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La Bibbia è giudicata secondo il linguaggio del XX secolo Il dott. Bucaille giudica la Bibbia secondo i criteri del XX secolo

I mPorTanza del conTeSTo

2. La Bibbia è giudicata secondo il linguaggio del XX secolo Il dott. Bucaille giudica la Bibbia secondo i criteri del XX secolo

e la studia come un documento scientifico. Quando un passaggio presenta dei dati scientifici inaccettabili (per lui), conclude automaticamente che questo passaggio non può provenire da una rivelazione. Tutto ciò quindi che a lui sembra “contraddizioni” e

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“inverosimiglianze” nella Bibbia costituisce una prova d’errore.

Nella misura in cui la Bibbia non corrobora le conoscenze scientifiche moderne, non sarebbe Parola di Dio; non sarebbe nemmeno un documento storico affidabile.

Il dott. Bucaille non ammette che la sua comprensione e la sua esegesi di un passo biblico possano essere poco attendibili. Rifiuta ogni tentativo di spiegazione e ogni prova di armonizzazione. Egli qualifica degli sforzi “delle abili acrobazie dialettiche sommerse in un lirismo apologetico”.

Questo metodo di valutazione è di natura “conflittuale”. Il documento analizzato è oggetto di un a priori negativo e il procedimento di questo metodo consiste nel trovare tutti gli errori possibili nel documento esaminato.

3. Il Corano, invece, può conservare il linguaggio del suo tempo Il dott. Bucaille afferma di partire dal seguente principio: la scienza moderna costituisce l’ultimo giudice del Corano. Può sembrare che questo postulato così descritto si applichi indifferentemente alla Bibbia e al Corano. Non è affatto così, poiché questo ultimo beneficia di un regime di favore.

Dopo aver citato la Sura 79:27-33, il dott. Bucaille aggiunge:

Questa enumerazione dei benefici terrestri di Dio verso gli uomini, espressa in un linguaggio che si addice a degli agricoltori o a dei nomadi della Penisola arabica, è preceduta da un invito a riflettere sulla creazione del cielo.

La mancanza di precisione non è più un errore, al contrario del giudizio che colpirebbe la Bibbia in un caso simile. L’autore concede che il linguaggio tiene conto dello stato pre-scientifico di questi popoli. Con questo a priori, il dott. Bucaille potrà evidentemente citare numerosi passi coranici come conformi alle conoscenze della scienza moderna, ma espressi in un linguaggio pre-scientifico.

Questo tipo di approccio viene chiamato “concordiamo”. Questo procedimento cerca di armonizzare la scienza con le scritture.

Provvisto di questo postulato, non è difficile per il dott. Bucaille affermare che il Corano non presenta alcuna “difficoltà”. Certo, la traduzione di alcune parole può risultare “delicata”; abbiamo già constatato che il riferimento ai bolidi fiammeggianti (meteore) era “oscuro”. Ma siamo ben lontani dalle “contraddizioni, inverosimiglianze e incompatibilità” di cui il dott. Bucaille accusa

la Bibbia. Forse potremmo dire che per il dott. Bucaille NON CI SONO PIÙ delle difficoltà poiché ecco ciò che dichiara:

Comprendiamo di conseguenza che, durante i secoli, dei commentatori del Corano (compresi quelli del grande periodo della civilizzazione islamica) abbiano immancabilmente commesso degli errori nell’interpretazione di alcuni versetti di cui non potevano cogliere il senso preciso. Solo molto più tardi, in un periodo vicino alla nostra epoca, si è potuto tradurli ed interpretarli correttamente. Questo implica che, per comprendere questi versetti coranici, non sono solo sufficienti delle conoscenze linguistiche approfondite…

Ci si rende conto, man mano che procede l’esposizione delle questioni sollevate, della varietà delle conoscenze scientifiche che sono indispensabili per cogliere il significato di alcuni versetti del Corano.

Cioè l’uomo dei secoli scorsi non poteva che discernerne un senso apparente, che lo ha portato in alcuni casi a trarre delle conclusioni inesatte data l’insufficienza del suo sapere all’epoca considerata.

Per superare questi ostacoli “delicati”, il dott. Bucaille si è sforzato di trovare (anzi inventare?) dei significati nuovi a delle parole arabe per farle quadrare con le cognizioni della scienza moderna.

Numerosi studenti musulmani – in particolare quelli che seguono le filiere scientifiche sono entusiasmati da questa iniziativa. Tuttavia, immaginare che gli esegeti musulmani tradizionali, impastati di cultura e grammatica araba, sarebbero meno capaci di interpretare correttamente il Corano di certi esegeti moderni (nella fattispecie degli europei) ha qualcosa di indisponente e rasenta l’arroganza.

Tanto più che il Corano proclama lui stesso che è stato scritto nella “lingua araba chiara” (‘arabiyun mubinun ﻥﻴﹻﺒﹹﻤ ﻲﹻﺒرﹷﻋ) dei Coreisciti, affinché essi possano comprenderla. Aggiungiamo che questa affermazione limita il rischio di vedere moltiplicarsi le

“interpretazioni personali”, ciò che il Corano vieta chiaramente.

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lrISulTaTo

Tutti sanno che “si trova quello che si cerca”. Se leggiamo il Corano o la Bibbia con il pensiero nascosto che il libro contiene degli errori e se la lettura è accompagnata dal desiderio di metterli

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in evidenza, avremo adottato un approccio del tipo conflittuale.

Animato da questo spirito, il lettore troverà gli errori che cerca. Se, al contrario, un lettore apre il Corano o la Bibbia con uno spirito di tolleranza e con la speranza di un’armoniosa convergenza tra questo libro e la scienza, è animato da un approccio concordista che gli farà scoprire ben poche divergenze – tanto poche quanto grande è l’a priori. Questo lettore è allora tentato ad andare troppo lontano nel suo sforzo di portare una interpretazione forzata tra la scienza e la scrittura: farà violenza all’una o all’altra delle due entità presenti.

Il dott. Bucaille ha adottato l’approccio “conflittuale” nei confronti della Bibbia e l’approccio “concordista” nei confronti del Corano. Per illustrare questa affermazione, considereremo il modo in cui affronta i giorni della creazione. Nella parte del suo libro consacrata alla Bibbia scrive al capitolo I:

Questa integrazione nel quadro di una settimana delle fasi successive della creazione… non è difendibile dal punto di vista scientifico. Si sa perfettamente, ai nostri giorni, che la formazione dell’universo e della Terra… è avvenuta a tappe che si estendono in periodi di tempo estremamente lunghi…

Anche se, come per il racconto coranico, fossimo autorizzati a considerare che si tratta in effetti di periodi non definiti piuttosto che di giorni propriamente detti, il racconto sacerdotale non risulterebbe meno inaccettabile.

Egli ammette quindi che la parola biblica “giorno” può significare un “periodo non definito”. Ma quando ritorna sullo stesso soggetto della creazione secondo il racconto coranico, al capitolo III del suo libro, dichiara:

Così compresa dalla Bibbia, la parola “giorno” definisce l’intervallo di tempo compreso tra due sorgere successivi o due calare successivi del Sole per un abitante della Terra.

Egli è dunque in contraddizione con se stesso avendo dimenticato ciò che aveva ammesso precedentemente, cioè che un giorno biblico poteva corrispondere ad un periodo di tempo – che è perfettamente difendibile dal punto di vista scientifico. Nel secondo passaggio prende nettamente posizione per limitare a 24 ore il “giorno biblico”, che non è più sostenibile scientificamente.

Da cui può giungere alla conclusione che si tratta di un “grossolano errore” del testo biblico.

Nella pagina seguente del suo capitolo sul Corano e la creazione, egli discute del significato della parola araba yaum (ﻡﻭﹷﻴ) tradotta con “giorno” e cita due versetti tratti dal Corano per provare che questa parola “poteva indicare un periodo di tempo del tutto differente”.

Il senso di “periodo di tempo” che può avere la parola si ritrova altrove nel Corano. È così che leggiamo Sura 32:5:

…in un Giorno (yaum) che sarà come mille anni del vostro contare. (È da notare che il versetto che precede il versetto 5 evoca proprio la creazione in sei periodi). [Parentesi del dott.

Bucaille]

…in un Giorno (yaum) la cui durata è di cinquantamila anni.

(Sura 70:4)

Tutto ciò appare convincente. Ma questo apprezzamento cambia quando ci riferiamo al contesto. La Sura As-Sajda (La Prosternazione) 32:4-5, del periodo meccano intermedio contiene le seguenti parole:

Allah è Colui che ha creato in sei giorni i cieli e la terra e tutto ciò che vi è frammezzo, quindi si è innalzato sul Trono. Al di fuori di Lui non avete alcun patrono o intercessore. Non ve ne ricorderete? Dal cielo dirige le cose della terra e poi tutto risalirà a Lui in un Giorno che sarà come mille anni del vostro contare.

La Sura Al-Ma’ârij (Le vie dell’ascesa) 70:4, del periodo meccano primitivo dichiara:

Gli angeli e lo Spirito ascendono a Lui in un Giorno la cui durata è di cinquantamila anni.

Il contesto indica quindi che questi “giorni” hanno una connotazione spirituale. I due testi fanno un riferimento implicito al Giudizio finale. In più, il secondo di questi passaggi tratta dell’ascesa degli angeli e dello Spirito. Nessuno dei versetti citati in appoggio può quindi provare il senso che rivestiva la parola yaum per i Meccani ai quali si indirizzava Maometto prima dell’Egira.

In effetti, è anche possibile che questi altri significati, più larghi, siano stati intenzionalmente accennati in reazione alla tendenza di allora di limitare il “giorno” alla durata di 24 ore. Abbiamo così quindi, se ce ne fosse ancora bisogno, la conferma dell’importanza del contesto.

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Comunque sia, accettiamo che questo senso di “periodo”

accordato alla parola araba yaum concili il Corano con le esigenze della scienza moderna. Ma allora, perché il dott. Bucaille, che si rallegra di poter adottare questo significato della parola yaum, non ha proceduto allo stesso modo con la Bibbia appoggiandosi, per esempio, sul testo seguente:

…mentre i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della perdizione degli empi. Ma voi carissimi, non dimenticate quest’unica cosa: per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno… ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento. 2 Pietro 3:7-9

Questa indicazione di tempo ha una portata “spirituale”.

Essa si applica al Giorno del Giudizio. In pratica è, esattamente, paragonabile all’uso coranico della parola “giorno”.

Nel loro libro Genesis One and The Origin of the Earth, Neuman e Eckelmann scrivono:

Non c’è affatto bisogno di procedere ad uno studio esaustivo della parola ebraica yom (giorno) per accorgersi che essa è usata generalmente come la parola “giorno” della nostra lingua. Così, essa può indicare sia la durata nella quale il Sole è effettivamente sorto, cioè approssimativamente dodici ore secondo le stagioni (Genesi 1:5; 1:14a), sia il giorno solare, cioè la durata che separa due sorgere del Sole, quindi 24 ore (Genesi 1:14b; Numeri 3:13), sia infine un periodo indefinito (Genesi 2:4; Ecclesiaste 12:3).

Perché il dott. Bucaille non menziona questi due ultimi riferimenti biblici? Genesi 2:4, che segue il racconto della creazione in sei giorni e il riposo del settimo, dichiara:

Queste sono le origine dei cieli e della terra quando furono creati. Nel giorno che Dio il SIGNORE fece la terra e i cieli…

Secondo ogni evidenza la parola “giorno” ingloba qui i sette giorni della creazione.

In Ecclesiaste 12:5 è detto:

…prima dell’età (letteralmente “giorno”) in cui i guardiani della casa tremano, gli uomini forti si curvano, le macinatrici si fermano perché sono ridotte a poche, quelli che guardano

dalle finestre si oscurano…

Questo versetto traduce una verità sotto una forma allegorica.

Diremmo in un linguaggio più moderno: “Verrà un tempo in cui, a causa della tua età, le tue membra tremeranno, le tue gambe si piegheranno… La parola “giorno” significa più semplicemente la

“vecchiaia”.

L’idea di fare corrispondere “periodo” alla parola araba yaum non è nuova. Sant’Agostino, nel IV secolo, aveva già suggerito che la parola ebraica yom poteva significare “periodo” poiché, secondo lui, i giorni della creazione hanno qualcosa di così grande, di così maestoso, di così profondo, che non saprebbero essere dei semplici giorni solari. Egli li qualifica come dei giorni innegabili:

dies ineffabiles.

Modern Science and Christian Faith, un libro pubblicato nel 1948, propone di identificare i sei giorni della creazione con dei periodi geologici. Questa teoria si è largamente diffusa.

Questo libro – e altri in inglese – non sono senza dubbio conosciuti dal dott. Bucaille, ma non sarà questo sicuramente il caso del libro di André Neher intitolato L’essentiel du prophétisme, pubblicato nel 1955. In una critica pubblicata dalla rivista Comprendre sul soggetto del libro La Bible, Le Coran, et la science il Frate Christian-Marie scrive così:

Segue un lungo studio della parola araba yaum… come se la parola ebraica yom del racconto della Genesi non fosse l’esatto corrispondente… Sarebbe bastato consultare uno dei migliori esegeti del Giudaismo contemporaneo, André Néher: In questo capitolo della Genesi, la parola yom ha tre sensi differenti. Al versetto 4, il giorno è identificato con la luce, o piuttosto, è il nome della luce. Yom quindi ha qui un significato cosmico; è un elemento della grande coppia di forze contraddittorie luce-tenebre. Al versetto 14, la stessa parola yom ha un senso astronomico; indica la giornata-rivoluzione a partire da un sorgere del Sole fino all’altro.

Sempre altrove, apparendo in conclusione degli elementi parziali del racconto della creazione, la parola yom ha ancora un senso differente: indica un periodo, un momento collegato ad un altro, che gli succede e annuncia il seguente. È così che la Bibbia usa, più avanti, la parola yom per le articolazioni della storia. Poco importa che le sette giornate della creazione

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siano anormali perché innegabilmente ripartite in rapporto al Sole: non sono delle giornate astronomiche, ma, se così si può dire, cronometriche; esse suggeriscono la mobilità del tempo, il suo avanzamento, in breve la STORIA… Sono i primi giorni di una successione di giorni che da ora in poi scandiranno la vita della creazione… essi definiscono la storia nel significato più largo di un DIVENIRE.

In conclusione, constatiamo che a dispetto del gran numero di prove del contrario, il dott. Bucaille ha scelto e valorizzato un’interpretazione della Bibbia che presenta questo libro come essendo in contraddizione con la scienza. Questo è ancora un esempio dell’approccio “conflittuale”.