• Non ci sono risultati.

La gettizzazione di cui fu vittima la dimensione navale del conflitto si sarebbe rivelata addirittura deleria per l'economia ideologica di uno sforzo internazionale intrapreso con l'esplicito intento di tradurre in realtà concreta le proprie pretese di egemonia sull'Adriatico e sulla sua costa orientale335, necessarie al consolidamento della

retrovia navale del paese.

Una valenza strategica dalle implicazioni anti-francesi, oggi336 come allora, difficili

da comprendere appieno, ma che, almeno in principio, una parte degli interventi dati alle stampe e messi in circolazione nei mesi del serrato e conflittuale dibattito interventista, dimostrava di aver ben presente.

Quali sono i <<vitali interessi>>, quali le <<legittime aspirazioni>>, alla cui realizzazione deve tendere oggi il <<sacro egoismo>> dell'Italia? […] Il primo e più importante risultato deve essere questo: che non siano diminuite, e possibilmente

335 ACS, Carte Nitti, B 37, f 104 Delegazione italiana al congresso della pace, sf 1, Telegramma in partenza-N° 125

Gabinetto del 21.03.1915 (telegramma di Sonnino alle ambasciate di Londra, Parigi, Pietrogrado): “Il movente principale determinante la nostra entrata in guerra al fianco dell'Intesa è il desiderio di liberarci dalla intollerabile situazione attuale di inferiorità nell'Adriatico di fronte all'Austria per effetto della grande diversità delle condizioni fisiche e geografiche delle due sponde dal punto di vista della offesa e della difesa militare, diversità che è stata resa più grave dalle armi e dalle forme della guerra moderna. Pel resto l'Italia potrebbe probabilmente conseguire la maggior parte dei desiderata nazionali con un semplice impegno di mantenere la neutralità e senza esporsi ai terribili rischi e danni di una guerra. Ora non varrebbe la pena di mettersi in guerra per liberarsi dal prepotente predominio austriaco nell'Adriatico quando dovessimo ricadere subito dopo nelle stesse condizioni di inferiorità e di costante pericolo di fronte alla lega dei giovani Stati jugoslavi.” Cfr, anche, Gian Enrico Rusconi, L'azzardo..., cit, pp 10-11 e 82-83, da cui emerge la centralità degli interessi adriatico-balcanici dell'Italia nella condotta attendista del marchese di San Giuliano (che giunse addirittura ad ipotizzare l'abbandono dell'alleanza, qualora i sempre più evidenti dissidi italo- asburgici si fossero aggravati).

336 Cfr, nell'ordine: Gian Enrico Rusconi, L'azzardo..., cit, pp 21-22 (perché la cesura determinata dalla

riconversione strategica non divise solo istituzioni militari ed autorità politiche, che decisero tempi e modi dell'intervento senza consultare l'ufficialità di carriera, ma anche lo stesso mondo militare, con una Marina favorevole alla condotta di operazioni in terra balcanica e un esercito ad esse sostanzialmente ostile); Mariano Gabriele, D'Annunzio e..., cit, pp 273-275 (che vincola la centralità dell'Adriatico nella strategia navale italiana solo all'avvenuto riorientamento, in chiave anti-asburgica, della politica estera nazionale); Mario Isnenghi-Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, La Nuova Italia, Firenze 2000, pp 208-210; 223 (che, sminuendo l'importanza di questo mare per la diplomazia anglo-francese, subordina le ambizioni espansionistico-egemoniche italiane sull'Albania alla “sua vicinanza alle coste pugliesi” e alla povertà del territorio, che l'avrebbero resa “poco appetita dalle altre potenze”).

siano aumentate la nostra sicurezza e indipendenza nazionali. Supponiamo che in questa guerra la Francia e l'Inghterra siano ridotte all'impotenza e per terra e per mare dalla Germania […] quale libertà di iniziative avrebbe il nostro paese nella sua politica estera, di fronte all'indisputato e indisputabile predominio del blocco austro- germanico? A chi ci uniremmo nel caso di un dissidio fra noi e i dominatori del mondo? Non saremmo noi ridotti insieme a tutte le altre potenze d'Europa, alle condizioni di stato vassallo? […] E si badi bene: mentre sarebbero messe fuori combattimento le due potenze coloniali occidentali, sarebbe ridotta all'impotenza anche la Russia: cioè sarebbero abbandonati in balia dell'Austria gli stati balcanici. Cioè l'Austria potrebbe minacciarci non solo dal Trentino e da Pola, ma dalle coste del basso Adriatico. E noi non potremmo fare più assegnamento su una intesa militare col Montenegro e con la Serbia: le cui forze, anzi, sarebbero assorbite dal sistema militare austro-ungarico e aumenterebbero la nostra inferiorità.337

Di fronte ad una ridefinizione tanto radicale del contesto internazionale europeo, a ben poco sarebbero servite le garanzie offerte, nel Basso Adriatico, dai vigenti trattati italo- austriaci, perché, come già ampiamente dimostrato dall'aggressione germanica ai danni del Belgio neutrale, il blocco austro-tedesco non sempre si era dimostrato propenso a rispettare il valore giuridico di un documento.

L'Austria – dicono i triplicisti – ci può abbandonare Vallona e l'Albania meridionale. Ma anche ammesso che questa rosa non presenti per noi nessuna spina che ne diminuisca assai il pregio – le bocche di Cattaro, per esempio, liberate dalla minaccia del Lovcen dopo la sottomissione del Montenegro, e sostenute da Pola, annullerebbero ogni valore di Vallona –, chi non vede che questo compromesso non diminuirebbe in nulla la schiacciante superiorità terrestre che verrebbe a conquistare l'Austria? In queste condizioni […] in che cosa ci rafforzerebbero militarmente, verso l'oriente, di fronte alla ingigantita pressione austriaca?338

Nulla da temere avrebbe invece avuto l'Italia da una ipotetica vittoria militare dell'Intesa, perché, per terra, il paese si sarebbe sempre potuto alleare alla Germania per contrastare eventuali prepotenze francesi, o, di contro, avrebbe potuto intensificare i propri rapporti con Parigi per arginare il primato continentale di Berlino. Di conseguenza, dovendo l'Italia “impedire tanto un eccessivo indebolimento della Germania quanto la rovina della Francia”, se di ingresso in guerra del paese si doveva parlare, questo non poteva avvenire a fianco della Triplice Alleanza, perché una simile presa di posizione avrebbe quanto meno equivalso a dare il proprio avvallo al deleterio schiacciamento della Francia. Allo stesso modo, l'auspicato appoggio militare a favore dell'Intesa, si sarebbe dovuto subordinare all'esplicito divieto di smembrare la Germania, come invece ipotizzato da numerosi nazionalisti francesi.

337 Gaetano Salvemini, Guerra o neutralità?, in: Problemi italiani, N° 1, 02.01.1915, Ravà & C. Editori, Milano, p

3.

Ancor più evidenti, poi, l'insensatezza di una condotta italiana filo-triplicista, qualora si fossero analizzate le conseguenze navali di una vittoria del blocco austro- tedesco. Poiché, infatti, “i vincitori – quali che essi siano – annienteranno o confischeranno le flotte dei vinti e li obbligheranno a disarmare gli arsenali e a smettere ogni progetto di nuove costruzioni navali”, il trionfo di Vienna e di Berlino, “sia che l'Italia contribuisse alla vittoria, sia che si tenesse neutrale”, avrebbe posto la penisola alla mercè del blocco austro-tedesco.339

In caso di vittoria della Triplice Intesa, invece, le flotte sopravvissute alla grande prova sarebbero tre; e la nostra sarebbe la quarta. […] La vittoria della Triplice Intesa […] riuscirebbe disastrosa principalmente all'Austria: stato nazionalmente eterogeneo e sgangherato, cui tutti i vicini avrebbero qualcosa da prendere e da conservare. Uno dei vicini più esigenti sarà la Serbia, il cui programma è stato annunciato ufficialmente il dodici dicembre dal ministro Pasic: l'arrivo all'Adriatico e la costituzione di uno Stato serbo-croato-sloveno nel triangolo Lubiana-Belgrado- Antivari. Questa possibilità è considerata con sospetto da parecchi nostri concittadini, i quali, pur di evitare quello che essi chiamano il pericolo slavo, vorrebbero che l'Italia con grande abnegazione aiutasse l'Austria a soffocare la Serbia e a giungere a Salonicco. Sostituirebbero così al pericolo di una Grande Serbia la certezza di una più grande Austria!340

Un esito del conflitto estremamente favorevole alla Serbia, con la riunificazione, entro i confini di un unico stato, di Erzegovina, Bosnia, Croazia, Dalmazia, Slovenia ed Istria, invece, non si sarebbe mai potuto rivelare controproducente per l'Italia e per i suoi interessi adriatico-balcanici, perché la nuova entità statale sorta dall'eventuale smembramento della duplice monarchia, per garantire le proprie frontiere terrestri da qualsiasi ipotesi di futura aggressione revanscista austriaca, avrebbe avuto sempre bisogno dell'appoggio italiano, utile alla Serbia per distribuire i compiti e le spese della difesa terrestre, con grande sicurezza e risparmio per entrambi gli stati.341

Per mare, esclusa, l'Austria-Ungheria dall'Adriatico e ridotta a stato esclusivamente continentale, quale fu – salvo i protettorati di Triesti e di Fiume – fino al cadere del secolo XVIII, l'Italia […] si troverebbe di fronte una nazione […] dispersa su un territorio scarsamente produttivo, incapace di fare nell'Adriatico lo stesso sforzo che vi fa oggi l'Austria […]. Inoltre la necessità di avere l'amicizia terrestre italiana contro l'Austria distrarrebbe la Serbia da ogni concorrenza navale coll'Italia. E l'Italia avrebbe il diritto, e – per la sua futura sicurezza – il dovere, di approfittare del momento di transizione fra il vecchio e il nuovo equilibrio per legare a sé la Serbia con una convenzione, non solamente terrestre, ma anche navale, la quale nello stesso tempo distribuisse gli oneri della difesa terrestre e interdicesse alla Serbia ogni inizio

339 Cfr Ibidem. 340 Ibidem 341 Cfr Ibidem.

di spese navali. All'Austria noi non possiamo impedire di avere una flotta, perché essa già la

possiede. Alla Serbia di domani dobbiamo impedirlo nell'interesse suo e nell'interesse nostro. E possiamo aprofittare di questo momento, che non tornerà più nella storia, per escludere dall'Adriatico l'Austria, che ha una flotta, e sostituirle un nuovo stato che non ha nessuna flotta e a cui possiamo impedire di crearla. E anche nella peggiore di tutte le ipotesi: cioé

nella ipotesi che la Grande Serbia riesca a fornirsi di una flotta e si unisca un giorno all'Austria per terra e per mare contro di noi, male quell'alleanza transitoria potrebbe farci in confronto a quello che ci verrebbe in permanenza da un'Austria-Ungheria estesasi fino all'Egeo con l'assorbimento della Serbia attuale, quale la desiderano i fedeli della Triplice Alleanza e quale si avrebbe in caso di vittoria austro-germanica?

342

Il passo appena citato rappresentava il contributo offerto da Gaetano Salvemini alla già citata collana di opuscoli licenziata, nel '15, dalla casa editrice milanese Ravà & C.ad una collana di opuscoli ideata per “informare gli italiani sui problemi nazionali più urgenti in questa crisi della nostra storia e della nostra coscienza: problemi economici, politici, militari, sociali, morali, che saranno esaminati senza jattanza e senza reticenze, da un punto di vista italiano nelle loro logiche conseguenze pel bene durevole della nostra civiltà, della nostra nazione e del nostro libero regime”.343 Una serie di istant books di ampio

consumo (secondo i canoni elitari ed estremamente contratti di una società al cui interno alfabetizzazione e capacità economico-finanziarie erano ancora prerogativa di una ristetta cerchia di individui), dati alle stampe, nel '15, dalla casa editrice Ravà. La militanza dell'intellettuale pugliese (peraltro destinata a venir subito meno344, comprovandone la

natura di “alleato tattico e non strategico” della compagine adriatico-nazionalista), all'interno del comitato scientifico di un'opera aperta anche agli interventi di figure certo a lui non ideologicamente affini, quali Mario Alberti, Icilio Baccich e Giulio Caprin, qui non interessa; né interessa (per il momento) la sua ancor poco esplicita conversione alla prospettiva della finis Austriae.Ciò che invece preme porre in evidenza è la centralità, nel suo discorso, delle tematiche talassocraticche e balcaniche, rispetto alle quali il binomio Trento e Trieste (e con esse lo sbandierato completamento del processo di unificazione nazionale) risultava essere un semplice corollario: utile, indispensabile, ma non certo determinante.

[…] sarebbe inaudita stoltezza la nostra, se non approfittassimo di questa occasione per risolvere il problema degli italiani d'Austria e per assicurarci per terra e

342 Gaetano Salvemini, Guerra o neutralità?, in: Problemi italiani, N° 1, 02.01.1915, Ravà & C. Editori, Milano, pp

3, 9-11, 14-17.

343 Ivi, quarta di copertina: “raccolta di opuscoli di trentadue pagine, a dieci centesimi, […] Questi opuscoli

esciranno così da formare […] una prima serie di ventiquattro. […] Abbonamento alla prima serie […] lire due. Inviare cartolina vaglia agli Editori Ravà & C.”

344 Cfr Ibidem. Il piano dell'opera ivi riprodotto lo annovera (assieme a Luigi Bertelli, Giulio Caprin,

Salomone Morpurgo) fra i membri del comitato scientifico, presieduto e diretto da Ugo Ojetti; già nell'opuscolo redatto da Mario Alberti (Adriatico e Mediterraneo, in: Problemi italiani, N° 5 del 27.02.1915, Ravà & C. Editori, Milano), però, il nome di Salvemini scompare.

nell'Adriatico una situazione militare meno sciagurata di quella che sortimmo dalla guerra del 1866. Da quarantotto anni il nostro paese vive malamente sotto l'incubo della minaccia austriaca […], in larga parte, imposta dalla funesta debolezza della nostra posizione militare […] [da] quella specie di <<monopolio di posizione>> – come direbbero gli economisti – che ha l'Austria grazie al possesso del Trentino e alle disgraziate condizioni della linea dell'Isonzo e alla superiorità di basi navali nell'Adriatico. E non solo siamo stati sempre minacciati nella nostra sicurezza militare, ma siamo stati feriti con sistematica brutalità nei nostri sentimenti di giustizia e di solidarietà nazionale. Gl'Italiani del Trentino sono stati abbandonati dal governo austriaco alla mercé dei tedeschi del Tirolo […] Nel Goriziano, a Trieste, nell'Istria, la situazione etnica non è così chiara come in Trentino; qui ferve una lotta fra contadini slavi e cittadini italiani, in cui è impossibile dividere nettamente fra gli uni e gli altri il diritto e il torto: lotta inevitabile per ragioni economiche e sociali, a cui per altro si può e si deve dare rimedio con la giustizia sociale. Ma questa lotta è stata sistematicamente sollecitata, esasperata, precipitata dalla burocrazia austriaca in un cieco furore antitaliano, col triste programma di sradicare da tutta la Venezia- Giulia qualunque vestigio della nostra storia e della nostra civiltà.345

Ciononostante, scatenare una guerra solo per liberare le terre soggette al giogo asburgico, non poteva essere considerata una soluzione auspicabile, perché, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe obbligato il paese, abbandonato da tutti, a sostenere da solo una lotta impari contro l'Austria-Ungheria, pagando “a caro prezzo le conseguenze di un vero e proprio eccesso di follia. Qualora, invece, l'azzardata intraprendenza dell'Italia avesse trovato sostegno internazionale, questo avrebbe innescato una serie di meccanismi politico-diplomatici tanto complessi, da trascinare in guerra l'Europa intera, screditando ed esponendo al pubblico ludibrio, per i secoli a venire, chi si fosse reso responsabile di un simile misfatto.

Nel gennaio del '15, invece, il conflitto europeo era già una realtà e la duplice monarchia, obbligata a combattere su due fronti (contro la Russia e contro la Serbia), minacciata dall'ipotesi di un imminente ingresso in guerra della Romania, non avrebbe potuto schierare lungo il confine italo-austroungarico tutto quel potenziale bellico che, sino a ieri, la rendevano un nemico temibile e difficile da battere.

Se noi l'assalissimo oggi, non commetteremmo un atto di follia. Avremmo, anzi, grandi probabilità di successo. In tutti i casi, immobilizzando contro di noi una notevole parte dell'esercito austriaco, contribuiremmo notevolmente alla vittoria finale della Triplice Intesa. O noi ripariamo oggi all'errore del 1866 e compiamo l'opera di unificazione e consolidamento nazionale troncata miseramente allora, o non potremmo risolvere questo problema mai più. Noi dobbiamo volere che l'attuale

crisi europea non si chiuda senza che l'italia si annetta il Trentino e la Venezia Giulia. […] Il

problema centrale e preminente che l'italia deve oggi risolvere, non è quello di acquistare qualche nuova provincia o qualche nuova colonia. È quello di assicurare la

sua indipendenza nazionale minacciata […] dalla vittoria austrogermanica. […] E se altre vie non esistono […], noi non dobbiamo rifiutarci a una guerra, che voglia raggiungere contemporaneamente i seguenti risultati: 1) sostituire nell'Adriatico all'Austria uno stato assai meno potente, la Serbia; 2) assicurarci, tanto verso l'Austria che verso la Serbia, una buona frontiera terrestre; 3) disarmare l'Adriatico; 4) risolvere uno stato di disagio sentimentale, che da mezzo secolo ci turba e ci umilia.346

Per Salvemini, quindi, il sentimento filo-irredentista e la speranza di ottenere da Vienna concessioni nei territori di lingua italiana soggetti alla duplice monarchia, non avrebbero mai dovuto indurre l'opinione pubblica ed il governo ad accettare fossero sacrificati gli interessi adriatico-balcanici dell'Italia, appoggiando la “marcia ad oriente” dell'Austria-Ungheria, come era, invece, sembrato possibile avvenisse in passato.347

Conclusioni (e marginalizzazioni), cui giunse anche Concetto Pettinato in un opuscolo dato alle stampe nel febbraio del '15 ed inserito nella stessa collana. Analizzando gli obbiettivi perseguiti dalla monarchia zarista nella sua lotta contro il blocco austro- tedesco, il noto giornalista giunse ad accusare lo stato russo di essere altrettanto imperialista e pericoloso, perché impegnato a riprodurre, con logiche vettoriali antitetiche, il “drag nach Osten” di Vienna e di Berlino.

Nessuno si commuove più, alla capitale [russa], delle proteste dei finlandesi e degli ebrei, delle aspirazioni dell'Ucraina, ma tutti piangono lacrime di coccodrillo sulla sorte amara degli slavi dei Balcani, degli slavi d'Austria. Quando la Porta – poverina – dichiarò la guerra, il primo grido dei nazionalisti fu: Finiamola anche col turco, andiamo a Costantinopoli, a Zarigrado! Quando la Bulgaria mostrò di averne abbastanza di fare la politica russa, quei padri dlla patria ebbero una smorfia di nausea, quasi innanzi alla insubordinazione di un dipendente. Quando la Rumenia accennò a porre come prezzo al proprio concorso la restituzione della mal tolta Bessarabia, a Pietrogrado le si rise in faccia.348

Per le stesse ragioni, ogni ipotesi di risoluzione pacifica del contenzioso italo- asburgico circa il possesso di Trieste e, più in generale, tutta la politica balcanica di Roma risultavano ugualmente invise al governo di Pietrogrado, che più d'una volta, anzi, aveva esternato tutta la sua contrarietà ad una eventuale annessione all'Italia del capoluogo giuliano, assegnando ai propri giornali il compito di sottolineare come “l'Intesa non avrebbe mai permesso a un solo soldato italiano di por[vi] piede”. La denuncia della Triplice ed un ingresso in guerra fra le file della coalizione anti-tedesca non avrebbero certo modificato questo giudizio: l'Italia avrebbe continuato ad essere paragonata alla Romania.349 La potenza militare dimostrata dalla Russia zarista nel '14-'15, sostenendo da

sola il peso dell'offensiva austro-tedesca lungo un fronte poco favorevole alla difensiva,

346 Gaetano Salvemini, Guerra..., cit, pp 19-22. 347 Cfr Ibidem.

348 Concetto Pettinato, Russia, Balcani e Italia, in: Problemi Italiani, Ravà & C. Editori, Milano 22.02.1915, p 16. 349 Cfr Ivi, pp 16-17.

avrebbe, dunque, offerto un valido contributo alla lotta contro lo strapotere degli Imperi Centrali, ma avrebbe anche contribuito a creare un temibile avversario destinato a palesare tutta la sua pericolosità nei futuri sviluppi dell'assetto geo-politico europeo, perché la monarchia autocratica era soprattutto interessata ad utilizzare la sua partecipazione all'attuale conflitto come strumento utile a concretizzare consistenti ambizioni espansionistico-egemoniche. Diventava quindi plausibile per l'autore dell'opuscolo in questione, cominciare ad ipotizzare un futuro scenario geo-politico e geo-strategico poco rassicurante per l'Occidente, perché la Russia uscita vincitrice dalla guerra, accresciuta nel suo status di grande potenza da una nutrita serie di nuove acquisizioni territoriali, avrebbe ripreso a sedere “accanto a una più grande Inghilterra, a una più grande Francia, a una più grande Germania, probabilmente, e speriamo anche a una più grande Italia.”350

Oltremodo temibili, specie per l'Italia, erano soprattutto le implicazioni adriatico- balcaniche di questa novella politica di potenza, stoltamente legittimata dall'Europa, nel corso dei decenni precedenti, con la sua poco lungimirante condotta politica, preoccupata soltanto di frammentare e polverizzare i Balcani, al solo scopo di dominarli:

Da secoli essa non fa se non dar mano al maciullamento degli slavi, quasi apposta per tagliarli in altrettanti bocconi che la Russia possa inghiottire senza sforzo. In Polonia, in Turchia, in Austria, se un opinione l'Occidente ebbe sin qui in materia di slavismo fu il timore che quella povera gente non fosse abbastanza divisa, abbastanza oppressa, abbastanza barbara. Dapprima la voleva divisa per disprezzo, affinché gli servisse di moneta nel saldo dei propri conti immediati. In seguito la volle oppressa per eccesso di stima, perché ogni suo membro vedeva il ceffo barbuto e zazzeruto di un russo. Come preparare meglio di così all'Impero i pretesti necessarii per intervenire nelle questioni riguardanti gli salvi, per erigersi a loro tutore? L'influenza della Russia nei Balcani è opera dell'Europa. Invece di tagliare i canapi che trattenevano le scialuppe alla nave ammiraglia, se ne tessero sempre di nuovi,