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Pur offrendo una interpretazione degli avvenimenti acriticamente filo-serba (non scevra, comunque, da giudizi paternalistici e, a tratti, forse anche un po' razzisti, sugli slavi meridionali e sulla loro storia), Piscel non sembra avere dubbi sull'importanza dello scacchiero adriatico-balcanico, suggerendo all'opinione pubblica italiana di concentrare lì la propria attenzione, qualora fosse stata davvero interessata a capire perché gli esiti dello sconvolgimento geo-politico allora in atto sul continente avrebbero finito per interessare anche l'Italia, incidendo sui suoi interessi, nazionali ed internazionali. Con le dovute differenze, una ipotesi esegetico-interpretativa ravvisabile anche nel racconto elaborato e proposto da un'opera a fascicoli licenziata dalla casa editrice Treves, in medias res 376 (e con

l'esplicito intento di indirizzare su posizioni filo-istituzionali e dunque interventiste la parte borghese, benpensante e non anti-sistemica dell'opinione pubblica nazione):

Il Matin, in un lungo articolo intitolato La più grande Italia, diceva […] “L'equilibrio del Mediterraneo, l'egemonia nell'Adriatico […] è il programma necessario all'Italia di oggi, il solo che risponda ai bisogni della sua popolazione e del suo commercio, il solo che appaia come lo sviluppo naturale della sua storia. […]” D'altra parte nella viennese Neue Freie Presse, appariva un nuovo lungo articolo del conte Giulio Andrassy sulle relazioni dell'Austria-Ungheria con l'Italia […] “Non voglio indagare se questa impresa militare sarebbe così facile come molti immaginano in Italia. Io voglio esaminare soltanto se la nostra sconfitta sarebbe di vantaggio per l'Italia. Il nostro posto nell'Adriatico verrebbe preso in gran parte della grande Serbia e questo cambiamento sarebbe un danno enorme per l'Italia. Il pericolo per gli italiani sulla sponda orientale dell'Adriatico sono stati finora gli slavi e non già i tedeschi o gli ungheresi. […] si può facilmente calcolare quello che avrebbe delle colonie italiane nell'Adriatico orientale se al posto dell'Austria-Ungheria dovesse subentrare uno

375 Ivi, p 32.

376 La guerra d'Italia nel 1915. Storia illustrata, Vol. 1, Dalla Triplice alla Neutralità e alla guerra, Fratelli Treves

Editori, Milano 1915, p 234: “Si era alla fine di marzo 1915 – noti ciò il lettore che scorre queste pagine nel novembre!...”.

stato nazionale serbo con spiccate tendenze sciovinistiche.377

L'autore dell'articolo riportato avrebbe quindi suggerito all'opinione pubblica italiana di non indulgere in facili esemplificazioni, cullandosi nell'erronea e fallace convinzione che una Serbia, seppur fortemente ingrandita dalle acquisizioni territoriali garantitele da una eventuale vittoria dell'Intesa, sarebbe stata comunque un vicino sempre meno pericoloso dell'aggressiva compagine austro-tedesca, perché, a sostenere le istanze espansioniste di Belgrado, era soprattutto la Russia zarista, desiderosa di estendere la propria influenza a tutta l'area adriatico-balcanica e proprio per questo fortemente contraria a qualsiasi forma di penetrazione italiana nella regione.

Sull'altra sponda dell'Adriatico l'Italia non avrebbe di fronte a sé le sole forze della Serbia, ma anche la potenza dello Czar. Il mondo moscovita […] non permetterebbe che l'Italia si stabilisse nei Balcani e sulla costa dell'Adriatico abitata da slavi, mantenendo in suo possesso i porti naturali della grande Serbia. […] La strapotenza del mondo moscovita nell'Adriatico sarebbe aumentata anche dal fatto che esso acquisterebbe una posizione formidabile anche nel Mediterraneo. Se il Mar Nero dovesse diventare un lago russo e se la Russia, dovesse diventare padrona dei Dardanelli, essa un po' alla volta finirebbe per acquistare il dominio quasi esclusivo anche sulla costa dell'Asia Minore e in quasi tutto il bacino orientale del Mediterraneo. La vicinanza del giante slavo sarebbe per l'Italia molto più pericolosa della nostra.”378

L'attacco anglo-francese alla periferia navale degli imperi centrali mediante il cannonneggiamento del Bosforo ed il successivo assalto anfibio d'invasione nei pressi di Gallipoli (determinante nel persuadere Salandra e Sonnino a vincolare alla guerra dell'Intesa gli interessi geo-strategici dell'Italia) avrebbe poi contribuito a rinfocolare il dibattito talassocratico-imperialista:

Ecco un fatto nuovo – il bombardamento decisamente iniziato dei Dardanelli da parte delle squadre riunite franco-britanne. A molti – compreso il ministeriale

Giornale d'Italia – l'attacco ai Dardanelli pareva prologo di grandi avvenimenti

destinati ad avere una forte ripercussione sulla sorte futura del Mediterraneo orientale. L'assalto ai Dardanelli toccava da vicino gli interessi della Grecia e quelli dell'Italia e la sintesi della situazione, quale prospettava il Giornale d'Italia, era più che ammissibile […] “Si va adunque confermando sempre più che l'attacco dei Dardanelli minaccia di porre in questione tre grandissimi problemi i quali toccano molto direttamente gli interessi italiani e cioè: sistemazione degli stretti e accesso della Russia nel Mediterraneo; equilibrio della penisola balcanica; sorte della Turchia asiatica ed equilibrio del Mediterraneo orientale. È impossibile, a nostro avviso, che l'Italia si disinteressi di tali problemi se non vuole lasciarsi scavalcare non soltanto

377 Ivi, p 99. 378 Ivi, p 99.

dalle grandi Potenze della Triplice Intesa, ma anche da una piccola ma audace e risoluta nazione: la Grecia […]379

A differenza di quanto sostenuto dall'esegesi storiografica moderna, oramai sostanzialmente prigioniera di una visione sclerotica e stereotipata del primo conflitto mondiale come guerra esclusivamente continentale e terrestre combattuta lungo il confine politico italo-austroungarico380, la ricostruzione offerta dall'opera edita da Treves si

preoccupava soprattutto di sottolineare come non vi fossero “soltanto una questione di frontiera da risolvere” e delle “aspirazioni nazionali da raggiungere”, ma “anche vasti interessi mediterranei, balcanici, orientali da tutelare per assicurare al nostro popolo l'avvenire politico ed economico che gli compete.”381

Il tentativo di abbattere l'impero ottomano aggredendolo dal mare, così da creare continuità territoriale fra le truppe britanniche attive in Medio Oriente e quelle zariste dislocate nel Caucaso, avrebbe infatti avuto importanti ripercussioni anche sugli interessi e sulle aspirazioni dell'Italia e le pagine della stampa estera si sarebbero affrettate a sottolinearlo. “Il pubblicista inglese dottor Dillon che […] era il termometro della pubblica opinione italiana ad uso e consumo del pubblico britannico”, scrivendo in quei giorni al

Daily Telegraph, avrebbe sconfessato la possibilità di un'intesa italo-austriaca sulla base di

una eventuale cessione del Trentino, perché il governo di Roma “non potrebbe mai offrire alcun compenso che potesse apparire adeguato […] tanto più che il Trentino non basterebbe a risolvere il problema delle relazioni italo-austriache. […] adesso che un nuovo e forte decisivo fattore entra in lotta in Oriente […] la necessità di considerare la situazione internazionale come mutata dall'offensiva franco-inglese […] appare evidente a tutti gli uomini politici italiani.”382

Della stessa opinione anche l'ex-ministro francese Pichon, che, esaminando la questione sulle pagine del Petit Journal, avrebbe ritenuto non più procrastinabile una definitiva presa di posizione italiana:

Fino a che l'Italia poteva credere […] che la penisola dei Balcani fosse sola in causa, poteva ritardare più o meno la sua entrata in scena. Ora che vede profilarsi all'orizzonte la questione dell'Asia Minore, le è meno facile aggiornare decisioni,

379 Ivi, p 164.

380 Cfr Aurelio Lepre, Storia degli italiani nel novecento. Chi siamo, da dove veniamo, Arnoldo Mondadori Editore,

Milano 2003, pp 58-61, ove l'accelerazione impressa alle trattative italiane con l'Intesa dall'attacco anglo- francese nel Mediterraneo orientale risulta stereotipatamente vincolata alla furbesca accortezza di non voler stipulare accordi internazionali “dopo qualche successo clamoroso dell'Intesa” e alla possibilità di ottenere la provincia di Adalia, in Anatolia, in caso di intervento anti-triplicista, sconfitta del blocco austro-tedesco, crollo dell'impero ottomano e sua conseguente spartizione. Basandosi sui giudizi elaborati, in una lettera spedita a Salandra, dall'ex-ministro degli esteri Tittoni, all'epoca ambasciatore a Parigi, il fermento sviluppatosi all'interno degli ambienti governativi a seguito del diffondersi della notizia dell'attacco, viene addirittura giustificato con la prospettiva di poter acquisire il Trentino senza neppure combattere, perché la pressione spicologica su di essa esercitata dai timori di una vittoria dell'Intesa a Gallipoli, avrebbero indotto l'Austria-Ungheria a cederlo, pur di garantirsi la neutralità dell'Italia.

381 La guerra..., cit, pp 164, 168, 170-171. 382 Ibidem.

senza le quali è minacciata di arrivare troppo tardi alla spartizione. […] A mano a mano che avanzano le nostre navi verso il mare di Marmara, si vede anche che le situazioni si precisano e che le decisioni da prendere da parte dei popoli che vi sono interessati diventano sempre più urgenti . È la prima conseguenza di una spedizione che si sarebbe dovuta fare più presto e dalla quale si deve attendere un effetto decisivo sui risultati generali della guerra.383

“Il noto direttore dell'Observer di Londra, Garvin”, infine, attingendo in modo strumentale alla corposa prosa mazziniana, avrebbe a sua volta utilizzato la convinzione, più volte ribadita dal noto pensatore genovese, di un indissolubile legame fra “Questione d'Oriente” e “Questione degli Asburgo” (fra loro a tal punto connesse, da non potersi risolvere l'una, senza superare automaticamente anche l'altra), per dimostrare agli italiani che l'attacco lanciato dall'Intesa alla periferia navale degli Imperi Centrali, all'epoca alleati della Sublime Porta, dovesse esser da loro obbligatoriamente interpretato come l'evento a lungo attesao per poter rompere gli indugi, uscire dalla neutralità e stipulare una nuova alleanza.

Entravano in questo coro di indagatori dei propositi dell'Italia anche gli americani. Il corrispondente da Roma del New York Herald (edizione di Parigi) […] “L'Inghilterra aveva sempre rifiutato alla Russia il passaggio degli Stretti. Ecco ora che lavora per aprirglieli. Tutta la vecchia concezione della politica mediterranea è rovesciata. L'equilibrio è bruscamente rotto. Per ristabilirlo, l'Italia deve allearsi con una delle tre potenze dell'Intesa, a meno che non entri direttamente nell'Intesa. […] Il buon senso italiano tende indiscutibilmente dal lato della Russia, che non ha nel Mediterraneo, come la Francia e l'Inghilterra, gli interessi opposti a quelli dell'Italia e che al contrario ha interessi comuni da regolare nel Mare Adriatico. Non posso dirvi se vi sia già qualche cosa di concreto al riguardo; ma ciò che è certo è che in questo momento ha luogo una attiva azione diplomatica […] Le potenze tedesche […] non hanno offerto all'Italia né il Trentino, né nessun altro territorio. Hanno semplicemente fatto capire che, in caso di vittoria del blocco austro-tedesco, l'Italia riceverebbe un compenso; ma le operazioni navali della flotta alleata rendono la vittoria tedesca ben problematica. Allora tutto l'avvenire della politica dell'Italia nel Medietrraneo si troverebbe compromesso senza la possibilità di far valere la propria voce.384

Passava dunque in secondo piano, alla luce di queste considerazioni, l'eliminazione del pericoloso “saliente trentino” (che pure fu fra gli obbiettivi di guerra perseguiti dal governo) con le sue finalità del tutto consone all'immagine (egemone oggi più di allora) di un conflitto esclusivamente continentale e terrestre, combattuto solo dall'esercito, contro il secolare nemico, lungo il confine italo-austroungarico, a costo di innumerevoli sacrifici e di discutibili limitazioni delle libertà individuali, ma comunque utile a diffondere fra le

383 Ibidem. 384 Ibidem.

masse che vi parteciparono il senso di appartenenza civica e di autocoscienza nazionale. Col suo caduto per antonomasia, l'onorevole Cesare Battisti, deputato socialista trentino al parlamento di Vienna, quest'immagine oleografica avrebbe anche offerto l'importante riprova di una inconciliabilità non inevitabile fra l'amor di patria e l'altruismo egalitario internazionale.

Le percezioni dei contemporanei (almeno quelle influenzata da sunti e letture riconducibili al variegato e corposo contesto della mobilitazione cultural-intellettuale del tempo di guerra) sembrerebbero, però, esser state molto più propense a rivolgere il loro sguardo altrove.

[Secondo] il corrispondente romano del Temps […] “Correva voce che Bülov avesse finalmente indotto l'Austria ad accordare qualche cosa, ma i circoli bene informati dichiarano che tutto ciò è di importanza molto secondaria di fronte alla questione dei Dardanelli e del Mediterraneo orientale.” […] E lo stesso Temps la sera del 09.03. [1915], in un suo articolo si occupava di nuovo a lungo dell'atteggiamento dell'Italia […] “L'Italia si è già accorta che il calcolo tedesco è falso. Accettare l'offerta del Trentino sarebbe da parte del governo italiano prestarsi ad un inganno grossolano perché le aspirazioni nazionali italiane vanno oltre una simile concessione. Il possedimento del Trentino e anche di Trieste diviene quasi secondario per l'Italia ora che l'apertura dei Dardanelli e la fine prossima dell'Impero Ottomano pongono in tutta la sua ampiezza il problema dell'equilibrio delle grandi influenze nel Mediterraneo. Il Trentino e Trieste sono frutti che l'Italia coglierà naturalmente in seguito alla decadenza irrimediabile dell'Austria-Ungheria, mentre la posizione dell'Italia nel Mediterraneo orientale dipenderà unicamente dallo sforzo italiano. Il non intervento dell'Italia […] avrebbe per effetto di diminuire in modo singolare la parte delle spoglie ottomane a cui l'Italia potrebbe aspirare e perciò stesso restringerebbe in modo definitivo l'orizzonte politico italiano. Il giorno in cui le forze navali anglo-francesi entreranno nei Dardanelli minacciando direttamente Costantinopoli, la linea politica che si impone al governo italiano è stata tracciata con una tale chiarezza che nessun intrigo tedesco può più mutarla […] gli avvenimenti stessi dettano all'Italia il suo dovere e precisano il senso della sua evoluzione, se essa vuol salvaguardare in modo sicuro i suoi interessi essenziali e il grande avvenire verso cui da parecchi anni tendono i suoi migliori sforzi.”385

Anche quando la ricostruzione del contenzioso ideologico attingeva a ragionamenti espressi dalla stampa di lingua tedesca, il senso del discorso non mutava (se non in termini di alleanze da stipulare e di convergenze di interessi di cui dover obbligatoriamente tener conto)386:

385 Ibidem..

386 Cfr Luca Riccardi, Alleati non amici. Le relazioni politiche tra l'Italia e l'Intesa durante la prima guerra mondiale,

Morcelliana, Brescia 1991, pp 77, 110-111, 113-117, 126-127, che dimostra come le concessioni fatte all'Italia sulla costa balcanica dell'Adriatico (Albania, ma non solo), anche se sancite dal Patto di Londra, venissero puntualmente rimesse in discussione dalla diplomazia anglo-francese quando si trattasse di compensare la

nella tedesca Kreuz Zeitung il professor Hoetsch dell'Università di Berlino, nota[…], a proposito dell'azione dell'Italia, che la gran guerra, sorta in realtà nei Balcani, tendeva a tornare ai Balcani. “È una prova dell'importanza dell'Italia […] che questo stato stia ora decidendo la sua politica. Solo ora appare tutta l'importanza di questa creazione politica compiutasi sotto il tuono dei cannoni tedeschi a Sedan. Questo stato sta traendo tutte le conseguenze della sua impareggiabile situazione geografica, che gli impone responsabilità grandissime. Il mondo trattiene il respiro innanzi alle decisioni che si preparano e che devono avere una straordinaria azione sul corso della guerra. Le quaranta navi inglesi e francesi, bombardando i Dardanelli, debbono dimostrare agli stati del Mediterraneo che una nuova ora suona per la distribuzione della potenza intorno e sopra questo mare. E quale attitudine prende l'Italia? […] molti tedeschi […] si chiedono come c'entri l'Italia coi Balcani e la questione orientale. Eppure Venezia tenne Cipro sino al 1571 e Creta sino al 1669, e i rapporti col Levante furono conservati dall'Italia anche ridotta all'estremo grado di impotenza. L'Italia unita assunse la superba eredità di Venezia, donde la sua politica albanese, la sua partecipazione alla questione cretese e i rapporti col Montenegro. Si può ripetere cento volte che la direzione avvenire dell'Italia è rivolta verso sud, verso l'Africa settentrionale. Ma quando una potenza, quale è divenuta l'Italia, si sente abbastanza forte per volgersi in direzioni varie, non giovano tutte le discussioni sul diritto e sul torto.387

L'autore dell'articolo si sarebbe quindi lanciato in un volo pindarico volto a dimostrare come fosse ancora possibile conciliare gli interessi italiani e quelli del blocco austro-tedesco, che, si presumeva, l'Italia avrebbe anche potuto abbandonare qualora la sua permanenza all'interno della Triplice si fosse dimostrata controproducente. Un'attenta analisi della posta in gioco avrebbe, però, rivelato il carattere ad essa antitetico della guerra combattuta dall'Intesa, non a caso composta solo da “avversari naturali” del governo di Roma.

Gli interessi coloniali recentemente acquisiti con la spedizione militare in Libia sarebbero dovuti esser sufficienti a sconsigliare qualsiasi ipotesi di alleanza con Londra e Parigi. Se questo, però, non fosse bastato, si sarebbero sempre potuti rammentare all'opinione pubblica nostrana gli svantaggi e gli scompensi certamente prodotti da un futuro ingresso nel Meditarraneo della Russia zarista (inevitabile in caso di fine del monopolio ottomano sugli Stretti), che avrebbe rappresentato, per l'Italia, la comparsa di

Serbia per le cessioni territoriali (Macedonia e Banato) che questa sarebbe stata obbligata ad effettuare in favore di Bulgaria e Romania, per remunerare un loro eventuale ingresso in guerra fra le file dell'Intesa. Cfr anche Mark Thompson, La guerra bianca. Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919, Il Saggiatore, Milano 2008, pp 41-44, il cui autore, pur sottolineando il carattere puramente strumentale e di facciata dell'appoggio britannico e francese agli obbiettivi della guerra italiana (diretta conseguenza del peso risolutore che si riteneva avrebbe potuto avere l'ingresso in guerra dell'Italia), in una sorta di schizzofrenia intellettuale, individua nell'ampiezza di quelle promesse (effettivamente senza eguali) una prova inconfutabile dell'importanza ricoperta dall'Italia all'interno della coalizione anti-tedesca.

un nuovo e temibile attore internazionale all'interno di un contesto geografico di importanza vitale; senza che questo fosse almeno controbilanciato da un, seppur minimo, ridimensionamento dell'indiscusso primato navale britannico in quel mare.

Per ciò è questa per l'Italia l'ora del destino e tutto per essa è in giuoco. Nella sua opinione pubblica non si fece ancora strada il nuovo orientamento dell'irredentismo sentimentale, che non serve ai bisogni politici, alla valutazione realistica dei suoi interessi mediterranei che la pongono a contrasto con l'Intesa. E in questo momento la flotta inglese, fortemente vincolata a due punti, alla Patria e ai Dardanelli, non costituisce per le coste italiane quel pericolo che costringe l'Italia a mantenersi in buoni rapporti con l'Inghilterra. Forse si avvicina l'ora preconizzata da Treitschke. Verrà tempo in cui Gibilterra apparterrà alla Spagna, Malta all'Italia, Helgoland alla Germania e il Mediterraneo ai paesi mediterranei. […] Il presupposto è che venga spezzato il dominio inglese sui mari. Se ciò avviene, l'Italia ne trae forse maggior vantaggio che la stessa Germania, perché l'Italia non diventerà mai una vera grande potenza sinché sussiste il monopolio marittimo dell'Inghilterra. Una cosa sola non deve dimenticare la politica italiana e cioè che ai paesi mediterranei appartiene anche l'Austria-Ungheria con Trieste e Fiume.” Qui l'Hoetsch dimenticava l'italianità di Trieste e di Fiume!...388

La denuncia dell'alleanza trentennale ed il successivo ingresso fra le file dell'Intesa (entrambi motivati da ragioni di mero opportunismo) avrebbero, però, sostituito un accordo internazionale divenuto oramai scomodo, perché anacronistico, con relazioni politico-diplomatiche ancora più insicure, dato l'evidente intrecciarsi, al loro interno, di un numero troppo elevato di contraddizioni. A tal proposito, avvalendosi di qualche articolo comparso sullle pagine della stampa quotidiana moscovita, la narrazione licenziata a fascicoli da Treves avrebbe ricordato anche le difficoltà incontrate per conciliare le pretese adriatico-balcaniche dell'Italia con l'appoggio offerto alla Serbia dalla corona zarista.

Nel 1912 la diplomazia europea ha commesso un grande errore. I serbi si erano aperta colle armi una strada sull'Adriatico attraverso l'Albania; senonché la conferenza di Londra, sotto la pressione dell'Austria, li ha forzati a rinunciare a questo sbocco marittimo. Strappati dal mare da questa parte i serbi si sono gettati a sud nella vallata del Vardar ed in ciò risiede la radice di tutti i rapporti anomali fra la Serbia e la Bulgaria. Da questo deriva anche che l'accomodamento di questi rapporti deve essere iniziato coll'apertura ai serbi della via preclusa a Londra. Impiantata con piede fermo sulle sponde dell'Adriatico, la Serbia avrà la possibilità di guardare con altri occhi la strada del Vardar […]389

Secondo l'autore dell'articolo, pubblicato da Birgevia Wiedomosti, l'agognato accesso al mare, la monarchia capeggiata dai Karagiogevic avrebbe dovuto ricercarlo non nella

388 Ibide. 389 Ivi, p 221

parte settentrionale del principato d'Albania (che sarebbe comunque rimasta obbiettivo