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La più volte citata complessità della strategia navale e marittima non confinava, però, il dibattito pubblico entro limiti invalicabili (vie di comunicazione marittima e punti posti alle loro estremità; marine da guerra e flotte mercantili), ma lo dilatava inglobando obbligatoriamente coste, stretti e rilievi montuosi:

Da qualche anno, grazie alle geniali invenzioni di un grande italiano, anche la nave in mezzo all'oceano non è più isolata e può facilmente corrispondere con la madre patria […] Con la navigazione a vapore e le gigantesche navi di oggigiorno, i venti e le tempeste sono vinte e non le fanno più deviare dalle rotte che, tracciate sulle arte, sono oramai considerate come delle strade […] però, a differenza di quelle terrestri, non appartengono ad alcuno, ma possono esse pure a momento opportuno essere intercettate dai più forti, soprattutto se hanno saputo assicurarsi dei punti di appoggio per le loro navi. Questa lotta per mantenere le strade del mare libere o per confiscarle a proprio vantaggio, che sotto mille forme diverse si combatte, è

originale: Why the Allies Won, Pimlico, London 1996), p 56, che sottolinea quanto questo scontro sarebbe rimasto punto di riferimento predominante, fra le file dell'ufficialità della marina imperiale nipponica, sino alla definitiva sconfitta dello strumento navale giapponese ad opera degli Stati Uniti.

139 Frank Thiess, Tsushima. Il romanzo di una guerra navale. Traduzione dal tedesco dell'ammiraglio di squadra Wladimiro Pini compiuta sotto gli auspici dell'Ufficio Storico della R. Marina, Giulio Einaudi Editore, Torino 1941

– XIX, p 11: “In questa opera è scritto il romanzo di una guerra navale, ma non fu l'autore, fu la storia stessa a concepirlo. […] Il libro è intitolato Tsushima. È il romanzo di quella che, come vittoria e come disfatta, fu la più grande battaglia navale che la storia ricordi. Quella dello Skagerrak, che come fenomeno tecnico è certamente più gigantesca dell'altra, non ebbe però un'importanza paragonabile a quella di Tsushima, perché non ebbe influenza decisiva sull'andamento della guerra mondiale. La battaglia di Tsushima, invece, non decise soltanto di una guerra, ma fu il faro che guidò la caduta dello zarismo, già cominciata, e l'inizio di una nuova potenza, che da allora non ha più cessato di influire sulle sorti del mondo.”

140 Cfr Italo Sulliotti, Uomini sul mare, Omero Marangoni Editore, Milano 1938, pp 166-167. Le pagine in

questione, riproponendosi di rilanciare fra le masse popolari nostrane il sentimento talassocratico- imperialista, rileggevano l'ideale politico risorgimentale dello stato unitario a carattere nazionale (e la conseguente unificazione della penisola) come prodotto dell'opera della gente di mare: "Francesco Caracciolo […] conosce la sua sorte […] Questo marinaio napoletano […] è stato sempre e soprattutto un marinaio abituato ad obbedire, a navigare, a combattere. […] Ma dal fondo, ancora nebbioso della sua conoscienza di uomo e di marinaio, qualcosa ha sentito nascere, fluttuare, crescere e prendere forma, qualcosa che richiamerà domani la voce del Risorgimento italiano, un indistinto e orgoglioso amore per tutto ciò che ha il volto della terra che lo ha visto nascere, un sentimento di sdegnosa insofferenza per gli uomini armati che vengono da altri cieli e da altre terre per calpestare […] e imporre a Napoli, alla sua Napoli, una legge straniera. In verità il principe Francesco Caracciolo è nato troppo tardi o troppo presto. Troppo tardi per essere magnifico condottiero navale delle Repubbliche gloriose, troppo presto per schierarsi a fianco di quell'altro italiano della leggenda che sarà il capitano di lungo corso Giuseppe Garibaldi."

naturalmente più aspra, più continuata che non negli oceani, nei mari interni, dove sono più numerosi i concorrenti che su quel mare protendono le loro coste, […] i loro commerci e i loro interessi più vitali. In tali mari, quando le acque bagnano paesi e razze diverse, è legge che tutto vi sia disputato; le isole, i porti, gli stretti.141

Sintesi di questa contrapposizione per l'egemonia navale era il Mediterraneo, mare chiuso fra tre continenti, ma di recente rilanciato dal taglio dell'istmo di Suez, che l'aveva riconvertito in spazio vitale al centro delle ambizioni espansionistico-egemoniche delle maggiori potenze europee:

Il Mediterraneo […] presenta più di qualunque altro mare codesto carattere […] diventa[...] potenza mediterranea l'Inghilterra, che padrona di Gibilterra, dell'Egitto e del canale di Malta e di Cipro acquista in questo mare una posizione predominante […] L'occupazione della Libia per parte dell'Italia, le guerre balcaniche che hanno dato alla Grecia Salonicco e un aumento delle sue coste nell'Egeo e nell'Adriatico, la creazione dell'Albania […] hanno messo all'ordine del giorno la questione dell'equilibrio del Mediterraneo, che si collega a quello dell'Asia Minore, dove maturano i problemi del domani. […] gli Stretti: quello dei Dardanelli che mette dall'Egeo nel Mare di Marmara; il Bosforo che dal Mar di Marmara mette nel Mar Nero. […] la questione del Mar Nero […] si confonde con quella dei Dardanelli e quindi con tutta la questione d'Oriente.142

Principale motivo del contendere erano le aspirazioni del colosso zarista a trasformare sé stesso in potenza navale mediterranea, rompendo il monopolio ottomano su quelle porzioni di continente asiatico ed europeo che impedivano alla sua marina di muovere liberamente la flotta del Mar Nero, l'unica sempre utilizzabile:

completamente abbandonate le speranze per il golfo persico, […] obbligata ad abbandonare Port Arthur, e lassù nei mari del nord, […] imprigionata in un mare chiuso dagli stretti dano-svedesi in mano agli avversari […] più forte che mai è oggi la sua aspirazione per il libero passaggio dei Dardanelli, e ciò basta a spiegare l'attività della politica russa […], così come spiega la febbrile attività con la quale il vasto impero procede alla ricostruzione delle sue flotte. Ciò che del resto continuano a fare tutte le potenze europee, gli Stati Uniti e il Giappone, in questi ultimi anni nei quali si parla forse più di flotte che di eserciti, dopo che si è veduto come sia soprattutto sul mare o col mare, che si decidono le sorti delle grandi nazioni.143

Alla luce dei ragionamenti precedentemente elaborati, il carattere perentorio dei giudizi espressi da Mantegazza deve essere di certo ridimensionato (almeno per quanto concerne il loro impatto sul ristretto contesto dell'opinione pubblica italiana).

141 Vico Mantegazza, Il Mediterraneo e..., cit, pp 5, 16-17, 37, 39-40. 142 Ibidem.

Ciononostante la centralità di alcuni aspetti del discorso navalista (soprattutto il possesso di tratti di costa o di posizioni sulla terraferma giudicate indispendabili per il controllo di vie di comunicazione marittima particolarmente pregevoli) risulta innegabile, come avrebbero dimostrato le polemiche sorte attorno al possesso del monte Löwcen, lungo il confine fra Austria-Ungheria e Montenegro

Il monte Löwcen, sul confine austro-montenegrino, domina da una parte le Bocche di Cattaro e, dall'altra, Cettigne. […] volendo fare di Cattaro una grande base navale, questa sarebbe esposta ai tiri dei cannoni montenegrini, o dei cannoni serbi, il giorno nel quale l'unione dei due paesi fosse un fatto compiuto. Il possesso del Löwcen, da parte dell'Austria, le permetterebbe di avere una base navale sicura, nel bacino meridionale dell'Adriatico, e intanto, di tenere a dovere sotto la perenne minaccia dei cannoni puntati contro la sua capitale, il Montenegro. […] polemiche […] si svolsero nella stampa europea durante la guerra balcanica, quando pareva che l'Austria non si sarebbe opposta a lasciare Scutari al Montenegro, purché, a sua volta il Montenegro le cedesse lo Löwcen […] Ora la questione del Löwcen […] non è una questione riguardante solamente l'Austria: è una questione internazionale, e che, in modo speciale, poi interessa il nostro paese, poiché, permettendo la creazione di una grande base navale austro-ungarica a Cattaro, turberebbe quell'equilibrio dell'Adriatico che è la base della nostra intesa col vicino impero, dandole una forte superiorità nel bacino meridionale di questo mare. Tanto più se si tien conto che […] non [ci] si contenta[…] di reclamare il Löwcen, ma [si] domanda[…] al governo che l'Austria si impadronisca anche del Sozina che sovrasta a Spitza e ad Antivari, destinata a diventare il porto della Grande Serbia, il giorno nel quale avverrà l'unione. Si compromette l'accordo, raggiunto attraverso tante difficoltà fra le due potenze adriatiche, e che, giovando tanto all'una quanto all'altra, deve essere mantenuto, anche se per tale accordo, l'una e l'altra debbono imporsi dei sacrifici, e se in certe date questioni, si hanno vedute non completamente uguali […]144

Divampata la guerra, il tentativo, poi rivelatosi infruttuoso145, di interdire l'uso del

mare alle unità navali austro-ungariche cannoneggiando le bocche di Cattaro dalle sommità di quel monte fu trasformato da D'Annunzio (che ne parlò sulle pagine della stampa francese in tempi ancora non sospetti) in uno degli esempi più icastiti e rappresentativi da additare ad una nazione ancora troppo indecisa sul da farsi.146 Anche 144 Ivi, pp 199-200.

145 AUSSME, G 33, B 36, f 351 Addetto Militare Montenegro-Informazioni Ministero Guerra, R. Legazione d'Italia

al Montenegro-N° 697/235 del 20.10.1914-Oggetto: Operazioni nelle acque del Montenegro: “La situazione attorno a Cattaro non è mutata. Durante la giornata di ieri i cannoni francesi piazzati sul Lowcen hanno eseguito dei tiri di prova contro i forti austriaci, il che lascerebbe supporre che veramente si abbia l'intenzione di iniziare fra breve un'azione contro quella piazza. Per le ragioni già esposte nei precedenti rapporti continuano qui i dubbi sull'entità e sull'effetto pratico di una siffatta azione.”

146 Cfr La guerra d'Italia..., cit, p130, che riporta “l'ispirato “Appello agli italiani” da lui pubblicato nel parigino Journal del 30.09.1914 […] “La squadra navale francese dell'Adriatico […], dopo aver distrutti i forti che

per questo, l'esito fallimentare dell'impresa avrebbe contribuito non poco ad alimentare la disillusione del grande pubblico per una guerra di mare dalle dinamiche troppo spesso ancora latenti. Lo stesso dicasi del Belgio147, su cui, all'indomani dell'invasione tedesca, si

concentrò l'attenzione dell'opinione pubblica nostrana, per ragioni, però, diverse rispetto a quelle sottolineate da un noto opuscolo licenziato in quei giorni dalla propaganda britannica. Rammentando la natura artificiosa del piccolo stato europeo (“ il regno ha […] un carattere artificiale; […] la popolazione, si aggiunga, è eterogenea di razza e di lingua”), senza per questo giungere a negarne il diritto ad esistere (“ tali fatti non infirmano per nulla i diritti legali del Belgio […] esso è stato sovrano in forza dello stesso diritto per cui sono stati sovrani l'Italia e la Grecia”)148, un agile volumetto composto da un gruppo di

professori dell'università di Oxford, avrebbe infatti sottolineato come il piccolo regno sito al di là della Manica, sottraendo alla giurisdizione francese o tedesca una parte importante della sponda continentale del tratto di mare che separa il Regno Unito dai due pericolosi rivali terrestri, avesse sempre svolto un'indispensabile funzione difensiva.

Le province che ora costituiscono il regno del Belgio […] note nel secolo XVII quali i Paesi Bassi austriaci […] ebbero la prima denominazione quando, dopo una breve partecipazione alla rivolta da cui sorse a nazione l'Olanda, esse ritornarono all'ubbidienza di Filippo II. Nel 1648 […] sottostettero alla prima di quelle restrizioni che l'Europa credette opportuno di imporre loro. Il trattato di Münster (1648) convalidò il monopolio olandese di navigazione sulla Schelda e si tolse così ad Anversa il modo di rivaleggiare con Amsterdam. Durante il regno di Luiogi XIV i Paesi Bassi spagnuoli furono continuamente assaliti dalla Francia che s'impossessò in tempi diversi delle principali città nell'Artois e nell'Hainault, alcune delle quali richiamarono l'attenzione durante la guerra recente come Lille, Valanciennes,

Lissa di cui ogni italiano fedele non può udire il nome senza veder levarsi dal fondo delle acque amarissime i pugni esangui de' suoi marinai invendicati. […] Come aspri devono mordere la loro tristezza i nostri giovani impazienti ufficiali […] Il primo colpo di cannone nell'Adriatico non è stato tirato da una corazzata italiana, e sono i nostri fratelli marinai di Francia, che ascendono coi pesanti pezzi il Lovcen per colpir Cattaro in fondo al suo munito labirinto.”

147 Archivio Ufficio Storico Marina Militare [d'ora in poi: AUSMM], Raccolta di Base [d'ora in poi: RB], B 312,

f 5 Informazioni su nazioni estere, Ufficio del Capo di Stato Maggiore della Marina-Reparto Informazioni- Promemoria N° 289 Serie 111^ del 24.10.1914 Inghilterra: Notizie varie, che, paventando l'ipotesi di una conquista di Anversa da parte tedesca, sottolinea come “l'avvenimento non rappresenta un grave pericolo non essendo tale città in diretta comunicazione col mare. Maggiore pericolo invece essa potrebbe presentare come base per l'eventuale azione di dirigibili tedeschi; sebbene in previsione di tale possibilità, siano state prese misure tali, che, secondo un'opinione diffusa, da una spedizione di dirigibili in Inghilterra ben pochi potrebbero ritornare indietro.”

148 Cfr Perché la Gran Bretagna combatte a cura di insegnanti della facoltà di storia moderna nell'Università di Oxford,

Oxford presso la Tipografia Clarendoniana 1914, pp 13-21: “Durante le terribili tragedie dell'agosto 1914 […] il Belgio ha dato prova di possedere altri titoli all'esistenza e al rispetto che non siano quelli concessi dai trattati […] o in grazia delle dottrine di diritto internazionale. Il Belgio ha superato eroicamente la prova che distingue le nazionalità vere dalle fittizie. Così che se ora il piccolo Belgio fosse cancellato dalle carte d'Europa il mondo civile sarebbe sminuito e l'Europa svergognata […] Combattendo per il Belgio si combatte per il diritto delle genti, che è a dire in ultima analisi per la pace di tutte le nazioni e per il diritto dei deboli all'esistenza.”

Cambrai e Maubeuge. Tuttavia la maggior parte dei Paesi Bassi con il trattato di Utrecht passò dalla Spagna all'Austria che era allora la rivale più temibile della Francia sul continente […]149

Abbattuta la monarchia in Francia, il nuovo governo rivoluzionario avrebbe occupato manu militari Liegi ed i Paesi Bassi, aprendo alle navi di qualunque bandiera la navigazione sulla Schelda.

Tale atto e la minaccia di un attacco contro l'Olanda, alleata dell'Inghilterra, trascinò questa nazione a un conflitto con la Rivoluzione; perché, prima di tutto, Anversa in mano ai francesi e porto aperto avrebbe costituito una pericolosa minaccia, e perché i francesi avevano emessa una dottrina nuova ed anarchina, inconciliabile con tutti i Trattati esistenti. […] rispetto al Belgio la Germania ha assunto la stessa poisizione che il governo rivoluzionario francese aveva adottata per la questione della Schelda e che Napoleone aveva presa verso la neutralità garantita alla Svizzera e all'Olanda. Come allora gli interessi inglesi sono in giuoco, perché le conseguenze dell'estinzione o dell'oppressione delle nazionalità minori non possono non provocare l'allarme in Inghilterra, e in ispecial modo essa non può trascurare la minaccia inerente allo stabilirsi di una potenza militare nel Belgio.150

Ovviamente la necessità di non limitare le ragioni dell'intervento britannico al solo antagonismo geo-strategico, coi suoi interessi di parte e le sue logiche di potenza, poco conciliabili col topos propagandistico della colpa tedesca, suggerì agli autori del documento di presentare Londra come campione della legalità internazionale, dipingendola come grande potenza sempre determinata a battersi per scongiurare “i pericoli e le incertezze di uno stato di cose in cui al diritto fosse sostituita la forza”.

Sotto il regime dei trattati il gran ducato del Lussemburgo è precisamente nella stessa posizione legale del suo vicino più a nord […] Se la difesa del Belgio ha attratto maggiormente l'attenzione e la simpatia del popolo inglese si è perché questa ha maggior familiarità con la storia del Belgio e perché vede più chiaramente le conseguenze che sono coinvolte dalla violazione tedesca dei diritti belgi. […] L'attitudine inglese verso il Lussemburgo è quella stessa sempre adottata dalla monarchia insulare verso quelle minori nazionalità, cui la posizione geografica protegge da un'azione navale. Verso la Serbia tale attitudine apparve anche più chiaramente che non nel caso del Lussemburgo. L'Inghilterra si ritiene in dovere di esercitare il proprio influsso perché i minori stati d'europa ottengano un equo trattatmento dai loro più poderosi vicini; ma tale dovere incombe prima su quegli stati a cui la posizione geografica conceda di appoggiare la protesta con la forza. E come spetta alla Russia specialmente di proteggere la Serbia, così spetta in prima

149 Perché la Gran Bretagna combatte a cura di insegnanti della facoltà di storia moderna nell'Università di Oxford,

Oxford presso la Tipografia Clarendoniana 1914, pp 13-21.

istanza alla Francia di proteggere il Lussemburgo contro un'aggressione tedesca, o alla Germania di salvaguardarlo da un attacco francese; in entrambi i casi l'Inghilterra si troverebbe in obbligo di esercitare la propria influenza, ma non come protagonista. Ogni deviazione da tale direttiva avrebbe un disperato carattere donchisciottesco e trarrebbe l'Inghilterra all'incapacità di giovare agli stati entro la sua diretta cerchia d'influenza.151

Proprio il discorso sviluppato dal volume dato alle stampe ad Oxford ed il modo in cui esso venne recepito e strumentalizzato della propaganda interventista italiana, comprova il primato d'una mentalità continentale. Se, infatti, può essere imputata agli stessi estensori del testo152 la riduttiva convinzione (tutt'oggi viva nell'immaginario

collettivo storiografico)153, secondo cui la posizione strategicamente appetibile del paese

151 Perché la Gran Bretagna combatte a cura di insegnanti della facoltà di storia moderna nell'Università di Oxford,

Oxford presso la Tipografia Clarendoniana 1914, pp 13-21.

152 Ivi, pp 26-27: “A chi studi con qualche attenzione la carta della Francia appare evidente che la frontiera

orientale può distinguersi in due sezioni nettamente contrapposte, la sezione nord-est, che giunge dal mare alla valle della Sambre, e quella sud-est, che scende da cotesto fiume al confine svizzero. La prima è in territorio piano, eminentemente atto alle operazioni militari, la seconda è in territorio montano, interessato da valli profonde e numerose. Perduta l'Alsazia-Lorena, la Francia si adoperò con energia a correggere la debolezza strategica delle sue frontiere e, con una catena di forti a ridosso dei Vosgi, eresse un baluardo che ha fama di essere inespugnabile […] Ogni attacco tedesco lanciato contro questa linea, senza violazione di territori neutri, dovrebbe essere frontale, perché a settentrione la linea è coperta dai territori neitri del Lussemburgo e del Belgio, mentre a sud, quantunque l'intervallo tra i Vosgi e il confine svizzero sembri offrire il modo di aggirare le difese francesi, la fortezza di Belfort, inespugnata anche durante la guerra del 1870-71, è ritenuta un ostacolo troppo formidabile, perché vi sia condotto a cozzare un esercito invasore. Sembrava dunque impossibile una rapida avanzata su Parigi se si fosse rispettata la neutralità del Belgio e del Lussemburgo e per questa sola ragione di carattere militare la Germania ha oggi violate le sue promesse per la neutralità di questi stati. […] Che tale piano fosse favorito dal comando germanico tutti da qualche anno sapevano in Inghilterra, e si riteneva pure generalmente che un simile tentativo avrebbe avuto, come necessaria conseguenza l'intervento armato delle forze britanniche, a cui si credeva essere assegnato il compito di formare l'ala sinistra dell'esercito francese fronteggiante i tedeschi che avessero tentato di varcare la frontiera franco-belga.”

153 Cfr, Davide Pastore, 1914-1918, in: Introduzione alla storia contemporanea, a cura di Paolo Pombeni con la

collaborazione di Barbara Covili, Società editrice il Mulino, Bologna 1997, p 175: “Il Piano Schlieffen, contrariamente alla politica del rischio calcolato, non faceva differenze fra l'Inghilterra neutrale o belligerante, si proponeva semplicemente di impedirle di mettere piede sul suolo del continente. […] Attraversando il Belgio, sarebbe attaccata ed annientata la Francia in breve tempo ed eventualmente respinto un tentativo di sbarco da parte della Gran Bretagna. Dopo essersi assicurate la supremazia sulla parte occidentale del continente europeo ed essersi coperti le spalle da un eventuale attacco di sorpresa della Gran Bretagna, le armate tedesche si sarebbero rivolte ad oriente per attaccare l'esercito russo in Polonia […] Adesso risulta evidente la ragione per cui il Belgio era la chiave della guerra per la Germania. L'intero esito del conflitto dipendeva dalla riuscita della prima parte del Piano, l'annientamento della Francia e la preclusione all'Inghilterra della possibilità di intervenire efficacemente.” Si discosta da questo stereotipo solo Stéphane Audoin-Rouzeau e Annette Becker, La violenza..., cit, pp 80-81 e 83, ove, però, la scelta belga di