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Disciplinamento e politicizzazione della solidarietà

di criminalizzazione di Graziella Marturano *

3. Disciplinamento e politicizzazione della solidarietà

I processi di repressione e criminalizzazione messi in atto dalle istitu-zioni hanno l’effetto primario di riconfigurare le traiettorie migranti e le modalità di attraversamento dei confini. Anche l’azione solidale si modifica in base a tali processi, da un lato nelle pratiche, che si trasformano per aggi-rare la repressione, dall’altro nella percezione che i volontari e gli attivisti hanno del proprio agire e della politicità delle proprie azioni. L’esperienza sul campo e le informazioni raccolte hanno mostrato come la delegittima-zione di tutte quelle forme di adelegittima-zione che possiamo definire come pretta-mente umanitarie hanno prodotto da un lato la delegittimazione dell’azione solidale, dall’altro la riaffermazione di tali pratiche come forme di lotta po-litica.

La presa di coscienza dei processi di criminalizzazione da parte dei soli-dali che li subiscono risulta emblematica dal racconto di Liza, una delle at-tiviste espulse dalla Serbia nel febbraio 2020. Giovane ragazza proveniente dal Regno Unito, Liza decide di dedicare qualche mese della sua vita ad

«aiutare gli altri» subito dopo il diploma. Inizialmente svolge delle attività di volontariato presso una struttura per senzatetto a Trieste e lì viene a co-noscenza di NNK. Al suo arrivo in Bosnia-Erzegovina l’aspettativa di an-dare a svolgere semplici compiti di assistenza caritatevole si pone in aperto contrasto con l’ostacolo che le autorità e i cittadini pongono a tali azioni.

Secondo le parole di Liza è proprio in quel momento che prende piena co-scienza del significato delle attività che è andata a svolgere: «[qui] dare un pasto ha un significato che in un’altra parte del mondo non ha, è un gesto politico» (nota dal diario di campo 25/12/2019).

Ben oltre la semplice deterrenza, in Serbia con la Open letter del 4 no-vembre 2016, in cui si invitano le ONG a non fornire aiuto ai migranti che vivono fuori dai circuiti di accoglienza, le istituzioni hanno messo in atto un processo in base al quale hanno legittimato il fatto di poter trascurare l'ingente numero di rifugiati fuori dai campi. La lettera aperta implicava in-fatti che una parte dei migranti vivesse per strada per una libera scelta, si-tuandosi quindi in una dimensione non di responsabilità dello Stato. Affer-mando la sua capacità di prendersi cura di coloro che erano disposti ad es-sere ospitati nei campi, lo Stato ha prodotto una divisione tra chi merita as-sistenza e chi no, riaffermando il monopolio statale nella governance della

mobilità e dell’assistenza ai rifugiati. Questa iniziativa del Governo serbo è stata il passaggio cruciale con cui si dichiara illegittima ogni altra forma di assistenza e solidarietà, ma anche il primo passo verso l’integrazione della Serbia all’interno del regime di controllo delle frontiere dell’UE. Il tentati-vo di fermare le forme di assistenza dal basso può essere ricondotto a uno schema che replica logiche di deterrenza e di criminalizzazione già esistenti in altre zone d’Europa.

Il fenomeno che, in alcuni Paesi dei Balcani, ha portato allo slittamento dei concetti di ospitalità e solidarietà verso i migranti da espressione di va-lori positivi verso una loro polarizzazione negativa è da porre in relazione ai processi di governance umanitaria (Agier, 2005; Fassin, 2010). La soli-darietà ai migranti in transito si dimostra utile solo se assorbita in tale for-ma di governance; essa è considerata lecita solo se diventa uno strumento funzionale per l’imposizione e il mantenimento di un determinato ordine della mobilità. La solidarietà ai migranti in transito che si esprime consape-volmente come forma di contrasto al regime di governo delle migrazioni può essere considerata come una sorta di resistenza a un ordine dominante.

In questo senso, gli attori della solidarietà rappresentano un’entità collettiva che diventa portatrice di un’azione sociale diretta che riposiziona gli indi-vidui all’interno della sfera pubblica (Bosi e Zamponi, 2019).

La solidarietà come espressione di dissenso mette in discussione un or-dine costituito, la sua criminalizzazione è anche l’effetto di questa sua ca-pacità eversiva che le viene attribuita (Chiaramonte, 2019; Chiaramonte e Senaldi, 2015; Dalla Porta, 2018).

Nel momento in cui il tentativo di disciplinare la solidarietà attraverso il suo assorbimento all’interno di canali istituzionali non raggiunge il suo obiettivo, la repressione che viene messa in atto sembra mostrarsi come una strategia di smantellamento. Gli ordini di allontanamento, in maniera molto simile ai già citati “fogli di via”, oltre che produrre un effetto immediato di rimozione dei volontari, hanno anche un effetto criminalizzante e stigma-tizzante. Esso funziona infatti come una sorta di bando che allontana dalla comunità un soggetto che, senza un adeguato procedimento giudiziario, viene considerato pericoloso. L’etichettamento che avviene con tali proce-dimenti amministrativi rende inoltre difficile la confutazione perché è im-mediato e consente la difesa solo a posteriori, tramite un ricorso.

Note conclusive

Dall’esperienza di ricerca sui casi di repressione e criminalizzazione ap-pena esposti il primo risultato che emerge riguarda la loro coerenza

all’interno di una tendenza globale alla riduzione degli spazi di agibilità per l’azione umanitaria e il supporto nei confronti dei soggetti migranti (Hayes et al., 2018). Nel presente lavoro è possibile evidenziare come la politiciz-zazione dell’umanitario sia in relazione essenzialmente con due fattori. Il primo riguarda la presa di coscienza da parte delle persone coinvolte nelle attività di supporto ai migranti in transito, soprattutto in relazione agli effet-ti sulla possibilità di contribuire alla costruzione di percorsi alternaeffet-tivi a quelli tracciati dalla borderland europea. Emerge così la capacità sovversi-va di una forma di umanitarismo che si applica fuori dagli spazi istituziona-li e riesce a trasformarsi in un mezzo per l’espressione del dissenso e per la messa in pratica di azioni che scardinano materialmente la governance del-le migrazioni. In secondo luogo, la costante criminalizzazione dell’azione dei gruppi a sostegno delle persone migranti in transito ha l’effetto di pola-rizzare le posizioni degli attori e incrementare il loro grado di politicizza-zione, con la conseguenza di divenire anche un fattore costitutivo dei grup-pi. Questo fenomeno potrebbe essere messo in relazione con il fatto che più lo Stato si oppone in maniera drastica alle iniziative di sostegno al transito dei migranti e più contribuisce ad evidenziarne il loro contenuto politico e di contestazione.

Il controllo dei confini è sempre stata una prerogativa dello Stato mo-derno, che si è esplicata essenzialmente nella difesa della sovranità politico-economica. L’esigenza di tenere fuori dal territorio gli individui indeside-rabili diviene nei processi di globalizzazione una priorità (Sassen, 2007).

Le questioni migratorie finiscono per entrare nell’immaginario della sicu-rezza come sintesi dei pericoli associati ai movimenti transfrontalieri irre-golari. Il legame tra polizia e controllo dei movimenti transfrontalieri con-solida una rappresentazione dei movimenti migratori legata al crimine e al disordine sociale (Sbraccia, 2007). L’attraversamento irregolare dei confini, infatti, mina la prerogativa del potere statale sul controllo del proprio terri-torio che, nell’ambito del presente studio, si traduce nel controllo della mo-bilità verso e all’interno dell’Europa. Ogni azione – anche solo di assisten-za materiale sotto forma di cibo e rifugio – che favorisce il transito irregola-re, viene percepita come una minaccia per un potere fondamentale dell’autorità statale, ovvero il controllo della mobilità transfrontaliera. Il migrante irregolare e coloro che lo supportano sono soggetti indesiderabili e come tali divengono passibili di criminalizzazione e repressione, soprat-tutto quando oggetto dell’attenzione dei media. Il mero supporto materiale è tollerato nella misura in cui riempie un divario istituzionale, vale a dire fintanto che si attua in uno spazio regolamentato ed è realizzato da attori istituzionali che consentono la supervisione delle autorità locali e si atten-gono alle loro decisioni.

Negli ultimi anni, si è incrinata la narrazione del soccorso e si è raffor-zato il frame del border control di stampo securitario. Il controllo del fe-nomeno diviene prioritario rispetto al supporto umanitario: questa inversio-ne semantica va di pari passo alla limitazioinversio-ne degli spazi di agibilità per gli attori che si scontrano con gli scopi principali di un regime globale di con-trollo delle migrazioni. Nel caso del Mediterraneo è il concon-trollo e la ridu-zione degli arrivi via mare, nel caso della frontiera di terra è la riduridu-zione degli attraversamenti irregolari e l’invisibilizzazione del fenomeno. La cri-minalizzazione della solidarietà, in questo senso, è parte del processo di se-curitizzazione delle migrazioni.

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