di Annalisa Lendaro * e Thomas Sommer-Houdeville **
2. Accogliere e far ripartire: compromessi e tensioni nell’accoglienza dei migranti
Il caso delle iniziative di accoglienza che prendono forma a Bayonne a partire dall’autunno 2018 è esemplare dell’evoluzione del rapporto tra le istituzioni locali e alcune realtà associative, preesistenti a Pausa come nel caso di Etorkinekin e Atherbea, oppure nate nel momento in cui la necessità di mettere al riparo centinaia di migranti senza fissa dimora diventa visibi-le, come nel caso di Diakité. Se durante il periodo che si potrebbe chiamare
“dell’urgenza” (fine 2018-inizio 2019) emerge un consenso di base circa la necessaria apertura di un luogo di transito co-gestito da CAPB, Atherbea e Diakité, sul medio-lungo termine (2019-2021) la questione dell’organizzazione del luogo, della definizione del pubblico da accogliere (e quindi, in modo speculare, di quello da escludere), del coordinamento dei volontari, e so-prattutto del protagonismo della CAPB in merito alla presa delle decisioni, fa emergere dei conflitti e accelera la partenza di molti volontari.
2.1. La prima fase dell’accoglienza
Quando, nell’estate del 2018, le persone migranti diventano sempre più numerose e visibili nei pressi della stazione degli autobus di Bayonne, sono i membri del tessuto associativo locale a mobilitarsi per prime: forniscono quotidianamente indicazioni su come proseguire il viaggio, ma anche beni materiali come acqua e cibo, assorbenti e pannolini, cerotti e schede telefo-niche. L’autunno è alle porte e decine di persone straniere, a volte con bambini piccoli, si ritrovano a dormire all’addiaccio. In una piccola città come Bayonne, la situazione è sotto gli occhi di tutti; il sindaco è invitato ad intervenire:
Gli abitanti iniziavano a preoccuparsi della situazione, mi scrivevano, mi al-lertavano, mi telefonavano, ho a volte ricevuto messaggi anonimi che dice-vano a che punto si apprezzadice-vano le mie decisioni, cioè voglio dire… quan-to le mie scelte non fossero apprezzate, ovviamente! Lettere violente eh, molto violente. Non importa. Quel che bisognava dedurre era il fatto che la gente era preoccupata (intervista al sindaco di Bayonne, giugno 2019).
Contemporaneamente, qualche studente e alcuni militanti della città si organizzano: da queste persone viene rapidamente creata l’associazione Diakité, e viene diffuso via social networks un appello a donazioni e ospita-lità temporanea e gratuita presso case e appartamenti degli abitanti della
zona. La risposta è immediata e oltrepassa le attese dei proponenti: decine di residenti contattano in pochi giorni l’associazione per fornire vestiti, gio-chi per bambini, cibo, e per accogliere una o più persone a casa propria. È in questo contesto che la sollecitazione dell’intervento del sindaco porta i suoi frutti: sotto pressione, Jean-René Etchegaray decide di far votare alla CAPB l’accordo che permetterà l’apertura di Pausa. La questione della ge-stione logistica è risolta rapidamente, a favore di una delega di servizio pubblico ad un’associazione specializzata, Atherbea, che gestisce l’insieme dei centri di accoglienza per richiedenti asilo nel Paese basco francese, e che sarà affiancata dai volontari di Diakité e della Cimade per l’accompagnamento giuridico. Dal punto di vista delle istituzioni va da sé che per mantenere aperto il centro bisogna da un lato promuovere la profes-sionalizzazione della sua gestione, dall’altro considerare l’accoglienza dei migranti come a breve termine (il limite è fissato subito a tre notti), e infine insistere sulla situazione di “urgenza umanitaria”, soprattutto quando si tratta di negoziare con i rappresentanti dello Stato, e in particolare con la prefettura:
Qui siamo in un luogo di transito, ed è per questo che è stato chiamato
“Pausa”, cioè “sosta”, perché i migranti non vengono qui per restare, ven-gono qui per poi dirigersi verso altre metropoli francesi o europee, eh (…) non abbiamo mai fatto nient’altro qui che rispondere ad un’urgenza umani-taria (Ibidem).
La necessità di rispondere giornalmente ai bisogni di decine, a volte centinaia di persone, durante questo primo periodo tra l’autunno 2018 e la primavera 2019, ha impedito l’emergenza di una discussione collettiva di fondo sulla questione del transito come condizione per l’accoglienza dei migranti a Pausa:
Il transito… Gli enti locali ce l’hanno imposta così, come una cosa normale, una volta sul posto. Il sindaco. E in quel frangente non l’abbiamo discussa (intervista a M., cofondatrice di Diakité, giugno 2019).
All’interno di Pausa, peraltro, tutto resta da costruire. Bisogna organiz-zare le attività con il consenso di enti locali, associazioni e volontari. Si tratta inoltre di definire dei protocolli di intervento (su come accogliere il primo giorno una nuova persona, come orientarla verso altre risorse, come razionalizzare i pasti, le donazioni) che inquadrino l’azione di ciascuno. In più, degli obblighi riguardanti gli standard sanitari e di sicurezza si aggiun-gono alle diverse difficoltà pratiche. Così, la commissione di sicurezza per
gli stabilimenti aperti al pubblico9, che esegue un controllo obbligatorio an-nuale, limiterà le sue capacità di accoglienza a 150 persone al giorno. Tut-tavia, quasi subito la regola “dei 3 giorni” viene trasgredita, non solo per-ché alcuni migranti non vogliono partire altrove, o comunque non subito, ma anche perché una buona parte di loro (circa un terzo) sono minori non accompagnati, che avrebbero il diritto di essere presi in carico dai servizi della provincia (Lendaro, 2020), e sono quindi orientati dai volontari verso la procedura specifica del riconoscimento della minore età:
Nessuno è fesso, lo sanno tutti, anche il prefetto. La regola dei tre giorni non è una regola che è applicata alla lettera. La gente… è là da due, tre me-si, e alla fine alcuni partono, altri si cerca di regolarizzarli in altri modi, con la scuola, il lavoro, lo sport, blablabla. E per i minori è la stessa cosa. Io mi occupo di alcuni minori che… li ho presi in carico da 4 o 5 mesi… (intervi-sta a M., avvocatessa e attivi(intervi-sta basca, giugno 2019).
Concretamente, le persone impegnate a Pausa sono davanti al paradosso difficilmente sormontabile del come accogliere giornalmente nuove perso-ne, senza metterne alla porta altre. Il rischio di saturazione (o “embolia”, come dice metaforicamente una volontaria intervistata) del centro, concepi-to come un luogo di transiconcepi-to, diventa percepibile per alcuni volontari in se-guito al passaggio della Commissione sicurezza all’autunno 2019:
Si rischiava l’embolia di Pausa, cioè di riempire il centro di gente che rima-neva lì da diverso tempo, e di non poter più accogliere nuove persone, per-ché a un certo punto non potevamo mica spingere più in là i muri […] (D.
volontaria e portavoce di Diakité dal dicembre 2019).
2.2. La seconda fase
L’anno 2019 è segnato dall’emergere di dissensi espliciti in merito alle diverse concezioni dell’accoglienza. Diverse istanze di coordinamento di Pausa vengono create già a fine 2018, e delle riunioni hanno luogo rego-larmente tra CAPB, Atherbea, e Diakité, con l’obiettivo di accordarsi sui limiti dell’accoglienza al centro. Queste riunioni diventano presto teatro di scontri sulle diverse concezioni dell’accoglienza:
9. La commissione consultativa provinciale della protezione civile, facente capo alla prefettura, fornisce una valutazione al sindaco, con l’obiettivo di garantire la protezione dei beni e della sicurezza delle persone frequentati gli stabilimenti pubblici.
Visto che facevo parte del coordinamento, mi beccavo tutti i venerdì matti-na le riunioni, con la CAPB, Atherbea e Diakité, e tra l’altro non capivamo bene perché la CAPB fosse presente, perché avevano già delegato la gestio-ne a Atherbea quindi non erano per forza di cose legittimi, ma poi abbiamo capito che erano là per sorvegliarci. E quindi, la questione della durata [del soggiorno a Pausa NDR] era una costante, c’erano anche delle riunioni spe-cifiche sui soggiorni lunghi [dei migranti NDR] durante le quali bisognava capire perché alcune persone restavano così a lungo al centro, per cercare di decantare la situazione, per cercare di farli partire. Quindi a me toccava la partecipazione ad ogni riunione perché bisognava cercare di capire chi tra i migranti era nel mirino degli altri co-gestori (Atherbea e CAPB NDR), che volevano buttarli fuori. Era pazzesco (intervista a J., co-fondatrice di Diaki-té, volontaria Cimade, aprile 2020).
Con l’obiettivo di identificare più facilmente le persone che restano più a lungo dei tre giorni teorici di accoglienza a Pausa, gli enti locali impon-gono un sistema di riconoscimento attraverso dei braccialetti colorati che tutti gli ospiti devono portare. Questa scelta contribuisce ad accentuare i dissensi circa l’accoglienza e la sua durata, e accelera le partenze di alcuni volontari e attivisti:
Chiaramente… in merito ai braccialetti… beh, questa scelta imposta ha fat-to fuggire subifat-to tutti quelli che si sono mobilitati in Piazza dei Baschi sul fronte politico (…) perché è un segno ostentatorio, vuol dire veramente ca-tegorizzare le persone: «Ecco tu hai il tuo braccialetto, sei un migrante, il tuo posto è là» (Ibidem).
Come per la regola dei “tre giorni”, spesso infranta, alcune pratiche di accoglienza e solidarietà sul lungo termine sono organizzate in modo in-formale e discreto:
Abbiamo avuto un lungo dibattito ieri sera in assemblea a Diakité. Luc mi dice: «Noi facciamo da tempo della “transit-accoglienza” … », e in effetti sono sei mesi che facciamo “transit-accoglienza”, (…) per esempio organiz-ziamo dei corsi di francese. Quando all’inizio le istituzioni ci hanno detto:
«Le attività no, eh? Volete sedentarizzarli o che?», noi gli abbiamo detto,
«Ok, non facciamo attività». E quindi, beh, sono quattro mesi che facciamo dei corsi di francese clandestini in questo posto (intervista a M., cofondatri-ce di Diakité, dicofondatri-cembre 2019).
La fine dell’anno 2019 rappresenta l’inizio di una nuova fase nella storia del centro Pausa dal punto di vista delle relazioni di interdipendenza tra collettivi, associazioni e enti locali. In effetti, il sindaco e presidente della
CAPB desidera riprendere in mano più direttamente la gestione del centro, con l’obiettivo di controllare le condizioni di accoglienza a Pausa, così come le azioni dei volontari. Iniziano le negoziazioni in merito ad una nuo-va convenzione tripartita tra la CAPB, Atherbea, e Diakité, negoziazioni che hanno come conseguenza l’uscita di scena di Atherbea, e l’assunzione diretta da parte della CAPB di un ‘responsabile sicurezza’, un ex-carabiniere. Secondo il sindaco, questo cambiamento non influisce sul fun-zionamento di Pausa, né sulle motivazioni dei volontari provenienti dai collettivi e dalle associazioni locali:
Pausa è il mio piccolo paese, un villaggio. Quindi bisogna esercitare un’autorità. Così ho assunto una persona che mi rappresenta in merito a tut-te le questioni di sicurezza e autorità, non è che fa la polizia, eh? (…). È una persona che ha la sensibilità giusta per capire certe cose. Tutto funziona per il meglio (intervista al sindaco di Bayonne, giugno 2019).
In realtà, una parte dei volontari di Pausa vive male questo cambiamen-to, poiché si sente ancor più limitata nella sua attività di accompagnamento dei migranti, soprattutto quando si tratta di pratiche non compatibili con l’idea del “transito obbligatorio”. Molti volontari lasciano il centro, alcuni in disaccordo con le regole organizzative percepite come troppo vincolanti, altri a causa di un esaurimento militante che impone loro un certo distacco.
Tra il 2019 e il 2020 il collettivo Diakité, parzialmente rinnovato, conti-nua allora a far funzionare il centro Pausa. Tuttavia, le relazioni con la CAPB e il Comune peggiorano, in particolare durante il primo lockdown della primavera 2020. Il rifiuto del sindaco di permettere a un’antenna di Médecins du Monde di coordinare un servizio di cure mediche a Pausa cri-stallizza il conflitto tra Diakité e gli enti locali. Nel dicembre 2020, il col-lettivo annuncia il suo ritiro dal centro e denuncia pubblicamente la stretta delle istituzioni circa la gestione di Pausa. Dopo due anni e mezzo, la CAPB e il comune di Bayonne rimangono soli a tenere le redini di quest’ultimo.
3. Impegnarsi in favore dei migranti nel Paese basco: pratiche