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Attenzione particolare meritano le limitazioni spazio-temporali causate dalla natura aggiuntiva del sottotitolo: l’analisi approfondita di queste ultime fonda le basi teoriche

necessarie alla comprensione di alcune conformità tecniche a cui si ritiene opportuno i sottotitoli debbano sottostare, o alla diffusione di alcune pratiche formali, relative a tempi di esposizione e layout delle stringhe, ritenute ormai fondamentali nei processi di sottotitolazione di un prodotto audiovisivo e consolidatesi oggigiorno come prassi nel modus operandi degli operatori di settore.

“The emphasis is on subtitling as a series of losses and omissions, forgetting or overlooking strategies such as expansion and reformulation. This

perception is based on the presumed uniformity between oral and written expressions […] as if subtitling were merely a mimetic process, and as if the two codes were similar in status and in the way they work.” (Gambier, 2009: 1855)

Si consideri innanzitutto che il sottotitolo è costituito da una o più stringhe di testo scritto. L’elaborazione di un testo scritto richiede tempi più lunghi rispetto all’elabo- razione del medesimo testo veicolato in forma orale. Nell’ipotesi in cui il sottotitolo fosse una trascrizione letterale delle battute, la lettura dello stesso richiederebbe dun- que un tempo maggiore rispetto a quello necessario all’elaborazione del medesimo enunciato verbalmente espresso. Di conseguenza, volendo garantire allo spettatore un tempo di esposizione del sottotitolo adeguato alle sue esigenze d’elaborazione e interiorizzazione dei contenuti, la permanenza dello stesso sullo schermo dovrebbe estendersi oltre la completa articolazione della battuta recitata. L’inconsistenza di una simile soluzione è tuttavia lampante: il traduttore audiovisivo si trova infatti ad operare su di un prodotto la cui struttura è già stata minuziosamente delineata e impostata dal lavoro del regista e degli sceneggiatori, in primis nella scansione dei suoi tempi. Se un sottotitolo rimanesse sullo schermo più a lungo rispetto alla durata dei turni di battuta o non si attenesse in maniera intransigente agli intervalli imposti dai cambi di scena, la violazione dei principi di coerenza e sincronia che ne deriverebbe risulterebbe a tal punto drammatica da corrompere l’agevole scorrimento del prodotto e il suo grado di usabilità, in maniera particolarmente evidente in tutti quei casi in cui il genere filmico favorisca il frequente occorrere di repentini cambi di scena o di dialoghi serrati. Tutto questo comporta per il sottotitolatore l’esigenza di creare un sottotitolo che sia:

› Sufficientemente breve da consentire allo spettatore di leggerlo con agio nella sua

interezza. La brevità è essenziale nel tentativo di massimizzare l’usabilità del prodotto audiovisivo e di contenere lo sforzo cognitivo sperimentato dell’utente nell’elabora- zione di un carico semantico già complesso in quanto codificato in un indissolubile intreccio di modalità semiotiche, la cui decodifica è responsabile di un rallentamento anche significativo dei processi di lettura nel fruitore;

› Il più possibile completo e finito nel significato, in modo tale da garantire allo spet-

tatore l’integrità e la completezza dei contenuti proposti. La brevità del punto prece-

55 Gambier Yves, “Challenges in audiovisual translation research”, in A. Pym, A. Perekrestenko (a cura di)

dente non deve cioè intaccare la compiutezza del nocciolo semantico del prodotto audiovisivo, cassando il rischio che il fruitore perda porzioni significative della testo originale e veda in questo modo gravemente compromessa la facoltà di comprensione dello sviluppo della trama.

Come ottenere dunque completezza di contenuti e coerenza degli stessi con l’im- magine, nell’infido contesto della ristrettezza di tempi e spazi? Quello che sembra un obiettivo pressoché utopico nella realizzazione è invece sensibilmente agevolato da una serie di processi che consentono di scavalcare le limitazioni spaziali delle dimen- sioni dello schermo tramite l’eliminazione di ripetizioni e intercalari e lo sfoltimento di strutture sintattiche complesse, con il risultato di ridurre drasticamente il numero di caratteri del sottotitolo senza intaccarne il nucleo semantico. Ne costituisce un esempio l’esplicitazione, che trova larga applicazione nella sottotitolazione supportata dall’esigenza di dotare lo spettatore di una stringa di testo il più possibile trasparente, che favorisca un’interpretazione altrettanto immediata, in modo da ridurre al minimo il tempo di lettura. Essa ricorre spesso a iperonimi laddove il testo originale riporta nomi specifici, settoriali o culturalmente denotati, favorendo così l’immediata com- prensione del pubblico senza la necessità di ricorrere a note, che appesantirebbero la scorrevolezza del prodotto audiovisivo. L’utilizzo di interiezioni, connettivi o altri ele- menti la cui aggiunta diviene utile a rendere più chiaro il significato di passaggi parti- colarmente intricati, rielaborando o aggiungendo informazioni, si deve invece sempre scontrare con i limiti spaziali del sottotitolo, finendo dunque in molti casi rimpiazzato da una rielaborazione dei concetti più complessi o dalla sostituzione degli stessi con alcuni più semplici. In riferimento alla semplicità di esposizione dei contenuti, è in- teressante citare lo studio di Moran56, che dimostra l’effettiva diminuzione del tempo

di lettura necessario all’elaborazione del sottotitolo nei casi in cui esso sia redatto me- diante l’utilizzo di un lessico limitato, ad alta frequenza d’uso, “inciampando” magari in ripetizioni che, quasi eccedendo in chiarezza, lasciano allo spettatore assai pochi dubbi di interpretazione. Degna di menzione è anche l’ipotesi avanzata da Perego e Taylor che, contrariamente alla ormai istituzionalizzata regola dei “sei secondi” (si veda in seguito), suggeriscono che l’aumento della lunghezza del sottotitolo, voluto risultato determinato da scelte linguistiche finalizzate alla trasparenza dei contenuti, possa risultare in realtà una scelta vincente, se si traduce con l’obiettivo di produrre un sottotitolo chiaro e di facile e veloce elaborazione.

Regina indiscussa dei processi di sottotitolazione rimane tuttavia la “condensazione”, una tecnica che sembra consentire al sottotitolatore di operare una significativa riela- borazione delle battute, in grado di preservare le parti dense di contenuti informativi e di ridurne contemporaneamente la lunghezza, rendendone così possibile il felice aggiustamento nel serrato cadenzarsi del ritmo dell’azione scenica. Il lettore non sia tuttavia portato a sovrastimare l’efficacia della condensazione: per quanto massima- mente utile, nulla può contro l’ineluttabilità della perdita di contenuti del testo source. “Vittime” della condensazione sono una serie di elementi del discorso, che, seppur

non vitali in termini di potere e rilevanza informativa, rischiano, con la loro assenza, di guastare irrimediabilmente il realismo e la spontaneità della conversazione parlata che lo spettatore è costretto a “sussumere” non nella sua forma naturale, quella dell’o- ralità, ma nella macchinosità dell’artificio del sottotitolo. In particolar modo, vengono eliminate ripetizioni e elementi ridondanti, che seppur spesso considerati superflui, nascondono talvolta una non trascurabile sfumatura enfatica; interiezioni, intercalari e deittici, utili a rimarcare la soggettività delle affermazioni; locuzioni avverbiali proprie del parlato più cortese, la cui assenza tende a lasciare lo spettatore perplesso di fronte ad esclamazioni e richieste che non di rado suonano troppo brusche e dirette; e infine tutto quel complesso di interruzioni, false partenze, anacoluti, parentesi e anastrofi, naturali manifestazioni della scarsa pianificazione della lingua parlata, che non trovano un diretto traducente nell’ordinata tessitura sintattica delle forme scritte.

Ne deriva che, anche a fronte di una perdita veramente minima di significato, il sottotitolo risente di un linguaggio a volte meccanico, altre artefatto, indubbiamen- te differente nel registro, che risulta meno colloquiale e più formale, se paragonato al recitato. D’altronde, regolati da dinamiche opposte, lingua scritta e lingua parlata possono essere artificiosamente replicate in contesti di finzione scenica con buona approssimazione, ma non in maniera ineccepibile. Eppure, la natura stessa della sot- totitolazione si fonda sul dicotomico rapporto tra scritto e parlato, e sulla presunta e presuntuosa convinzione che la lingua scritta, opportunamente preparata, sia in grado di imitare effetti e modi del parlato.

“There is a tacit agreement, a ‘contract of illusion’ if you will, between the subtitler and the viewers to the effect that the subtitles are the dialogue, that what you read is actually what people say. In reality, of course, it is not. For one thing, the verbal material is in another mode, writing instead of speech […]. In practice this means that only a few oral forms are retained in the subtitles. The language is cleaned up; more often than not, hesitations, false starts etc. are excluded.” (Pedersen, 2011: 2257)

E d’altronde questo non è altro che l’ennesimo grattacapo del sottotitolatore, che, reinventatosi dialoghista, si trova a dover manipolare e riscrivere i sottotitoli, plasman- doli alla luce di quella pretesa ma costruita oralità che finge naturalezza, che conferi- sce l’illusione della quotidianità a pensieri e parole dei personaggi. Vista la rilevanza e il carattere costitutivo della materia nel contesto della sottotitolazione, il paragrafo successivo è pensato come un approfondimento della dimensione diamesica della tra- duzione e delle implicazioni che questa comporta per la sottotitolazione.