finiscono spesso per sostituirlo con il suono chu (チュ), decisamente più vicino alle loro corde e più adatto alle loro capacità fonetiche ancora in fase di sviluppo. La combinazio- ne fonologica che ne deriva trasforma dunque la parola sport in qualcosa di simile a

shupōchu (シュポーチュ), che è l’appellativo con cui Nambu si rivolge ai giornalisti

una scena che ha come protagonista un omone grande, grosso ed egocentrico, che davanti ad uno stuolo di giornalisti si scusa a nome del figlio esprimendosi con le abilità fonetiche di un bambino di tre anni.

Venendo alla trasposizione linguistica del passaggio in oggetto, il primo problema era quello di assicurare la comprensibilità dei contenuti al pubblico ricevente: legittimo risulta il dubbio che solo una fetta molto ristretta di fruitori italiani sia consapevole di che cosa sia il Chunichi Sports. Certo, si può sempre asserire che per articolare male un sostantivo non sia necessario sapere che cosa quel sostantivo indichi, ma concorderà il lettore che il potenziale effetto comico latentemente incluso in una storpiatura sarà tanto maggiore tanto più familiare è il pubblico con l’oggetto storpiato. Si sfida chiun- que a trovare divertente l’errata pronuncia di un termine di cui si è appena consapevoli di quella corretta. L’inghippo era tuttavia facilmente risolvibile mediante l’espansione: l’aggiunta del termine testata, affiancato al nome della stessa, inserito nel contesto di una conferenza stampa chiaramente visibile sullo schermo, lascia pochi dubbi d’inter- pretazione allo spettatore, colmando efficacemente il potenziale gap informativo tra pubblico di partenza e pubblico ricevente. Una volta condiviso il necessario sapere enciclopedico con il fruitore target, il passaggio successivo constava nel ricreare la stor- piatura, assicurandosi che questa risultasse sufficientemente significativa per il pubblico italiano da determinare l’effetto comico e non, al contrario, perplessità o indifferen- za. Data la naturale predisposizione della sfera sessuale a prestarsi fruttuosamente alla trattazione comica, si è deciso di approfittare dell’assonanza dei termini sport ed escort, al fine di mantenere invariata la natura linguistica dell’input comico che caratterizza l’originale. Si noti che la presente scelta influisce notevolmente sul concept della battuta: la dimensione fanciullesca ha infatti poco a che spartire con quella sessuale, che tuttavia aggiunge un pizzico del pepe del politically incorrect alla scena, avvicinandola forse un po’ di più al gusto del pubblico italiano, abituato ed affine a forme di comicità piuttosto esplicite. Il cambiamento di tema non scalfisce comunque il cuore della battuta e le sue finalità sceniche: così come il fare bambinesco, anche il riferimento alla sessualità risulta inappropriato nel contesto formale in cui Nambu si trova costretto ad operare, espo- nendolo anzi forse ancor più alle critiche e alla necessità di scusarsi per la gaffe fatta. Non è inoltre errato asserire che persino la SO rimane invariata nonostante il cambio di area semantica dello sha-re: l’opposizione consta sempre del binomio parlare in ma- niera appropriata/inappropriata, all’interno della macro-categoria normale/anormale. Scontato o meno, gli esempi appena analizzati dimostrano come, anche nei casi in cui la comicità si fondi su meccanismi di tipo linguistico, l’adozione di una modalità

target-oriented risulti vincente. Sia che la versione trasposta rasenti l’originale, sia che se

ne distanzi in maniera significativa, l’approcciarsi alla traduzione con un occhio di ri- guardo alle esigenze del pubblico ricevente permette allo spettatore di immedesimarsi più profondamente nella finzione scenica, evitandogli quantomeno la scocciatura di smarrirsi nella perplessità dell’incomprensione. È poi indubbio che un simile approc- cio fornisca al pubblico di arrivo tutta la strumentazione necessaria per consentirgli di cogliere la comicità laddove chi aveva pensato il prodotto originale voleva fosse colta, dove invece una strategia diversa rischierebbe di escluderlo da questa opportunità.