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Crisi dell’accoglienza, chiusura dei confini e solidarietà dal basso: verso i solidarity studies 1

di Luca Giliberti * e Swanie Potot **

1. Crisi dell’accoglienza, chiusura dei confini e solidarietà dal basso: verso i solidarity studies 1

Dal 2015 si assiste in Europa a ciò che, nel discorso dominante, è stato comunemente definito come “crisi migratoria”; con diversi autori, propo-nendo un cambio di prospettiva, preferiamo parlare di “crisi dell’accoglienza” (Lendaro, Rodier e Vertogen, 2019; Rea et al., 2019). Lo storico consolidamento dei confini esterni della “Fortezza Europa” (Bigo, 2002) – funzionale al modello Schengen – viene accompagnato dal ristabi-limento di diversi confini interni del regime di frontiera europeo2, in primis per ragioni di ordine anti-terroristico, oggi anche in nome dell’emergenza sanitaria che giustifica nuovi processi di “frontierizzazione” (Delmas e Goeury, 2020). La contemporanea crisi dell’accoglienza si acuisce negli ultimi anni con l’avvento della pandemia, che finisce per imporsi come nuovo momento costitutivo delle politiche migratorie (Pastore, 2021; Gili-berti e Filippi, 2021). In tale contesto, come già avvenuto in altre epoche della storia moderna (Brogini, Ghazali e Potot, 2020), la frontiera si defini-sce come un elemento chiave nell’analisi delle mobilità verso e all’interno dell’Europa.

Il ripristino dei controlli sistematici e la “chiusura” dei confini, accom-pagnati dalla militarizzazione delle cosiddette “borderlands”, contro i

co-1. Questo numero monografico di Mondi Migranti, introdotto dal presente articolo, è legato all’attività di ricerca di due progetti in cui i curatori sono coinvolti: 1. Progetto PRIN 2017 “De-bordering activities and bottom-up citizenship of asylum seekers in Italy. Policies, Practices, and People (ASIT)”, MIUR - prot. 2017999JXZ. 2.

“Observatoire des Territoires Frontaliers” (ObsTerFro), Institut Convergences Migrations-CNRS, référence ANR-17-CONV-0001. Per quanto concerne l’articolo, a fini puramente accademici, i parr. 1, 2 e 3 possono essere attribuiti a Luca Giliberti, mentre il par. 4 può essere attribuito a Swanie Potot.

2. I Paesi europei che dal 2015 sospendono Schengen – propiziando un ritorno delle frontiere interne dell’Europa – sono Austria, Danimarca, Germania, Norvegia, Slovenia, Svezia, e Ungheria.

siddetti “movimenti secondari” dei migranti e richiedenti asilo, genera il blocco di migliaia e migliaia di migranti sui nodi di frontiera, “stuck in transit” (Brekke e Brochmann, 2015; Aru, 2020; Streiff-Fénart e Segatti, 2012). In termini di immagine, da una “Fortezza Europa”, sigillata all’esterno e aperta all’interno, si passa a uno spazio sempre più fortificato all’esterno e frammentato al suo interno. All’interno di questo spazio che potremmo definire reticolato, è l’Europa nel suo insieme a divenire un

“borderland” (Balibar, 2009), in cui emergono nuove categorie relative alla gestione dei flussi e ai discorsi per legittimarli (Putignat e Streiff-Fénart, 2008). La nozione di “transit migration”, “invenzione” (Hess, 2012) legata alla crescita del controllo sui confini nel dispositivo Schengen (Collyer, Dűvell e De Haas, 2010), si associa ai concetti di “proibizionismo migrato-rio” e “migrazione irregolare” (Dűvell, 2012; Dűvell, Molodikova e Col-lyer, 2014), in un contesto in cui i confini – anche quelli interni all’Europa – si moltiplicano e fungono da “filtro selettivo” (Mezzadra e Nielsen, 2013;

Navone, 2020) per il contenimento dei “soggetti indesiderabili” (Agier, 2008; Tazzioli e Garelli, 2020).

I luoghi di blocco dei migranti “irregolarizzati” (Jansen, Delikates e de Bloois, 2015) divengono per eccellenza dei “battlegrounds” (Ambrosini, 2018), campi di battaglia a livello locale in cui attori dal diverso posizio-namento entrano in conflitto. La società civile nel suo insieme – sia in ter-mini di solidarietà che di ostilità verso le rotte migranti – irrompe nel cam-po delle cam-politiche migratorie a livello locale (Fontanari e Borri, 2017; Truc-co, 2021). Il presente numero monografico di Mondi Migranti è dedicato specificatamente alla “solidarietà” che, dal basso, prende forma sulle fron-tiere europee, analizzandone gli ambiti di intervento, oltreché i processi di criminalizzazione che la investono.

La parola “solidarietà” – nozione sempre più in auge in un’Europa ca-ratterizzata da molteplici crisi – è stata ed è particolarmente utilizzata negli ultimi anni in relazione alle pratiche di supporto ai migranti in transito (Della Porta, 2021), in modo particolare sui nodi di frontiera, oltreché in altri contesti dove tali soggetti sperimentano forme di blocco e temporanea permanenza, come le metropoli-hubs europee. Concetto fondativo delle scienze sociali, a partire dalla riflessione di Durkheim (1933) analizzata dal testo di Jocelyne Streiff-Fénart in apertura del presente numero di Mondi Migranti, tale nozione entra in auge con la “crisi dell’accoglienza”. Parola usata in termini emic dagli attori sul campo, diviene, parimenti, progressi-vamente più utilizzata dalla letteratura scientifica in scienze sociali per de-scrivere l’esperienza dal basso di sostegno ai migranti. Da concetto “over-looked” fino a tempi recenti (Alexander, 2014; Kymlicka, 2015), passa oggi al centro di un incipiente interesse scientifico; si costruisce, in questo senso,

un corpus di ricerche progressivamente più ampio e articolato (tra gli altri, si vedano: Della Porta, 2018; Dijstelbloem e Walters, 2019; Giliberti e Qu-eirolo Palmas, 2020; Bauder, 2020; ObsMigAM, 2020; Schwiertz e Schwenken 2020a), che, all’interno degli studi sulle migrazioni, denomi-niamo solidarity studies, a cui tale numero monografico della rivista Mondi Migranti intende contribuire.

Oltre agli usi istituzionali analizzati nel testo della sezione Prospettive appena menzionato, il concetto di “solidarietà” – nella maniera in cui l’abbiamo pocanzi definito – si riferisce a un fenomeno dal basso che è composito e particolarmente eterogeneo; in questo senso, diversi autori par-lano della solidarietà ai migranti in termini di “umbrella notion” (Birey et al., 2019) – una nozione ombrello riferita a un ampio spettro di pratiche e di approcci –, o di “floating signifier” (Agustín e Jørgensen, 2019), signifi-cante fluttuante che si modifica rispetto allo spazio e al tempo (Bauder e Juffs, 2019). A partire da queste considerazioni, definiamo la “solidarietà”

come l’insieme multiforme e situato di pratiche, incontri e forme di coope-razione dal basso volte a sostenere i migranti in transito senza alcuna con-tropartita economica (Giliberti, 2020), favorendo il processo di trasforma-zione di “corridoi forzati” in “rotte abitate” (Queirolo Palmas e Rahola, 2020; Schwiertz e Schwenken, 2020b).

I contributi qui presentati analizzano le pratiche di solidarietà ai migran-ti in transito su diversi nodi di fronmigran-tiera europei, in un tempo storico che va dalla chiusura dei confini interni nel 2015 al nuovo scenario pandemico. Da un punto di vista metodologico i contributi condividono la preferenza per il metodo etnografico (Willis e Trondman, 2002), basato sull’immersione del ricercatore nella realtà studiata, e per un approccio di sociologia pubblica (Burawoy, 2005). Il primo articolo, di Graziella Marturano (Università di Genova), è dedicato alle reti di solidarietà sulla rotta balcanica, sulle fron-tiere Serbia/Croazia e Bosnia/Croazia, centrandosi sulle pratiche di soste-gno ai migranti messe in atto dalla rete solidale “No Name Kitchen”, e sui processi di criminalizzazione di cui tale rete diviene protagonista. Il secon-do contributo, di Annalisa Lendaro e Thomas Sommer-Houdeville (Univer-sité Toulouse Jean-Jaurès), analizza il confine ovest Spagna/Francia, ed è specificatamente dedicato alle reti di solidarietà del Paese basco francese e al dialogo che queste generano con le politiche istituzionali locali, più ac-coglienti rispetto alle politiche dello Stato – data la specificità di un territo-rio dalle forti rivendicazioni di uguaglianza, solidarietà e giustizia sociale, legate in termini generali alla lotta per l’indipendenza del Paese basco.

Il terzo articolo, di Luca Giliberti e Davide Filippi (Università di Geno-va), analizza le reti di solidarietà ai migranti in transito in Val di Susa, a ri-dosso del nodo alpino che divide l’Italia dalla Francia, in un territorio

stori-camente caratterizzato da mobilitazioni e lotte per la giustizia sociale, come il longevo movimento No Tav, oltreché una diffusa “etica della montagna”.

Il quarto contributo della sezione Incursioni, di Pinar Selek (Université Côte d’Azur), anch’esso situato sulla frontiera franco-italiana, ma in questo caso sul versante sud delle Alpi Marittime, è centrato sulla condizione delle donne migranti, delle violenze che subiscono sulle rotte e sull’implicazione al loro fianco dei movimenti femministi francesi e italiani, tra Nizza e la Liguria. Attraverso una mobilitazione recente organizzata a Nizza, l’autrice questiona il ruolo delle reti femminili nella strutturazione dei movimenti sociali. Il quinto e ultimo articolo, di Juan Pablo Aris Escarcena (Universi-dad de Sevilla), si dedica nello specifico a una tematica – quella della cri-minalizzazione della solidarietà, elemento chiave nello studio delle reti di solidarietà dal basso – menzionata già da precedenti contributi, allargando la riflessione del monografico alle pratiche di salvataggio nel Mediterraneo.

In questa maniera, analizza gli effetti della criminalizzazione sulla politi-cizzazione di volontari inizialmente mobilitati sul solo criterio umanitario.

2. La solidarietà in frontiera: ambiti di azione e pratiche