• Non ci sono risultati.

Antagonismo etnico senza inimicizia italo-slava 482 Cfr Ivi, pp 86-87.

483 Cfr Antonio Graziadei, La guerra e..., cit, in: Ivi, p 87. 484 Cfr Antonio Graziadei, La conflagrazione e..., cit, pp 98-99.

Benché il dibattito sulla guerra non avesse ancora assunto i connotati di quella feroce tensione etnico-raziale485, che, opportunamente fomentata e strumentalizzata,

avrebbe in seguito contraddistinto l'interazione italo-jugoslava486, discrimine

imprescindibile di molte ipotesi di ricomposizione pacifica del contenzioso (e, di contro, obbiettivo primario di un'eventuale azione bellica a fianco dell'Intesa) sarebbe dovuto essere il raggiungimento di un nuovo assetto geo-politico e geo-strategico nettamente favorevole all'Italia, soprattutto in Adriatico:

sorgevano sulle trattative tedesche-italiane deduzioni, che la Tribuna riassumeva […] così: […] necessità di accedere ad una rettifica dei confini italo-austriaci tale che garantisse al nostro paese una maggiore sicurezza e una più serena fiducia nelle disposizioni amichevoli dell'Austria verso di noi; necessità di dare all'Adriatico, inclusa l'Albania, una sistemazione più soddisfacente per l'Italia a tale che eliminasse le ragioni di discordia fra noi e l'Austria; necessità di accordare all'elemento italiano che sullo stesso territorio si trova commisto a quello di altre nazionalità e che rimarrebbe soggetto all'Austria, efficaci garanzie per lo sviluppo della sua individualità etnica e culturale; e che l'Austria non fosse aliena dal riconoscere l'opportunità di cedere all'Italia quei territori sui quali vivono delle popolazioni italiane compatte. Questi i criteri […] Senonché, iniziate le conversazioni […] questi criteri dall'astratto e dal generico dovevano entrare nello specifico e nel concreto; […] trovare la loro sostanziazione nell'offerta precisa e positiva fatta dall'austria. L'hanno trovata? […] le offerte fatte dall'Austria sono state fino ad ora tali da dare all'Italia […] una maggiore sicurezza, una più efficace garanzia alla nostra frontiera nord- orientale; da far passare a noi i territori nei quali vi sono popolazioni italiane compatte; da assicurare e garantire l'italianità di quelle popolazioni le quali trovandosi miste a quelle di altre razze rimarrebbero sotto il dominio dell'Austria; e infine da sistemare la situazione adriatica in modo più soddisfacente per noi? […] Questo è il centro della questione e della soluzione […] Noi naturalmente nulla possiamo dire in proposito.487

Convinzioni esternate, in quello specifico frangente storico, anche dal nazionalista Gualtiero Castellini in un volume dato alle stampe da Treves, sul finire del '14488, per 485 Cfr a tal proposito: Mark Thompson, cit, pp 90-93, ove l'autore sottolinea come i problemi di tenuta

interna verificatisi sui fronti balcanico ed orientale (dove il sentimento filo-russo di serbi e cechi rappresentava un problema non indifferente per le autorità asburgiche), scomparissero negli scontri con l'esercito italiano, sempre sostenuti con particolare ardore da sloveni, dalmati slavofoni e bosniaci, impegnati a difendere il possesso di Istria e Dalmazia.

486 Cfr Rolf Wörsdörfer, Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955, Società editrice il Mulino,

Bologna 2009 (edizione originale: Krisenherd Adria 1915-1955. Konstruktion und Artikulation des Nationalen im

italienisch-jugoslawischen Grenzraum, Paderborn, Schöningh 2004), pp 291-297. 487 La guerra d'Italia..., cit, p 284.

488 Cfr, nell'ordine, Gualtiero Castellini, Trento e Trieste, l'irredentismo e il problema adriatico, Fratelli Treves

illustrare, ricostruire, spiegare le metamorfosi conosciute dall'ideale irredentista (o, a voler esser più precisi, l'avvenuta metabolizzazione delle sue valenze antisistemiche e sovversive489, che ne resero possibile l'assimilazione e l'utilizzo anche da parte delle

destre).

Abbandonata la dimensione puramente regionale (cioè quella di ideologia egalitaria impegnata a rivendicare solo il possesso di terre abitate da connazionali), esso divenne punto focale (oggi diremmo prisma deformante) e motore propulsivo di una nuova volontà espansionista.490

[…] l'ultimatum austriaco alla Serbia […], lo scoppio della guerra europea […] e la dichiarazione della neutralità italiana […] D'un colpo l'Italia […] riacquista la sua libertà d'azione e – pur dovendo mantenersi neutrale – vigila alla soluzione del problema adriatico […] problema di egemonia su quel mare e su quei confini […] problema di Trento, di Trieste e di Zara. […] La guerra europea […] prendendo origine e pretesto dal contrasto balcanico ha riproposto subito all'Italia anche il problema dell'irredentismo. In verità la soluzione del conflitto italo-austriaco non potrà avere che quest'esito logico: la fine dell'irredentismo con l'annessione delle terre italiana soggette all'Austria e l'inizio di una nostra egemonia adriatica e quindi di una influenza sui Balcani in accordo con gli slavi; la soppressione insomma del terzo fattore del conflitto, l'Austria, che era riuscita a mettere in duro contrasto quelli che dovranno essere i due fattori risolutivi: italiani e slavi.491

Il giovane intellettuale nazionalista si sarebbe quindi lanciato in una pesante invettiva contro l'impenitente triplicismo di buona parte della classe politica italiana, colpevole di essersi illusa di poter conferire carattere imperituro ed eterno ad uno

Editori, Milano 1915 e Gualtiero Castellini, Trento e Trieste, l'irredentismo e il problema adriatico, Fratelli Treves Editori, Milano 1918. Il volume, composto nel '14 (l'introduzione data infatti 03.12.1914), pubblicato, quello stesso anno, all'interno della collana Quaderni della guerra e ristampato per ben due volte nei tre anni successivi, rappresentava infatti il secondo contributo dell'importante casa editrice milanese alla declinazione specificamente italiana del più ampio evento europeo.

489 Cfr Alberto Mario Banti, Sublime..., cit, p 28, ove l'autore giustifica la forte connotazione a carattere

mortuale del discorso politico risorgimentale con la necessità di legittimare agli occhi dei propri membri le implicazioni più truci e violente (incarcerazione e condanna alla pena capitale) della loro militanza all'interno di un “movimento illegale di opposizione”.

490 Gualtiero Castellini, Trento e Trieste..., cit, pp V-VI: “Questo volumetto compendia cifre e ragioni che altri

valentissimi raccolsero ed additarono e riunisce in una sintesi i problemi dell'Adriatico e quelli delle Alpi. I diritti storici dei nostri fratelli contro l'invasione pangermanista e slava, l'opera svolta nelle regioni irredente dai partiti e dalle associazioni, i risultati della corruzione etnica tentata dagli stranieri, le fasi principali delle campagne sostenute dagli italiani […] Ed è naturale […] che a quei capitoli tenga dietro una conclusione nella quale il problema etnico della Dalmazia consente di porre dinnanzi al lettore l'intero problema dell'Adriatico, e di illuminare la nuova azione italiana su quel mare e verso l'Oriente. Così quello che io vorrei apparisse concetto fondamentale di queste pagine – la trasformazione dell'irredentismo regionale di un tempo nella necessità attuale di tutta la nazione d'integrare la sua unità per aprirsi la via dell'avvenire in oriente – scaturisce logicamente e nitidamente dai fatti; e dalla coscienza italiana”. Il volume è dato alle stampe nel 1915, ma l'introduzione data 03.12.1914.

strumento transitorio come l'alleanza diplomatico-militare stipulata nel 1882 con le due monarchie di lingua tedesca, che, invece, al pari di qualsiasi accordo internazionale, poteva avere solo carattere temporaneo e contingente e come tale avrebbe dovuto essere intesa anche dagli statisti italiani.

I diversi gabinetti succedutisi nella gestione del governo, comunque, non erano stati i soli responsabili di questo appiattirsi e narcotizzarsi della politica estera nazionale, disposta a subordinare i propri interessi (e talvolta persino a rinunciarvi), pur di non precludere la rinnovabilità dell'accordo italo-austro-tedesco.

La colpa più grave in rapporto al problema dell'irredentismo in Italia è degli italiani. […] se gli irredenti non avessero lavorato per noi, aspettandoci, la causa italiana di quelle terre sarebbe perduta. Noi non abbiamo lavorato mai, o quasi mai, per loro. L'oblio del partito liberale – tranne pochissime eccezioni […] – è stato assoluto sdegnoso oltraggioso. […] Il partito radicale e il repubblicano non hanno abdicato mai teoricamente all'irredentismo. […] Ma hanno avuto altre colpe gravi […] I repubblicani hanno troppo spesso osteggiato […] i crediti militari, combattendo così, piuttosto contro la logica che contro l'Austria; hanno troppo spesso fatto coincidere gli interessi ideologici e internazionalisti di democrazia o di razza che non preoccupano gli italiani, curanti solo di una volontà italiana e di un destino italiano […] La guerra europea li ha ritrovati […] con i loro principi, ma con la grave colpa di essersi dichiarati troppo antimilitaristi e pacifisti e amici dei greci e dei croati o dei francesi perché la loro propaganda possa vantare la forza della logica.492

Deciso a conquistare alla causa della guerra contro l'Austria-Ungheria quanti più consensi possibile, il nipote di Scipio Sighele ritenne doveroso spiegare in primis la stretta interconnessione esistente fra interessi italiani e contesto geografico teatro del casus belli che, in poco più di un mese, aveva infiammato l'Europa. Avvenimento cardine ed insieme punto di non ritorno nel lento processo di decomposizione dei rapporti italo- asburgici (già fortemente incrinati dai disordini esplosi oltre confine in risposta al rifiuto imperial-regio di autorizzare l'apertura di una università italofona nel capoluogo giuliano), fu l'unilaterale annessione della Bosnia-Erzegovina, nel 1908, quando, per una leggerezza del ministro degli esteri Tittoni, colpevole di aver alimentato “per qualche giorno la speranza[, poi sfumata,] di un compenso all'Italia nel Trentino”, l'opinione pubblica italiana si trovò a rivivere le stesse delusioni provate trent'anni prima, quando Benedetto Cairoli era tornato da Berlino, dove i rappresentanti delle maggiori potenze europee si erano riuniti per ridiscutere i dettami della pace di Santo Stefano, appena stipulata.

La speranza, subito delusa, rinfocola gli ardori irredentisti che si manifestano con le consuete proteste […] Ma questa volta l'agitazione d'autunno, maturando finalmente nella coscienza italiana la necessità di una nuova volontà, da frutti più duraturi e prepara col nazionalismo la nuova concezione dell'irredentismo. Nella successiva

primavera del 1909 nascono i primi giornali nazionalisti italiani. Della lotta contro i pangermanisti nel Trentino e sul Garda, contro i socialisti e gli slavi a Trieste, per l'italianità della Dalmazia, si comincia a parlare come di problemi vivi anche di qua dai confini. […] L'autunno del 1909 […] segna intanto per la storia dell'irredentismo due nuovi episodi; uno di politica internazionale: la venuta dello Zar a Racconigi, accolto con vive speranze dai fautori di una politica antiaustriaca; l'altro il collocamento a riposo del generale Asinari di Bernezzo, reo di aver lanciato a Brescia un'invocazione irredentista.493

I mesi trascorsi a combattere in Cirenaica e in Tripolitania, che la superficialità esegetico-interpretativa di uno sguardo svogliato e poco attento avrebbe anche potuto fraintendere e ridurre a diversione strategica o a mera parentesi distensiva, non rappresentarono invece una soluzione di continuità negli indirizzi della politica estera italiana, perché la complessità geografica dell'impero ottomano lo portava ad estendere i suoi confini su tre continenti; perché la guerra combattuta nel '11-'12 si era aperta con una serie di azioni navali lungo la costa balcanica dell'impero; perché gli sconvolgimenti da essa prodotti sarebbero poi sfociati nelle due guerre balcaniche, col conseguente contrarsi della presenza di Istambul in Europa. Soprattutto, l'avversione anti-italiana dei consessi guerrafondai ed oltranzisti viennesi sarebbe andata a tal punto accentuandosi, da indurre il Capo di Stato Maggiore dell'esercito, Conrad von Hötzendorf, a suggerire ai vertici politici di aprofittare del momento per lanciare un attacco preventivo contro l'Italia; rendendo, quindi, indispensabile la sua rimozione.

Dalla guerra libica nasce la guerra balcanica: l'attività della politica italiana diviene vigilanza d'ogni ora. Il ministro degli affari esteri italiano Di San Giuliano s'illude di poter compiere una politica di perfetto accordo con l'Austria, che in realtà vede – dopo le guerre balcaniche – la cessazione di ogni sua futura influenza nei Balcani e ne è sgomenta. L'Austria prepara nell'agosto del 1913, come ha rivelato l'onorevole Giolitti, la guerra alla Serbia e solo momentaneamente ne desiste; tenta almeno di fare dell'Albania, il novissimo regno creato d'accordo con l'Italia, l'ultimo centro della sua influenza. Nei mesi che precedono l'immane conflitto europeo la politica austriaca si fa intollerabile: tenta di infeudare a sé l'Albania, desiste da ogni doveroso riguardo per gli italiani soggetti all'Austria. Nonostante la tenace illusione del ministro Di San Giuliano, che in buona fede spera nella vitalità dell'Albania e negli accordi con l'Austria […] L'Italia sente insensibilmente che, dopo aver compiuto la sua affiermazione mediterranea, occoree orientarsi ora verso l'Adriatico, risolvere questo nuovo problema. E guarda a Valona, della quale nel maggio 1913 aveva preparata l'occupazione, desistendone soltanto quando fu decisa l'azione internazionale a Scutari, in Albania.494

Avendo Castellini scelto di declinare l'intero corpus delle ambizioni italiane

493 Ibidem. 494 Ivi, pp 20-24.

all'insegna del sentimento irredentista, così da legittimarle ricorrendo alla comprovata efficacia della retorica parentale insita nel discorso nazional-patriottico, catalizzatore ed insieme conditio sine qua non di ogni tensione volitiva indirizzata ad est sarebbe divenuto il possesso della Venezia Giulia e della sua città capoluogo:

Trieste dunque annessa all'Italia […] recherebbe quel commercio col Mediterraneo orientale, col levante turco che dev'essere la nostra eredità di domani e che la Venezia di oggi non ha saputo raccogliere. […] E il commercio che a noi verrebbe sarebbe quello con regioni che a noi premono enormemente: con l'Egitto […], con la Turchia europea […], con la Turchia asiatica […], con la Grecia […], con la Bulgaria […]. In una parola il commercio austriaco con l'Oriente […] diverrebbe italiano: raddoppierebbe, per lo meno, il commercio italiano d'Oriente. […] A Trieste, e non altrove, noi porremo il segno della nostra egemonia sull'Adriatico, prima strada dell'espansione verso Oriente. A Trieste […] l'irredentismo regionale, che era un giustificato ma romantico sfogo contro la superstite Austria del passato, si trasforma nel nuovo irredentismo, nella necessità attuale per l'Italia di essere antiaustriaca: chi non è contro l'Austria, è contro l'avvenire libero d'Italia.495

Oltre ad utilizzare la canonica immagine oleografica ed antropomorfa delle figlie bisognose di essere ricondotte al caldo abbraccio della loro legittima madre, i ragionamenti fissati sulla carta dalla prosa del nazionalista trentino avrebbero esteso le strumentalizzazioni retoriche anche alla complessa conformazione morfologico-geografica del territorio conteso (fatto di catene montuose, tratti di costa, porti, isole), trasmettendo al lettore l'idea che la disputa sorta attorno al confine orientale d'Italia fosse problema di non facile soluzione.

Lo avrebbe imposto quella assenza di linearità del confine italo-austro-ungarico, che si sarebbe poi tradotta in una amalgama altrettanto complessa di operazioni terrestri e di attività navali. Lo avrebbe reso obbligatorio soprattutto la volontà di denunciare i conflitti etnici già in corso fra elemento italico e controparte slava, perché inevitabilmente destinati ad aggravarsi in futuro, con l'inclusione di ampie minoranze linguistiche nel nuovo assetto territoriale conferito al paese; perché endemici e fisiologici per una ideologia persuasa di dover applicare anche ai rapporti fra stati le opinabili dinamiche antagoniste del darwinismo sociale; perché sarebbe stato proprio in virtù di quel contenzioso socio- demografico che la particolare declinazione del progetto talassocratico-imperialista italiano (in sé antidemocratica e sopraffattoria) sarebbe potuta apparire legittima e plausibile agli occhi del grande pubblico e, come tale, sperare di mietere consensi.

[…] il problema di Trieste è meno nitido di quello di Trento. Coinvolge quello di altre due regioni, il Friuli goriziano e l'Istria, legate a Trieste in una stessa amministrazione. Quella che noi chiamiamo […] Venezia Giulia […] L'italianità della Venezia Giulia è indiscutibile […] ma a differenza di quella del Trentino è già stata logorata dai continui assalti slavi. Sui quasi novecento mila abitanti, sudditi austriaci,

gli italiani non arrivano nelle statistiche ufficiali a quattrocento mila: sono ciò non ostante, la maggioranza poiché il rimanente mezzo milione è diviso tra i croati, gli slavi ed i tedeschi e nessuna di queste tre nazionalità può vantare – sopra tutto – i diritti della cività italiana che tiene ancora italianissime le città principali […]; che vede la sua lingua parlata anche da croati e da sloveni; che ha vicinissima a sé la grande nazione italiana e la forza della cultura.496

Conseguenza logica di simili premesse sarebbe stata la possibilità, per il governo di Roma, di ipotizzare l'estensione del futuro confine politico ben oltre le porzioni di territorio abitate solo da italofoni, perché la dimestichezza con l'idioma italico delle popolazioni slave che vi sarebbero state incluse (ed una indiscussa superiorità della cultura di matrice neo-latina) avrebbe consentito all'Italia di assimilarle. Del resto, la scarsa difendibilità, in caso di aggressione straniera, di una linea di demarcazione rispettosa delle differenze etniche, data la sua natura di limes mediano “tra il confine marittimo e il confine geografico”, non avrebbe potuto essere additata quale obiettivo delle aspirazioni italiane, perché avrebbe imposto a chi se ne fosse fatto promotore di escludere “il Friuli settentrionale sopra Gorizia e metà dell'Istria – l'Istria interna – con una linea tracciata con un disprezzo da Capodistria ad Albona”.497

In sostanza, sembrava destinata a prevalere, nell'interpretazione propugnata dall'autore, un approggio fortemente gerarchico e non egalitario alla geografia umana, con la sua naturale propensione a distinguere fra contado popolato da slavi (giuntivi a seguito di migrazioni strumentali, favorite ad hoc dall'amministrazione imperial-regia) e tessuto urbano di origine italofona (romana o veneziana), investito dell'insindacabile privilegio di decidere per entrambi: “l'Italia ha il diritto geografico e la maggioranza numerica relativa nella regione, l'Italia è signora dei centri maggiori di vita e di cultura: la sua tesi non è discutibile oggi e non avrebbe dovuto esserlo neppure per il passato.”498

Fondamentale diventava soprattutto la scelta di interpretare tutti i territori oggetto del contendere come regioni litoranee, affacciantesi cioè sul bacino che la guerra all'Austria-Ungheria avrebbe dovuto permettere di egemonizzare. Una attenta analisi del modo in cui Castellini avrebbe scelto di declinare le dinamiche assunte dal contenzioso etnico-linguistico, a suo dire, all'epoca in corso fra italofonia violata e slavismo austriacante, avrebbe rivelato, infatti, l'esistenza, in ogni singola porzione di territorio sito al di là del confine, di un centro di potenziale talassocratico sistematicamente eroso. Così, anche in quello che in apparenza sarebbe potuto sembrare il contesto meno adatto a fungere da strumentale paradigma attorno al quale dar vita ad una efficacie retorica ammonitrice impegnata ad additare agli ipotetici lettori un destino da grande potenza navale minacciato e vanificato dall'improvvida incuria della politica estera nostrana, “la contea di Gorizia e di Gradisca […] detta anche Friuli orientale […] una delle tre province del Litorale”, la prosa del nazionalista trentino avrebbe descritto un'italianità dei luoghi destinata a soccombere, consegnando l'Adriatico agli aggressori slavi, nel momento in cui

496 Ibidem. 497 Cfr Ibidem. 498 Ivi, pp 70-73.

la lotta di lingue, di culture e di razze, fomentata ad arte dall'amministrazione asburgica, si fosse definitivamente conclusa con la sconfitta degli italofoni.

La resistenza di Gorizia non è delle meno splendide, benché fra le meno note nelle terre irredente. È bensì vero che la fascia slovena nel Friuli è compatta nella zona montagnosa di oriente, mentre la zona italica è altrettanto compatta nella pianura bassa occidentale, intersecata dall'Isonzo e fluente nel Regno senza soluzione di continuità; ma bisogna pensare anche qui all'assalto slavo, manifesto nelle cifre degli invasori cittadini di Gorizia […]; bisogna pensare alla opera austriacante svolta dai clericali friulani, forse meno preoccupati della difesa nazionale per il pericolo meno urgente, e quindi più settarii; bisogna pensare alla tenace opera di propaganda che dal 1906 conduce il principe di Hohenlohe, incominciando la sua azione dal mare: da Monfalcone, cantiere operaio dove si licenziano in massa gli italiani. E all'opera del principe si aggiunge anche qui quella degli slavi che mira alla conquista terriera con le banche e con le società e aprofitta della crisi agraria. Ma sta in Gorizia e nelle cittadine minori il vigile fuoco del partito nazionale […].499

Lo stesso dicasi per la penisola istriana, inclusa in tutte le teorizzazioni a carattere continentale e terrestre per la sua evidente natura di pericoloso saliente incuneantesi all'interno di un confine politico appoggiato alla parte orientale dell'arco alpino, quella meno aspra ed impervia, da secoli porta d'ingresso prescelta da molti fra gli invasori discesi nella penisola coll'esplicito proposito di conquistarla. Nella descrizione operata da Castellini, essa diventava non una regione che dall'altopiano carsico digrada sino al mare, bensì un lembo di terra che dalle acque affiora, “addentata all'estrema punta meridionale dell'artiglio imperiale di Pola”, per poi saldarsi alla terraferma, e che, proprio sul mare, vedeva affacciarsi le sue tre capitali (Pola stessa, Parenzo, sede dell'amministrazione provinciale e Capodistria, sede della Dieta) ed i maggiori agglomerati urbani, Rovigno e Pirano. Anche qui, l'analisi si sarebbe snodata secondo topos divenuti oramai canonici: l'antagonismo etnico fra italofoni e slavo-croati, la sistematica denuncia di statistiche volutamente falsate e la convinzione che, riequilibrati i rapporti di forza fra i contendenti annettendo il territorio all'Italia, l'indiscusso primato biologico-raziale dell'elemento italico