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La scrittura non era ancora stata inventata

I ncredulITà e daTazIone

3. La scrittura non era ancora stata inventata

Come l’abbiamo già sottolineato precedentemente, gli autori della teoria critica sostenevano che Mosè non potesse aver scritto.

Julius Wellhausen scrisse nel 1885 che Israele aveva certamente delle leggi, soltanto esse non erano messe per iscritto. Hermann Schultz, da parte sua aggiunge nel 1898:

Quanto al carattere leggendario dei narratori pre-mosaici (Hermann non impiega la parola scrittore), l’epoca che essi descrivono ne costituisce una prova sufficiente. Era un’epoca anteriore ad ogni conoscenza della scrittura.

Poi, nel 1902, una spedizione archeologica francese diretta da Jacques de Morgan, scoprì il codice delle leggi di Hammurabi sul sito dell’antica città di Susa all’est della Mesopotamia. Si tratta di un insieme di leggi incise sulla pietra; Esso comprende 282 sezioni o paragrafi. Gli studiosi datano questo codice fra il 1700 e il 2000 a.C. È da notare che parecchie leggi di questo codice sono molto vicine ad alcune leggi mosaiche.

Da allora altre scoperte archeologiche hanno confermato che la scrittura esisteva prima di Mosè e probabilmente molto tempo prima. Delle iscrizioni incise sono state scoperte anche nel Sinai.

Ecco una lista parziale delle scoperte in questo campo:

1. Nel 1917 Alan Gardiner, famoso egittologo britannico, fu il primo a decifrare le iscrizioni proto-semitiche scoperte nel Monte

Sinai. Queste iscrizioni si presentano sotto forma di pittogrammi, incisi dai Cananei prima della metà del secondo millennio (1500) a.C. Esse provano che la scrittura alfabetica esisteva già prima dell’epoca di Mosè.

2. Nel 1925 sono stati intrapresi degli scavi sul sito di Nuzi, vicino all’antica Ninive, in Iraq. Essi hanno permesso di riportare alla luce più di 4000 tavolette risalenti al 1500-1400 a.C.

3. Nel 1929 delle tavolette d’argilla che riportavano delle iscrizioni furono scoperte a Ugarit e Ras Shamra sulla costa nord della Siria.

Esse risalgono all’epoca di Mosè poiché gli studiosi le hanno fatto risalire al XIV e al XIII secolo a.C. La lingua è vicina all’ebraico poetico che troviamo nella Torà e nell’Antico Testamento, come il Cantico di Maria di Esodo 15:20, o il Cantico di Debora di Giudici 5 (del XII secolo a.C.).

4. Nel 1933 sono stati intrapresi degli scavi archeologici nel sito di Mari nel Medio Eufrate, in Siria. Tre anni più tardi gli studiosi scavavano migliaia di tavolette ricoperte da scrittura cuneiforme e risalenti al 1700 a.C.

5. Nel 1964 furono scoperte le rovine di Ebla, a nord della Siria.

Dieci anni più tardi i ricercatori avevano trovato più di 17.000 tavolette d’argilla ricoperte da scritture risalenti al 2200 a.C.

6. Chiunque in Francia può osservare sull’obelisco egiziano innalzato in Piazza della Concordia a Parigi, le iscrizioni geroglifiche riportate sulle facciate di questo monumento. Questi geroglifici risalgono al tempo di Ramses II.

Dal 1938, quindi ben prima delle ultime scoperte, W. F. Albright paragonando i diversi sistemi di scrittura che venivano usati nell’Antico Oriente, anteriormente a Mosè, scriveva questo:

Si può dunque affermare che la scrittura è ben documentata in Palestina e in Siria durante il periodo patriarcale (Medio Bronzo, 2100-1500 a.C.). Per quanto sappiamo erano usati non meno di cinque tipi di scrittura: (1) i geroglifici egiziani, per i nomi di persone e di località, dai Cananei; (2) il cuneiforme accadiano; (3) un sillabario simile ai geroglifici in Fenicia; (4) un alfabeto lineare nel Sinai e (5) l’alfabeto cuneiforme d’Ugarit scoperto nel 1929.

L’ipotesi documentaria

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“Nuove evidenze che richiedono un verdetto”

Potremmo così moltiplicare gli esempi.

L’alta critica afferma che le leggi contenute in Esodo, Levitico e Deuteronomio rappresentano uno stadio troppo evoluto della conoscenza per poter risalire al tempo di Mosè. Ed ecco che fu scoperto il Codice di Hammurabi, così avanzato ma scritto fra i 300 e i 500 anni prima di Mosè.

I critici hanno messo in dubbio un viaggio tanto lungo quanto quello di Abramo che si recava da Ur dei Caldei (Iraq) in Palestina (Torà, Genesi 11 e 12). Ed ecco che si è ritrovata negli scavi intrapresi a Mari una tavoletta che rappresenta un contratto di affitto di un carro. Esso risale all’epoca di Abramo e stipula che il proprietario consente ad affittare il suo carro per una durata di un anno, a condizione che non sia condotto fino a Kittim, sulla costa mediterranea a nord della Palestina.

L’alta critica riteneva anche che la tenda, specificata in dettaglio, che la Torà (Esodo 36) chiama Tabernacolo e che Dio aveva ordinato a Mosè di far confezionare, era il risultato di una immaginazione troppo fervida, con il pretesto che essa rappresentava uno stadio di fabbricazione troppo avanzato per l’epoca di Mosè. Ma nel 2600 a.C., cioè 1200 anni prima di Mosè, gli Egiziani avevano un baldacchino trasportabile per la loro regina. Era costituito da tondini verticali e da montanti angolari; leggeri travetti formavano il tetto che era ricoperto d’oro; il tutto era unito da tenoni in alveoli.

Montaggio e smontaggio erano quindi eseguiti rapidamente, come quelli del Tabernacolo ebraico.

Wellhausen pretende che gli specchi di bronzo offerti dalle donne ebree per la costruzione della vasca (Torà, Esodo 38:8) furono conosciuti molto più tardi. Recenti scoperte hanno dimostrato l’esistenza di questi specchi in Egitto, sotto il Nuovo Impero (18a.

dinastia) fra il 1500 e il 1400 prima della nostra era.

È increscioso che di fronte ad un tale accumulo di prove moderne, il dott. Bucaille abbia ancora creduto bene di citare i seguenti propositi di E. Jacob:

È probabile che ciò che l’Antico Testamento racconta a proposito di Mosè e dei patriarchi corrisponda piuttosto

approssimativamente allo svolgimento storico dei fatti…

(evidenziato dall’autore).

Quale contrasto tra questa affermazione e il seguente estratto di una testimonianza di Nelson Glueck, anziano Presidente del Seminario Teologico Giudeo alla Scuola Ebraica di Cincinnati, nell’Ohio, e uno dei tre più grandi archeologi del nostro tempo:

Durante le mie ricerche archeologiche non ho mai incontrato un solo oggetto antico che potesse contraddire le affermazioni della Parola di Dio (la Torà – Antico Testamento).

4. La Torà è una compilazione di numerosi documenti scritti molto tempo dopo Mosè

All’inizio di questo capitolo abbiamo ricordato l’opinione di Graf e di Wellhausen secondo la quale la Torà sarebbe una compilazione di almeno quattro documenti diversi. Alcuni studiosi hanno, in seguito, preteso di aver scoperto delle prove di fonti letterarie ancora più numerose: dieci, dodici e anche quindici. Essi fondano le loro affermazioni sulle differenze di vocabolario che credono di rivelare.

L’esempio più conosciuto e più eloquente di questo metodo si osserva nella divisione fondata sull’uso dei nomi divini: Elohim, che è utilizzato nella Torà in Genesi 1 e Jehovah che ritroviamo in Genesi 2 e 3.

Un altro postulato della teoria documentaria consiste nel dire che un ulteriore editore riunì e fuse in una sola storia le versioni leggermente diverse di uno stesso episodio, raccontato dagli autori

“E” (Elohim), “J” (Jehova) o un altro ancora. Il nome dato ad Isacco costituirebbe un esempio di questo amalgama.

In Genesi 17 Dio promette ad Abramo che avrà un figlio nella sua vecchiaia. Ecco ciò che riportano i versetti da 15 a 19:

Dio disse ad Abraamo: “Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamare più Sarai; il suo nome sarà, invece, Sara. Io la benedirò e da lei ti darò anche un figlio; la benedirò e diventerà nazioni; re di popoli usciranno da lei”. Allora Abraamo si prostrò con la faccia a terra, rise, e disse in cuor suo: “Nascerà un figlio a un uomo di cent’anni? E Sara

L’ipotesi documentaria

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partorirà ora che ha novant’anni?” …Dio rispose: “No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e tu gli metterai il nome di Isacco”. (Isacco in ebraico significa egli ride).

Qualche tempo dopo, Dio manda tre uomini (angeli) e ripete la sua promessa che Sara ascolta, secondo il racconto di Genesi 18:10-15:

E l’altro: “Tornerò certamente da te fra un anno; allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. Sara intanto stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, che era dietro di lui. Abraamo e Sara erano vecchi, ben avanti negli anni, e Sara non aveva più i corsi ordinari delle donne. Sara rise dentro di sé, dicendo:

“Vecchia come sono, dovrei avere tali piaceri? Anche il mio signore è vecchio!” Il SIGNORE disse ad Abra amo: “Perché mai ha riso Sara?… Vi è forse qualcosa che sia troppo difficile per il SIGNORE?”…Allora Sara negò, dicendo: “Non ho riso”;

perché ebbe paura. Ma egli disse: “Invece hai riso!”

Infine un terzo passo (Genesi 21:1-6) menziona il ridere al momento della nascita di Isacco:

Il SIGNORE visitò Sara come aveva detto; e il SIGNORE fece a Sara come aveva annunziato. Sara concepì e partorì un figlio ad Abraamo, quando egli era vecchio, al tempo che Dio gli aveva fissato. Abraamo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. Abraamo circoncise suo figlio Isacco all’età di otto giorni, come Dio gli aveva comandato. Abraamo aveva cent’anni quando gli nacque suo figlio Isacco. Sara disse: “Dio mi ha dato di che ridere;

chiunque l’udrà riderà con me”.

Come affrontano i critici questi passi apparentemente molto chiari? Essi formulano la seguente teoria: lo stesso avvenimento, cioè l’origine del nome attribuito a Isacco, è stato raccontato da tre narratori diversi; in seguito queste tre versioni sono state riunite in un solo racconto nella Genesi. Essi attribuiscono il racconto di Genesi 17 alla fonte P, il secondo alla fonte J e il terzo alla fonte E. Ma è così assurdo pensare che Abraamo e Sara abbiano riso d’incredulità quando Dio annunciò la nascita di Isacco e che più tardi risero dalla gioia, alla nascita del bambino?

Henri Blocher riassume ammirevolmente il procedimento nel suo libro Révélation des Origines - Le Début de la Genèse:

I critici, quando giudicano i fenomeni interni, proiettano su di essi le loro abitudini di lettori occidentali moderni e trascurano ciò che oggi sappiamo dei procedimenti di scrittura in uso ai tempi biblici. Il gusto delle ripetizioni, la struttura enunciato globale – ripresa con sviluppo, la sostituzione di una parola con i suoi sinonimi, in particolare il cambiamento di un nome divino nel testo (p.es. Baal e Hadad nella tavoletta di Hadad a Ugarit; i nomi di Osiris sulla stele di Ikhernofret), sono delle caratteristiche ben attestate dei testi del Medio Oriente antico… Il testo biblico così com’è va d’accordo con i canoni letterari della sua epoca.

E se l’alta critica fosse applicata al Corano?

In arabo, il nome Allah (ﷲ) che indica Dio corrisponde all’ebraico Elohim mentre il nome Rabb (ﹼﺏﱠﺭﻠﺍ) corrisponde al nome ebraico Adonai (Signore) che i Giudei adoperarono più tardi al posto di Jehova. Un attento esame del Corano rivela che il nome Rabb è completamente assente nelle seguenti 11 Sure: 24, 48, 49, 58, 61, 62, 77, 88, 95, 104, 112. Quanto al nome Allah non appare mai nelle seguenti 18 Sure: 54, 55, 56, 68, 75, 78, 83, 89, 92-94, 99, 100, 105, 106, 108, 113 e 114. Infine, in dieci Sure molto brevi, datate del periodo meccano primitivo, il nome di Dio non è nemmeno menzionato. È anche il caso del libro di Ester nella Torà-Antico Testamento.

Ecco una tavola comparativa dell’uso dei nomi Allah e Rabb nelle Sure da 48 a 64 che ho scelto arbitrariamente perché 8 fra di esse si trovano citate nelle liste più sopra:

L’ipotesi documentaria

50 Meccana primitiva 1 45 0.02 2 0.04

51 Meccana primitiva 3 60 0.05 5 0.08

52 Meccana primitiva 3 49 0.06 6 0.12

53 Meccana primitiva 6 62 0.10 7 0.11

54 Meccana primitiva 0 55 0 1 0.02

55 Meccana primitiva 0 78 0 36 0.46

56 Meccana primitiva 0 96 0 3 0.03

63 4-5 dell'Egira 14 11 1.27 1 0.09

64 1 dell’Egira 20 18 1.11 1 0.06

Questa tavola rivela che nella Sura 55 il nome Rabb è menzionato 36 volte, di cui 31 in associazione con la parola “favori” (al ala’ ūﺀﹶﻻﱠﻻﺍ).

Questa parola ىalaū’ è una parola che compare molto raramente nel Corano, poiché si trova solo in altri tre posti: una volta nella Sura 53, del periodo meccano primitivo e due volte nella Sura 7, del periodo meccano tardivo. Per di più, attraverso un esame più attento della Sura 53:19-20 troviamo che è il solo testo a citare le tre dee Al-Llūat, Al-‘Uzzaى e Manūat.

Un critico che sosterrebbe la “teoria documentaria”

concluderebbe quindi così: “Noi constatiamo che il nome Allah è

usato meno frequentemente durante il periodo meccano, mai più di una volta in 10 versetti. Invece, a partire dall’Egira, questo nome compare molto più spesso, in media più di una volta per versetto, fatta eccezione per la Sura 48.

La parola aūlaū’, e il nome delle tre dee non si trovano che nelle Sure meccane. C’è stato probabilmente un autore antico, di quel periodo, che indicheremo con la lettera R a causa della sua preferenza per il nome “Rabb”. Tuttavia questo autore era ancora soggetto all’influenza degli idoli. Più tardi, apparve un secondo autore in un’epoca in cui si era manifestato un monoteismo più puro. Lo indicheremo con la lettera A dal nome di Allah che egli riserva a Dio. È sicuramente vero che nella Sura 53 la citazione delle dee Manaūt, Al-Llūat e Al-‘Uzza è accompagnata da rimproveri che sono stati incorporati ulteriormente al testo da un autore Q dal termine qurraى (ﺀﺍﱠﺭﹹﻗ), cioè dai responsabili per la lettura corretta del Corano.

Il racconto della nascita di Isacco rivela quattro fonti. La Sura meccana primitiva 51:24-30 riporta che la moglie di Abramo non credette alla promessa poiché si dichiarava una “vecchia sterile”.

Questo racconto è l’opera di R. La Sura meccana tardiva 15:51-56 presenta l’incredulità di Abramo di fronte a questa promessa: “Mi date questo annuncio quando già mi ha raggiunto la vecchiaia.

Che specie di annuncio è questo?”. Siccome questa Sura risale al periodo meccano tardivo, questo racconto è attribuibile all’autore A.

In un’altra Sura del periodo meccano tardivo, la Sura 11:69-74, le due narrazioni sono state fuse in una sola da uno dei redattori Q che ha aggiunto la menzione del ridere della moglie di Abramo.

Infine la Sura 37:99-103, del periodo meccano intermedio, che si interessa al sacrificio offerto da Abramo nella persona di suo figlio, costituisce una quarta fonte che indicheremo con la lettera D, dal nome (al dabūiha ﺔﺤﻴﹻﺒﱠﺫﹿﻠﺍ) che significa sacrificio.

Ogni lettore si renderà conto quindi a che punto sia facile concepire una teoria documentaria per spiegare l’origine del Corano. Potremmo chiamarla “teoria RAQD”. Poiché questa teoria è completamente infondata, essa dimostra il tipo di ragionamento arbitrario usato dagli autori dell’ipotesi documentaria, e mostra ciò

L’ipotesi documentaria

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che sarebbe successo se loro avessero applicato lo stesso tipo di analisi al Corano.

c

oncluSIone

Alla luce di tutte le prove di cui disponiamo non si capisce bene perché degli uomini persistano a credere ed a insegnare queste idee sorpassate, a meno che non sia il risultato di una incredulità profondamente radicata nel loro cuore. Graf e Wellhausen hanno per certi versi diritto a delle circostanze attenuanti perché non avevano conoscenza delle ultime scoperte archeologiche. Ma è difficile spiegare perché degli studiosi moderni e perché il dott.

Bucaille continuino ad aggrapparsi ad una simile ipotesi. Per Henri Blocher la ragione è semplice: questi uomini condividono lo stesso postulato di base dei promotori della teoria documentaria.

Essi condividono, in generale, l’ostilità di Wellhausen verso ogni intrusione del soprannaturale nei racconti.

Non esiste nessuna prova obiettiva dell’esistenza dei documenti J, E o altro, affermati nell’elaborazione progressiva della Torà. Non c’è alcuna traccia storica, alcun isnūad (ﺩﺎﹷﻨﹿﺴٕﻻﺍ) di un qualsiasi testimone di questi documenti.

K. A. Kitchen, conferenziere di archeologia all’Università di Liverpool dichiara:

Le forme convenzionali della critica letteraria (JEDP o tradizione orale) si sono sviluppate a partire da un vuoto e i criteri che hanno dato loro origine si rivelano senza alcun valore, oppure totalmente sbagliati quando li si confronta con i metodi che coloro che scrivevano nell’universo biblico mettevano realmente in opera. Lo schema dell’evoluzione dei concetti… si rivela essere una pura illusione quando lo si esamina alla luce del mondo biblico del Vicino Oriente…

Quando si mette in presenza del mondo dell’Antico Testamento visibile e tangibile, gli scritti vetero-testamentari e la loro ricostruzione teorica, sono ancora i documenti esistenti (dell’Antico Testamento) che si rivelano i più autentici per il loro contesto del Vicino Oriente e non per le composizioni basate su delle false premesse e dei criteri sbagliati.

Lo studioso ebreo Umberto Cassuto è arrivato alla stessa conclusione. Egli dedica sei capitoli della sua opera The Documentary Hypothesis all’esame dei cinque argomenti maggiori di cui si serve l’alta critica per dimostrare che Mosè non ha potuto scrivere la Torà. Egli paragona queste cinque ragioni a dei pilastri che sostengono un edificio. Ecco la conclusione di Cassuto a proposito dei “pilastri” dell’ipotesi documentaria:

Non ho dimostrato che i pilastri erano deboli e che ciascuno di essi si era rivelato incapace di costituire un sostegno decisivo per la teoria in questione, ma ho dimostrato che essi non erano affatto dei pilastri, che nemmeno esistevano, che rivelavano pura immaginazione.

Il nostro studio sommario ci ha portati ad esaminare solo quattro punti o quattro pilastri, ma penso di poter affermare di essere arrivati alla stessa conclusione di Cassato: Non sono pilastri, non esistono, rivelano pura immaginazione.

In fin dei conti dobbiamo prendere coscienza che questa ipotesi fa pesare sugli Ebrei un giudizio che pochi tra noi sarebbero pronti a sostenere. Per questa ipotesi TUTTI i Giudei, dal tempo di Mosè fino a quello di Cristo, furono disonesti; non furono uomini che temevano Dio e che fecero di tutto per difendere la vera Torà e preservarne delle copie autentiche. Il Corano stesso non prende il rischio di dare sugli Ebrei della Mecca e di Medina un tale giudizio.

Come abbiamo constatato nel precedente capitolo, il Corano ammetteva che certi Ebrei erano onesti e sinceri nella pratica della loro religione. La Sura Al-A’râf 7:159 del periodo meccano tardivo dichiara:

E tra il popolo di Mosè, c’è gente che si dirige con la verità e in base ad essa agisce con giustizia.

L’ipotesi documentaria che pretende che Mosè non abbia scritto la Torà è chiaramente falsa; alcuni uomini tuttavia hanno sottoscritto le sue conclusioni perché hanno adottato dei presupposti sbagliati nella loro analisi delle Scritture. Quando esaminiamo la Bibbia e il Corano faremmo bene a seguire i passi di Coleridge, questo genio letterario che fu anche un critico fuori del comune. È da molto tempo che egli ha definito le regole che devono presiedere ad ogni

L’ipotesi documentaria

123 esame letterario:

Quando siamo in presenza di una apparente errore in un buon autore dobbiamo innanzitutto porre il seguente principio: ignoriamo la sua comprensione fino a che non abbiamo la certezza di comprendere la sua ignoranza.

Come l’ha così bene formulato Aristotele (de Arte Poetica, 14606-14616):

Il beneficio del dubbio deve essere accordato al documento stesso e non reclamato dal critico.

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