Occorre da ultimo sottolineare la tesi, che qui si intende accogliere, per la quale sono
beni solo le cose cui l’ordinamento ricollega un interesse meritevole di tutela a ricavarne
determinate utilità
249. Tale teoria, definita formalistica, è fondata sull’idea che l’art. 810 c.c.
consideri come idonee a formare oggetto di diritti solo le cose individuate come tali
dall’ordinamento.
Tale interpretazione supera i limiti delle tesi precedentemente enunciate ed ha il
merito di riconoscere come l’oggettivazione giuridica delle cose non dipenda
dall’autonomia privata, ma da processi di qualificazione normativa formale.
L’oggettivazione delle cose dipende dalla rilevanza giuridica delle utilità che esse offrono e
dagli interessi meritevoli di tutela che sono idonee a soddisfare. Per la qualificazione di una
cosa come bene in senso giuridico è dunque necessario e sufficiente l’intervento di un
qualsiasi riconoscimento normativo, diretto o indiretto, dell’interesse che essa è idonea a
soddisfare.
Il processo di qualificazione si attua indipendentemente dal sorgere di qualsiasi
situazione soggettiva o di fatto che abbia le cose ad oggetto
250. Esso pertanto è totalmente
autonomo rispetto alla situazione soggettiva relativa alla cosa che ne forma oggetto.
248 M. BARCELLONA, Attribuzione normativa, cit., p. 682.
249 Cfr. S. PUGLIATTI, I beni, cit., p. 173; M. COSTANTINO, I beni, cit., pp. 26 ss.
250 Diversamente O.T. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, cit., pp. 107 e 128 ss.. L’autore definisce il bene giuridico come qualsiasi entità attualmente qualificata dall’ordinamento, che la consideri oggetto di una situazione soggettiva assoluta. S. PUGLIATTI, Beni e cose, cit., p. 26 riconosce accanto ad una
nozione ristretta di bene giuridico, inteso quale oggetto di una tutela giuridica destinata ad un determinato soggetto, l’esistenza di una nozione più estesa, volta ad intendere il bene giuridico come oggetto della tutela giuridica per sé presa.
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In molti casi è difficile stabilire se la cosa sia o meno un bene. La cosa è bene tutte le
volte in cui, alla luce dell’ordinamento giuridico, sia idonea a configurarsi quale punto di
riferimento oggettivo di esigenze e interessi degni di tutela, perché giuridicamente rilevanti.
Tale conclusione si rileva da un’analisi della giurisprudenza occupatasi dell’oggettività
giuridica di alcune utilità emergenti. In numerose pronunce, infatti, ricorre l’affermazione
che una data utilità sia un bene a certi fini determinati
251. Così nel tempo si è riconosciuto
che, ai fini dell’assoggettamento all’imposta di registro, le volumetrie edificabili siano beni,
suscettibili di essere oggetto di diritti reali immobiliari
252; che, ai fini del sequestro
giudiziario di cui all’art. 670 c.p.c., le quote di società siano assimilabili ai beni mobili
253.
Deve dunque ritenersi che l’art. 810 c.c. stia ad indicare come il processo di
oggettivazione giuridica si attui mediante criteri giuridici e non in base a scelte individuali o
di mercato; l’idoneità a formare oggetto di diritti, in quanto criterio giuridico, non può
intendersi come idoneità a soddisfare bisogni umani, ma come idoneità a soddisfare
interessi ed esigenze riconosciute degne di tutela dall’ordinamento.
Una cosa, materiale o immateriale, è un bene in senso giuridico in quanto
l’ordinamento vi ricolleghi la possibilità di trarvi determinate utilità, degne di tutela.
Appropriarsi, occupare, ma anche, per la materia di cui si sta trattando, creare e ideare, non
sono criteri di qualificazione dei beni in senso giuridico, dal momento che l’oggettivazione
giuridica del reale dipende esclusivamente da considerazioni proprie dello stesso
ordinamento.
Seguendo la concezione cui si intende aderire, appare chiaro come vengano meno le
difficoltà denunciate circa la qualificabilità come bene di un’entità immateriale. Se si
riconosce che il fenomeno dell’oggettivazione si attua quando l’ordinamento ravvisi nella
cosa il punto di convergenza di interessi meritevoli di tutela, risulta evidente l’ininfluenza
dell’immaterialità sull’idoneità della cosa a formare oggetto di diritti
254. La materialità della
cosa non è, infatti, richiesta per poter soddisfare bisogni, interessi ed esigenze
giuridicamente tutelate.
251 A. GAMBARO, La proprietà, cit., p. 53.
252 Cass. 14 dicembre 1988, n. 6807, in NGCC, 1989, I, p. 368. 253 Trib. Napoli, 6 aprile 1987, in Giur. merito, 1987, p. 847.
254 Al riguardo cfr. C. MAIORCA, voce Cose, cit., p. 32, il quale nega il rilievo giuridico del concetto di cosa, in quanto per il diritto rilevano solo alcune qualità della stessa, ed esclude che possa avere rilevanza giuridica il
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L’essere pervenuti a tale conclusione non significa sostenere l’assoluta irrilevanza
delle caratteristiche pregiuridiche del termine di riferimento oggettivo del bene
255, in quanto
le caratteristiche della cosa condizionano le concrete modalità di utilizzazione della stessa e
ne influenzano la relativa disciplina
256.
La qualificabilità come bene della cosa immateriale presuppone la sua individuabilità
sul piano pregiuridico, cioè la sua identificabilità quale porzione della realtà intellettuale,
concettualmente e funzionalmente suscettibile di uso autonomo.
Ciò consente di superare ulteriori difficoltà che si interpongono alla possibilità di
qualificare come beni in senso giuridico le nuove risorse immateriali emergenti, frutto del
progresso tecnologico e scientifico. Sul punto le impostazioni diverse da quella qui accolta
incontrano serie difficoltà poiché sono ferme alla contrapposizione tra risorsa immateriale
creativa, originale e nuova, riconosciuta e tutelata nell’ambito della disciplina del diritto
d’autore, ed entità immateriale non creativa, priva di tutela
257. La nozione di bene giuridico
qui delineata consente, invece, di riconoscere come tale, se e in quanto punto di riferimento
di interessi giuridicamente rilevanti, qualunque utilità immateriale. Ciò indipendentemente
dal possesso di quelle caratteristiche che ne permetterebbero la sussunzione nell’ambito
problema della corporeità o incorporeità della cosa stessa. Cfr. altresì. S. PUGLIATTI, voce Cosa, cit., pp. 20 ss.;
D. MESSINETTI, Oggettività, cit., p. 109. 255 Cfr. C. MAIORCA, op. ult. cit., pp. 31 ss.
256 Cfr. S. PUGLIATTI, op. ult. cit., p. 21; D. MESSINETTI, op. ult. cit., p. 109.
257 Cfr. M. FABIANI, Creatività e diritto d’autore, in Dir. aut., 1998, pp. 600 ss. La questione non è nuova. Si pensi alla tutelabilità della pubblicità, ancora oggi piuttosto controversa. La legge sul diritto d’autore riconosce una tutela allo slogan, purché sia dotato di creatività. Oltre tale ipotesi, invece, il frutto del lavoro pubblicitario non è sempre adeguatamente tutelato. Cfr. Trib Torino 31 luglio 1978, in Giur. ann. Dir. ind., pp. 1199 ss. È frequente nella pratica che i clienti si rivolgano a pubblicitari per la potenziale campagna pubblicitaria, per poi sfruttare autonomamente le idee loro suggerite, o che il committente di bozzetti pubblicitari, scaduto il termine contrattuale, li riutilizzi per una diversa campagna pubblicitaria. Cfr. Cass. 11 novembre 2003, n. 16919, in I contratti, 2004, pp. 478 ss. Per quanto la questione sia dibattuta, in giurisprudenza si è affermato che non sarebbe invocabile nemmeno la disciplina della concorrenza sleale di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c.. Cfr. Pret. Conegliano, 22 maggio 1991, in Giur. ann. Dir. ind., 1991, pp. 2670 ss. Una tutela della pubblicità è apprestata invece dalle norme di autodisciplina e, in particolare, dall’art. 13 del relativo Codice. È in base a tale norma che il Giurì ha riconosciuto l’opera pubblicitaria come opera dell’ingegno meritevole di protezione, riconducibile nell’ambito della tutela garantita dalla legge sul diritto d’autore, benché questo riferimento abbia un valore solo genericamente orientativo sia per l’autonomia dell’ordinamento autodisciplinare, sia perché la protezione delle creazioni pubblicitarie ex art. 13 co. 1 ha presupposti, finalità e portata diversi da quelli della protezione del diritto d’autore. Cfr. Dec. Nn. 54 del 1992 e 77 del 1992, in L.C. UBERTAZZI, Giur.compl. Giurì di autodisciplina pubblicitaria, Milano, 1992, passim. In queste decisioni peraltro è
frequente il riferimento ai fini dell’applicazione di tale articolo ai requisiti dell’originalità e della novità, che si ritengono sussistere anche quando di grado modesto (cfr. Dec. Nn. 77 del 1992 e 88 del 1993, in L.C. UBERTAZZI., op. cit., passim. Sul punto cfr. anche C. BERTI, La tutela della ideazione pubblicitaria nella