Operazioni militari frances
VI.II Tensioni, conflitti e armi francesi in Africa
La Francia, promuovendo un certo tipo di governi in Africa, ha sicuramente creato tensioni sociali e guerre civili, da parte delle popolazioni che non si sentivano rappresentate, pur avendo votato democraticamente, dal governo arrivato al potere.
Appare quindi chiaro come venga percepito il tessuto politico africano da occhi occidentali, facilmente manipolabile, corrotto e sicuramente aperto a un gioco di interessi con l’ex-potenza coloniale. Da qui, l’assurdo comportamento politico francese che sostiene, tramite accordi mirati di tipo economico, dei governi africani che non sono democratici130.
L’ipocrisia francese è ben evidente: promulgatrice di ideali democratici e liberali, ma sostenitrice di governi dispotici e autoritari.
Da ciò, inizia un sentimento di poca fiducia verso le istituzioni democratiche, sfiducia data non solo da questi giochi di potere ma anche dalla continua necessità di proteggersi da attacchi esterni, visto che i conflitti civili non sono mai diminuiti negli anni a venire.
Infatti, l’Africa è stata teatro di sconto di numerosissime guerre e conflitti civili, che non si sono mai arrestate. La seconda guerra mondiale è stata combattuta anche in Africa, senza dimenticare i conflitti nati a causa della guerra fredda, che hanno di nuovo visto l’Africa come teatro di scontro. L’Africa ha vissuto il maggior numero di conflitti civili interni per questioni o politiche o religiose che hanno causato milioni di vittime innocenti. Ma una delle potenze che trae vantaggio dal continuo aumentare di conflitti civili sono sicuramente gli stati che vendono armamenti ed equipaggiamenti militari. La Francia, assieme a Stati Uniti, Gran Bretagna, e l’ex-Unione Sovietica, sono i più grandi esportatori di armi e equipaggiamenti militari. Il commercio di questo settore è molto proficuo, gli stati africani, molto instabili politicamente, hanno sempre più bisogno di armi per difendersi da eventuali minacce interne ed esterne.
129 Rachel Utley, “Not to do less but to do better”, pag.136.
130 Si riferisce al sostegno francese dato al potere dell’imperatore Bokassa I in Repubblica Centrafricana e al Presidente
Inoltre, Vershave afferma che il settore della vendita di armi e di petrolio sono i settori più corrotti, con delle percentuali di commissioni che vanno dal 20 al 50%131.
L’Egitto, Israele e l’Iran sono i tre principali importatori di armi occidentali, americane, russe e francesi. Già a partire dagli anni Settanta, la Francia era una delle principali esportatrici di armi. L’Egitto acquistava nel 1973, in totale 2.197 dollari di armi.
La Francia però non gioca il ruolo di esportatrice di armi, ma anche come una potenza militare che interviene nei conflitti attraverso operazioni militari approvate dal governo francese. In Africa, la Francia è stata, ed è tutt’oggi coinvolta militarmente. La sua influenza militare è percepita quando affianco agli Stati uniti combatte contro i vari gruppi terroristici. In Ciad è intervenuta nel 2008, e nel Mali sono stanziate oggi ancora 10.000 truppe francese con l’obiettivo di sconfiggere l’AQIM132, cioè contro i gruppi jihadisti che stanno occupando la regione. Altri interventi sono stati avviati dopo le risoluzioni del consiglio di sicurezza ONU, come l’operazione Minusma, Barkane e Licorne in Costa d’Avorio.
Come viene riportato nel testo di Nouschi infatti: “Sin dagli inizi degli anni ’70, le vendite di armi ai
paesi in via di sviluppo hanno rappresentato dal 75% all’80% dell’insieme di trasferimenti internazionali di armi e la loro crescita è stata in media del 15% l’anno133.”
La Francia ha venduto all’Africa nel 1972, 4 miliardi di franchi, e nel 1981 il volume è aumentato a 25 miliardi di franchi di armamenti. Per il periodo che va dal 2012 al 2016, ha venduto in totale:
3.939 miliardi di Euro di armamenti134 solo all’Africa.
Analizzando specificamente l’acquisto di armi per ogni stato, si vede come sia proficuo l’interesse Francia-Egitto, poiché l’Egitto ha moltiplicato di 14 volte il suo volume di acquisto di armi francesi negli ultimi anni, lasciando alla Francia quasi tre miliardi di Euro, solamente nel periodo che va dal 2012 al 2016.
La Francia in questi ultimi quattro anni può dire di aver trovato la miniera d’oro in Africa, e vende armi a quasi tutti gli stati africani e mediorientali, tranne a quelli ai quali è stato imposto l’embargo. In Libia e nella Repubblica Democratica del Congo vige l’embargo parziale, indetto da una delle seguenti organizzazioni internazionali: ONU, UE, OCSE, mentre l’embargo totale vige nei seguenti paesi: Sudan, Sud Sudan, Eritrea, Repubblica Centrafricana, Somalia e Zimbabwe.
Nel resto degli stati la Francia vende armi, questi i dati per il periodo 2012-2016, dati online sul sito del ministero della difesa francese135:
131 Verschave François-Xavier, “De la Françafrique à la Mafiafrique”, pag. 37.
132 Al-Quaeda in the Islamic Maghreb, gruppo affiliato di Al-Quaeda, la cui base logistica principale si trova in Algeria. 133 André Nouschi, il Mediterraneo contemporaneo, pag. 464.
134http://www.jeuneafrique.com/466863/politique/quel-pays-africain-est-le-plus-gros-acheteur-darmes-francaises/
135 http://www.defense.gouv.fr/actualites/articles/publication-du-rapport-au-parlement-2017-sur-les-exportations-d-
Stato acquirente Acquisto di armi francesi in milioni di Euro Algeria 212,1 Marocco 655,2 Egitto 2763,9 Libia 9,6 Tunisia 4,1 Gibuti 2,8 Etiopia 3,8 Mali 19,7 Kenya 0,1 Uganda 1,5 Burundi 5,7
Repubblica Democratica del Congo 0,7
Congo 3,2 Angola 1,8 Gabon 40,6 Guinea Equatoriale 0,1 Cameroon 30,6 Botswana 10,6 Sud Africa 29,4 Chad 9,5 Nigeria 8,7 Benin 5,2 Togo 12,2 Burkina Faso 32,7 Costa D’Avorio 4,8 Guinea 0,7 Senegal 48,1 Mauritania 2,9 Niger 4
Madagascar 0,2
La società araba quindi è anche responsabile allo stesso tempo della violenza presente nei suoi territori, perché le armi acquistate non sono sempre state utilizzate solo a scopo di difesa, ma anzi sono state utilizzate per combattere moltissime guerre civili. Il mondo arabo quindi è affascinato e cliente dei beni materiali che importa dall’Occidente: come le armi, come è stato analizzato, o i sistemi di sorveglianza super tecnologici e i sistemi di telecomunicazione. Oggi, i paesi arabi sono i maggiori importatori di armi al mondo, e questa spesa costituisce una percentuale elevatissima del loro PIL. L’occidente crea il suo potere creando degli stati-clienti che siano dipendenti dall’importazione dei loro beni. Costringono quindi quasi tutta l’Africa a diventane una consumatrice passiva. La globalizzazione è anche questo. La debolezza araba sta quindi nella decisione di non investire nella ricerca scientifica, nell’istruzione dei giovani, in modo che possano sviluppare la capacità di produrre nuove tecnologie e armi in modo autonomo, senza la necessità di importare questo tipo di beni costosissimi.
Alcuni dei testi consultati denunciano fortemente l’acquisto massiccio da parte di questi paesi:
“Gli stati arabi hanno comprato più del 40% di tutte le armi vendute nel mondo durante gli anni ’80, sprecando in ferraglia la ricchezza che avrebbe potuto finanziare la piena occupazione136”
“Le statistiche ufficiali sono impietose, undici pesi, sui 48 paesi dell’Africa subsahariana spendono molto di più per armi che in istruzione e salute. In altri 14 paesi, la spesa militare è superiore ad
almeno una delle due voci di spesa pubblica, (i dati si riferiscono agli anni 1997- 1998). E probabilmente, in molte di queste rilevazioni, le spese militari sono sottovalutate137.”
Comprare armi è un’azione sterile, che crea solo disagi sociali ed è un pretesto per scatenare altre guerre, civili e non. Durante la guerra del Golfo, il canale mediatico CNN pubblicò quali fossero i costi spesi del governo per le armi e le munizioni militari, l’opinione pubblica fu sdegnata nell’essere a conoscenza di quali fossero i costi, sapendo le condizioni in cui era ed è costretta a vivere. Sperperare i ricavati del petrolio in armi, non pensando a migliorare le condizioni di vita della popolazione ad esempio creando posti di lavoro, ha intriso le coscienze di poca speranza nei governi ancora una volta, creando altre occasioni di protesta.
136 Mernissi Fatema, Islam e democrazia, pag. 65.
Oltre a questo, c’è anche un nesso che riguarda i conflitti civili presenti in una determinata zona e la presenza nella stessa di importanti risorse minerarie.
Nel saggio “This mine is mine! How minerals fuel conflicts in Africa” si analizza come le risorse naturali, più sono presenti in un determinato territorio, e più ci sia una probabilità che si sviluppino conflitti civili e politici e altre forme di violenza in quella zona138. Il numero di conflitti aumenta anche per la presenza di problemi sociali e di istituzioni deboli che quindi non riescono a impedire o limitare i rischi di conflitto nel territorio.
Normalmente si tratta di risorse naturali preziose e costosissime: come diamanti, narcotici e sostanze stupefacenti, e petrolio. Di fronte all’aumento della domanda di questi beni a livello mondiale, la richiesta arriva dalle potenze emergenti come Cina e India, l’accaparramento delle risorse desta sempre di più qualche preoccupazione. La presenza di risorse minerarie può provocare violenze soprattutto se nel paese già c’è una forte instabilità politica. La presenza quindi di petrolio, oro, minerali può non essere la causa dei conflitti ma può facilitare la presenza di questi. Infatti, il prezzo dei minerali quindi in caso di conflitti civili e instabilità si alza, quindi l’aumento del prezzo dei minerali è anche dovuto da questi fattori politici.
Basti notare come è aumentato il prezzo dell’oro in questi anni:
un’oncia d’oro nel 1997 - 338 dollari un’oncia d’oro nel 2010 - 1.084 dollari139
il prezzo è più che raddoppiato in meno di dieci anni. L’impatto maggiore riguardante l’aumento dell’instabilità politica e di conflitti civili dovuto alla presenza di risorse minerarie lo si trova in Mauritania. Solo analizzando il periodo dal 1997al 2010, si nota che la probabilità di violenza nei territori ricchi di minerali passa dal 16, 9% al 22,5%140.
Inoltre, già negli anni ’70 queste logiche erano dominanti e si riporta dal report delle Nazioni Unite analizzato che l’industria mineraria, impiegava già il 12% della forza lavoro nera, era già controllata dal capitale e dalle multinazionali straniere141.
138 Nicholas Berman, Mathieu Couttenier, Dominic Rohner, Mathias Thoenig,“This mine is mine! How minerals fuel
conflicts in Africa”, pag. 1580.
139 Ibid, pag. 1584. 140 Ibid, pag. 1565.
141 United Nations, Transnational Corporations: activities of trasnational corporations in Southern Africa, impact on