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Il rapporto tra Francia e Africa non è mai stato dominato da una grande fiducia, c’è sempre stata una sensazione nascosta di diffidenza, di fronte ad un apparente senso di fratellanza. Dopo il colonialismo, non finisce il regime di sfruttamento, ma comincia la fase di neocolonialismo. Un nuovo tipo di colonialismo che veniva giustificato con i progetti per lo sviluppo dei vari territori africani. Lo scambio ineguale, è un concetto molto comune tra gli studiosi terzomondisti, e viene riferito al profitto che viene ricavato dalle grandi imprese multinazionali occidentali, o da imprenditori provenienti da paesi industrializzati, che acquistano materie prime africane a basso costo, e poi vendono il prodotto finito, con elevato valore aggiunto, a prezzi elevati. Questo, viene chiamato regime di scambio ineguale che ha caratterizzato il rapporto fino ai nostri giorni.

In effetti, l’Africa, viene privata delle sue risorse essenziali dagli inizi del colonialismo, quindi è scorretto pensare all’Africa come un continente povero, quando invece è stato uno dei continenti più

ricchi, fin dai tempi antichi qui dove la civiltà è nata, per quantità di materie prime che sono state

svendute all’Occidente nel corso degli anni.

Nel dibattito tra le teorie regionali neomarxiste del dopoguerra, spicca l’economista statunitense di ispirazione marxista Paul Baran. Egli teorizza che con il modello dello scambio ineguale viene negato che il sottosviluppo sia una ‘fase naturale’ nell’evoluzione verso lo sviluppo, e viene invece affermato che si tratta della conseguenza di rapporti di potere con i paesi del Nord. Secondo il modello, la formazione di una periferia sottosviluppata è un’esigenza del sistema capitalistico mondiale, per cui il centro, integrando la periferia nel proprio sistema di scambi commerciali, si appropria della ricchezza qui prodotta, utilizzandola per consolidare la propria posizione dominante.

Il sottosviluppo non è quindi una condizione occasionale e transitoria, bensì un elemento intrinseco al funzionamento del sistema nel suo complesso: come evidenziato da Frank, sviluppo e sottosviluppo fanno parte di una stessa dialettica.

Nella prospettiva teorica dello scambio ineguale, l’elemento alla base della relazione di dipendenza è costituito dal commercio internazionale, che nell’interpretazione marxista assume una funzione problematica rispetto alle ottimistiche teorie del libero scambio e dei vantaggi comparati71.

Nel testo “Africa strangolata” di Dumont appare chiaro il concetto di scambio ineguale. Le materie prime africane sono da sempre state svendute all’Occidente, come il minette, minerale di ferro mauritano che costa meno rispetto a quello francese:

“Tanto più che il sottosviluppo, non temiamo di ripeterlo è stato determinato ed è perpetuato dal saccheggio del Terzo Mondo, attraverso lo scambio ineguale72”.

“Se caffè, sisal, cotone, tabacco, tè, piretro, fossero pagati al loro prezzo, la bilancia valutaria della Tanzania risulterebbe largamente in pareggio. Consentirebbe anche a un rapido sviluppo

delle infrastrutture, degli impianti, dell’industria, e dei servizi pubblici (acqua, scuola, sanità, strade)73”.

Ma il problema è che la trasformazione da materia prima a prodotto finito in realtà è nelle mani di oligopolisti o imprese praticamente monopoliste come quella inglese del tè. Per questi motivi, i paesi africani non guadagnano dalla vendita di prodotti con valore aggiunto, ma sono costretti a specializzarsi nella produzione di sole materie prime.

Quello che è pericoloso è di come la produzione venga pilotata in base agli interessi economici francesi o occidentali in alcune zone.

Questi paesi africani, sfruttati, di dice che abbiano subito la cosiddetta “maledizione delle risorse”.

“Se lo Zambia fu vittima della maledizione del rame, il Senegal lo è stato di quella dell’arachide74”. Il problema è che, come il Senegal “svende” le sue risorse, e il suo patrimonio: ferro, fosfato, pesce, aria pura, compromette il proprio futuro, quello dei suoi bambini, ma anche il futuro di tutti noi. Le risorse non sono infinite, purtroppo non sono rinnovabili, ma intanto il Togo svende il suo fosfato,

71 Bignate, Celata, Vanolo, Geografie dello sviluppo, pag. 45. 72 Dumont, L’Africa strangolata, pag. 170.

73 Ibid, pag.171. 74 Ibid, pag. 176.

come la Guinea la bauxite, l’uranio nel Niger e nel Gabon, Zambia e Zaire svendono il rame e il cobalto, e la Libia, Nigeria e Gabon il loro petrolio. Le immense ricchezze dell’Africa non sono infinite, ma il saccheggio continua, e il continente è compromesso da tutti i punti di vista. Il Senegal vede le sue coste molto pescose saccheggiate dalle navi sovietiche, che pescano anche pesci molto piccoli, incuranti del futuro del Senegal, a loro non interessa salvaguardare il futuro del continente. In più, il disboscamento dell’Africa sta cominciando ad essere un problema globale, l’erosione, e la desertificazione è uno dei “crimini più spaventosi commessi contro le generazioni future75, che non

si limita – purtroppo - soltanto all’Africa”.

Per questo sarebbe opportuno proporre in alternativa uno sviluppo ripensato, in funzione dei bisogni reali dei paesi, nell’interesse dei più diseredati.

Ma gli interessi economici di fondo sono troppo grandi e troppo potenti, l’Africa deve commerciare con l’Occidente e con la Francia, perché non ha scelta, perché ormai fa parte di questo regime di dipendenza al quale non può sottrarsi. Non può evitare di vendere il petrolio se ne ha un guadagno, anche se poco redditizio.

La Francia è anch’essa dipendente dall’Africa, perché non può funzionare senza le risorse africane, come ad esempio il petrolio.

“La Francia consuma 100 milioni di t di petrolio, 133 volte in più della Tanzania, e 40 volte in più per abitante. Per poterli acquistare, la Francia vende 2,2 miliardi di dollari di armamenti all’anno,

di cui 2 miliardi al Terzo Mondo, che spende per le armi il triplo di quanto riceve in aiuti76”. Oggi infatti, i francesi non sono più i soli a esercitare un’influenza in Africa, ma gli appetiti asiatici, soprattutto cinesi, in Africa sono molto forti, e si manifestano in varie forme, oltre al loro interesse per il petrolio e altre risorse minerarie, esiste il fenomeno di land grabbing, l’acquisto del territorio. La Cina mira a comprare del territorio africano per far fronte al problema della sovrappopolazione, per creare dei territori coltivabili per soddisfare il crescente bisogno di prodotti agricoli, dato l’aumento demografico. Il land grabbing cioè l’acquisto di territori in Africa, avviene anche da parte dell’India, degli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna. Questi paesi mirano ad acquisire soprattutto territori ricchi d’acqua o materie prime o minerali preziosi. Il land grabbing è un fenomeno nuovo, che non si cura generalmente del rispetto dei diritti sociali o dell’ambiente, per questo non esiste ancora una chiara risposta di protesta a questo fenomeno.

75 Ibid, pag. 215. 76 Ibid, pag. 215.

Il land grabbing viene visto ancora una volta come una nuova forma di neocolonialismo, visti i recenti investimenti di tipo commerciale che si sono comunque mostrati vulnerabili alle difficili condizioni agrologiche dei territori interessati77. Varie manifestazioni sono state comunque indette, con vari slogan: “our land is not for sale” per affermare che il territorio non è in vendita78.

Fonte: Il Caffè Geopolitico, 7 novembre 2017.

Oltre al fenomeno dell’accaparramento dei territori, estrazione di uranio e di petrolio, numerose sono le multinazionali che hanno fatto fortuna in Africa. La Costa D’Avorio per esempio, sta vendendo a bassissimo prezzo il cacao alle potenti multinazionali occidentali come la Nestlé, Lindt, Ferrero. Tutto ciò sta causando un problema ambientale gravissimo, a causa del disboscamento che sta facendo perire gli animali della foresta, che si trovano incapaci di sopravvivere senza il loro habitat naturale. Le piantagioni di cacao sono le principali responsabili del disboscamento. Oltre a questo, le multinazionali che producono il cacao sono state ripetutamente denunciate per lo sfruttamento del lavoro minorile, che sfrutta bambini e bambine al di sotto dei dieci anni che vengono percossi e ridotti alla fame.

Ma allora qual è la responsabilità francese di fronte a tutto questo? La responsabilità francese esiste, essendo una delle maggiori potenze coinvolte nello sfruttamento e nel saccheggio anche decenni dopo la fine del colonialismo. Un gran numero di multinazionali francesi continuano a sfruttare le risorse e la manodopera africana pagata a costi bassissimi, anche se ovviamente non è la sola responsabile, ma siamo di fronte a una delle peggiori conseguenze del capitalismo internazionale.

77 Limes, Africa il nostro futuro, il land grabbing tra mito e realtà, Martiniello Giuliano, pag. 166. 78 https://www.ilcaffegeopolitico.org/10339/land-grabbing-sviluppo-agricolo-o-neocolonialismo-2