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R adici : un eSemPIo Profano

Il libro di Alex Haley, intitolato Radici ha rivelato l’attitudine degli uomini a conservare nella memoria il loro passato storico.

Nel 1767, un antenato (che risale a sei generazioni) nato in Gambia e chiamato Kunta Kinte si era recato nella foresta alla ricerca di un particolare albero per fare un tamburo. Fu catturato dai trafficanti di schiavi, portato negli Stati Uniti e venduto come schiavo. Ma egli era rimasto fiero della sua eredità africana e aveva insistito con la sua famiglia perché conservasse la memoria del suo vero nome d’africano, cioè Kunta Kinte. Egli raccontò più tardi a sua figlia che nella lingua africana un fiume si chiamava Kamby Bolongo (il fiume Gambia) e che una chitarra si pronunciava ko.

Partendo da queste informazioni frammentarie Haley si recò a Juffure in Gambia. Là incontrò un griot che aveva conservato il ricordo del clan dei Kinte, trasmesso di generazione in generazione.

I griot sono uomini che svolgono il ruolo di conservare la tradizione

orale degli antenati. Secondo Haley stesso i griot sono “dei veri archivi viventi della tradizione orale. Alcuni leggendari griot avevano immagazzinato un tale tesoro di avvenimenti storici che potevano letteralmente parlare tre giorni senza fermarsi e senza ripetersi”.

A Juffure, un griot raccontò la storia del clan Kinte, partendo dagli antenati venuti dal Mali. Citò i nomi dei figli e delle figlie, ricordò i matrimoni, riportò certi fatti storici per dare dei punti di riferimento cronologici. Aveva già parlato per due ore quando arrivò all’episodio che interessò Haley più di ogni altro: “Al tempo in cui arrivarono i soldati del re, il più grande di questi quattro fratelli, Kunta, uscì dal villaggio per andare a tagliare della legna… e non lo rividero più”. Haley scoppiò in lacrime. Aveva vissuto ciò che egli stesso chiama, l’avvenimento più importante della sua vita.

Un po’ più tardi Haley si recò a Londra dove trovò traccia del racconto dei “soldati del re” inviati in Gambia. Haley prosegue il suo racconto: “Il griot era stato così preciso che mentre verificavo le sue parole avevo un po’ di vergogna”. Proseguendo le sue investigazioni, Haley finì per scoprire tutta la verità sulla nave che aveva portato il suo antenato negli Stati Uniti, così come il racconto americano dell’arrivo di questa nave a “Naplis” (è così che sua nonna indicava Annapolis).

Così, due secoli più tardi, l’essenziale dei fatti era stato preservato unicamente tramite la tradizione orale dai due lati dell’Atlantico, da una catena di griot allenati a questo esercizio, in Africa, da un lato, e dall’altro, da una famiglia di uomini e donne senza formazione, in America.

Se degli uomini e delle donne sono stati capaci di conservare nella memoria una storia profana e restituirla fedelmente e se i musulmani credono che i loro antenati erano in grado di imparare a memoria il Corano tutto intero e di trasmetterlo integralmente per quarant’anni, prima che Uthman non fissasse il testo per iscritto, allora per quali ragioni i cristiani non sarebbero stati, loro, capaci di trasmettere le parole e i fatti essenziali della vita di Gesù durante il periodo di 20 a 60 anni che separa la morte di Gesù dalla data di redazione dei Vangeli?

Se dei musulmani riescono a memorizzare i 111 versetti della

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Sura 12, detta Sura Yûsuf (Giuseppe) e a tramandarli correttamente, perché si dovrebbe ritenere che i cristiani non furono capaci di memorizzare e di trasmettere fedelmente i 111 versetti del discorso sulla montagna, riportato in Matteo 5-7?

Se dei musulmani hanno potuto conservare il fedele ricordo e assicurare la trasmissione fedele degli Hadith che raccontano le battaglie di Badr e di Uhud, con quale diritto si negherebbe ai cristiani la capacità di trasmettere fedelmente i racconti riportati dai testimoni oculari sulla resurrezione di Gesù dai morti?

Chi potrebbe immaginare che Talha ibn ‘Ubaidu’llah non si sia più ricordato di aver salvato la vita a Maometto durante la battaglia di Uhud? È impensabile!

È altresì inconcepibile pretendere che i discepoli non si siano più ricordati d’aver visto i segni dei chiodi sulle mani di Gesù, o che abbiano potuto dimenticare che Gesù avesse mangiato del pesce sulle rive del lago, un Gesù vivo accanto a loro, quando erano stati testimoni della sua morte sulla croce, poco prima.

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Invito di nuovo i miei lettori musulmani a riflettere due volte prima di accettare le teorie critiche delle forme come le propone il dott. Bucaille. Avendo posto il principio che i cristiani non potevano ricordarsi con precisione e per una quarantina d’anni le parole di Gesù, i difensori della critica delle forme affermerebbero con altrettanta convinzione che è impossibile che i musulmani si siano ricordati fedelmente, durante il periodo che si estende dalle prime Sure meccane alla redazione del testo definitivo e ufficiale del Corano di Uthman verso l’anno 26 dell’Egira, cioè durante una quarantina d’anni, si siano ricordati fedelmente di tutto ciò che Maometto ha riferito loro. In virtù di una tale ipotesi, le Sure sarebbero già diventate delle leggende e dei miti.

Se i cristiani avessero inventato le pericope in funzione dei bisogni della comunità cristiana, non ci sarebbe alcun dubbio che per i critici delle forme, i musulmani avrebbero inventato le Sure per rispondere ai bisogni della nazione musulmana.

Se una resurrezione dai morti era “totalmente inconcepibile”

e se ridare la vista era impossibile, allora il Corano sbaglierebbe

quando dichiara nella Sura Al-Mâ’ida (La Tavola Imbandita) 5:110b, dell’anno 10:

Guaristi (Gesù), col Mio permesso, il cieco nato e il lebbroso.

E col Mio permesso risuscitasti il morto.

Se la nascita verginale era impossibile, allora il Corano sarebbe nell’errore quando afferma nella Sura Maryam (Maria) 19:19-21, del periodo meccano intermedio, che Gabriele promise a Maria che avrebbe avuto un “bambino puro” benché nessun uomo l’avesse toccata, o quando esso dichiara, nella Sura At-Tahrîm (L’Interdizione) 66:12, datata anno 7 dell’Egira, che Maria era rimasta vergine:

E Maria, figlia di ‘Imrân, che conservò la sua verginità;

insufflammo in lei del Nostro Spirito. Attestò la veridicità delle Parole del suo Signore e dei Suoi Libri e fu una delle devote.

Se non fosse stato Dio ad aver condotto i profeti con il suo Spirito Santo, allora il Corano sbaglierebbe quando dice, in due riprese, nella Sura Al-Baqara (La Giovenca) 2:87 e 2:253, dell’anno 2 dell’Egira:

E abbiamo dato a Gesù, figlio di Maria, prove evidenti e lo abbiamo coadiuvato con lo Spirito di Santità.

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La domanda che viene immediatamente alla mente è questa:

come possono delle persone che si dichiarano cristiane affermare tali cose? I musulmani non devono essere sorpresi che fra coloro che si dichiarano “cristiani” ci siano degli uomini che rifiutano la fede nel soprannaturale. Non ci sono stati, fra coloro che si dicono musulmani, degli uomini che hanno adottato lo stesso atteggiamento?

Ecco ciò che scrive nel suo libro molto imparziale Islam – A Christian Perspective, Michael Nazir-Ali, del Pakistan, a riguardo del riformatore musulmano Sir Syed Ahmad Khan:

Dal punto di vista teologico Sir Syed protendeva verso un deìsmo; egli affermava che Dio era il fondamento

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dell’universo e che aveva creato la natura e le sue leggi…

tuttavia Dio non interviene nel corso della natura e gli interventi occasionali divini nella vita degli uomini sono ugualmente da escludere…

Sir Syed nega la dottrina coranica della nascita verginale di Gesù Cristo, con il pretesto che una tale nascita costituirebbe un’intrusione di Dio nel processo delle leggi normali della natura, questo è impossibile. Per conciliare questo “a priori”

con la testimonianza del Corano egli propone la seguente spiegazione, che ha poco peso: parlando della verginità di Maria, il Corano voleva intendere che Maria avesse relazioni sessuali solo con suo marito! Lo studio dei testi coranici dimostra a quale punto questa dichiarazione è assurda. È vero che nessun commentatore coscienzioso del Corano ha mai tentato di negare il fatto della verginità, così chiaramente insegnato dal Corano.

…Sir Syed dichiara a diverse riprese la sua fede nell’inerranza del Corano e reclama la necessità che esso venga interpretato correttamente. In certi campi, è evidente che il suo deìsmo non può conciliarsi con la presenza del soprannaturale nel Corano.

I musulmani conservatori, quali i Wahabiti, rigettano con forza le idee di Sir Syed. Lo stesso vale per un grande numero di cristiani fedeli alla Bibbia che credono ai miracoli e che credono che il Vangelo è vero. Essi sono risolutamente ostili alle tesi fondamentali anti-soprannaturali che caratterizzano sia la critica delle forme sia l’ipotesi documentaria. Questi cristiani considerano anche queste affermazioni come diaboliche.

Al punto in cui siamo arrivati, deve essere chiaro che questa teoria è dannosa sia per il Corano sia per il Vangelo. Se un avvenimento riportato in entrambi i libri, come la resurrezione di persone da parte di Gesù, è un falso nel Vangelo, allora esso costituisce ugualmente un falso nel Corano. Ne consegue quindi in questo caso che il Corano è stato cambiato, alterato e corrotto, conclusione che tutti i musulmani evidentemente rifiutano.

Nel capitolo seguente considereremo come si sono sviluppati il

Corano e il Vangelo. Ciascuno allora potrà rendersi conto che non ci sono mai state prove storiche o documentarie a favore della critica delle forme come la concepivano i teologi tedeschi citati in questo capitolo e quelli citati nell’opera del dott. Bucaille. Ma prima, vorrei aprire una parentesi su una pericope moderna.