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Il quadro storico-fattuale, che oggi è possibile ricostruire, si sarebbe rivelato, però, leggermente diverso. Si poteva certo asserire fosse presente in quegli anni una preoccupante tensione etnica fra elemento italofono e slavi, capace anche di generare forme di contrapposizione aggressiva e violenta, come nel 1906, quando gli annuali festeggiamenti del Sokol, l'associazione con sede a Sussak al cui interno militavano numerosi giovani patrioti croati, sarebbero sfociati in disordini, durante i quali i Sokolisti avrebbero malmenato alcuni regnicoli italiani residenti a Fiume, devastandone le proprietà.521 Ciononostante, l'allarme lanciato da Burich, nel suo complesso, poteva dirsi

infondato, perché il dissenso fra autorità magiare e rappresentanti dell'amministrazione locale fiumana non poteva essere considerato in alcun modo riconducibile ad una fantomatica avversione anti-italiana della corona di Santo Stefano; esso era, invece, espressione di un contrasto sempre più violento fra un centro desideroso di sopprimere forme di autonomia di stampo medievale, divenute oramai inaccettabili agli occhi delle istituzioni centrali, ed una periferia determinata a difenderle ad ogni costo.522

Il dissidio non sarebbe dunque nato da una volontà snazionalizzatrice di Budapest ai danni di Fiume e della sua autocoscienza italiana, ma dalla volontà di imporre le prerogative proprie di uno stato moderno anche all'interno della città affacciantesi sul Quarnero. Cercare di affermare la superiorità del potere centrale sulle autonomie ed i poteri locali, non avrebbe, però, assunto i connotati della sopraffazione pura e semplice, perché il successore di Bànffy, Kàlmàn Széll, pur escludendo che l'introduzione di leggi varate dalle istituzioni ungheresi potesse essere subordinato all'approvazione dei fiumani (che, quindi, avrebbero potuto anche respingerle), si reputava pur sempre il primo ministro di un governo costituzionale; di conseguenza, avrebbe promesso agli abitanti di Fiume pieno rispetto delle “particolari condizioni della città”.523

In parallelo a questa volontà di arrogare a sé le prerogative proprie della sovranità statale moderna, sarebbe dovuta crescere anche la presenza militare magiara, sotto forma di polizia confinaria e di battaglioni di fanteria. Un incremento di densità militare reso in parte necessario dall'accuirsi delle contrapposizioni etniche fra italofoni e slavi all'interno della città stessa, autentico crocevia di popoli e di culture, ove, quotidianamente, affluivano slavofoni della limitrofa Sussak, l'agglomerato urbano sito sulla sponda sinistra

520 Ivi, p 28.

521 Cfr Gianluca Volpi, Fiumani, ungheresi, italiani. La formazione dell'identità nazionale a Fiume nell'epoca dualista (1867-1914), in: Marina Cattaruzza (a cura di), Nazionalismi di frontiera. Identità contrapposte sull'Adriatico nord- orientale 1850-1950, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, p 68.

522 Cfr Ivi, p 65. 523 Cfr Ivi, pp 62-63.

della Fiumara ed unito a Fiume da alcuni ponti, ed italofoni dall'Istria, propagatori di “tendenze politiche irredentiste”.Nei progetti elaborati dal ministero della difesa, questi propositi si sarebbero dovuti tradurre in una riforma radicale, tesa cioè a sostituire la vecchia gendarmeria dipendente dalla milizia territoriale e le guardie civiche con corpi armati che vestissero la divisa dello stato, così da ribadire, ancora una volta, il primato del potere centrale sulle autonomie locali. Le proteste sollevate, però, impedirono che, dalla teoria, si passasse alla prassi.524

Solo l'affollarsi di troppi propositi di riforma abortiti e l'emergere di un nazionalismo magiaro connotato da una pressante propensione assimilatrice, avrebbero finito per generare un forte sentimento di avversione ai danni di Fiume e della sua popolazione di lingua italiana.525

A questo si aggiunse l'importanza sempre maggiore attribuita al porto, in un'ottica di ampio respiro, finalizzata a sviluppare una marineria ungherese (mercantile e militare) competitiva, cui affidare il compito di equiparare le due nazionalità membre del direttorio anche in termini di contributo offerto alla difesa navale e marittima dell'Impero.526 Lungi

dal poter contribuire a stemperare gli animi e ad appianare le divergenze, essa avrebbe, invece, accentuato gli interessi della corona di Santo Stefano verso la città affacciantesi sul golfo del Quarnero, sede di cantieri navali e di un importante silurificio. Soprattutto, avrebbe persuaso il governo centrale a non lasciare fossero élite locali a decidere di questioni divenute oramai di interesse nazionale (punto di vista condiviso anche da una parte dell'opinione pubblica ungherese presente a Fiume). Sempre più, quindi, si sarebbe diffuso un forte malcontento popolare, alimentato dal contenzioso sorto fra il carattere accentratore dello stato moderno ed antiche forme di autonomia, percepite come non più legittime dai vertici dello stato stesso. La radicalizzazione dello scontro sarebbe dipesa dalla convinzione, nutrita da entrambi, di essere nel giusto.527

Quando, poi, iniziò a diffondersi una nuova sensibilità politica, diretta conseguenza del costituirsi di organizzazioni ad indirizzo esplicitamente irredentista quali la Giovane

Fiume, cui aderirono soprattutto le generazioni cresciute “nel pesante clima di

contestazione nei confronti del governo”, i contrasti si sarebbero ulteriormente acuiti. Il concetto di italianità da esse elaborata e veicolata, infatti, oltre ad essere puramente teorico, perché del tutto avvulso anche dalla più elementare forma di esperienza della realtà politico-istituzionale esistente oltre Adriatico, si sarebbe saldato, alimentandolo, ad un forte sentimento di rifiuto (molto spesso frammisto a frustrazione sociale) nei confronti di un quotidiano oramai percepito come alieno, perché sentirvisi integrati avrebbe comportato “l'accettazione supina dell'ordine imperiale e regio, nonché lo studio del tedesco e dell'ungherese.”528

La città si sarebbe ritrovata, quindi, divisa fra irredentisti italiani, nazionalisti magiari, slavofoni aderenti al Sokol e la vecchia componente autonomista, capeggiata da

524 Cfr Ivi, pp 63-64. 525 Cfr Ivi, pp 64-65. 526 Cfr Ivi, pp 65 e 71.

527 Cfr Gianluca Volpi, cit, p 66. 528 Cfr Ivi, p 69.

uomini politici quali Riccardo Zanella, destinato a diventare obbiettivo di tutte le critiche possibili, a causa del suo status di italofono consapevole della propria italianità, sostenitore convinto dell'autonomia di Fiume e, ciononostante, del tutto estraneo a propositi indipendisti. Finché le forze che in lui si riconoscevano si fossero dimostrate capaci di fungere da ago della bilancia della burrascosa situazione politica, attenuando e frenando gli antagonismi delle opposte fazioni, sarebbe stato quanto meno possibile conservare un minimo di equilibrio.

Situazione analoga avrebbe vissuto anche Pisino, dove, a cominciare dagli anni ottanta dell'Attocento, forme di antagonismo etnico-linguistico fra componente italofona ed elemento slavo avrebbero incominciato ad affiancare le tradizionali tensioni politiche, che dividevano istituzioni imperiali ed autonomie locali.529 A determinarle, sarebbe stata

una progressiva mobilitazione delle masse rurali, che eclesiasti slavi provenienti da ogni angolo della duplice monarchia avrebbero educato all'autocoscienza nazionale530,

insegnando loro a considerare sé stessi altro rispetto alle élite residenti in città, nelle cui mani erano da sempre accentrati potere economico ed influenza politica. Altrettanto determinanti, in questo lento ma inesorabile percorso di auto-promozione sociale intrapreso dagli slavofoni delle campagne, furono anche la possibilità di disporre di guide che avessero svolto il loro apprendistato scolastico lontano dall'Istria, presso il ginnasio di Karlovac (già frequentato da Ljudevit Gaj), dove avrebbe infatti studiato il principale

leader della mobilitazione politica degli slavi di Pisino, il vescovo Dobrila, e di intellettuali

quali Jakob Volčič (poi ribattezzato dai croati Jakov Volčić), sloveno eppure a tutti noto per aver dato un considerevole impulso “alla rivitalizzazione del folclore croato istriano e allo studio del glagolitico.”531 In fine, il contesto urbano si sarebbe dicotomicamente diviso

anche perché la ripartizione su base etnico-linguistica sarebbe divenuta efficace veicolo di diffusione di importanti legami clientelari e le diverse forme di associazionismo sviluppatosi durante gli ultimi ventanni dell'Ottocento avrebbero incominciato a percepire come esigenza sempre più impellente la possibilità di essere inserite in uno dei due schieramenti. Chi vi fosse rimasto estraneo (austro-tedeschi, socialisti, zone grigie), sarebbe stato infatti progressivamente marginalizzato.532

Istruiti dal clero di campagna (che così avrebbe avuto modo di controbattere al laicismo dai forti accenti anti-clericali professato dall'alta borghesia urbana)533 e da licei

croati (fondati, assieme a quelli italiani, dopo il trasferimento a Pola del ginnasio in lingua tedesca)534, anche la componente slava sarebbe stata quindi in grado di impossessarsi di

parte del potere economico e di esprimere figure capaci di contendere agli italiani ruoli di

529 Cfr Vanni D'Alessio, Italiani e Croati a Pisino tra fine Ottocento e inizio Novecento: la costruzione di identità coflittuali, in: Ivi, p 88.

530 Cfr Ivi, pp 89-91, ove l'autore sottolinea l'origine estremamente variegata di parroci e curati, provenienti

da Croazia e Dalmazia, ma anche da Carniola, Stiria, Boemia, Moravia, Istria, Trieste e Quarnero.

531 Cfr Ivi, pp 90-91. 532 Cfr Ivi, pp 111-112.

533 Cfr Ivi, p 111. Cfr anche Mario Isnenghi, Storia d'Italia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla società dello spettacolo, Editori Laterza, Roma-Bari 2011, pp 286-287, ove l'autore evidenzia l'esistenza di fenomeni simili

anche in Trentino e in Veneto.