• Non ci sono risultati.

I fondamenti della comicità

1.8 La traduzione della comicità

mancare, sarà compito del traduttore ricercarne un altro, in modo da rendere possibile la trasposizione del testo in oggetto. Eccezione è fatta per il parametro SO, l’unico, secondo Attardo, ad essere in grado di condizionare il grado di somiglianza tra due testi comici: dato che, a fronte di un cambiamento della SO il fruitore si trova davanti a due testi comici differenti, Attardo raccomanda al traduttore di fare tutto ciò che è in suo potere per mantenere la SO invariata.

“[…] the translator should refrain, as far as possible, from changing the Script Opposition. In what cases should the translator resort to changing Script Opposition? Obviously, when the same Script Opposition in unavailable in the TL, since if the Script Opposition is available for humour, there is no reason not to use it.” (Attardo, 2002: 18897)

Il contributo di Attardo è indubbiamente significativo: egli fornisce una strumentazione chiara e immediata che consente di elaborare un’analisi del testo comico finalizzata alla traduzione. In altre parole Attardo segna un percorso, fissa dei punti cardine che aiutano il traduttore ad orientarsi nella resa interlinguistica del comico, dotandolo di uno spet- tro di parametri effettivi, che disassemblando il prototesto nelle sue componenti costi- tutive e facendo luce sulla tipologia di meccanismo che scatena la comicità, lo indirizza verso gli equivalenti più efficaci nella lingua target. È altresì vero che quella di Attardo è una teoria che lascia alcune perplessità irrisolte nella mente del traduttore. Per esempio, posto che di fronte all’intraducibilità di una KR nel contesto ricevente, chi compie la traduzione cercherà di sostituirla con un elemento disponibile nella cultura d’arrivo, ri- mangono inspiegati i presunti criteri sulla base dei quali il traduttore dovrebbe operare la selezione dell’elemento target che sostituisca quello source, colpevole di non viaggiare bene in traduzione. Dovrà egli impegnarsi nella ricerca del più vicino equivalente? E cosa succede se il più vicino equivalente individuato non si amalgama con le altre KR e costringe ad un ripensamento dei parametri inferiori? Saremo sempre nell’ottica di una resa efficace, o non staremo traducendo il testo comico in maniera opportuna, ma di fatto producendone uno ex novo? E soprattutto, se si attesta che il principio che deve guidare il traduttore nella scelta della soluzione più appropriata è quello dell’equivalen- za, rimangono da definire i parametri sui quali la suddetta equivalenza sia da valutarsi. É essa un’equivalenza intesa in termini di eguale efficacia dello stimolo comico indotta dal testo? O è un’equivalenza formale legata ad una resa letterale delle KR?

Si analizzano di seguito, divisi per KR di riferimento, gli elementi del modello pro- posto da Attardo che rischiano di rivelarsi particolarmente problematici in fase di trasposizione linguistica:

› Language (LA)

Sebbene Attardo la delinei come il parametro meno problematico, la mera trasposizio- ne linguistica di un testo comico non è in realtà questione da poco. Anche solo con- siderando l’aspetto meramente denotativo dei lessemi che appaiono all’interno di un testo, quello cioè che ne designa il carattere puramente informativo e che in quanto

tale dovrebbe essere di facile codifica in un codice e di ricodifica in un altro, bisogna sempre fare i conti con il fatto che gli spettri semantici di due sistemi linguistici non sono necessariamente sovrapponibili, e che la scelta del traduttore, per quanto otti- male, produrrà comunque uno scarto tra lo spettro semantico di partenza e quello di arrivo98. Si pensi poi, sempre in ambito di denotazione, al significato figurato di un

lessema: difficilmente esso condivide con il significato primario e con quello letterale qualcosa di più che un labile legame, ma anzi in molte occasioni, esso viene assegnato arbitrariamente al proprio lessema in un contesto culturale specifico. Non vi è dun- que necessaria corrispondenza tra i significati figurati della stessa parola in due lingue differenti: la furbizia è un attributo della volpe nelle culture occidentali, ma nulla vieta che lo siano il coniglio o il ragno in altre culture99.

Di tutt’altro spessore è il residuo che la trasposizione degli aspetti connotativi porta con sé. Con aspetto connotativo si intende quell’insieme di significati che, insieme agli aspetti denotativi, costruiscono il significato globale del testo, ma a differenza dei quali agiscono sul piano comunicativo anziché su quello informativo, veicolando con- tenuti legati al contesto e al cotesto100. Sempre secondo Segre, la traduzione di questi

elementi non è possibile senza che vi sia un cospicuo residuo comunicativo. Della stessa idea sembra essere anche Vandaele: “ ‘Connotation’ causes trouble if a concept in the

source language has a different ‘lectal’ value than its usual equivalent in the target language”

(Vandaele, 2010: 150101). Tenendo conto di quanto spesso la comicità giochi e si in-

trecci con un panorama vastissimo di conoscenze settoriali, dinamiche inter-gruppo, implicazioni socio-culturali ecc., è evidente che anche la mera trasposizione lingui- stica rischia di rivelarsi un parametro in grado di differenziare notevolmente un testo comico tradotto dal suo originale. È bene tuttavia non fare di tutta l’erba un fascio: come rileva Zabalbeascoa, vi è tutta una tipologia di testi comici, che egli individua con il termine “Unrestricted, Inter-/bi-national”, la cui trasposizione linguistica non crea problema alcuno al traduttore:

“Some jokes and types of humor offer very little or no resistance to translation […] when the source and target languages and cultural systems overlap, when the text users of both communities have the same shared knowledge, values and tastes that are necessary to appreciate a given instance of humor in the same way. [If so, jokes and types of humour] can easily cross from the source-text community to the target-text (translation) community, without any need for adaptation or substitution because of linguistic or cultural differences; [they] can be literally translated with no loss of humor, or content, or meaning.” (Zabalbeascoa, 2005: 189102)

98 Osimo, Manuale del Traduttore, cit., pp. 77-81.

99 Nida Eugene Albert, TABER Charles Russell, The theory and practice of [Biblical] translation, Leiden, BRILL, 1969.

100 Segre Cesare, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985.

101 Vandaele Jeroen, “Humor in Translation”, in Y. Gambier, L. van Doorslaer (a cura di), Handbook of Translation

Studies, Vol. 1, Amsterdam & Philadelphia, John Benjamins, 2010, pp.147-152.

102 Zabalbeascoa Patrick, “Humor and Translation: an Interdiscipline”, The International Journal of Humor Research, Vol.18, Issue 2, 2005, pp. 185-208.

› Target (TA)

“If the source has taken its readers as the victims we need to ask how is this going to work when the readers are no longer the same?” (Zabalbeascoa, 2005: 196103).

L’osservazione di Zabalbeascoa è sagace abbastanza da far comprendere quanto possa essere problematico trasporre la categoria target dal contesto emittente a quello rice- vente. La maggior parte della comicità ruota attorno all’individuazione di una vittima; essa può essere indifferentemente l’autore, il lettore o un terzo, o altrimenti una ca- tegoria o un gruppo maggiormente esteso di cui essi fanno parte. Ancora, può coin- cidere con un ideale o un valore in cui essi credono, si riconoscono o rappresentano, un oggetto o un animale di cui essi sono proprietari ecc. La stragrande maggioranza dei casi vede comunque alle spalle della designazione della vittima un complesso di luoghi comuni radicati in una realtà socialmente chiusa che li genera e li perpetua nel tempo, ma non sempre li condivide con comunità ad essa esterne. Ogni popolo conosce dunque un complesso sistema di stereotipi che associa in maniera più o meno univoca ad uno o più gruppi di individui, ed essendo la cultura ad operare questa as- sociazione “all of them [gli stereotipi] may be perceived differently in different communities

and this affect the strategies and the success of translating” (Zabalbeascoa, 2005: 193104). In

altre parole, la variabile target si rivela una considerevole minaccia all’efficacia della trasposizione della comicità: “In translation, it is likely that the target context differs from the

original one, and the change may not be able to produce the original effects of humorous expres- sions” (Ying and Jing, 2010: 454105). Questo implica che, nel caso in cui il traduttore

non sia in grado di risalire al legame che unisce la vittima allo stereotipo per la quale essa è canzonata nella cultura emittente, egli, oltre a non essere con tutta probabilità in grado di comprendere la comicità del testo o addirittura di riconoscere di trovarsi di fronte ad un testo comico, non riuscirà nemmeno a giudicare se il medesimo legame trovi ragione di essere, così costituito, anche nella cultura ricevente e, di conseguenza, se la trasposizione dello stesso senza variazioni o rielaborazioni potrà dirsi efficace ai fini del mantenimento delle finalità comiche del testo agli occhi del pubblico finale.

› Situation (SI)

La vastità contenutistica di questa KR contribuisce certamente a determinarne la com- plessità della resa interlinguistica. Si pensi ad esempio al tema, a ciò di cui “parla” il testo comico: vi è un insieme di argomenti che una società è più propensa a destinare alla trattazione comica, e alcuni di essi sono indubbiamente condivisi tra più culture, come per esempio l’espletamento delle funzioni corporali, la politica, l’appartenenza ad una razza o ad un genere, il sesso, la nazionalità, la religione ecc. È altresì vero che tra questi, tutti o quasi possono testimoniare l’esistenza di una cultura dalla quale sono tassativa-

103 Zabalbeascoa, Humor and Translation, cit., p. 196. 104 Zabalbeascoa, Humor and Translation, cit., p. 193.

105 Ying Cui, Jing, Zhao, “Humor in advertisement translation. With special reference to translation between Chinese and English”, in C. V. Garcés (a cura di), Dimensions of Humor: Explorations in Linguistics, Literature,

mente banditi come possibili inneschi della scintilla del comico: si tratta infatti di temi sensibili, che non tutte le culture accettano di veder trattare con leggerezza, anzi, spesso non accettano proprio di veder trattare a priori. Ecco allora che vengono lasciati circola- re marchiati dall’etichetta di taboo, in modo tale da fomentare negli abitanti della comu- nità lo sviluppo di un blocco inconscio nei confronti di queste tematiche, che vengono quindi bandite dal discorso quotidiano e demonizzate nella trattazione della comicità.

“[…] each culture, and within it each individual, will have a certain number of scripts that are not available for humour (ie., about which is inappropriate to joke. […] So obviously any attempt to generate humour using one of the scripts not available for humour will fail, or be marked.” (Attardo, 2002: 182106)

È poi la comicità stessa ad essere taboo in alcune realtà, che mal tollerano la facezia e l’ilari- tà come comportamento sociale, o la ammettono solo in contesti molto esclusivi e appo- sitamente dedicati a questo scopo; paradossalmente invece, ve ne sono altre che sembrano dare il comico per scontato, quasi pretenderlo, al realizzarsi di determinate condizioni. E che fare invece se uno degli elementi che strutturano la SI si rivela estraneo al sapere en- ciclopedico condiviso dalla comunità ricevente? Come garantire il passaggio della comi- cità se essa si fonda proprio su quell’elemento sconosciuto al pubblico target? L’analisi di cui sopra ha certamente contribuito a mettere in luce alcune delle complessità insite nel processo di trasposizione linguistica del comico, confermando come molte di esse trovino origine nella natura culturospecifica del fenomeno. Nel caso di forme di comicità verbal- mente espresse, lo scenario si complica ulteriormente perché la comparsa della variabile linguistica trascina con sé la visione e la divisione del mondo che essa opera sulle categorie del reale, e che essa inculca, al momento dell’apprendimento naturale, a tutti i suoi par- lanti madrelingua. Questo significa che ciò che è incongruente in una cultura non lo è per un’altra, così come ciò che risolve quella stessa incongruenza in una, la lascia irrisolta nell’altra. L’informazione implicita non è globalmente condivisa, ma geograficamente e temporalmente circoscritta; gli script non hanno carattere universale, ma sono perituri e condizionati; le leggi, le regole, la moralità, l’educazione funzionano nella definizione dei contesti e nella ristrettezza dei confini, ma si sfaldano nell’aterritorialità dei sistemi.

“To understand cultural untranslatability, we should think of our above- mentioned characterizations of humor. Humor occurs when a rule has not been followed, when an expectation is set-up and not confirmed, when the incongruity is resolved in an alternative way. Humor thereby produces superiority feelings which may be mitigated if participants agree that the humor is essentially a form of social play rather than outright aggression. […] the translator of humor has to cope with the fact that the “rules,” “expectations,” “solutions,” and agreements on “social play” are often group- or culture-specific.” (Vandaele, 2010: 149107)

106 Attardo, Translation and Humour, cit., p. 182. 107 Vandaele, Humor in Translation, cit., p. 149.

Il modello ideato da Attardo dunque, per quanto di indiscusse proprietà analitiche, fondamentali per sviluppare una più solida concezione di cos’è e di come funziona la comicità verbalmente espressa, non sembra essere sufficiente a fondare una teoria composita, salda e strutturata della traduzione della comicità. L’idea che la traduzione del testo comico dal ST al TT si realizzi per mezzo della meccanica e progressiva tra- sposizione dei singoli blocchi costituiti dalle KR, appare infatti un po’ semplicistica se inserita nel contesto dei delicatissimi equilibri socio-culturali che sorreggono la produzione del comico. Questa fragilità di fondo appare sintomaticamente nella rile- vanza che Attardo attribuisce al concetto di somiglianza: nella teoria da lui proposta vi è massima attenzione all’accurata trasposizione del testo comico, al punto che tutti gli sforzi del traduttore devono essere indirizzati alla riproduzione fedele delle KR nel testo tradotto, a garanzia che il joke del prototesto sia di fatto il medesimo joke che il pubblico ricevente ritroverà nel metatesto.

Quello della somiglianza rischia tuttavia di essere un criterio superfluo nella valuta- zione della bontà della traduzione della comicità, se non si considera il ruolo per il quale essa è utilizzata come strumento testuale.

“First of all, an embedded joke may not be the translator’s main priority in dealing with a text. Secondly, a translator may decide that funniness is more important than sameness of the joke, since the same joke may go down better in some places than in others, and Attardo’s hierarchy involves preserving sameness, not funniness.” (Zabalbeascoa, 2005: 202108)

L’impuntarsi sulla traduzione di un enunciato comico in un testo in cui esso non ha nulla di più che la funzione di rafforzare il giudizio dell’autore può essere uno sfor- zo inutile, perché il significato del testo potrebbe comunque essere veicolato nella sua interezza anche senza la traduzione dell’elemento comico, sostituibile nel suo ruolo enfatico da un qualsiasi altro strumento retorico o narrativo. D’altro canto, se il contesto ricevente è strutturato in moto tale da inibire l’effetto perlocutorio del prototesto, non si vede in che modo il tradurre secondo il criterio della somiglianza possa risultare una scelta ragionevole, se la conseguenza di questa scelta è che il me- tatesto risultante non sortisca alcun effetto sul pubblico ricevente. E non essendoci traduzione peggiore di un testo comico di quella che non fa ridere (e si rammenti che, nel caso di un testo comico, la bontà della traduzione è immediatamente testabile per mezzo dell’occorrere o del non occorrere dell’effetto perlocutorio) pare davvero arduo giustificare quest’ultima scelta.

1.9.1 Due approcci: accettabilità e adeguatezza

Difficile non essere d’accordo sul fatto che quello del traduttore sia un lavoro di me- diazione. Egli si erge, silenzioso e solitario, al confine tra due mondi109, di cui conosce

le storie e condivide i segreti. È tuttavia una figura gentile e servizievole quella del traduttore, perché quelle storie e quei segreti, anziché tenerli per sé, li condivide con il suo lettore: egli infatti va in soccorso a tutti quei pavidi “viandanti letterari” che “non hanno la capacità individuale di mediazione per passare autonomamente da un mondo

all’altro” e che “prend[ono] atto della propria impotenza culturale” (Osimo, 2004: 55-56110),

ma che allo stesso tempo, testardi e passionali, scalpitano per tuffarsi tra le pagine del testo straniero e i cunicoli del suo sostrato culturale.

Quest’opera di mediazione, per quanto variegata e complessa, conosce due modalità di applicazione, meglio note come source e target-oriented, che differendo nell’approc- cio verso l’originale e nella considerazione e nel riguardo nei confronti del fruitore modello, producono tipologie di testi finali profondamente differenti in termini di informatività, contenuti ed intenti.

“Perché, in sostanza, è in queste due direzioni che l’opera mediatrice del traduttore si esplica: da un lato fornisce direttamente al lettore gli strumenti per affrontare un testo altrimenti inaccessibile; dall’altro, ricostruisce il mondo da scoprire, lo traduce in termini più familiari, lo rende comprensibile semplificandolo. Nel primo caso accompagna il lettore lungo il ponte, nel secondo crea gli effetti speciali che fanno apparire il mondo inaccessibile più vicino” (Osimo, 2004: 55111)

Source- e target-oriented sono dunque due tipologie traduttive che differiscono in ma-

niera sostanziale nella modalità con cui il traduttore si interpone e media tra il testo d’origine e il suo pubblico d’arrivo, così come nella complessa rete di relazioni che intercorrono tra i tre poli di questa struttura triangolare.

La traduzione source-oriented si realizza nella produzione di un metatesto che si distin- gue per la fedeltà al testo originale, che ricerca cioè l’equivalenza formale e la ottiene attraverso una minuziosa riproduzione delle strutture morfologiche e sintattiche, dei contenuti, dei significati, e dei modelli culturali del testo di partenza. È quella tipo- logia di traduzione che Lawrence Venuti112 definì “traduzione con effetti estranianti”,

in quanto responsabile di mettere il pubblico finale di fronte ad elementi linguistici e culturali non familiari, se non addirittura esotici, di privarlo del supporto di una “resa equivalente” nella sua lingua di competenza e di creare un’insicurezza interpretativa che può o meno svilupparsi in una curiosità bibliografica.

109 Cfr. Lotman, 1985.

110 Osimo, Manuale del Traduttore, cit., pp. 55-56. 111 Osimo, Manuale del Traduttore, cit., p. 55.

112 Venuti Lawrence, L’invisibilità del traduttore: una storia della traduzione, Roma, Armando Editore, 1999.