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Anche in questo caso, comunque, un simile approccio non deve essere considerato come peculiare della sola mentalità italiana: è infatti diretta conseguenza di una consolidata tradizione retorica a sfondo nazional-patriottico, impegnata a caratterizzare in senzo marzial-militare la propria nazione ricorrendo ad immagini allegoriche contraddistinte dal possesso di elementi oplologici chiaramente riconducibili allo strumento bellico terrestre: lancia, picca, spada, clava.106

Neppure le due grandi potenze navali espresse dal contesto anglosassone (Inghilterra e Stati Uniti) sfuggirono a questa logica.107 Gli USA, in particolare, con 105 Ivi, pp 39-40.

106 Cfr Alberto Mario Banti, L'onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo alla Grande Guerra, Giulio Einaudi Editore, Torino 2005, pp 3-4; 5; 16-22.

l'ideologia del Manifest Destiny, avrebbero elaborato un discorso retorico espansionista a carattere esclusivamente continentale108 (benché non del tutto estraneo ad implicazioni

marittime)109, che soltanto sul finire del XIX secolo, all'epoca della guerra ispano-

americana, sarebbe stato risemantizzarono in chiave talassocratica e navalista110 , con

evidenti ripercussioni anche a livello di dibattito pubblico: nell'autunno del 1898, infatti, esternando la sua idea di americanismo non riducibile alla sola dimensione militare, l'arcivescovo cattolico John Ireland avrebbe citato prima la flotta e poi l'esercito111; allo

stesso modo, il giornalista Whitelaw Reid, negoziatore della pace con la Spagna, ed il senatore dell'Indiana Albert Beveridge avrebbero ipotizzato per il loro paese un futuro da potenza navale nel Pacifico, fatto di controllo egemonico dei traffici marittimi, di scali commerciali, di flotte mercantili e di una grande marina militare incaricata di proteggerli.

112

Anche allora, comunque, la contrapposizione dialettica che ne discese non fu sempre scevra di contraddizioni e di paradossi percettivi: in anni in cui le ambizioni espansionistico-egemoniche di Washington si concentravano su lembi di terra situati oltremare (Santo Domingo ed Hawaii), Carl Schurz, esule politico della rivolta tedesca del 1848 divenuto ministro degli interni durante la presidenza Hayes, sulle pagine di Harpe's

Magazine, nel 1893, avrebbe esternato tutta la sua contrarietà nei confronti di una politica

estera aggressiva e destinata a tradursi in comparsa di un esercito permanente, incremento della pressione fiscale ed adesione ad ideologie militariste.113 Interpretazioni simili avrebbe

formulato anche un fermo oppositore della politica espansionista intrapresa dall'amministrazione McKinley, Willian J. Bryan, che nel 1900, in un discorso intitolato

The Paralyzing Influence of Imperialism, mise in guardia i propri connazionali da scelte

allegorica della monarchia britannica sostituì questa con il tridente di Nettuno (simbolo di potenza navale) agli inizi del '700.

108 Cfr Giuseppe Mammarella, L'eccezione americana. La politica estera statunitense dall'Indipendenza alla guerra in Iraq, Carocci Editore, Roma 2005, pp 60-61.

109 Cfr Anders Stephanson, Destino Manifesto. L'espansionismo americano e l'Impero del Bene, Giangiacomo

Feltrinelli Editore, Milano 2004 (Ed. Originale: Manifest Destiny. American expansion and the emprie of right, Farrar, Straus and Giroux, LLC, New York 1995, pp 56-57; 59; ove l'autore sottolinea come obbiettivi impliciti della guerra al Messico del 1847 (poi passata alla storia come la guerra di Mr Polk) fossero i porti sul Pacifico, San Francisco in particolare, che il possesso dei territori contesi avrebbe garantito. Al momento di intavolare trattative di pace, Polk avrebbe infatti cercato di includere anche la cessione della Baja di California, senza però riuscirvi.

110 Ivi, pp 118-122; 124-125. Aver esteso la propria giurisdizione a realtà territoriali estranee al continente

americano e come tali non più contigue fra loro, determinò una rielaborazione dei connotati geografico- spaziali insiti nel concetto di Destino Manifesto: protrarre la corsa all'Ovest (oramai raggiunto sulla terra ferma) anche oltre la West Coast, rese gli Stati Uniti consapevoli dell'esistenza di un nuovo mondo pacifico- centrico, fatto di direttrici navali e di vie di comunicazione marittima. In quest'ottica, Hawaii e Filippine diventarono punti di appoggio indispensabili per una espansione ad occidente, mentre Cuba e Puerto Rico (al pari di Santo Domingo, se l'ipotesi di annessione, avanzata nel 1870, si fosse concretizzata) servivano a controllare l'Atlantico. Il taglio dell'istmo di Panama ed il controllo del relativo canale, avrebbe infine congiunto le due realtà.

111 Ivi, pp 125-126.

112 Ivi, pp 126-127; 131-132. 113 Cfr Ivi, pp 133-134.

destinate a sfociare nella rapida comparsa di “un grande esercito permanente”114.

Dicotomie e discrepanze in parte generate dagli sviluppi assunti dagli stessi eventi bellici: quattro anni di sanguinosa attività di controguerriglia nelle Filippine furono infatti l'epilogo115 di un conflitto ufficialmente scatenato per soccorrere gli abitanti di un'isola

ribellatasi all'autorità della sua madrepatria116, in cui il grosso dell'opinione pubblica

statunitense era stato convertito al sentimento interventista dall'incidente occorso alla corazzata Maine (ivi inviata dal governo per tutelare gli interessi del paese)117 ed i successi

del commodoro Dewey all'argo dell'arcipelago filippino e quelli del commodoro Schley nella baia di Santiago118 avevano ipotecato la vittoria (mentre l'esercito aveva fornito scarsa

prova di efficienza bellica119)

Allo stesso modo, all'indomani della guerra sino-giapponese, la fobia generata dall'emergere dell'Impero del Sol Levante quale nuovo attore della politica internazionale suggerì al mistico russo Solov'ëv l'immagine di uno stato nipponico impegnato a conquistare l'Europa attraverso una inarrestabile campagna militare terrestre.120

Al di là di ogni analisi comparativa, va comunque sottolineato come esista da sempre, nella società121 e nella storiografia122 italiana, innegabile ed immutabile, un 114 Cfr Aurelio Lepre, Guerra e pace nel XX secolo. Dai conflitti fra Stati allo scontro di civiltà, Società editrice il

Mulino, Bologna 2005, p 29: “William J. Bryan, […] in un disorso che intitolò The Paralyzing Influence of

Imperialism, […] richiamandosi a Thomas Jefferson, a George Washington e al principio

dell'autodeterminazione, […] si disse contrario a una politica simile a quella del colonialismo europeo, che comportava una rapida crescita dell'esercito: <<Se abbiamo una politica imperiale, dobbiamo anche avere un grande esercito permanente come suo naturale e necessario complemento […]. L'esercito è la personificazione della forza e il militarismo inevitabilmente cambierà gli ideali del popolo e volgerà le aspirazioni dei nostri giovani dalle arti della pace alla scienza della guerra>>.”

115 Cfr Victor G. Kiernan, Eserciti e imperi. La dimensione militare dell'imperialismo europeo 1815-1960, Società

editrice il Mulino, 1985 (ed. originale: European Empires from Conquest to Collapse, 1815-1960, Collins-Fontana Paperbacks, London 1982), p 154; Cfr anche John L. Thomas, La nascita di una potenza mondiale. Gli Stati Uniti

dal 1877 al 1920, Società editrice il Mulino, Bologna 1988 (ed. originale: The Great Republic: A History of the American People, Lexington, Massachusetts 19859, pp 174; 176, da cui si apprende che la guerra nella giungla

sostenuta per debellare la resistenza dei filippini costò la vita ad oltre quattro mila soldati statunitensi.

116 Cfr Victor G. Kiernan, cit, p 151.

117 Cfr Anders Stephanson, cit, p 106, e Giuseppe Mammarella, cit, pp 92-93.

118 Cfr Mammarella, cit, p 93, ove l'autore sottolinea il considerevole contributo offerto dalla USS Oregon, che

circumnavigando il sub continente sudamericano, passò dall'Asiatic Squadron, cui apparteneva, all'Atlantic

Squadron.

119 Cfr Anders Stephanson, cit, pp 106-107. Se, infatti, il futuro presidente Theodor Roosvelt, partito alla testa

dei suoi Rough Riders, ebbe modo di distinguersi combattendo sulla collina di San Juan, il grosso dell'esercito, composto per lo più da irregolari, non lasciò neppure il paese.

120 Cfr Emilo Gentile, cit, pp 75-77.

121 Cfr Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Editori

Laterza, Roma-Bari 2011, pp 75-76, che sottolinea come il romanzo didascalico-pedagogico italiano per antonomasia, il deamicisiano Cuore (opera, va detto, di un ex ufficiale dell'esercito), per ammaestrare le giovani generazioni alla virtus marzial-militare, utilizzi sempre esempi riconducibili allo strumento bellico terrestre; riservando, invece, l'ambientazione navale e marittima agli episodi di eroismo civile.

122 Per alcuni esempi connessi alla partecipazione italiana al primo conflitto mondiale Cfr, nell'ordine,

Giovanna Procacci, L'Italia nella Grande Guerra, in: Giovanni Sabbatucci-Vittorio Vidotto, Storia d'Italia, vol 4,

Guerre e fascismo 1914-1943, Editori Laterza, Roma-Bari 1998, p 15, che, pur avendo il merito di ricondurre ad

primato dell'Esercito sulla Marina (in quanto istituzione militare e in quanto strumento della politica di potenza) e l'essenza ideologica del navalismo italiano, al di là di ogni anacronistico discorso sulle efficaci capacità di promozione mediatica riconosciute al complesso militar-industriale che lo avrebbe animato, risiedeva proprio nel tentativo di ribaltare quel rapporto inversamente proporzinale fra configurazione morfologico- geografica del paese e suo indirizzo strategico ancora prevalentemente continentale. Nell'ottica di una siffatta alfabetizzazione, la Lega Navale Italiana avrebbe ritenuto opportuno tradurre uno saggio, che l'allora illustre docente di storia navale all'accademia di Annapolis, Alfred T. Mahan, aveva dedicato al recente conflitto fra Madrid e Washington, assegnando il compito di redigerne l'introduzione a Camillo Manfroni, docente di storia moderna ed attivo navalista

Presso di noi, o meglio presso la gran massa del pubblico nostro che discute senza speciale competenza i più gravi problemi, s'è diffusa la leggenda (e se non m'inganno essa ebbe l'eco anche in parlamento) che gli USA abbiano vinto l'armata spagnuola con poche navi improvvisate; e da questo colossale errore s'e tratta la conseguenza che si possa vincere senz'aver profuso il denaro in ispese militari sterili ed improduttive. […] Dei problemi marittimi, pochissimi fra noi, almeno fin qui, hanno mostrato di occuparsi seriamente; ed a coloro che tentano di mostrarne la gravità e l'importanza, la gran massa delle persone colte risponde con un sprezzante sorriso e con una sdegnosa indifferenza; ma l'animo nostro inorridisce al pensiero di ciò che potrebbe accadere domani, se scoppiasse una guerra. […] Che avverrebbe presso di noi se sulle nostre coste comparisse un'armata nemica? Le nostre grandi città litoranee, per la maggior parte indifese, con incomposti clamori reclamerebbero, ciascuna per sé, la protezione dell'armata; gravi pericoli minaccerebbero la sicurezza interna, se il governo la rifiutasse: gli uomini politici, gli scrittori di giornali griderebbero al tradimento; gli effetti dell'ignoranza pubblica sarebbero in sommo grado perniciosi. È pertanto opera patriottica e nobilissima l'illuminare l'opinione pubblica, il preparare le popolazioni ai possibili casi d'una guerra, l'adoperarsi a formare in ogni città un nucleo di persone colte che possono far argine agli incomposti ed irragionevoli impulsi della folla.123

rompere ogni indugio, vincolando all’Intesa le sorti belliche dell’Italia, limita la sua ricerca di riscontri oggettivi al carattere imperialista e di aggressione della guerra italiana all'impostazione offensiva voluta da Cadorna e da questi mantenuta ad oltranza (per ragioni, al contempo, politiche e tecniche) e quindi alla sola realtà dell'Esercito; Giovanni Sabbatucci, La vittoria mutilata, in: Giovanni Belardelli-Luciano Cafagna-Ernesto Galli della Loggia-Giovanni Sabbatucci, Miti e storia dell'Italia unita, Società editrice il Mulino, Bologna , pp 102; 104, ove l'autore non reputa opportuno includere anche i vertici della Marina (Stato Maggiore e Ministero) fra gli attori istituzionali (Salandra, Sonnino, di San Giuliano, i capi dell'Esercito) coinvolti nel dibattito sviluppatosi attorno all'importanza attribuita al possesso di parte della Dalmazia, “indispensabile per quel <<controllo dell'Adriatico>> che figurava al primo posto fra gli obbiettivi di guerra italiani”; Giulia Albanese, La marcia su Roma, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, p 250, che trasforma addirittura Thaon de Revel in un generale.

123 Comm. Alfredo T. Mahan, Le lezioni della guerra ispano-americana. Traduzione del Com. Saint-Pierre con prefazione di Camillo Manfroni, Tipografia di Francesco Zappa (Proprietà letteraria della rivista La Lega Navale),

Già centrali nel pensiero elaborato da un teorico come Domenico Bonamico, al momento di interrogarsi sulla condotta appropriata in caso di eventuale aggressione dal mare124, questi rapporti di forza non furono, però, mai messi in discussione. Ai principi del

novecento, un intellettuale del calibro di Mario Morasso poteva anche dichiararsi pervicacemente persuaso della superiorità degli imperi navali e marittimi (considerandoli destinati a scalzare ed eclissare quelli continentali e terrestri) ed identificare nella corazzata monocalibro la sintesi più icastica e rappresentativa del binomio evolutivo “arma divenuta macchina” e “macchina divenuta arma”125; ciononostante, il simbolo della

marzialità, intesa come prerequisito imprescindibile dell'imperium e della potenza militare, rimaneva l'esercito. Per questo, additando a riprova della validità delle sue riflessioni socio-politiche le trasformazioni avvenute in germania, dove le antiche gerarchie di origine aristocratico-territoriale erano state preservate all'interno di un paese oramai da tempo avviatosi sulla strada dell'industrializzazione e del primato economico-finanziario, perché gli antichi feudatari d'un tempo si erano dimostrati sufficentemente accorti da riconvertirsi nella nuove èlite di industriali destinati a decidere delle sorti internazionali dello stato o a legarsi loro attraverso una sapiente politica di vincoli matrimoniali, egli

124 Domenico Bonamico, I dettami della difesa costiera, in: Rivista Marittima, Anno XIII, Primo Trimestre

gennaio-marzo 1880, Tipografia Barbera, Roma 1880, pp 52-53: “Nella impossibilità di tutto salvare, quando si lotta contro il forte, vorrei che altri, con autorevolezza maggiore, dicesse alla nazione quanto essa possa chiedere all'Armata, quanto questa possa compiere, quanto il suo capo concedere a chi, da Roma, come già da Firenze, getterà forse nella bilancia della guerra il suo sapere politico. Stabilire una classificazione vera, razionale della nostra capacità difensiva marittima in correlazione colla difesa continentale è per noi questione di esistenza. Prendendo quella classificazione per base, noi avremo un criterio razionale per stabilire quale deve essere l'ordinamento delle nostre forze e risolvere il problema, tante volte tentato con così scarsa fortuna, dell'organico del nostro materiale da guerra; potremo apprezzare, senza troppo preoccuparci delle navi di linea dell'avvenire, l'utilità della flotta che abbiamo; potremo convincerci della immensa importanza di una pronta mobilitazione e studiare le migliori condizioni per conseguirla; potremo, infine, dopo di avere mobilitato l'Armata, mobilitare anche un poco il personale, studiando un organico che sia all'altezza delle necessità presenti e dell'avvenire marittimo che l'evoluzione politica prepara all'Italia.”

125 Ivi, pp 119; 304: “[...] gli sforzi destinati a procacciarci un cannone più grande, una corazza più resistente

del cannone e della corazza del vicino, equivalgono quelli impiegati ad ottenere una locomotiva più celere, un piroscafo più colossale, sono diretti allo stesso fine, sono determinati dalla stessa necessità, epperò non possono avere che effetti similari. E già fino da ora si può rilevare che se pur l'arma diventa più micidiale essa tende ad avvicinarsi sempre più all'ordegno meccanico, per modo che poco ne differisce nella costruzione, nei mezzi e nei materiali e facilita a sua volta lo stesso progresso della macchina, tanto che la stessa medesima officina rinomata per i suoi strumenti guerreschi […] e lo stesso cantiere donde si varano corazzate ed incrociatori fabbricano con altrettanta eccellenza le macchine della pace. […] Oggi infatti e le armi sono macchine, macchine complicate e di precisione, e la moderna nave da guerra ne è l'esempio irrefutabile, e le macchine sono armi, armi terribili e micidiali; oggi le armi sono gli araldi e i cooperatori dell'industria e del commercio, così che la marina da guerra non è che in più vaste proporzioni la scorta della carovana, il sostegno dell'industria nazionale, e le battaglie si combattono per l'acquisto dei mercati mondiali, e le macchine sono il più valido sussidio degli eserciti e delle armate, gli arbitri della vittoria, mezzi esse stesse di combattimenti immensi e formidabili e soprattutto gli scalini indispensabili privilegiati per salire l'erta della fortuna e del dominio. I grandi popoli che oggi stanno alla testa del mondo e della civiltà, Stati Uniti, Inghilterra, Germania, che imperano sopra un più vasto dominio, sono pure i possessori dei più gagliardi e grandiosi eserciti di macchine.”

ritenne naturale vedere in un corteo di mezzi a motore impegnato a sfilare per le strade della capitale tedesca “un disciplinato esercito” giunto a rendere omaggio “al fervido e geniale imperatore delle antiche milizie e delle antiche potestà.”

Lo spettacolo deve essere stato invero grandioso e terribile, strano ed eccitatore […], poiché in quel momento e per quel passaggio avveniva un fatto non verificatosi mai prima […]. Sui carri stavano principi, duchi e grandi costruttori, i conduttori di una volta e i conduttori di adesso, anzi gli organizzatori del pacifico e possentissimo esercito. Un triplice saluto al cospetto dell'imperatore e poi il pellegrinaggio ritornò a Berlino per la porta di Brandeburgo in vista del monumento alla vittoria. E la significazione della gesta senza pari si dichiara ora limpida nella mia mente: una nuova efficace influenza dell'ordegno meccanico […] oggi essa ci da, materializzato, attuato in un primo saggio, un nuovo esercito, una straordinaria milizia, una sorprendente guardia […] E mi si richiama alla memoria […] altri cortei, […] altre sfilate militari, indietro ormai da noi nei secoli passati; di un'altra milizia egualmente ricoperta di ferro, egualmente fiera e terribile, la cupa milizia dei cavalieri rinchiusi nelle loro aspre corazze di ferro, dei vassalli, dei baroni, dei soldati fasciati completamente di rigida e forbita lamiera […] veri monumenti di ferro suscitati dall'arte della guerra […] Moveva quella corrente irta di ferro alla strage, era essa l'arbitra dei destini umani, il fondamento dell'impero e di ogni potenza, il tramite di ogni gloria e di ogni bene, e l'uomo che ne stava a capo stava quindi al vertice di ogni sovranità. Oggi la nuova falange meccanica […] non è più avviata alla strage, ma il suo impeto egualmente eroico tende del pari alla conquista, e come l'antica, a cui sta sostituendosi, contiene nella sua armatura gagliarda e inflessibile i destini umani, la sorgente della ricchezza e della potenza, i germi delle aristocrazie future e dei futuri dominii.126

All'interno di uno schema evolutivo antropologico reso possibile dall'esigenza di soddisfare il proprio bisogno di velocità, le migliorie nell'ingegneria cantieristica occupavano un ruolo certo non indifferente, in una sorta di eterna competizione fra chi aveva scelto di andar per mare e chi, invece continuava a muoversi solo sulla terra ferma, a piedi o a cavallo. Grazie ad invenzioni capaci di rivoluzionare la tecnica della navigazione (remi più efficaci ed adozione della vela) la marineria aveva addirittura determinato la rinascita commerciale e culturale dell'Europa dopo “la decadenza e la invasione barbarica”, avviando il continente alla conquista del mare e alla scoperta di terre favolose.

Si formano gli insigni comuni marinari di Genova e di Venezia, i commerci si ampliano febbrilmente, nuove zone di mare vengono navigate, nuove terre esplorate, l'Oriente abbaglia con i suoi misteriosi tesori, i desideri volano a quelle regioni […] E l'uomo segue la meta del suo desiderio di là dal mare, e perfeziona l'instrumento che deve contribuire a soddisfarlo, la nave. La nave si amplia e si irrobustisce, diventa più adatta alla sua funzione, aumenta vele e remi e ormai il marinaro corre sulle

onde più che l'uomo sulla terra. La bramosia dell'Oriente si fa sempre più viva, e sempre più l'uomo si affanna per correre colà, per arrivarvi più rapidamente, ed ecco, mirabile […] il viaggio di Colombo e la scoperta dell'America, che doveva fornire un valico più rapido (e ciò equivale ad un perfezionamento del mezzo di locomozione) all'effettuazione del desiderio predominante. Con la scoperta dell'America il mondo si dilata straordinariamente ed il desiderio acquista un intensissimo impulso che trae gli uomini dalle proprie sedi spingendoli verso quelle plaghe remote, accendendo in essi una sete di avventure e un'aspra concorrenza. Ma la meta dei desideri, sia l'Oriente, sia l'America, è sempre di là dai mari, e quindi il solo strumento che si perfeziona e si fa più rapido è quello marino, ed è soltanto dopo che l'avventurosità marinara, come un lievito generoso ha gonfiato tutte le anime e lo spettacolo delle nuove ricchezze ha suscitato tutte le immaginazioni, e il traffico si è accresciuto e i bisogni si sono moltiplicati, che si sente la necessità di più facili, di più celeri comunicazioni interne territoriali.127

Già nella formulazione di questi ragionamenti, però, riflettere attorno alla locomozione terrestre avrebbe suggerito all'autore la possibilità di utilizzare richiami a paradigmi storico-militari invece assenti quando il suo discorso si spostava sui progressi introdotti dalla nave o da essa resi possibili:

Il pedone, determinato particolarmente dalle necessità della guerra ed esercitato dalla rude disciplina militare, si rese capace alla corsa e a marcie lunghissime e faticose […] l'ordinata e rapida andatura del soldato greco in paragone di quella lentissima e tumultuosa dei barbari, e […]le rapidissime, sorprendenti marcie degli