Oggi, l’influenza francese nei territori ex-coloniali, è data dal continuo perpetuarsi di relazioni franco- africane. Infatti, nella maggior parte delle ex-colonie, la Francia ha mantenuto rapporti e contatti con i governi nazionali in Africa, creando delle zone preferenziali per il settore commerciale, un dialogo con i governi, attività di organizzazioni non governative sul territorio africano, e rapporti di scambio culturali tra le università.
La presenza francese, quindi, non può dirsi eliminata del tutto in Africa, ma anzi lo stretto rapporto commerciale tra questi paesi e la Francia è molto remunerativo sia per i paesi nordafricani che per la Francia oggi. Il mantenimento degli scambi è una decisione positiva per le economie dei paesi, voluta autonomamente dai governi nazionali, non si tratta di una decisione imposta. In effetti, la Francia continua a richiedere materie prime e prodotti agricoli a basso costo, e il Nord Africa rimane per la Francia un mercato attraente.
In più, dopo il processo di decolonizzazione questi paesi hanno iniziato uno sviluppo economico indipendente, grazie agli investimenti esteri privati e pubblici, che ha visto un miglioramento generale della condizione di vita della popolazione in questi paesi. Il caso più importante è quello della Costa D’Avorio, con il “Miracolo Ivoriano”, in cui l’industrializzazione ha fatto crescere l’economia di questo paese. Nel 2000, il Pil della Costa D’avorio era quindi quattro volte quello della Niger, 690 dollari, contro 190 del Niger. Il tasso di alfabetizzazione della Costa D’Avorio inoltre era più alto rispetto i vicini stati africani, il 44% contro il 13,5% del Niger, 32% del Benin, 20% Mali, 32% Senegal e 38% della Mauritania. Quindi si può affermare che la Costa D’Avorio, nonostante le difficoltà, si sia resa attraente agli occhi degli investitori stranieri, date le innumerevoli risorse presenti nel territorio, e quindi si riuscita ad aprirsi all’economia e al commercio internazionale.
L’aiuto francese dato alle economie africane, non era però finalizzato solo al commercio, quanto piuttosto allo sfruttamento delle risorse. L’interesse francese, agli arbori del processo di industrializzazione, era volto soprattutto ai giacimenti minerari, e ai giacimenti di petrolio. L’oro nero fruttava grandi guadagni, e la Francia voleva essere la prima ad avere zone d’accesso preferenziali alle materie prime, anche se ha dovuto confrontarsi con Regno Unito e Stati Uniti. L’idea fu quella di creare la famosa Compagnie française des pétroles, nata nel 1924, e poi rinominata Total CFP nel
1985, e poi in Total nel 199168, che ha da sempre nutrito interessi petroliferi nel Gabon, Congo - Brazzaville, Boy-guyes in Costa D’Avorio e in Medio Oriente.
Per decenni, questa compagnia ha sfruttato le risorse minerarie di questi paesi approfittando degli enormi guadagni e delle minime spese. Per fare in modo che gli interessi economici francesi venissero protetti e difesi in Africa, c’era bisogno dell’appoggio dei governi, che avrebbero permesso alla Francia di continuare lo sfruttamento dei giacimenti in cambio di denaro. Per questi motivi, si ipotizza l’esistenza di stretti legami francesi con dei governi non democratici africani, supportati e finanziati dalla stessa Francia, in modo che questi proteggano e difendano i loro interessi.
Che la Francia influenzi i risultati delle elezioni in Africa non è un mistero, grazie ai finanziamenti che il governo francese offre a capi di stato africani accondiscendenti. Si può infatti dire che l’Africa non ha acquistato la democrazia, ma ha acquisito solamente gli strumenti democratici. Questo spiega le guerre civili che nascono dopo le elezioni di dittatori legittimati democraticamente, data la corruzione dilagante al potere. Secondo il Corruption Index 2016 di Trasparency International, la Somalia, il Sud Sudan, Eritrea, Angola e la Repubblica democratica del Congo sono i paesi africani più corrotti. Mentre il Botswana si trova al 35esimo posto nella classifica dei meno corrotti, davanti all’Italia.
Oltre al petrolio, che è essenziale per il funzionamento della civiltà industriale francese, per la produzione di oggetti, per il carburante delle auto, anche l’uranio è fondamentale per la Francia, dato che rappresenta la prima nazione per numero di centrali nucleari in Europa. L’estrazione di uranio è una realtà che continua a coinvolgere l’Africa, ed è gestita dalla multinazionale francese Areva. Questa azienda leader dell’energia atomica, con un fatturato di più di 10 miliardi l’anno, ha dovuto assistere al rapimento nel 2010, in una delle sue miniere: Arlit, di quattro ostaggi francesi69 da parte dell’AQIM (Al-Quaeda del Maghreb Islamico), rilasciati successivamente solo nel 2011, con il riscatto di 20 milioni di euro versati dal governo francese.
Ci sono state più volte delle proteste e delle rivolte nei punti di estrazione dell’uranio nel nord del Niger, proprio perché la popolazione nigeriana è contraria allo sfruttamento delle proprie riserve minerarie. Le acque prosciugate o inquinate non riescono più ad essere utilizzate per l’allevamento del bestiame. I rifiuti tossici a cielo aperto prodotti dall’estrazione di uranio ammontano a 35 milioni, senza contare i danni ambientali che perdureranno in futuro. Ma l’ex- Presidente della Repubblica francese Hollande ha ricevuto il Presidente nigeriano, ed hanno constatato che è assolutamente impensabile terminare questo regime di sfruttamento, ma che invece questa situazione continuerà a
68 http://www.persee.fr/docAsPDF/hes_0752-5702_1992_num_11_3_1645.pdf
durare nel tempo.
L’articolo di Celine Camoin del 2012 è molto chiaro, infatti riferisce che La Francia importa il 40% dell’uranio necessario per i suoi reattori nucleari grazie alle miniere di Arlit e Akokan. In più, dà le cifre dei nuovi investimenti di Areva che ammontano a 1,2 miliardi di euro. Ma per L’Osservatorio del nucleare non si tratta che del proseguimento dei meccanismi della Françafrique, che vanno a beneficio della lobby del nucleare, ma a discapito della democrazia in Africa70. L’idea proposta è proiettata al futuro, se la Francia non riesce a fare a meno del nucleare e dell’uranio, si dovrà di promuovere urgentemente un tipo di collaborazione in cui l’estrazione possa giovare anche all’Africa, nel rispetto di quanto possibile dei diritti umani, sociali ed ambientali.