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Benché i suoi trascorsi da irredentista gli avessero suggerito di affrontare il discorso di una eventuale azione bellica anti-asburgica spinta sino alle estreme conseguenze della dissoluzione della duplice monarchia, dichiarandosi apertamente contrario ad una sua conservazione nel futuro assetto politico assunto dal continente europeo, l'intervento di Colocci era soprattutto preoccupato di spiegare ai propri lettori la centralità della questione adriatica e le sue possibili risoluzioni, perché determinante nel suggerire al governo quale tipo di condotta adottare. Anche l'opera dell'intellettuale di Jesi, in

419 Ivi, pp 44-45. 420 Ibidem.

definitiva, dimostrava di condividere il punto di vista presentato dal primo volume de La

guerra d'Italia, la già citata opera a fascicoli licenziata da Treves a guerra ancora in corso.

Nella sua rilettura a posteriori della recente scelta interventista, la casa editrice milanese avrebbe, infatti, consegnato ai posteri un'immagine profondamente diversa da quella del conflitto continentale e terrestre che si sarebbe poi cristallizzata ed imposta nell'immaginario collettivo nazionale, sottraendo visibilità, e quindi importanza, alla sua dimensione navale e marittima. Postulata, infatti, l'impossibilità, per un testo sintetizzato mentre al fronte ancora si combatteva, di analizzare l'esperienza bellica secondo logiche interne: nazionalizzazione delle masse, protagonismo dei ceti subalterni, “guerra civile eruropea” e “guerra ai civili europei” (tutte conquiste della recente ricerca storiografica), la prosa de La guerra d'Italia non parlava (se non in termini meramente strumentali) di ostacoli geografici da elevare a confine politico o di regioni sorelle da redimere, inglobandole nel più ampio corpus della madrepatria, perché ciò che realmente contava nella linea interpretativa da essa offerta era il possesso di porti, mari, coste.

Servendosi del contenuto di un telegramma, inviato da Jean Barrere al Temps, per chiarire all'opinione pubblica francese lo stato delle trattative fra Italia ed Austria- Ungheria, la narrazione avrebbe quindi sottolineato la centralità del problema dell'Adriatico, determinata dall'intollerabile possesso asburgico di “Pola, Sebenicco, Cattaro, soprattutto [del]l'arcipelago dalmata, un insieme di posizioni strategiche di prim'ordine”, che Vienna non avrebbe mai acconsentito ad abbandonare o neutralizzare e alle quali Roma non poteva opporre una base navale altrettanto valida ed efficace. Sollecitati dagli sconvolgimenti verificatisi in tutta Europa, i rapporti fra i due alleati si trovavano di conseguenza ad una svolta: considerando la situazione vigente insostenibile, il governo italiano avrebbe, infatti, preteso la concessione di “solidi punti di appoggio nella parte orientale dell'Adriatico”, che, però, le autorità imperial-regie, gelose di questa loro possibilità di mantenere in soggezione un vicino da sempre considerato infido ed inaffidabile, avrebbero continuato ad ignorare.

L'Austria […] mantiene fermo il principio che tutto l'insieme delle sue posizioni marittime deve essere conservato. In queste condizioni […] una base di accordo […] nessuno la vede. Un'altra gravissima difficoltà creata dallo stato attuale della guerra pesa sulle trattative e le turba. Attualmente l'Austria è seriamente minacciata da una invasione russa e da una eventuale ripresa di operazioni che potrebbero tentare i serbi quando i russi fossero discesi dai Carpazzi nella pianura ungherese. Ora l'Italia sente l'enorme pericolo che correrebbero i suoi interessi nell'Adriatico se accontentandosi di qualche modesta cessione di territorio austriaco, essa si mantenesse estranea al conflitto ed immobile davanti allo smembramento della Duplice Monarchia. L'Italia comprende che nella sua assenza gli slavi meridionali, rappresentati dalla Russia, si sostituirebbero all'Austria-Ungheria in tutte le sue posizioni nell'Adriatico.421

Per il politico francese, la monarchia sabauda non si sarebbe lasciata sfuggire

l'occasione offertale dalla particolare congiuntura internazionale e a convincerla sarebbe stato il timore di ritrovarsi esclusa da una futura riorganizzazione del contesto adriatico- balcanico (inevitabile all'indomani di un conflitto destinato a mettere in discussione tutti gli equilibri all'epoca vigenti), se avesse accettato di barattare la sua partecipazione alla guerra con un accordo preventivo, destinato a divenire carta straccia in caso di sconfitta della duplice monarchia o a non esser rispettato in caso di una sua vittoria.

Questa situazione pesa dunque sulle trattative con l'Austria, giacché l'Italia può temere che se essa conclude un accordo preventivo con lo stato agonizzante, l'eredità passi ad un terzo. Un altro ordine di difficoltà è la sorte delle popolazioni italiane soggette all'Austria […] perseguitate […] a beneficio della razza slava. […] se in un avvenire più o meno prossimo l'Austria mancasse alle sue promesse, questo sarebbe un nuovo motivo di guerra che l'Italia dovrebbe sostenere da sola contro l'Austria. D'altra parte, se l'Austria cade sotto i colpi della Russia e se tutta la costa adriatica diventa possesso della Serbia o di qualche altro stato slavo, questa popolazione italiana sarebbe definitivamente sottomessa. Un'altra difficoltà enorme è anche Trieste. Per l'Italia, accettare il Trentino e abbandonare Trieste alla sua sorte è impossibile […] significherebbe sacrificare ingiustamente una popolazione che ha eroicamente lottato per per mantenere il suo carattere italiano. Ma l'Austria vuole conservare Trieste, il suo polmone marittimo.422

Faticava non poco a trovare posto, in questa particolare giustificazione di una scelta interventista operata da pochi, il binomio Trento e Trieste, destinato a divenire col tempo efficace escamotage mediatico, utile a sottrarre alla guerra, se non il suo carattere aggressivo, quanto meno le sue esplicite finalità imperialiste e sopraffattorie, fissando nell'immaginario collettivo dei contemporanei e delle generazioni a venire l'illusione di aver visto padri e fratelli maggiori mobilitarsi e partire per andare a liberare, da catene e da cippi secolari, terre sorelle, al solo scopo di ricondurle fra le braccia della loro legittima madre.

Ancora una volta a permetterci di comprendere appieno quanto spazio fosse riservato in principio al solo binomio Trento-Trieste è sempre la prosa licenziata a fascicoli da Treves (dato il suo carattere di sunto istantaneo volto ad organizzare i “quadri sociali delle memoria” di un passato tanto vicino nel tempo da definirsi prossimo a fatica).

A questo punto va tenuto conto di quanto un altro giornalista deputato, il Torre, stampava l'otto e il nove marzo nel Corriere della Sera, a fissare il valore delle trattative in corso, quali supponevansi, e la portata delle vere aspirazioni dell'Italia. “Le voci sulle trattative – scriveva egli – si sono riferite solamente a eventuali cessioni territoriali dell'Austria all'Italia. Non ad altro. Se le presunte trattative si svolgono su questo fondamento hanno un valore talmente parziale e limitato, che nessuno può credere che abbiano la virtù di risolvere, per parlare di noi, la questione italiana. La guerra determinerà un nuovo assetto dell'Asia ottomana e dell'Africa. Le trattative

dunque, per essere serie, avrebbero dovuto riferirsi all'insieme delle questioni internazionali che sono connesse fra di loro. Separarne una dalle altre, limitarsi a trattare quella sola, non può essere buona opera politica, non può essere opera conclusiva. Orbene […] le antiche condizioni che giustificavano la Triplice Alleanza sono distrutte; quelle che la guerra creerebbe, se Germania e Austria fossero vincitrici, assegnerebbero all'Italia un tal posto e una tale figura, da non invogliare il nostro paese a dare aiuto agli imperi centrali per la vittoria. L'Italia non può non vedere tutto ciò. […] per noi non di tratta di accrescere il territorio nazionale di qualche altra provincia, bensì di risolvere un triplice problema: il compimento dell'unità nazionale; la sicurezza militare del confine terrestre e la sicurezza marittima nell'Adriatico; infine la definizione dei rapporti con i popoli jugo-slavi.423

L'articolo sarebbe poi proseguito spiegando ai lettori come ognuno dei punti appena elencati costituisse occasione di contrasto insanabile fra Italia ed Austria-Ungheria, perché quest'ultima non avrebbe mai acconsentito ad accogliere le richieste avanzate da Roma per garantire il rispetto della specifica identità culturale ed etnica degli italofoni soggetti alla giurisdizione asburgica; soprattutto dimostrava di non comprendere l'esigenza italiana di far coincidere anche il confine nord-orientale del Regno con un ostacolo fisico strategicamente rilevante, come una catena montuosa.

L'Italia ha bisogno di avere il suo confine naturale, che è segnato dalle Alpi; soltanto quel confine può darci la sicurezza; soltanto con quel confine sarà meno difficile resistere alle pressioni del mondo tedesco e del mondo slavo. Al di qua della catena delle Alpi vi sono tedeschi e slavi; ma l'Italia sa considerare liberamente le altre nazionalità e non può rinunciare al confine naturale geografico che è per lei una garanzia di sicurezza militare e di indipendenza politica. Il confine che oggi abbiamo è talmente svantaggioso per noi, che anche in momenti come questi, in cui l'Austria è indebolita enormemente dalla guerra, costituisce per l'Italia una difficoltà militare gigantesca.424

Risultava, dunque, indispensabile modificare questo status di pericolosa inferiorità strategica dalle inevitabili conseguenze politico-diplomatiche, la soggezione che la monarchia danubiano-balcanica ruisciva ad esercitare sul vicino italico minacciandolo di continuo per terra e soprattutto per mare, grazie alla miglior conformazione morfologico- geografica della costa orientale in suo possesso rispetto a quella occidentale, soggetta alla giurisdizione di Roma.

L'Austria può offenderci con grande facilità perché la conformazione delle coste orientali e settentrionali dell'Adriatico, che sono in suo possesso, si presta alla facilità dell'attacco e della difesa, mentre la costa italiana dell'Adriatico è inadatta alla difesa e all'offesa navale. L'Austria domina perciò naturalmente nell'Adriatico e vi

423 Ivi, pp 246-248. 424 Ibidem.

dominerà qualsiasi altra potenza sarà in possesso di quelle parti della costa e di quelle isole da cui si può agevolmente minacciare l'altra sponda, l'italiana. Questa situazione l'Italia ha bisogno che sia rovesciata a proprio vantaggio; solo in questo modo ella può essere Potenza dominantrice nell'Adriatico, e non avere preoccupazioni in questo mare. Solo in questo modo, assicurata la sua difesa territoriale e marittima al confine orientale e nell'Adriatico, l'Italia può svolgere con libertà maggiore dell'attuale la sua azione nel Mediterraneo.425

Prerequisito fondamentale di ogni ipotesi di revisione dei rapporti di forza all'epoca vigenti era, quindi, la possibilità, per l'Italia, di imporsi, armi alla mano, al secolare nemico germanofono. Lo sforzo intrapreso e la vittoria auspicabilmente conseguita si sarebbero, però, rivelati totalmente inutili, se il paese non le avesse integrate e corroborate attraverso un'intesa, onesta e sincera, con le popolazioni slavo-meridionali insediatesi al di là del bacino conteso, cui l'Italia avrebbe dovuto concedere “il diritto di avere la loro parte dell'Adriatico.”

Noi possiamo intenderci con essi e per lungo tempo stabilire relazioni che giovino reciprocamente alle due nazionalità. Gli sloveni, i croati, i serbi, se non organizzati dall'Austria contro gli italiani possono senza grandi difficoltà accordarsi con l'Italia. […] l'Austria non può […] stabilire relazioni pacifiche, collaborazioni fra italiani e slavi dipendenti da lei; ella ha armati gli uni contro gli altri, ne ha accuiti i dissensi, ne ha irritati gli animi. Questi problemi l'Austria non può risolverli in nessun caso secondo le nostre aspirazioni, i nostri bisogni e le nostre necessità.426

Nella ricostruzione dei dibattiti della vigilia, esigenze strategiche e tensioni nazionali ad esse correlate delineavano con chiarezza uno sforzo bellico destinato a concentrarsi per lo più ad oriente, come di fatti poi avvenne, ma secondo logiche diverse (per non dire antitetiche) rispetto a quelle assunte dal mancato balzo in avanti, lungo la direttrice Lubiana-Vienna, e dalle fallimentari spallate sull'Isonzo.

Certo la questione dell'Adriatico era delle più difficili e per l'Austria e per noi – specie per noi in riguardo alle aspirazioni slave, onde erano preoccupate la stampa e l'opinione pubblica in Russia […] ed in Serbia. […] La Tribuna così commentava: “[...] una questione così complessa e delicata come quella adriatica non potrà mai essere considerata alla stregua di principi unici, quali che essi siano, sotto pena di cadere in un semplicismo necessariamente unilaterale e perciò dannoso. Ed è innegabile che il problema adriatico non risulta solo di elementi e di dati etnici, ma anche e soprattutto di elementi strategici che non possono in alcun modo essere perduti di vista e che sono del resto, per quel che riguarda l'Italia, corroborati largamente in parte non solo da ragioni storiche, ma anche da ragioni etniche stesse.” sin qui La Tribuna. L'interventista Corriere della sera, poi, consentendo pienamente in quanto afferma la

425 Ibidem. 426 Ibidem.

consorella romana, aggiungeva come non certamente alla Serbia toccasse di esigere un troppo rigido riconoscimento di quel principio di nazionalità che essa si mostrava disposta a interpretare con maggior latitudine quando confermava la sua aspirazione ad annettersi una porzione dell'attuale territorio albanese e, quindi, ad avere, fra i proprii, dei sudditi di nazionalità non serba. Lo stesso faceva la Serbia quando affermava il suo buon diritto su quella parte della Macedonia, annessa in seguito alla seconda guerra balcanica, ed alla quale non mancano abitanti di nazionalità bulgara. Lo stesso essa faceva infine, quando, proclamando la giustezza di certe sue aspirazioni adriatiche, affermava implicitamente l'intenzione di voler includere fra le proprie frontiere contingenti notevoli, se non vastissimi, di popolazione prettamente italiana.427

Le endiadi della mobilitazione ideologica dalle finalità talassocratico-imperialiste erano invece rappresentate dal nome di due mari, l'Adriatico ed il Mediterraneo, che la propaganda avrebbe cercato di presentare al grande pubblico come binomio indissolubile, nella speranza di elevarli a dognatica parola d'ordine fra quanti si fossero dimostrati favorevoli all'ingresso in guerra del paese.

L'enorme importanza di un sicuro confine orientale per la vita e l'avvenire della nazione non è un artificio improvvisato a favore della propaganda per la guerra contro l'Austria, ma è una realtà indiscutibile, preesistente, immanente e, come tale, avvertita e precisata nei suoi termini più chiari da tutta una serie di illustri statisti e militari. […] dicono tutti, con compatta unanimità, non poter essere l'Italia veramente e completamente libera, sicura, indipendente, fin tanto che l'Austria […] domina militarmente le nostre terre. E, quando si hanno le spalle scoperte, non è consentito di perseguire una politica veramente nazionale, egoisticamente nazionale. Il paese non può avere aspirazione più alta e più grande di questa: essere sicuro, essere padrone in casa propria.428

L'autore avrebbe quindi iniziato a spiegare ai propri lettori quale ruolo avessero, nelle logiche difensive adottate dall'Italia, le terre poste al di là dell'Adriatico e la loro ripartizione in entità statali distinte, in taluni momenti contrapposte, all'epoca addirittura nemiche. L'antagonismo che aveva diviso Austra-Ungheria e Serbia e che aveva indotto i due stati a scontrarsi, aveva sempre rappresentato un efficace deterrente contro ogni ipotesi di aggressione asburgica da nord e da nord-est, perché, in caso di guerra preventiva scatenata contro l'Italia, il governo di Vienna non avrebbe mai potuto escludere l'eventualità di poter essere a sua volta assalito dall'esercito della monarchia capeggiata dai Karagiorgevic. Se, grazie alla guerra allora in corso, il colosso asburgico fosse riuscito ad ingrandirsi a spese del piccolo stato balcanico, sarebbe venuto meno “un notevole coefficiente autonomo indiretto per la nostra difesa.”

427 Ivi, pp 270-272.

428 Mario Alberti (del Museo Commerciale di Trieste), Adriatico e Mediterraneo, in: Problemi italiani, n° 5 del

Il giorno in cui esso venisse a mancare, noi ci troveremmo <<eo ipso>> in condizioni notevolmente peggiori, anche perché l'Austria-Ungheria vittoriosa dopo l'immane conflitto attuale, avrebbe ben altra forza di prima. Di più, una volta domata la Serbia – centro dell'irredentismo sud-slavo – […] dovrebbe inaugurare nelle sue province meridionali popolate di slavi, una politica più decisamente favorevole ad essi per tenersene favorevole la massa numerica. E cio accadrebbe, come già avanti la guerra e in misura ancor più grave di allora a spese delle province italiane, contro le quali verrebbe scatenata la marea delle ambizioni slavo-austriache.429

Le ripercussioni del contenzioso etnico così avviato si sarebbero tradotte in un ulteriore aggravio di una inferiorità strategica già all'epoca estremamente pericolosa:

Noi possiamo ancora considerare <<mare nostrum>> l'Adriatico, perché Trieste, Fiume, Zara, Spalato, ecc. sono città italiane, sebbene sotto giogo straniero. Ma il giorno in cui si rinunciasse definitivamente al possesso della costa orientale (e questo ognun lo capisce, accadrebbe qualora non si approfittasse di quell'occasione unica, ch'è l'attuale guerra mondiale) l'Italia non dominerebbe sull'Adriatico, ma ne sarebbe dominata, giacché Trieste, Fiume ed i principali porti dalmati dispongono di una marina mercantile e di un volume di traffici superiore a quelli uniti di Venezia, Ancona, Bari, Brindisi e degli altri porti minori della costa adriatica del Regno. In breve volger di anni l'eroica resistenza delle città italiane d'oltre confine crollerebbe innanzi alla violenza slavizzatrice del governo austriaco. […] la fine dell'italianità delle coste orientali d'Italia minaccerebbe l'Italia nella sua stessa esistenza, poiché lo jugo-slavismo austriaco non si accontenta, come quello serbo, della parte meridionale della Dalmazia, ma stende le sue mire sugli slavi del Friuli, su Udine, […] su Venezia […]. Slavizzate Fiume, Zara e Trieste […] l'Adriatico diventerebbe un mare prevalentemente slavo, quasi un lago slavo-austriaco.430

Vistasi inferto anche quest'ultimo colpo, l'autocoscienza navale e marittima del paese, già di per sé anemica e deficitaria, sarebbe venuta definitivamente meno, condannando l'Italia a subire, anche in Adriatico, la deleteria ghettizzazione da tempo patita nel Mediterraneo. Entrata in possesso di Serbia e Montenegro, inglobandole nei propri confini politici o assogettandole indirettamente, mediante il consolidato meccanismo dell'unione doganale, l'Austria-Ungheria non avrebbe soltanto incrementato le porzioni di costa orientale a sua disposizione, avrebbe soprattutto ridotto drasticamente le possibilità di penetrazione economica, nei Balcani, del capitale e dell'industria italiani. Se Roma avesse, invece, optato per l'ingresso in guerra a fianco dell'Intesa e fosse riuscita a sconfiggere la duplice monarchia, questa vittoria non avrebbe solo garantito “la reintegrazione della patria nei suoi confini naturali e, quindi, la completa sicurezza delle frontiere;”

429 Ibidem. 430 Ibidem.

non solo il possesso del Trentino, della Venezia Giulia, con i porti di Trieste e Fiume, e di parte della Dalmazia; non solo quell'assetto dell'Albania che sarebbe il più confacente agli interessi italiani; non solo quella spontaneità ed intensità di rapporti commerciali italo-balcanici che sarebbero la naturale conseguenza della costruzione di una ferrovia Danubio-Adriatico; non solo la completa ed assoluta padronanza militare sull'Adriatico, mercé il possesso di Pola, di isole e di porti della Dalmazia e di Vallona; non solo un più grande campo libero di espansione commerciale italiana nei Balcani grazie alla sottrazione della Bosnia e d'altre regioni alla economia austriaca ed al loro incorporamento nell'economia serba, montenegrina, ecc; ma altresì […] il dominio economico sull'Adriatico […]431

Questa capacità di controllare il bacino prima contesole dalla dinastia degli Asburgo, avrebbe quindi consentito all'Italia di evocare a sé buona parte dei traffici terrestri di tutta “l'Europa centrale, dalla Svizzera alla Germania meridionale, all'Austria, all'Ungheria, alla Croazia; consentirebbe un fortissimo incremento di prestigio economico e politico nei Balcani e nel Levante, favorirebbe un intenso spiegamento d'influenza e di interessi economici nell'Asia Minore, in cui l'Italia potrebbe vantare maggiori diritti; assegnerebbe all'Italia il primato mercantile marittimo e, di converso, anche politico nel Mediterraneo.”

L'annessione di Trieste e Fiume all'Italia […] il possesso della Venezia Giulia ci assicurerà […] primato marittimo mercantile nel Mediterraneo. […] l'Italia possedendo Genova, Venezia, Trieste e Fiume dominirà le correnti di traffico fra l'Europa di mezzo ed il bacino mediterraneo. Genova è, per i traffici mediterranei, il porto della Svizzera, Venezia quello della Germania meridionale, orientale e dell'Austria, Fiume dell'Ungheria e della Croazia […], l'Adriatico sarà restituito all'Italia, al suo dominio. Da Venezia, da Trieste, da Fiume, da Zara, da Bari, da Spalato, l'Italia monopolizzerà tutto quanto il traffico adriatico; sarà la grande instauratrice di nuovi commerci fra l'Adriatico e i Balcani, fra l'Adriatico e il Levante. Non più allora inquietanti concorrenze di marine straniere nell'Adriatico; non più la pressione di potenti commerci esteri tendenti a scacciare dall'Oriente i traffici italiani! Allora finalmente l'Adriatico sarà proprio dell'Italia e per l'Italia. Poiché con l'annessione di Trieste e Fiume l'Italia non solo avrà nelle sue mani tutte le fila delle